giovedì - Te la devi meritare Giò
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giovedì - Te la devi meritare Giò
Te la devi meritare, Gio’_Miki Rosco GIOVEDÌ Abstract E con Giò l’amicizia era iniziata proprio con la Roma, nei banchi del quarto ginnasio, quando avevano scoperto di avere l’abbonamento in Curva Sud, il primo della sua vita lì dove il tifo risplende, e da allora, sempre, erano andati insieme allo stadio, sempre. Ora avevano abbandonato la Curva degli ultrà, non avevano più l’età per quella vita, e si erano rifugiati nei Distinti, ma comunque, ogni domenica che la Roma giocava in casa, loro erano lì, e non potevano mancare a quel derby, quello strano derby notturno che si giocava di giovedì. Non potevano mancare, ma la situazione si era fatta critica, erano in un ritardo quasi irrecuperabile, quando il traffico inestricabile, davanti al Ministero della Marina, improvvisamente si sciolse e Giò fece volare la Vespa come a un Gran Premio, nell’improvviso vuoto del Lungotevere. Ma a un certo punto frenò, davanti a loro, occupando tutta la strada, gruppi di giovani scalmanati fronteggiavano un nemico invisibile. Giò ebbe un attimo di terrore, poi vide che avevano le sciarpe giallorosse come loro, non rischiavano di essere pestati. Si avvicinò uno degli ultrà. - Ahò. De qui nun se passa, ce stà ‘a polizia. Annate de là, e poi tornate a dirci se ce stanno i laziali de merda. Stamo a fa’ un casino de pazzi, oggi famo saltà tutta Roma. Giò non se lo fece ripetere, girò la Vespa e si addentrò nel quartiere, cercando di trovare uno spiraglio che evitasse gli ultrà, evidentemente impazziti, che avevano ingaggiato la battaglia finale. - Se stavamo ancora alla Sud avremmo saputo quello che si preparava, qui c’è l’inferno. – disse Carlo, e proprio mentre lo diceva, videro da lontano dei ragazzi, nel fumo dei 1 www.animadigomma.it |www.teladevimeritaregio.it Te la devi meritare, Gio’_Miki Rosco lacrimogeni che scappavano nella loro direzione. Prima di chiedersi se erano laziali o romanisti, Giò scartò via, addentrandosi sempre di più verso i Parioli, allontanandosi, inevitabilmente dallo stadio. Cercò di recuperare il Lungotevere dal Flaminio (era tornato sotto il suo ufficio, cazzo!), ma fu bloccato dalla vista della polizia schierata davanti al ponte. Allora deviò verso Ponte Milvio, ma si accorse che era tutto avvolto nel fumo dei lacrimogeni. - E ora, che cazzo facciamo? - Che ne so? Siamo bloccati, togliti quella sciarpa, se ci beccano i laziali ci fanno secchi. - E se ci prendono i romanisti, ci scambiamo per laziali e ci fanno secchi? - Bè, moriremo per mano di amici. È già una bella soddisfazione. - Oramai è finita, allo stadio non ci arriviamo più. È il primo derby che mi perdo. - È il primo che ci perdiamo. La strada era deserta, c’erano solo loro. Da lontano si sentivano i botti dei lancia lacrimogeni e le bombe carta che usavano gli ultrà. Era in corso una battaglia nella quale non potevano riconoscersi, non potevano schierarsi, una battaglia condotta da cretini criminali. - Guarda. Lì c’è un pub aperto, magari riusciamo a vedere la partita per televisione. Si avviarono verso l’ingresso dove c’era un tipo che li guardò male. - Ahò, niente scherzi. Qui ultrà nun ce li voglio. - Nemmeno noi. Vogliamo solo vedere la partita in pace. - Entrate allora. È iniziata da cinque minuti. 2 www.animadigomma.it |www.teladevimeritaregio.it Te la devi meritare, Gio’_Miki Rosco Fu una partita orrenda, una delle più brutte della lunga serie dei derby inguardabili. Loro non riuscirono nemmeno a fare il tifo, non erano abituati a quel clima, erano solo loro due e il padrone del pub, che non si riusciva a capire da che parte stava. Finì zero a zero, senza emozioni e senza patemi, con il telecronista che parlava più degli incidenti fuori dello stadio (“dieci poliziotti feriti, anzi venti, no, trentadue, uno grave, due ultrà accoltellati, tredici arresti”) che della partita, con le due curve, mezze vuote perché i peggiori erano per strada a picchiarsi, che si insultavano feroci e beceri, e quella ferocia, a Giò e Carlo che vi si erano tante volte uniti, urlando i trucidi slogan, sembrò per la prima volta stupida, prima che pericolosa. Stupida e inutile. La partita finì, finalmente, e quando loro stavano per uscire depressi, entrò nel pub un gigante tatuato, con una ferita che sanguinava sul cranio rasato. Afferrò Carlo per la maglietta e gli intimò. - forza chi? – Carlo capì che doveva dire per quale squadra era, il gigante non aveva segni di riconoscimento, lui cercò di vedere se dai tatuaggi si capiva qualcosa. – forza chi? – gli urlò in faccia il matto, schizzandogli il sangue addosso. - Forza Roma! Urlò Giò, forza lupi! Il gigante lasciò stare Carlo e si voltò verso di lui. Con gesto lento, mise la mano nella borsa che portava a tracolla e tirò fuori una sciarpa insanguinata. Una sciarpa biancoazzurra. - sai che è questa? – urlò – sai che è? – Giò non disse niente, guardò solo il tizio e sperò che da qualche parte comparisse Samuele, a salvarli un’altra volta. – è la sciarpa che ho strappato a un laziale de merda che ho steso. Mò se eravate laziali pure voi, completavo la raccolta. Ma mejo così. Fatte abbraccià fratello. – e strinse Giò in una morsa. 3 www.animadigomma.it |www.teladevimeritaregio.it Te la devi meritare, Gio’_Miki Rosco - Bè, se vincevamo la partita era meglio. – disse Carlo, così, per fare amicizia. – se semo magnati du’ gol fatti. - A già, come è finita? – chiese il gigante. - Zero a zero. - Vabbè, ma ai laziali pe’ strada li amo corcati. Del resto chissenefrega. 4 www.animadigomma.it |www.teladevimeritaregio.it