venerdì - Te la devi meritare Giò

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venerdì - Te la devi meritare Giò
Te la devi meritare, Gio’_Miki Rosco
VENERDÌ
Abstract
Giò arrivò al bar Necci con cinque minuti di ritardo: poco, pochissimo, ma neanche quella volta era
riuscito a farcela. E comunque era improbabile che la Geisha fosse già lì. Entrò nel cortile, i tavolini
erano quasi tutti occupati, almeno quelli migliori, quelli all’ombra dei grandi alberi. La serata era
tiepida, un presagio di primavera. Si guardò bene in giro per individuare qualcuno che fosse
identificabile con la sua invitata (ma, in realtà, chi aveva invitato chi?), nessuno rispondeva ai
requisiti – quali? – che si aspettava. A un certo punto, però, il suo sguardo si fermò su un paio di
gambe, lunghissime, in mostra, in cima alle quali c’era una ragazza da sola, una tizia con un massa
di capelli rossi che stava mangiando a un tavolino: era carina con la sua minigonna vertiginosa. Le
gambe della Geisha, cazzo! Era lei. Si avvicinò e lei gli sorrise ambigua.
-
Cerchi qualcuno?
-
Bè sì, cerco una persona, ma se sei sola, posso farti compagnia.
-
Bel personaggio, cerchi qualcuno, magari una ragazza con cui hai preso appuntamento, e
attacchi bottone con la prima che incontri. – la tipa lo guardava con aria ironica.
-
E tu, aspetti qualcuno?
La rossa sorrise, aveva dei grandi occhi verdi, di che colore aveva gli occhi la Geisha? Non ci aveva
mai fatto caso.
-
La domanda l’avevo fatta io, e comunque: sì, aspetto uno.
-
E sai chi è?
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Perché tu no? Hai un appuntamento e non sai con chi?
-
È una storia strana. – Giò era in imbarazzo crescente, sentiva di essersi infilato in un loop
micidiale. - Ma tu, sei la Geisha?
-
Ti sembro nipponica?
-
No, ma hai capito di chi sto parlando. E tu, comunque non mi hai risposto. Sai chi aspetti?
-
Magari lo sapessi. Chi sa che cosa ci aspetta? Chi può dire chi è colui che aspettiamo
veramente?
-
Mi stai prendendo per il culo. Chi aspetti?
-
Hai ragione non lo so chi aspetto. – divenne seria - Non mi ricordo nemmeno più che faccia
ha. Ma una cosa me la ricordo bene – e sorrise di nuovo, che splendore! - Mi ricordo
perfettamente che sapore ha. Fammi provare e vediamo se sei tu, colui che attendo.
Gli prese la mano e si portò un dito alla bocca, un dito che succhiò.
-
Certo, riconosco il sapore. Sei tu che aspettavo!
E rise. Rise in un modo che Giò non aveva mai visto prima, rise chiudendo gli occhi, buttando la
testa indietro e sussultando lievemente mentre la massa di capelli rossi ondeggiava. Ma senza
emettere suoni, sembrava una risata finta, eppure si capiva che stava ridendo, la più bella risata
che avesse mai visto. E mentre lei rideva, Giò seppe con certezza assoluta che quella lì, lei, proprio
lei, era la ragazza con cui voleva passare i prossimi anni.
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Allora sei tu la geisha!
-
Non più. Proprio oggi ho mandato a ramengo quello scemo di Aldo.
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Questa è una notizia! Lo devo scrivere sul blog. AnVedi lasciato dalla Geisha: ora dovrà fare
da solo i concerti.
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Non ci sarà nessuna notizia. Aldo avrà trovato già un’altra Geisha, non ci vuole molto a fare
quel lavoro: una bella parrucca, una minigonna e via, sei la Geisha Caterina. D’altronde io
non sono stata la prima, la prima era una che si chiamava proprio Caterina, poi sono
venuta io e ora ci sarà un’altra che si prende i 1200 euro al mese per accompagnare quello
scemo ai concerti e alle conferenze stampa.
-
1200 euro! Ma io pensavo che stavate insieme, tu e AnVedi.
-
Che bella stima hai di me. Io con quel coatto. Ci ha provato, ma la soddisfazione non
gliel’ho data mai. – l’ex Geisha sorrise maliziosa - Anzi, sai che ho fatto? Una volta lui mi ha
detto di essere carina con un tizio che gli stava antipatico, ma che doveva fargli un favore.
-
E tu?
-
E io me lo sono portata a letto.
A Giò girava la testa, si sentiva preso in un vortice di confusione da cui non riusciva a
districarsi.
-
E sono molti quelli che gli stavano antipatici?
L’ex Geisha, rise di nuovo.
-
Qualcuno, e uno lo conosci bene anche tu.
Giò decise di cambiare argomento e di scendere su un livello di conversazione più normale.
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Ma cazzo, non ti ho nemmeno chiesto come ti chiami davvero, e comunque ti aspettavo
diversa.
-
Deluso?
-
No, per niente, cioè, anzi. Ma quando ti ho vista non ho pensato proprio che potessi
essere tu. A parte la minigonna, e le gambe, ovviamente, tutto il resto non era come me lo
aspettavo. Tutto diverso da come mi aspettavo. Solo la minigonna è rimasta della vecchia
Geisha che conoscevo. Quindi la minigonna l’hai mantenuta, almeno quella.
Lei lo guardò seria, con i suoi occhi verdi che splendevano.
-
Qual è la prima cosa che hai pensato, quando mi hai vista?
-
Bè, ho pensato: che gambe!
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Benissimo. E la seconda?
-
Che avevi i capelli rossi. Non proprio nipponici, come dici tu.
-
Dillo bene. Che hai pensato? Esattamente, le parole esatte.
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Ma è roscia!
E risero tutti e due.
-
Il motivo per cui porto la minigonna è questo. Vedi, tu hai avuto in classe qualcuno con i
capelli rossi?
-
Alle elementari c’era uno così, proprio pel di carota.
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E come lo chiamavate.
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A roscio! Lo abbiamo tormentato tutto il tempo, poveraccio.
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E lo stesso è accaduto a me, ogni anno, in tutte le classi, i ragazzi ovviamente, voi maschi
scemi: “a roscia!” non è una bella cosa per una bambina che è già timida di suo. Poi una
volta, non so perché, in quarta ginnasio sono arrivata in classe con la minigonna. E nessun
ragazzo ha più guardato i capelli.
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Bè, ti avrà portato dei problemi anche quello.
-
Adesso so però che cos’è la prima cosa che pensa di me un ragazzo, e so come trattarla.
L’altra è più difficile. Comunque, piacere, sono Alberta la roscia.
-
Piacere Alberta bellegambe, davvero felice di conoscerti.
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