a nord del confine, a est del sole

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a nord del confine, a est del sole
A NORD DEL CONFINE, A EST
DEL SOLE
Si viaggia per allargare i propri confini, geografici e
dell’anima. C’è chi è salito in bicicletta e ha deciso di
attraversare continenti per raggiungere il tetto del mondo
e chi le sue avventure è riuscito a trasformarle in un
lavoro. Qualcuno ha sfidato le proprie capacità fisiche e
altri i pregiudizi. E quando si rientra a casa, tornare alla
propria vita non è facile. Perché qualcosa, dentro di te,
cambia per sempre.
di Franco Giubilei, Lucia Maini, Martino Pinna
VIDEO / Il ritorno a casa
La parte peggiore del viaggio? Tornare a casa, secondo alcuni. Bernardo e
Marcella qualche anno fa sono partiti da casa in bicicletta e hanno passato
in viaggio un anno intero. “Avevo il bisogno di andare verso l’ignoto”
spiega Marcella. Ma a un certo punto bisogna tornare a casa.
REPORTAGE / Lo strano caso dell’inquilino errante
Nel 1969, quando il viaggio in Oriente era ancora un’avventura alla scoperta di
sé stessi e riservata a pochi, Giò Barbieri partì per Bali a bordo di una
Cinquecento con due amici, sui vent’anni come lui. Da allora non si è più
fermato, anzi, ha messo il viaggio al centro della sua esistenza, facendone una
ragione di vita e ricavandone una professione, dato che il suo mestiere è autore
di guide e di articoli per riviste specializzate (in passato ha fatto anche il
corrispondente di guerra per l’Europeo, da fotoreporter). Nel frattempo ha
messo su famiglia, moglie e tre figli, ma questo non gli ha mai impedito di
percorrere il pianeta in lungo e in largo, portandoseli dietro finché ha potuto,
sempre animato da un’inquietudine e da una curiosità che oggi riassume così:
“Il viaggio, qualsiasi viaggio, ti aiuta a crescere. Il viaggio può essere tante cose,
anche la magnifica opportunità di conoscere e smitizzare l’ignoto, le paure, le
incertezze… Di sviluppare la capacità di appropriarci della normalità altrui.
Fare propria la loro quotidianità per il semplice piacere di comprendere,
apprendere, comunicare e scambiare punti di vista alla pari, senza timori.
Questa per me è una conquista che ripaga ogni sforzo: aiuta a non valutare il
mondo che ci circonda attraverso le proprie paure. Alla fine le differenze si
assottigliano, diventano particolarità assimilate e di colpo il globo appare
molto più piccolo di quello che immaginavo, come un unico paese, abitato da
una grande famiglia”.
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Il viaggio a Bali
Nel ricordare l’evento iniziatico che avrebbe marchiato a fuoco il resto della sua
vita, il raid a Bali, 50mila chilometri sull’auto più economica che esisteva,
Barbieri mette a fuoco un mondo ormai estinto: “Nel ’69 viaggiavano in pochi,
c’era la cortina di ferro a dividere l’Europa, serviva il visto per entrare in
Svizzera… Quando siamo partiti le ragazze mettevano la minigonna, al nostro
ritorno le abbiamo trovate con i pantaloni. Era un periodo rivoluzionario,
alcuni sono partiti e non sono neanche tornati. In Thailandia non avevano mai
visto un italiano, c’erano solo truppe americane in licenza dal Vietnam che
arrivavano lì per i bordelli. A Kuta Beach non c’era uno straccio d’albergo, oggi
è come Rimini”. Al suo ritorno da quell’esperienza, Giò Barbieri, che
frequentava la Modena beat del bar Grande Italia e ha collaborato con Bonvi e
Silver per l’editore PlayComics, si ritrovò con una consapevolezza nuova, non
necessariamente piacevole: “Quello che rimane dentro al tuo ritorno è il senso
delle dimensioni del pianeta, misurate palmo a palmo, e la sua fragilità. Già
all’epoca erano ben visibili le tracce della deforestazione, i primi segni del
disastro irreversibile. La cosa importante è che prendi coscienza del fatto che
siamo solo inquilini di questa piccola sfera sospesa nel vuoto, piccoli e
vulnerabili. Da allora non ho più smesso di viaggiare, perché ho scoperto che le
mie potenzialità si esprimevano al meglio in quel modo”.
Fra senso della vita e pragmatismo
Quando si parla con Giò Barbieri, le implicazioni esistenziali del senso ultimo
del viaggio convivono spesso con un profilo più concreto, per cui se è vero che
“il viaggio di una settimana ti darà alcune cose, quello di un mese altre, quello
di un anno ti cambia”, è anche vero che il suo continuo peregrinare da un capo
all’altro del mondo è “una dolce malattia, visto che ci campo…”. E così, fra una
guida della Malesia orientale, una del Brunei e un articolo sulla Silk Road, la via
della seta, i suoi lavori più recenti, per quasi quarant’anni Giò non ha mai
smesso di scrivere i suoi appunti di viaggio: si trattasse degli undici mesi
trascorsi in Africa come delle sue incursioni nei cinque continenti che gli sono
valsi l’iscrizione nel guinness dei primati. Scritti significativi, tanto che i suoi
diari di viaggio sono stati esposti per sei mesi al Museo di Etnologia di
Modena: “Alla mia morte glieli lascerò”, dice Barbieri.
L’esperienza più forte
Inutile chiedergli quale sia stata l’esperienza più emozionante, o quale la
peggiore in assoluto, perché la risposta riguarda il viaggio più recente e
racconta sensazioni altalenanti, vissute comunque come un arricchimento
personale: “L’ultimo viaggio, diecimila chilometri lungo il confine nord
dell’Afghanistan: sulla Karakorum Highway abbiamo incontrato ragazzi
australiani e italiani e abbiamo saputo che i Talebani avevano ucciso nove
turisti in un albergo. Allora mi sono messo a parlare con le persone del posto e
alla fine ho dovuto cambiare itinerario: il Pakistan è ancora più pericoloso
dell’Afghanistan. A me però piace anche questa dimensione: all’inizio degli anni
70 ho lavorato come reporter di guerra in Giordania, per L’Europeo, sono cose
che ti muovono l’adrenalina. Anche queste situazioni sono stimolanti, è proprio
quando rischi la vita che la apprezzi di più”.
Vita vagabonda
La vita come eterno vagabondaggio? Anche qui il sano pragmatismo ha il
sopravvento: “Non direi, perché alla fine sono riuscito a concretizzare , ho fatto
quello che volevo fare ma in modo organizzato, contattando le redazioni di
riviste e guide e scrivendo per loro”. In ogni caso, la dimensione magica e
poetica del viaggio resiste, sia pure in un pianeta zeppo di turisti: “E’ gente a
caccia del pittoresco che quando è in viaggio parla di quando si trova a casa e
quando è a casa parla del viaggio… Per me invece viaggiare è ancora magico:
l’ultimo è stato veramente speciale, con gente meravigliosa e ospitale come gli
ismaeliti oppure, in certe zone dell’Iran, dove ti invitano a casa loro per il
piacere di parlare con uno straniero. Cose che da noi non esistono più”.
Ritorno a casa
Qualsiasi viaggio presuppone un ritorno a casa, quando una casa c’è, e nel caso
di Giò Barbieri la meta finale è invariabilmente Modena, la sua città: “Il ritorno
a casa è piacevole solo quando il viaggio è sufficientemente lungo da indurti a
desiderare di farci ritorno. Il viaggio deve saziarti. E’ il viaggio stesso a dirti
quando tornare, ma per fare questo occorre essere molto libero da impegni ed
affetti. D’altronde anche il viaggio ha le sue regole, come qualsiasi altra
dimensione”. Tutti quei chilometri percorsi in camper dunque hanno un punto
d’arrivo che è anche il campo base per il prossimo tour, un campo base
selezionato attentamente fra migliaia di luoghi: “Prima di scegliere Modena
come posto in cui vivere dovevo assolutamente capire che posizione occupasse
questa città nel mondo, e l’unico modo era vedere tutte le altre e confrontarla
con esse. Il fatto di esserci nato per me non era sufficiente a restarci e a
spenderci la mia unica vita. Se sono tornato è anche perché ho constatato di
persona, da fanatico dell’esperienza diretta, che Modena e la sua gente
occupano un posto di tutto rispetto e pretigio nel nostro pianeta, ma
soprattutto è la città delle mie radici, che con il tempo sono emerse sotto forma
di amicizie e di affetti. E’ la città che mi ha permesso di viaggiare, di
confrontarmi, grazie alla sua forma mentis decisamente compatibile con le
umanità di ogni latitudine. E’ la mia città, ho impiegato una vita, ma ho voluto
essere io a sceglierla, a dirlo, a capirlo. Di persona, palmo a palmo: non c’era
altro modo”.
Franco Giubilei
FOTO / L’altrove perduto
Diceva Edgar Allan Poe che “viaggiare è come sognare: la differenza è che
non tutti, al risveglio, ricordano qualcosa, mentre ognuno conserva calda
la memoria della meta da cui è tornato”. Ecco perché ritornare è un po’
morire. L’Altrove perduto negli scatti di Roberto Zanni, Carolina
Rinaldi e Giò Barbieri. VAI ALLA GALLERY
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Pubblicato il: 7 luglio 2014
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