I diritti della personalità

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I diritti della personalità
I diritti della personalità
• L’art. 2 Cost. ai sensi del quale “La Repubblica
riconosce e garantisce i diritti inviolabili
dell’uomo, sia come singolo sia nelle
formazioni sociali ove si svolge la sua
personalità, e richiede l’adempimento dei
doveri inderogabili di solidarietà politica,
economica e sociale”.
• L’art. 2 impone alla Repubblica di considerare
inviolabili e, dunque, di rispettare i diritti
individuali dell’uomo. In ordine alla valenza
del dovere di rispetto dei diritti fondamentali
ed alla loro inviolabilità, autorevole dottrina
(Ferrajoli, 2007) segnala come i diritti
fondamentali e la loro inviolabilità sia
presidiati dalle garanzie dei diritti, non solo di
libertà o politici, ma anche sociali.
• La formula dell’art. 1 Cost., a tenore del quale
“la sovranità appartiene al popolo”,
sottintende che essa appartiene a tutti ed a
ciascun cittadino, perché risultante dalla
somma di quei poteri che si traducono nei
diritti civili, politici di libertà e sociali. In questa
prospettiva, in quanto connessi direttamente
al popolo, senza la mediazione della
rappresentanza politica, essi integrano
• In via immediata la sostanza democratica della
convivenza civile e costituiscono frammenti di
sovranità popolare, tant’è che la loro lesione
non solo configura una lesione della singola
persona che ne è titolare, bensì anche della
sovranità popolare.
• La norma costituzionale colloca il fondamento
dei
diritti
fondamentali
in
ambito
extragiuridico, prospettandoli come attributi
della persona umana. I diritti inviolabili si
affermano – oltre che nei confronti dello Stato
– di tutti gli altri soggetti, in tal senso deve
essere letta la clausola dell’art. 2 Cost, “come
singolo e nelle formazioni sociali” .
La individuazione dei diritti fondamentali
• I diritti fondamentali dell’uomo (c.d. diritti
della personalità) sono quelle situazioni
giuridiche soggettive che tutelano la persona
nei valori essenziali. L’individuazione dei diritti
cui
possa
attribuirsi
l’accezione
di
“fondamentali” è operazione tutt’altro che
agevole.
• Diritti inviolabili sono, in primis, le libertà civili
(libertà
personale,
di
domicilio,
di
corrispondenza, di circolazione e soggiorno, di
associazione, di manifestazione del pensiero;
diritto alla riservatezza, diritto all’identità
personale), ma anche gli altri diritti sociali,
economici e politici riconosciuti dalla
Costituzione.
Diritti di rispetto della personalità umana
• Consistono in diritti che conferiscono al soggetto una pretesa
alla non ingerenza da parte dei terzi ovvero un diritto di
azione e concernenti la vita e l’integrità fisica; l’integrità
morale; le libertà civili di cui agli artt. 13 Cost. (libertà
personale, libertà di domicilio; libertà di manifestazione del
pensiero; l’identità personale). Diritti c.d. di “prima
generazione”, che sono venuti a formarsi dopo la rivoluzione
francese e all’avvento dello Stato di diritto, a sfondo
marcatamente individualistico.
Diritti di solidarietà
• Categoria comprensiva delle pretese del soggetto
a realizzare la propria personalità, attraverso
l’altrui cooperazione, afferenti ai seguenti valori
fondamentali: eguaglianza, lavoro, retribuzione,
sicurezza sociale, salute.
• Si tratta di diritti c.d. di “seconda generazione”
dei diritti dell’uomo e sono strettamente connessi
all’evoluzione della società che ha favorito
l’emergere di nuovi interessi e nuove istanze.
• I diritti di c.d. “terza generazione”
rappresentano quelli che, nell’evoluzione dei
rapporti internazionali, si ritengono essere i
risultati della forza espansiva dei diritti umani .
La crescente formalizzazione dei diritti di terza
generazione si ricollega all’attività di istituzioni
internazionali (Onu, Unesco).
• Profilo di particolare complessità investe il
tema della verifica della esistenza di diritti
inviolabili al di là del testo costituzionale.
L’interprete da un lato si confronta con l’art. 2
Cost. che, in via generale, riconosce i diritti
inviolabili dell’uomo e, dall’altro, nelle
successive disposizioni che specificamente
ascrivono il connotato di inviolabilità ad alcuni
diritti.
• Si prospettano due tesi, una fondata sulla lettura
dell’art. 2 Cost.che, implicitamente, avalla una
concezione di “categoria aperta” dei diritti inviolabili
che superano gli steccati del diritto positivo. Questa
tesi “estensiva” fa assumere all’art. 2 Cost. la
funzione di tutela di tutti i diritti fondamentali che
non sono consacrati nel testo costituzionale, nonché
in quei valori di libertà che emergono dalla c.d.
“costituzione materiale”.
• Altra opinione propugna l’idea che i diritti inviolabili
costituirebbero un numerus clausus da rinvenirsi tra le
situazioni soggettive già protette a livello di diritto
positivo (testo costituzionale e fonte codicistica). La
giurisprudenza costituzionale ha sostenuto, per lungo
tempo, il carattere chiuso della categoria dei diritti
fondamentali (Corte cost., 1.8.1979, n. 98; Corte
cost. 22.12.1980, n. 188), argomentando che “i
diritti fondamentali inviolabili sono necessariamente
conseguenti a quelli costituzionalmente previsti”.
• Successivamente, verso la fine degli anni Ottanta,
l’orientamento favorevole ad una lettura chiusa
della categoria dei diritti inviolabili è stato superato,
e la giurisprudenza ha optato per una lettura
evolutiva delle norme e dei valori costituzionali in
materia di diritti inviolabili. (si veda, ad es. in
materia di diritto dignità umana e diritto
all’accompagnamento per il portatore di handicap
Corte cost. 22.6.1989, n. 346, e di diritto alla
riservatezza (Corte cost. 26.3.1990).
• Si pensi anche al riconoscimento giurisprudenziale del diritto
all’identità personale che esprime l’esigenza del soggetto di apparire
all’esterno come portatore dei principi morali, sociali e politici nei
quali si riconosce. Emblematico la sentenza Cass. 22 giugno 1985, n.
3769, anche se si annovera un precedente della Pretura di Roma del
6 maggio 1974 in cui viene solennemente consacrato “il diritto di
ciascuno a non vedersi disconosciuta la paternità delle proprie azioni
e, soprattutto, a non sentirsi attribuire la paternità di azioni non
proprie”. Tutela dell’identità politica di un partito P.C.I. al quale
erano stati attribuiti mediante l’estrapolazione di un discorso
manifestato di un suo leader, Togliatti, orientamenti in contrasto con
la linea politica costantemente seguita (mantenimento della legge
sul divorzio-manifesto di propaganda anti-divorzista).
• La sentenza Cass. 22 giugno 1985, n. 3769
conferma che il primo carattere dell’identità
personale è la esteriorità poiché ciò che
caratterizza il soggetto è l’essere partecipe di
rapporti sociali, in quanto ciò che viene preso
in considerazione è l’uomo come artefice di
rapporti sociali , e la tutela giuridica va
riconosciuta all’individuo preso isolatamente,
ma all’homo sociabilis (Giampiccolo, 1985).
• Ed è proprio questa proiezione sociale
dell’identità
personale
che,
essendo
suscettibile di offesa esterna, è compresa nella
tutela giuridica, e quindi può considerarsi
bene giuridico. L’identità personale è un bene
valore costituito dalla proiezione sociale della
personalità dell’individuo, a cui si correla un
interesse del soggetto ad essere rappresentato
nella vita di relazione con la sua vera identità.
Caratteri dei diritti fondamentali
• Indisponibilità, sono ammessi atti dispositivi del tutto
parziali ed in ogni caso con il limite del rispetto e
della compatibilità dell’atto di disposizione del diritto
con il necessario rispetto della dignità della persona
umana.
• Non patrimonialità del diritto, attende alla non
commerciabilità della posizione soggettiva in
ossequio alla coscienza sociale, ciò non toglie che le
prestazioni dovute al titolare possano avere un
contenuto economico.
• Da distinguersi anche la non patrimonialità del diritto dalla
patrimonialità del danno, che è la conseguenza della
violazione del diritto.
• Sempre in funzione della loro natura essi sono imprescrittibili.
Sotto il profilo privatistico, la violazione dei diritti del rispetto
della personalità integra illecito civile e produce il risarcimento
del danno in forma specifica, qualora sia configurabile una
situazione positiva che valga a rimuovere il pregiudizio sofferto
o ad attenuare il danno (es. rettifica). Può, qualora la lesine
non si è ancora consumata ammettersi una tutela d’urgenza e
preventiva. Inibitoria per il diritto al nome (art. 700 c.p.c.).
Profili generali in tema di esercizio dell’attività giurisdizionale
• L’esercizio dell’attività giurisdizionale moderna si caratterizza
per un ridimensionamento della cornice entro cui il giudice è
autorizzato dalla legge a produrre la norma particolare e
concreta che è la sentenza.
• Il momento applicativo è lo strumento della concretizzazione
della fonte del diritto ss., spec. 8 e la norma concorre a
formare il diritto vivente (P. PERLINGIERI, Fonti del diritto e
«ordinamento del caso concreto», in Riv. dir. priv., 2010, p. 7) .
• Questa riflessione evoca la nozione di
“interpretazione a fini applicativi” utile per
riaffermare la centralità della dimensione fattuale,
ossia della valutazione del fatto quale “motore” e
non “accidente” del fenomeno giuridico. Il diritto
vive in sede applicativa; la fonte è riconoscibile
come tale soltanto nella sua applicazioneinterpretazione; interpretazione e applicazione non
sono
distinguibili
né
logicamente
né
cronologicamente.
• L’attività ermeneutica svolta dai giudici non solo è in
grado di affermare il ruolo pratico della scienza
giuridica, ma di confermare la funzione creatrice
della giurisprudenza, contribuendo al moto ideale
della vita e della storia. «Il dato creativo
agevolmente si rileva e si spiega nel quadro di un
sistema ispirato alla concezione della judge made
law, in cui il giudice è istituzionalmente investito del
potere di risolvere la controversia senza avere
davanti a sé il paradigma di una norma.
• «Interpretazione e applicazione si
propongono, quindi, come aspetti indivisibili
dell’ermeneutica giuridica, ricostruibili in un
unico procedimento che riconosca anche la
valenza della attualità e che instauri una
corretta dialettica fatto-norma» P.
PERLINGIERI, Applicazione e controllo
nell’interpretazione giuridica, in Riv. dir. civ.,
2010, I, p. 317 ss., spec. 319.
• L’interpretazione dei testi, di rilevanza
giuridica e normativa, va prospettata non in
astratto, in una sorta di precomprensione, ma
in relazione ad un fatto concreto, valutato
nelle sue specifiche peculiarità e, pur sempre,
in un contesto ampio di sistema.
La giurisdizione civile.
• La giurisdizione civile è l’attività di tutela dei diritti
soggettivi attuata sul piano processuale. È
possibile tracciare una distinzione di massima tra
l'attività giurisdizionale, quella legislativa e quella
amministrativa. Rispetto alla prima, infatti, la
giurisdizione investe il piano concreto del diritto, e
non più la normazione generale e astratta. Si
evince direttamente dall'art. 24 della Costituzione
il piano funzionale della giurisdizione.
• La norma infatti enuncia il principio che attribuisce a tutti,
senza eccezioni, il potere di agire in giudizio per la tutela dei
propri diritti e interessi legittimi. Tale affermazione, oltre a
fondare il principio della domanda di parte, delinea il fine
della giurisdizione: realizzare l'attuazione processuale dei
diritti. Ciò avviene di norma in via secondaria, poiché la
giurisdizione interviene solitamente in caso di violazione di
una norma sostanziale. Qualora l'assetto di interessi voluto
da una norma non si realizza, perché un soggetto ha violato
la norma (tenendo un comportamento difforme da quello
previsto), è necessario attivare la tutela giuris
• La giurisdizione. La giurisdizione è di due tipi: ordinaria e
speciale. La giurisdizione ordinaria si suddivide a sua
volta in civile e penale. Quella civile agisce nelle
controversie tra privati, o tra i privati e la pubblica
amministrazione, per difendere i cosiddetti diritti
soggettivi. Nei processi civili, ad esempio, si decide in
merito alle questioni sui diritti di proprietà, sui contratti
ecc. La giurisdizione penale ha il compito di reprimere i
reati e di difendere la collettività, assegnando pene a
coloro che i giudici ritengono colpevoli di non aver
rispettato le leggi.
• La giurisdizione civile di primo grado è
esercitata (secondo la competenza) dal
giudice di pace o dal tribunale; in secondo
grado, rispettivamente dal tribunale e dalla
Corte d'appello. Il terzo grado (giudizio di
legittimità) si svolge naturalmente davanti alla
Corte di Cassazione.
• Il processo. Il processo, o procedimento, è un insieme di
atti tra loro coordinati e preordinati alla pronuncia del
giudice su questioni riguardanti il rispetto della legge. Il
processo coinvolge sempre un giudice e almeno due
parti, le quali devono essere rappresentate da
professionisti, cioè un avvocato o un procuratore legale.
Il nostro ordinamento, come del resto quelli di tutte le
società evolute, non permette al singolo di farsi giustizia
da sé: ogni controversia deve essere risolta da un giudice
in un processo. La controversia nel processo viene detta
causa.
• 1. I gradi del processo. Ogni processo può svolgersi
al massimo in tre gradi. Ciò significa che una
controversia può essere decisa non da un solo
giudice, ma da più giudici in tempi diversi. Infatti, se
una o più parti non sono soddisfatte della decisione
di primo grado possono rivolgersi a un altro giudice.
• a) Giudizio di primo grado. Nel giudizio di primo
grado la questione viene esaminata per la prima
volta e viene emessa una sentenza o un altro
provvedimento da parte del giudice competente.
• b) Giudizio di secondo grado. Nel giudizio di secondo grado, detto di
appello, la questione viene riesaminata da un giudice diverso, che
emetterà a sua volta una sentenza o un altro provvedimento; questo
secondo giudizio può annullare gli effetti del primo, modificandoli,
oppure può confermarli. Organo collegiale (2 giudici + 1 presidente)
- una in ogni distretto (circa una per Regione, nelle zone più popolose
più di una)
• c) Giudizio di terzo grado. Il giudizio di terzo grado, detto di
cassazione, ha lo scopo di riesaminare la sentenza di appello. Il
ricorso in cassazione è ammesso soltanto contro gli errori di diritto
contenuti nella sentenza. Il giudizio di cassazione è il più elevato e
l'ultimo dei gradi del processo.
• La Corte di cassazione. Organo competente nei giudizi di terzo grado
è la Corte di cassazione, unico giudice sia per i processi di
giurisdizione ordinaria sia per quelli di giurisdizione speciale. La Corte
di cassazione ha sede a Roma e i magistrati che la compongono sono
tra quelli di grado più elevato nella carriera di giudice. La Corte
giudica in terzo grado solo quando una delle parti sostiene che nel
giudizio precedente vi è stata una violazione di legge. Il giudizio della
cassazione è quindi un giudizio sulla legittimità: essa infatti non tiene
conto di come si sono svolti i fatti (o il reato) che hanno dato
occasione al processo, ma controlla che nel giudicare sia stato
rispettato il diritto: non è quindi un giudizio sul fatto (che sarebbe un
giudizio di merito), ma sulla forma, cioè appunto un giudizio di
legittimità.
• Solo la Corte di cassazione può dare questo tipo di giudizio;
quelli di primo e di secondo grado sono invece giudizi di
merito. Nei giudizi di legittimità il Giudice verifica se il
giudice di merito ha correttamente applicato i principi e le
norme di diritto destinate a regolare la controversia, non
entra invece nel merito del "fatto giuridico" accertato dal
giudice precedente.
• (Composizione Corte di cassazione)
• 10 sezioni semplici (4 consiglieri e un Presidente)
• Sezioni Unite (8 consiglieri e il Presidente della Corte di
cassazione).
App. Brescia, sez. lavoro, 11.12.2014
• O la volontà di discriminare, di discriminare
manifestata pubblicamente dal datore di lavoro,
integra la fattispecie discriminatoria, senza che
questa sia condizionata dalla circostanza che
l’ordine sia stato eseguito. Non rileva la circostanza
che, al momento delle dichiarazioni non fosse in
corso alcuna selezione di personale poiché le
affermazioni rilasciate durante una trasmissione
radiofonica sono idonee a dissuadere candidature
nella fase ad esa antecedente.
• La libertà di manifestazione del pensiero (art.
21 Cost.) non può spingersi sino a violare altri
principi costituzionalmente tutelati che stanno
alla base delle norme in contesa in materia di
di discriminazione nell’accesso
all’occupazione. (Analisi del fatto – I motivi –
Rigetto integrale dell’impugnazione).
• L’art. 3 Cost. parla di “pari dignità” dio tutti i
cittadini, ricordando come anche il rispetto di
questa debba essere garantito e faccia parte
dei diritti afferenti la persona umana.
• L’art. 21 Cost. direttamente richiamato nel
caso Taormina trova espressione anche
nell’art. 10 CEDU in cui si garantisce la “libertà
di espressione”.
• Peraltro è stato rilevato come la forza offensiva
di un’espressione può, inoltre, in una visione
dinamica variare secondo i tempi, le modalità ,
i luoghi, le circostanze in cui viene
pronunciata . Nel caso Taormina i giudici, anche
ricostruendo l’iter argomentativo sulla base
della giurisprudenza della Corte di Giustizia
(Causa C-54/07 Feryn), hanno ritenuto
sussistere una condotta discriminatoria.
• La discriminazione viene definita come un
comportamento in grado determinare un
trattamento non paritario di una persona on
virtù della loro appartenenza ad una
determinata categoria. Tra i possibili fattori di
discriminazione riconosciuti dalla normativa
italiana, si annoverano quelli fondati
sull’origine etnica, la religione, l’età,
l’orientamento sessuale (d.lgs. 216/03).
• Il D.lgs 216 del 2003 che ha recepito la
direttiva 200/78/CE stabilisce il divieto di
discriminare al momento dell’assunzione e
durante la vigenza del contratto di lavoro, (sia
nel settore pubblico che in quello privato), in
base alle convinzioni religiose, alla presenza di
handicap, all’età, all’orientamento sessuale.