CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONI UNITE
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CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONI UNITE - Ordinanza 13 giugno 2006 n. 13660 Pres. Corona Est. Luccioli 1. Giurisdizione e competenza- Riparto di giurisdizione- Giurisdizione di legittimità del G.A.- Presupposti – Esercizio di potere amministrativo – Criteri di individuazione del potere 2. Giurisdizione e competenza – Controversie concernenti l’illegittimo esercizio del potere amministrativo – Giurisdizione del G.A. – Sussiste – Conseguenze – Possibilità di conoscere del risarcimento del danno anche senza previa impugnazione dell’atto amministrativo lesivo 3. Giurisdizione e competenza- Richiesta di risarcimento del danno senza previa impugnazione dell’atto amministrativo lesivo – Rigetto della richiesta da parte del G.A. – Configurabilità come rifiuto di esercizio di giurisdizione – Conseguenze – Sottoponibilità ex art. 362 co. 1 c.p.c alla Cass. SS. UU. quale giudice del riparto della giurisdizione 1. La giurisdizione del giudice amministrativo sussiste in presenza di concreto esercizio di potere, riconoscibile per tale in base al procedimento svolto ed alle forme adottate, in consonanza con le norme che lo riguardano. 2. Spetta al giudice amministrativo disporre le diverse forme di tutela che l’ordinamento appresta per le situazioni soggettive sacrificate dall’esercizio illegittimo del potere, e tra queste forme di tutela rientra il risarcimento del danno. 3. Il giudice amministrativo rifiuta di esercitare la giurisdizione e la sua decisione, a norma dell’art. 362 co. 1 c.p.c. si presta a cassazione da parte delle Sezioni Unite quale giudice del riparto della giurisdizione, se l’esame del merito della domanda autonoma di risarcimento del danno è rifiutato per la ragione che nel termine per ciò stabilito non sono stati chiesti l’annullamento dell’atto e la conseguente rimozione dei suoi effetti. Per la visualizzazione del documento clicca qui vd. anche CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONI UNITE - Sentenza 13 giugno 2006 n. 13659 ed i commenti della Prof. Maria Alessandra Sandulli "Finalmente “definitiva” certezza sul riparto di giurisdizione in tema di “comportamenti” e sulla c.d. “pregiudiziale” amministrativa? Tra i due litiganti vince la “garanzia di piena tutela”" e della Dott. Giuseppina Mari, "Osservazioni a prima lettura a margine di Cass., Sez. Un., 13 giugno 2006, n. 13660: la giurisdizione sulle domande risarcitorie proposte autonomamente e la pregiudiziale amministrativa". n. 6-2006 - © copyright MARIA ALESSANDRA SANDULLI (Prof. Ord. di Giustizia Amministrativa nell’Università degli Studi Roma Tre) Finalmente "definitiva" certezza sul riparto di giurisdizione in tema di "comportamenti" e sulla c.d. "pregiudiziale" amministrativa? Tra i due litiganti vince la "garanzia di piena tutela" (a primissima lettura in margine a Cass. SS.UU. n. 13659, 13660 e 13911 del 2006) A un mese dalla sentenza 191 della Corte costituzionale [1], la Corte di Cassazione (in tre quasi coeve ordinanze, di identico contenuto motivazionale) riaffronta funditus il tema del giudice competente a pronunciarsi sull’azione di risarcimento del danno da atti e comportamenti illegittimi della p.A., intervenendo – in modo che sembra destinato a restare, almeno per un buon lasso di tempo (la certezza assoluta non è di questo mondo e tanto meno di quello giuridico) “definitivo” – sui presupposti per la relativa azione (c.d. “pregiudizialità” del previo annullamento dell’atto amministrativo). Cogliendo occasione da tre diverse controversie, rispettivamente relative all'illegittima esclusione da un corso di dottorato (ord. 13659), all’illegittimo diniego di un’autorizzazione all'apertura di un esercizio commerciale (ord. 13660) e ad una procedura di occupazione illegittima (ord. 13911), la Suprema Corte ne ha, meritoriamente, preso lo spunto, per offrire – finalmente - una più ampia ed univoca “sistemazione” dell’intera materia. Significativamente in due giorni – 13 e 15 giugno - le Sezioni Unite, con collegi presieduti da tre diversi Presidenti, uno dei quali è addirittura il Primo Presidente Aggiunto, depositano in tre diverse fattispecie tre ordinanze recanti la medesima motivazione. Seguendo l’autorevole esempio della sentenza 204 del 2004 della Corte costituzionale, le ordinanze muovono da un’attenta ricostruzione delle origini del nostro sistema di giustizia amministrativa e dei principi che lo hanno regolato fino all’inizio degli anni ‘novanta, ponendo in luce la circostanza che “è in questo assetto normativo che la giurisprudenza ha nel tempo elaborato, e con costanza applicato, i principi dell'irrisarcibilità dell'interesse legittimo, della degradazione del diritto ad interesse e della pregiudizialità amministrativa”, con la conseguenza che tanto il predetto assetto normativo quanto “il bagaglio dei concetti che sono valsi a dargli spiegazione” era evidentemente destinato a mutare con la caduta del c.d. dogma dell’irrisarcibilità degli interessi legittimi. Le ordinanze proseguono quindi con il loro ampio excursus dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale della materia (che giunge fino al punto 14 della parte in diritto), fermando naturalmente l’attenzione sull’importantissimo ruolo svolto dalla Corte costituzionale, prima con la sentenza 204 del 2004 (confermata nello stesso anno dalla sentenza 281) e, da ultimo, con la sentenza 191 dell’11 maggio scorso. Dichiaratamente ispirandosi al principio di diritto affermato in dette sentenze - secondo cui la giurisdizione del giudice amministrativo resta in ogni caso delimitata dal collegamento con l'esercizio in concreto del potere amministrativo secondo le forme tipiche previste dall'ordinamento: ciò sia nella giurisdizione esclusiva che nella giurisdizione di annullamento – la S.C. precisa che ciò “non si verifica quando l'amministrazione agisca in posizione di parità con i soggetti privati, ovvero quando l'operare del soggetto pubblico sia ascrivibile a mera attività materiale, con la consapevolezza che si verte in questo ambito ogni volta che l'esercizio del potere non sia riconoscibile neppure come indiretto ascendente della vicenda”. E opportunamente aggiunge: “Esemplificando, l'amministrazione deve essere convenuta davanti al giudice ordinario in tutte le ipotesi in cui l'azione risarcitoria costituisca reazione alla lesione di diritti incomprimibili, come la salute (Cass. 7 febbraio 1997 n. 1187; 8 agosto 1995 n. 8681; 29 luglio 1995 n. 8300; 20 novembre 1992 n. 12386; 6 ottobre 1979 n. 5172) o l'integrità personale. “Deve ancora essere convenuta davanti al giudice ordinario, quante volte la lesione del patrimonio del privato sia l'effetto indiretto di un esercizio illegittimo o mancato di poteri, ordinati a tutela del privato (Cass. 29 luglio 2005 n. 15916; 2 maggio 2003 n. 6719): qui si è nell'ambito delle controversie meramente risarcitone già contemplate nell'art. 33, comma 2, d. lgs. 80 del 1998, nel testo anteriore alla riformulazione attuatane con la sentenza 204 del 2004, la cui previsione non è più necessaria, nella misura in cui in esse è ravvisabile, più in generale, la reazione a meri comportamenti lesivi dell'amministrazione”. Le Sezioni Unite colgono poi, meritoriamente, l’occasione per affrontare la nota problematica relativa agli effetti della occupazione – realizzata in difetto di un titolo legittimo o protratta nonostante la scadenza di quest’ultimo – di un bene per asseriti fini di pubblica utilità e ai danni eventualmente derivanti dalla c.d. “accessione invertita” del medesimo al patrimonio pubblico per effetto della sua irreversibile trasformazione in un’opera pubblica (secondo la costruzione risalente alla notissima sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite 26 febbraio 1983 n. 1464) . Come ricordato in una breve nota di commento alla sentenza 191 della Corte costituzionale [2] il problema del giudice competente a pronunciarsi in subiecta materia era stato subito al centro del dibattito, in seguito alla dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma (art. 34 del vecchio d.lg. 80/1998, “salvato” dall’art. 7 l. 205/2000) che, nell’ambito del nuovo criterio di riparto della giurisdizione per “blocchi di materie” attribuiva alla competenza esclusiva del g.a. i “comportamenti” dell’amministrazione in materia urbanistica ed edilizia. Sviluppando il ragionamento svolto nella prima parte della pronuncia, la sentenza 204, come noto, affermò a tale riguardo che la giurisdizione esclusiva è costituzionalmente legittima soltanto quando l’Amministrazione agisce come “autorità” (anche se utilizzando gli strumenti privatistici sostitutivi del provvedimento, che sono sostanzialmente quelli previsti dall’art.11 l.241 del 1990) e dunque, sostanzialmente, quando la materia, “sarebbe comunque soggetta alla giurisdizione generale di legittimità”. In particolare, come testualmente ricordato nella sentenza 191, l’iter argomentativo seguito nel 2004 si fondava sulla premessa del “necessario collegamento delle “materie” assoggettabili alla giurisdizione esclusiva del g.a. con la natura delle situazioni soggettive – e cioè con il parametro adottato dal Costituente come ordinario discrimine tra le giurisdizioni ordinaria e amministrativa – espresso dall’art. 103 laddove statuisce che quelle materie devono essere “particolari” rispetto a quelle devolute alla giurisdizione generale di legittimità: e cioè devono partecipare della loro medesima natura, che è contrassegnata dalla circostanza che la pubblica amministrazione agisce come autorità nei confronti della quale è accordata tutela al cittadino davanti al giudice amministrativo” [3]. Ci si interrogò quindi immediatamente sugli effetti che la pronuncia era in grado di produrre sull’individuazione del giudice competente a decidere delle controversie in tema di accessione invertita conseguente ad una occupazione illegittima (c.d. usurpativa) o semplicemente non seguita da tempestivo decreto di esproprio (c.d. acquisitiva) [4]. In sede di primo commento sulla pronuncia [5] , mi sembrò che la posizione espressa dalla Corte imponesse la seguente chiave di lettura: nel primo caso (occupazione effettuata sulla base di un provvedimento successivamente annullato) l’effetto acquisitivo derivante dalla realizzazione dell’opera trae comunque la sua fonte da un potere, ancorché illegittimamente esercitato, con la conseguenza che la decisione sulla restituzione del bene o sul risarcimento, in quanto consequenziale all’annullamento della dichiarazione di p.u. o dell’atto di occupazione, sarebbe dovuto ricadere nella giurisdizione del giudice amministrativo (la posizione contrastava però con l’orientamento fino ad allora espresso dalla Cassazione: cfr. Sez. Un., 6 giugno 2003 n. 9139 e, da ultima prima della sentenza 204, 9 giugno 2004 n.10978); di contro, nell’ipotesi di occupazione legittima, ma non seguita nei termini dal decreto di esproprio, l’effetto acquisitivo, prescindendo da un "atto o provvedimento” della p.A. e anzi conseguendo ad un “comportamento” inerte della stessa in ordine alla successiva adozione di un provvedimento definitivo di acquisizione (decreto di esproprio), non aveva alcuna correlazione con l’esercizio di un potere. Con la conseguenza che il giudizio sulla restituzione del bene o sul risarcimento per equivalente dello stesso, non implicando alcun sindacato sulla funzione amministrativa, sarebbe dovuto rientrare a pieno titolo nella esclusiva competenza del giudice ordinario [6]. Sulla questione si aprì, come era prevedibile, un vivace conflitto tra giudici ordinari e giudici amministrativi. In particolare, mentre il Consiglio di Stato ha riconosciuto la propria giurisdizione su “qualunque lite suscitata da lesioni del diritto di proprietà provocate, in area urbanistica, dalla esecuzione di provvedimenti autoritativi degradatori, venuti meno o per annullamento o (come nella specie) per sopraggiunta inefficacia ex lege”, circoscrivendo la nozione di “comportamenti” – sottratti alla giurisdizione esclusiva – alle condotte poste in essere “fuori dell’esplicazione del potere (con attività materiale, voi de fait, manifestazioni abnormi del pubblico potere etc.)” [7], la Corte di Cassazione era di opposto avviso [8]. Da ultimo, il dibattito si era riacceso in termini ancora più forti (con buona grazia per la certezza del diritto e per lo stesso rispetto del principio costituzionale del giudice naturale precostituito dalla legge [9]!!) quando, a pochi giorni di distanza, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (con sent. 23 gennaio 2006 n. 1207), negando valore cogente al principio di necessaria concentrazione della tutela, del quale costituisce irrinunciabile corollario l’attribuzione della tutela risarcitoria al medesimo giudice che abbia conosciuto la pretesa sostanziale, hanno affermato che l’azione di risarcimento dei danni conseguenti all’annullamento degli atti del procedimento di occupazione sarebbe – alternativamente – esperibile dinanzi al g.a., se proposta nel corso del medesimo giudizio di annullamento, ovvero dinanzi al g.o., se proposta in via autonoma successivamente alla conclusione di tale giudizio [10]; mentre il Consiglio di Stato (Ad. Plen. n. 2 del 9 febbraio 2006), su una linea che chi scrive non può mancare di condividere, ribadiva la competenza del g.a. a conoscere della medesima azione anche in sede di ottemperanza [11]. Come rimarcato a commento della citata sentenza 191, nell’attesa di un auspicabile ripensamento da parte della S.C., la “luce” è venuta dalla stessa Corte costituzionale, che, con quest’ultima pronuncia (a firma del medesimo relatore della sentenza n. 204), ha specificamente affrontato il problema dell’applicazione dei principi affermati nel 2004 alla materia espropriativa [12]. In particolare, la decisione ha richiamato il valore decisivo del passaggio – di cui testualmente sottolinea la natura di “statuizione e non già obiter dictum” – nel quale la sentenza n. 204 ha dichiarato che “il potere riconosciuto al giudice amministrativo di disporre, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto non costituisce sotto alcun profilo una “materia” attribuita alla sua giurisdizione, bensì uno strumento di tutela ulteriore per rendere giustizia al cittadino nei confronti della pubblica amministrazione”. Da questa – fondamentale – premessa il giudice delle leggi ha ricavato, con perfetta coerenza, la inaccettabilità (nettissima l’affermazione: “i principi appena ricordati impongono di escludere”) della tesi che vorrebbe invece riservare al g.o. le azioni tese all’ottenimento della mera tutela risarcitoria, con ciò sottraendo una parte della tutela “rimediale” al “giudice naturale della legittimità dell’esercizio della funzione pubblica” (competente a giudicare della pretesa sostanziale), in spregio al principio di effettività e celerità della tutela giurisdizionale garantiti dall’art. 24 Cost.. Ponendo nuovamente l’accento (coma già fatto nella sentenza 204) sul ruolo di garanzia all’interno della funzione amministrativa che l’ordinamento costituzionale vuole espressamente svolto dal giudice amministrativo [13] la Corte ha quindi confermato l’incompatibilità costituzionale delle norme che (come appunto nella fattispecie sottoposta al suo esame, l’art. 53 t.u. espropriazioni), affidando a tale giudice controversie cui sia estraneo l’esercizio di un”potere” amministrativo, finiscono col trasformare il g.a. da “organo di garanzia della giustizia nell’Amministrazione” (come previsto dall’art. 100 Cost.) in “giudice dell’amministrazione”. Con specifico riferimento alla questione qui esaminata, la sentenza 191 perviene a conclusioni analoghe a quelle sopra prospettate: quando i comportamenti causativi di danno sono stati assunti in esecuzione di atti o provvedimenti espressioni di un pubblico potere (ancorché illegittimamente esercitato) costituiscono anch’essi espressione di tale potere e sono pertanto legittimamente affidati alla giurisdizione del g.a.; viceversa, quando non trovino la loro fonte in alcun atto amministrativo, e siano perciò posti in essere in carenza di potere o in via di mero fatto (perché ad esempio realizzati dopo la scadenza del termine di efficacia della dichiarazione di p.u.: parentesi mia) esorbitano dai limiti costituzionali della giurisdizione esclusiva. Il ragionamento, come rimarcato nel suddetto commento alla pronuncia, è perfettamente coerente con la linea argomentativa seguita dalla sentenza 204 ed ha per ciò solo il grandissimo pregio di fare chiarezza sui relativi effetti, risolvendo il contrasto – per vero a chi scrive ab origine ingiustificato – tra i massimi organi giurisdizionali. Restavano (e restano ancora oggi dopo la lettura delle ordinanze della S.C.) i dubbi, già espressi nel 2004 [14], sulla logica di una giurisdizione “esclusiva” comunque legata all’esercizio del potere; ma, come mi è premuto sottolineare a prima lettura della sentenza 191, l’importante è che essa sia “certa” [15] e che, in attesa di una riforma legislativa che finalmente consenta la traslatio judicii senza rischi di prescrizione, il cittadino non abbia dubbi sul giudice al quale rivolgersi. Nel medesimo commento ebbi peraltro a “lamentare” che la Corte avrebbe forse potuto cogliere l’occasione per chiarire in modo definitivo le sorti delle acquisizioni conseguenti alla realizzazione di un’opera pubblica non seguita da atto traslativo. Pur osservando che la sentenza 191, legando la giurisdizione del g.a. all’esistenza di una dichiarazione di p.u. (ancorché successivamente annullata) sembrerebbe per vero lasciare intendere che l’ipotesi vada ricondotta (in linea con la posizione assunta dal Consiglio di Stato) alla giurisdizione amministrativa (seguendo evidentemente la logica per cui, con la dichiarazione di p.u., l’amministrazione ha comunque “radicato” in capo a se stessa il potere ablatorio, sicché la mancata adozione dei successivi atti di traslazione ne costituisce, non diversamente dall’adozione di un atto traslativo illegittimo, una forma di “cattivo esercizio” [16]), non mancai di sottolineare che, anche senza negare la possibile coerenza di tale conclusione, non riuscivo ancora ad abbandonare la linea – prospettata nel 2004 – secondo la quale il fatto che la controversia investa un comportamento (occupazione) non più coperto ratione temporis dall’ombrello del potere, ne rende l’attribuzione al g.o. più aderente al principio base che vincola la giurisdizione amministrativa alla correlazione tra comportamento controverso e potere. Il tempo però è spesso galantuomo e la giurisprudenza successiva ha confermato la fondatezza di quest’ultima linea interpretativa. A meno di quindici giorni dal deposito della sentenza 191, il Consiglio di Stato, Sez. IV, (sentenza 26 maggio 2006 n. 3191) ha denegato la propria giurisdizione sulle controversie da ultimo considerate e ora, affrontando funditus il problema nelle ordinanze in commento, la Suprema Corte regolatrice giunge alle medesime conclusioni: si legge infatti testualmente al già citato punto 14, che “Nel settore delle occupazioni illegittime, sono poi chiaramente ascrivibili alla giurisdizione ordinaria le forme di occupazione "usurpativa", caratterizzate dal tratto, che la trasformazione irreversibile del fondo si produce in una situazione in cui una dichiarazione di pubblica utilità manca affatto. “E alla stessa conclusione si deve pervenire nel caso in cui il decreto di espropriazione è pur stato emesso, e però in relazione a un bene, la cui destinazione ad opera di pubblica utilità la si debba dire mai avvenuta giuridicamente od ormai venuta meno, per mancanza iniziale o sopravvenuta scadenza del suo termine d'efficacia”. E, dal momento che, come si è visto, la Corte costituzionale non si era specificamente espressa al riguardo, possiamo, come anticipato in premessa, dire che “la questione è, almeno allo stato, definitivamente chiarita”. Il cerchio, sia pure in termini non chiarissimi, si chiude con il successivo passaggio (punto 15), in cui richiamandosi al più volte sottolineato collegamento giudice amministrativo-esercizio del potere, le stesse ordinanze, nel riconoscere la giurisdizione amministrativa sul danno conseguente alla mancata soddisfazione di un interesse pretensivo, affermano l’analogia della situazione con “quella valutata dalla Corte costituzionale nella sua più recente decisione, dove parimenti l'accesso al giudice amministrativo non è segnato da una domanda di annullamento, ma si considera che ad attrarre la fattispecie nell'orbita della sua giurisdizione possa valere la presenza di un concreto riconoscibile atto di esercizio del potere: quel potere, in particolare, che si è manifestato nella dichiarazione di pubblica utilità”. Maggiori perplessità, ma i limiti e i tempi del presente commento non consentono di affrontare funditus la questione, suscita, a mio parere, in termini di opportunità e di coerenza con il ruolo della giustizia amministrativa, la soluzione accolta dalla S.C. in ordine alla questione della c. d. pregiudiziale amministrativa. Il tema è affrontato con molto approfondimento nella seconda parte delle ordinanze, dove, dopo un’ampia disamina critica delle posizioni “tutta amministrativistica” e “tutta civilistica” assunte dalla dottrina e dalla giurisprudenza sulla sede e sui presupposti dell’azione risarcitoria, le Sezioni Unite, con apprezzabile capacità di mediazione, per un verso riconoscono nel giudice amministrativo il “giudice naturale” sulla tutela risarcitoria degli interessi legittimi, indipendentemente dalla previa instaurazione di un giudizio di legittimità sull’atto o sul silenzio costituente causa del danno e, per l’altro, “avvertono” che, qualora il giudice amministrativo neghi il proprio potere di provvedere in via autonoma sulla domanda risarcitoria, la relativa pronuncia sarà considerata come una ingiusta declinatoria di giurisdizione, soggetta perciò al sindacato della Suprema Corte regolatrice: come anticipato nel titolo, dunque, la scelta della Cassazione può essere sinteticamente definita come una “scelta di priorità della piena tutela” del cittadino, senza pregiudiziali privilegi per il giudice ordinario. Ed in ciò essa merita pieno plauso. Come sopra accennato, la radicale eliminazione della pregiudiziale amministrativa (sia pure con l’auspicato temperamento di un termine di prescrizione ridotto rispetto a quello ordinario: cfr. punto 23 delle ordinanze) continua tuttavia a non trovarmi del tutto favorevole: se infatti, per un verso, la scelta merita sicuramente massima condivisione nella parte in cui, “rimediando” alla deludente rigidità mostrata dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (sent. n. 7 del 2005) si ammette la diretta esperibilità dell’azione risarcitoria del c.d. danno da ritardo nell’esercizio del potere (azione che deve essere peraltro coerentemente rivolta in questo quadro al giudice competente sulla situazione soggettiva lesa e dunque al g. a. se il ritardo abbia inciso su meri interessi pretensivi e al g.o. se abbia invece leso diritti soggettivi, come nel caso del risarcimento del danno per accessione invertita del bene occupato in base a dichiarazione di p.u. non seguita da decreto di esproprio), non posso non confermare le perplessità già espresse in altra sede [17] sull’opportunità di generalizzare l’ammissibilità del ricorso diretto anche contro i danni derivanti da atti illegittimi, la quale rimette in sostanza all’interessato la possibilità di “scegliere” tra chiedere al giudice (secondo il ruolo riconosciutogli dalla Costituzione) di assicurare una effettiva “giustizia nell’amministrazione” e quella di lasciare in vita una situazione di ingiustizia sostanziale, purché il proprio interesse economico venga soddisfatto. Con doppio pregiudizio per la collettività [18]. Estremamente importante in quest’ottica appare il richiamo all’esigenza che il giudice amministrativo mutui le regole civilistiche sul concetto stesso di danno come fatto, sul nesso di causalità, anche ipotetico (si pensi all'art. 1221 ce), sui criteri di valutazione ex art. 1223, 1225, 1226,1227 co. 1 (concorso di cause) e co. 2 (danni evitabili con l'ordinaria diligenza) c.c. (cfr. punto 16 delle ordinanze). Sicché l’azione risarcitoria autonoma dall’impugnazione dell’atto, pur ammissibile nel rispetto dell’art. 24 Cost., rischia di non condurre a risultati concreti in sede di valutazione della fondatezza della pretesa. --- *** --[1] Sentenza 11 maggio 2006, con cui è stato dichiarato in parte illegittimo l'art. 53, comma 1, del d. lg. 8 giugno 2001, n. 327 ("Testo unico delle disposizioni legislative in materia di espropriazioni per pubblica utilità"). [2] M. A. Sandulli, Riparto di giurisdizione atto secondo: la Corte costituzionale fa chiarezza sugli effetti della sentenza 204 in tema di comportamenti “acquisitivi”, in www. federalismi.it, n.11/2006), [3] Sulle perplessità suscitate dalle predetti statuizioni, che, come fu immediatamente rilevato, sembravano in definitiva risolversi nel senso che la giurisdizione esclusiva non avrebbe potuto comunque estendersi ai diritti (il che però sarebbe equivalso ad escluderne tout court la compatibilità costituzionale), mi sia consentito rinviare agli scritti raccolti in M.A. Sandulli, a cura di, Le nuove frontiere della giustizia amministrativa tra tutela cautelare ante causam e confini della giurisdizione esclusiva, Quaderno del Foro amm.-TAR, Milano, Giuffrè, 2005. [4] Il dibattito dottrinario e giurisprudenziale sulla questione è ampiamente riportato da F. Caringella, Corso di dir. proc. amm., Milano, Giuffrè, 2005, 550. [5] M. A Sandulli, Un passo avanti e uno indietro: il giudice amministrativo è giudice pieno, ma non può giudicare dei diritti (a prima lettura a margine di Corte Cost. n.204 del 2004, in Riv. giur. edil.2004, I, 1211ss. [6] La proposta soluzione è stata condivisa recentemente da [1] Tar Sicilia, Palermo, sez. II, 2 marzo 2006 n. 500, in www. giustizia-amministrativa.it. [7] Cons. St., Ad. Plen., 30 agosto 2005 n. 4 e 16 novembre 2005 n. 9. [8] Tra le altre, Sez. Un., ordd. 4 novembre 2004 n. 21099 e 21 novembre 2004 n. 21944. [9] In argomento si veda il commento congiunto alle due pronunce di G.Mari, L’azione risarcitoria proposta dopo il passaggio in giudicato della sentenza caducatoria: giurisdizione e proponibilità in sede di ottemperanza, in Foro Amm.-CdS, 2006 (in corso di pubblicazione). [10] In particolare, l’ordinanza afferma che allorquando non venga in rilievo la legittimità dell’atto lesivo – per essere stato lo stesso già annullato o revocato nell’esercizio dei poteri amministrativi di autotutela, ovvero rimosso a seguito di pronuncia caducatoria passata in giudicato del g.a. – la giurisdizione sulla domanda risarcitoria spetta al giudice ordinario, “non operando … la connessione legale tra tutela demolitoria e risarcitoria”. [11] La sentenza ha in proposito coerentemente osservato che “la scelta di un momento successivo, per prospettare la domanda consequenziale, non giustifica una diversa competenza giurisdizionale”, non soltanto sul piano testuale, posto che le disposizioni che hanno attribuito al g.a. il potere di disporre il risarcimento del danno non impongono alcuna prescrizione di contestualità fra sindacato di legittimità e cognizione degli effetti di ordine patrimoniale, ma ancor più sotto il profilo piano logicosistematico, non potendo trovare spazio“ una tesi che lasci al ricorrente la scelta del giudice competente, proponendo insieme o distintamente le due domande, senza che mutino i presupposti di fatto e di diritto sui quali si fondano”. [12] La questione era stata sollevata in riferimento all’art. 53 d.P.R. n. 327/2001 (t.u. espropriazioni) nella parte in cui attribuisce alla giurisdizione esclusiva del g.a. tutte le controversie relative a “i comportamenti delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti ad essa equiparati”, senza escludere quelli non riconducibili, neppure mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere. [13] Ruolo che sensibilmente e significativamente lo differenzia dal giudice ordinario e ne segna quindi ad un tempo, prima ancora che la pari dignità, l’autonomia e la necessità – assume, evidentemente, la massima importanza, riportando chiarezza in un quadro che, avendo creato una inopportuna confusione di ruoli tra i due consessi giurisdizionali, aveva finito col generare il poco apprezzabile dubbio di una inutile sovrapposizione di magistrature sostanzialmente omogenee. La diversa “funzione” che i due ordini sono chiamati a svolgere nel vigente quadro costituzionale, mentre ne spiega la non intercambiabilità, ne impone infatti la coesistenza.Sul punto si veda anche la Relazione di apertura dell’anno giudiziario 2006 svolta dal Presidente Pasquale de Lise al TAR del Lazio il 23 febbraio 2006, in www.giustizia-amministrativa.it. ruolo che sensibilmente e significativamente lo differenzia dal giudice ordinario e ne segna quindi ad un tempo, prima ancora che la pari dignità, l’autonomia e la necessità – assume, evidentemente, la massima importanza, riportando chiarezza in un quadro che, avendo creato una inopportuna confusione di ruoli tra i due consessi giurisdizionali, aveva finito col generare il poco apprezzabile dubbio di una inutile sovrapposizione di magistrature sostanzialmente omogenee. La diversa “funzione” che i due ordini sono chiamati a svolgere nel vigente quadro costituzionale, mentre ne spiega la non intercambiabilità, ne impone infatti la coesistenza.Sul punto si veda anche la Relazione di apertura dell’anno giudiziario 2006 svolta dal Presidente Pasquale de Lise al TAR del Lazio il 23 febbraio 2006, in www.giustizia-amministrativa.it. [14] Cfr. gli scritti citati alla precedente nota 1. [15] In un clima generale segnato da continui révirements giurisprudenziali e normativi (basti pensare, per non richiamare sempre il singhiozzante iter di riforma della legge sul procedimento amministrativo, su cui mi si consenta il richiamo allo “sfogo” espresso in Semplificazione, certezza del diritto e braccia legate, in wwwgiustamm.it, alla recentissima “riforma della riforma” universitaria o alle “voci” sulla possibile revoca del contratto per la realizzazione dei lavori per il Ponte sullo Stretto), la conferma della propria giurisprudenza è comunque un grandissimo merito. [16] La ricostruzione è in certo qual modo assimilabile a quella proposta in dottrina e in giurisprudenza per giustificare il sindacato sul mancato esercizio del potere di controllo sulla d.i.a. [17] Brevi riflessioni su alcune recenti tendenze all’incertezza del diritto, in Rass. dir. parl. 1/2003. [18] Sul punto, che il carattere di queste note non mi consente di approfondire, può essere opportuno richiamare l’attenzione, come segnale di una possibile inversione di tendenza rispetto alla tesi della equipollenza della tutela risarcitoria rispetto a quella caducatoria, su una recente proposta di Direttiva del Parlamento e del Consiglio UE (2006/0066) tesa a garantire la possibilità di tutela caducatoria in tema di contratti pubblici. GIUSEPPINA MARI (Dottore di ricerca in Diritto amministrativo) Osservazioni a prima lettura a margine di Cass., Sez. Un., 13 giugno 2006, n. 13660: la giurisdizione sulle domande risarcitorie proposte autonomamente e la pregiudiziale amministrativa. I. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione affrontano nell’ordinanza in commento due rilevanti questioni attinenti alla responsabilità civile della p.a. connessa ad attività provvedimentale, quali il riparto di giurisdizione tra g.o. e g.a. e la cd. pregiudiziale amministrativa[1]. La soluzione in ordine alla giurisdizione su una domanda di ristoro dei danni cagionati da un diniego asseritamente illegittimo – ma non impugnato nei termini – di autorizzazione all’apertura di un esercizio commerciale presupponeva, infatti, da un lato, la corretta delimitazione dell’ambito del potere di disporre il risarcimento del danno attribuito al g.a. e, dall’altro, la soluzione della questione dell’ammissibilità di una domanda risarcitoria autonoma a fronte di attività provvedimentale illegittima. Sotto il primo profilo, viene attribuita rilevanza – quale criterio sulla cui base stabilire il riparto tra le giurisdizioni – a due momenti e, in particolare, alla situazione soggettiva del cittadino considerata nel suo aspetto statico e agli effetti che l’ordinamento ricollega all’azione amministrativa una volta che questa sia esercitata: in tale modo, la tutela giurisdizionale non può che spettare al g.o. quando il diritto soggettivo del privato non sia comprimibile per effetto di un potere esercitato in modo illegittimo (evenienza prospettabile al cospetto, ad esempio, del diritto alla salute o all’integrità personale), ovvero quando “l’azione della pubblica amministrazione non trovi rispondenza in un precedente esercizio del potere, che sia riconoscibile come tale, perché a sua volta deliberato nei modi ed in presenza dei requisiti richiesti per valere come atto o provvedimento e non come mera via di fatto”[2]. La seconda delle indicate ipotesi evoca, all’evidenza, il dibattito apertosi successivamente alla sentenza n. 204/2004[3] della Corte costituzionale sulla concreta individuazione dei “comportamenti” espunti dal testo dell’art. 34 d.lgs. n. 80 del 1998 e sottratti, quindi, alla giurisdizione esclusiva del g.a., sul quale opportunamente le Sezioni Unite intervengono a fornire chiarezza. E’ noto, al riguardo, come il Consiglio di Stato, valorizzando la parte motiva della citata pronuncia della Consulta, abbia ripetutamente rilevato che per <comportamenti> – le controversie relative ai quali non rientrano nella giurisdizione esclusiva del g.a. ex art. 34 cit. – non si intendono le condotte che si connotano quale attuazione di potestà amministrativa manifestatasi attraverso provvedimenti autoritativi che hanno spiegato secundum legem i loro effetti, quanto piuttosto le condotte poste in essere “fuori dell’esplicazione del potere (con attività materiale, voi de fait, manifestazioni abnormi del pubblico potere etc.)”[4]. Così ragionando, il g.a. ha tradizionalmente affermato la propria giurisdizione su domande risarcitorie connesse a fattispecie di occupazione usurpativa c.d. spuria, negandola con riguardo alla diversa ipotesi dell’occupazione usurpativa c.d. pura, ritenendo quest’ultima espressione di un mero comportamento del tutto slegato dall’esercizio del potere pubblico. Maggiore dibattito hanno suscitato quelle ipotesi in cui oggetto della domanda avanzata in giudizio non è l’annullamento di un atto, ma unicamente il risarcimento del danno. Rientrano in tale seconda categoria, ad esempio, la domanda risarcitoria per i danni conseguenti ad un comportamento inerte della p.a. che si traduca nel silenzio della stessa o in un ritardo nell’ottenimento del provvedimento favorevole, così come la domanda risarcitoria avanzata a seguito di radicale trasformazione di un’area avvenuta in costanza di un decreto di occupazione non seguito da un tempestivo provvedimento formale di esproprio. Con riguardo al danno da ritardo, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la decisione n. 7/2005[5] ha chiarito che “nella specie non si è di fronte a comportamenti della p.a. invasivi dei diritti soggettivi del privato in violazione del neminem laedere … ma in presenza della diversa ipotesi del mancato tempestivo soddisfacimento dell’obbligo della autorità amministrativa di assolvere adempimenti pubblicistici, aventi ad oggetto lo svolgimento di funzioni amministrative”. L’ordinanza in commento si allinea sul punto al g.a., rilevando che “ciò che viene qui in rilievo è bensì un comportamento, ma il comportamento si risolve nella violazione di una norma che regola il procedimento ordinato all’esercizio del potere e perciò nella lesione di una situazione di interesse legittimo pretensivo”. La fattispecie dell’occupazione legittima non seguita da tempestivo decreto di esproprio ha dato luogo a maggiori oscillazioni giurisprudenziali e, in particolare, ad un vivace ed attuale – sembrerebbe sino all’ordinanza in commento – divario di orientamenti tra g.o. (propenso a ravvisarvi la propria giurisdizione non essendo evocato in giudizio alcun atto o provvedimento per censurarne la legittimità, ma incentrandosi la controversia unicamente sulla condotta[6]) e g.a. (propenso a ravvisarvi, pur in presenza di voci discordi, la propria giurisdizione per la sussistenza a monte di una dichiarazione di pubblica utilità idonea a radicare il potere ablatorio). Proprio con riferimento ad una fattispecie di tale tipo, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con decisione n. 4/2005 ha rilevato che la circostanza che la controversia posta alla sua attenzione avesse ad oggetto un diritto soggettivo, risultando venuto meno ex lege (per la mancata conclusione del procedimento) il provvedimento degradatorio in precedenza emanato (l’occupazione d’urgenza), “non può bastare … ad indurre a ravvisare nella specie la lesione di un diritto soggettivo rapportabile ad un comportamento materiale e non a fattori causali riconducibili al pubblico potere”; “ed invero”, rileva, “la formula dell’art. 34 … mira proprio alla identificazione della lesione di diritti soggettivi, eziologicamente riconducibili alla funzione”. Né, a giudizio del supremo Consesso amministrativo, era possibile ravvisare un ostacolo all’affermata giurisdizione del g.a. nella deduzione in giudizio unicamente di diritti soggettivi “quando la lesione di questi ultimi tragga origine, sul piano eziologico, da fattori causali riconducibili all’esplicazione del pubblico potere, pur se in un momento nel quale quest’ultimo risulta ormai mutilato della sua forza autoritativa per la sopraggiunta inefficacia disposta dalla legge per la mancata conclusione del procedimento”. La pronuncia della Plenaria n. 4/2005 non era stata comunque sufficiente a fugare definitivamente i dubbi in punto di giurisdizione, come dimostrato da alcune pronunce del g.a. che - disattendo quanto dalla stessa statuito – hanno negato la propria giurisdizione in fattispecie di occupazione appropriativa caratterizzata dalla perdita di efficacia del provvedimento di occupazione del fondo in quanto non seguito dalla tempestiva adozione del decreto di espropriazione, qualificandola come ipotesi di mero <comportamento materiale>[7]. L’incertezza era stata peraltro accresciuta da una – alquanto discussa – ordinanza delle Sezioni Unite (23 gennaio 2006, n. 1207) pronunciatasi in punto di giurisdizione su una domanda risarcitoria avanzata in via autonoma e successivamente al formarsi del giudicato sulla pronuncia del g.a. caducatoria di atti ablatori. L’ordinanza n. 1207, da un lato, ribadiva la facoltà, di cui il privato leso da un episodio di illegittimo esercizio della funzione amministrativa è titolare, di scegliere se proporre contestualmente l’azione caducatoria e quella risarcitoria dinanzi al g.a., ovvero se esercitare quest’ultima in via autonoma dopo avere concluso con successo l’azione demolitoria; dall’altro, si discostava da giurisprudenza costante laddove riconduceva alla giurisdizione del giudice ordinario la cognizione sull’azione risarcitoria avente ad oggetto il pregiudizio derivante da un atto amministrativo rimosso a seguito di pronuncia definitiva del giudice amministrativo, siccome giudice “cui compete in via generale la cognizione sulle posizioni di diritto soggettivo”: qualora l’oggetto del giudizio non investa anche il legittimo esercizio dell’attività amministrativa – come nel caso di annullamento definitivo, giurisdizionale o in via di autotutela, dell’atto lesivo, o di esaurimento degli effetti dell’atto per decorso del termine di efficacia dello stesso -, la giurisdizione sulla domanda risarcitoria spetterebbe, quindi, al giudice ordinario, “non operando … la connessione legale tra tutela demolitoria e risarcitoria”, connessione ritenuta idonea a spostare la giurisdizione (ritenendo la Corte, evidentemente, che nella specie vengano in rilievo controversie attinenti a meri comportamenti materiali). La qualificazione della situazione giuridica sottesa alla pretesa risarcitoria come diritto soggettivo induceva le Sezioni unite in detta ordinanza ad affermare che “la connessione legale tra tutela demolitoria e tutela risarcitoria è … subordinata all’iniziativa del ricorrente”. Le stesse Sezioni unite in una di poco precedente ordinanza del 2005[8] avevano affrontato la medesima questione – giungendo ad una soluzione all’evidenza più conforme al principio del giudice naturale precostituito per legge –, rilevando come “interpretazioni approdanti al risultato della concorrenza delle giurisdizioni nell’area del risarcimento del danno da esercizio dei poteri amministrativi … contrasterebbero con il principio generale che esclude il condizionamento della giurisdizione rispetto a ragioni di connessione, precludendo l’ordinamento che la scelta del giudice possa dipendere dalla strategia processuale della parte che agisce in giudizio; ancor più si rimetterebbe alla volontà delle parti il realizzare o meno quella concentrazione di tutela giudiziaria, la cui ratio è alla base della soluzione legislativa, avallata dal giudice delle leggi, che ha attribuito alla giurisdizione amministrativa anche le controversie risarcitorie”. Ulteriori argomenti a sfavore della predetta concorrenza venivano tratti dall’esigenza di salvaguardare “l’equilibrio costituzionale” delineato nelle decisioni nn. 204 e 281 del 2004 del Giudice delle leggi e dal comprensibile timore di “inevitabili incertezze, non essendo la formazione del diritto vivente in materia affidato all’elaborazione di un unico giudice”. Diversamente opinando in punto di giurisdizione, rispetto a quanto affermato nell’ordinanza n. 1207/06, l’Adunanza plenaria, nella di poco successiva sentenza n. 2/2006, ha rilevato che “il venir meno, per annullamento giurisdizionale, di atti che sono espressione di una posizione di autorità, non rende rilevanti soltanto come gli effetti medio tempore prodottisi in loro esecuzione, ma ne fa concentrare la cognizione dinanzi allo stesso giudice amministrativo, che verifica il corretto esercizio del potere” e che “la scelta di un momento successivo, per prospettare la domanda consequenziale, non giustifica una diversa competenza giurisdizionale”, né sul piano testuale, dal momento che le disposizioni processuali che hanno attribuito al g.a. il potere di disporre il risarcimento del danno non contengono alcuna prescrizione di contestualità fra sindacato di legittimità e cognizione degli effetti di ordine patrimoniale, né, tantomeno, sul piano logico-sistematico, stante l’inaccettabilità “di una tesi che lasci al ricorrente la scelta del giudice competente, proponendo insieme o distintamente le due domande, senza che mutino i presupposti di fatto e di diritto sui quali si fondano”, con ciò chiaramente dissentendo dalla tesi della Suprema Corte di uno spostamento della giurisdizione, a discrezione del ricorrente e delle scelte di strategia processuale dello stesso, per effetto della “connessione legale tra tutela demolitoria e tutela risarcitoria”. L’Ad. plen. n. 2/2006 rileva, infatti, che, stante la regola della concentrazione, “il nesso fra illegittimità dell’atto e responsabilità dell’autorità amministrativa che lo ha posto in essere, non ha diversa natura, né è meno stretto o di diversa intensità se le due questioni dibattute – quella di non conformità a legge della misura autoritativa e quella di responsabilità per i danni che ne sono derivati – sono esaminate e risolte in un unico o in separati giudizi”. Una tale rigorosa interpretazione della regola della concentrazione era già stata in precedenza fornita, del resto, dall’Adunanza plenaria (n. 10/2004)[9] cui era stata rimessa, tra le altre, la questione se ai giudizi risarcitori consequenziali ad un giudizio di annullamento dell’atto amministrativo presupposto, instaurati autonomamente e successivamente al passaggio in giudicato della pronuncia caducatoria, fossero applicabili le regole di competenza territoriale di cui agli artt. 19 e 20 c.p.c., ovvero, per ragioni di connessione, le regole di competenza territoriale applicate per il presupposto giudizio impugnatorio, in applicazione degli artt. 2 e 3 l. Tar. In tale occasione, il Supremo Consesso amministrativo aveva chiarito che anche nel caso in cui la pretesa di ristoro venga avanzata in via autonoma “il legame, fra illegittimità del provvedimento e responsabilità dell’ente che l’ha posto in essere, non è meno stretto o di diversa intensità se le due questioni (di illegittimità dell’atto e di responsabilità per i danni che ha cagionato) sono esaminate in unico o separati giudizi. Perciò l’atto, dalla cui illegittimità si origina la domanda di riparazione, si manifesta come momento essenziale per la cognizione della ulteriore vicenda di ripristino della situazione del soggetto che ne è stato leso, perché è la causa diretta – o perché deve verificarsi se è stato la causa diretta – delle conseguenze negative lamentate”. Il manifesto contrasto tra Cassazione e Consiglio di Stato ha dato adito a perplessità in ordine al rispetto del principio di effettività della tutela giurisdizionale in termini di possibili oscillazioni e divergenze delle soluzioni giurisprudenziali sui presupposti o su altri profili della responsabilità della p.a., nonchè dello stesso principio di legalità che, nel suo risvolto processuale, implica certezza dei mezzi e delle modalità della tutela dei diritti riconosciuti e garantiti dall’ordinamento, e, in definitiva, del principio del giudice naturale precostituito per legge (art. 25 Cost.)[10]. La rilevanza dei principi costituzionali ritenuti lesi dalla discutibile interpretazione dei rapporti tra tutela demolitoria e risarcitoria fornita dall’ordinanza n. 1207, non poteva non sollecitare una rapida smentita, opportunamente intervenuta, prima ancora che ad opera dell’ordinanza in commento (il cui contenuto motivazionale è identico a quello di altre due ordinanze pressoché coeve, la n. 13659 e la n. 13911), dalla stessa Corte costituzionale che, nella pronuncia n. 191/2006[11], dopo aver ribadito che il risarcimento del danno ingiusto rappresenta “uno strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio (e/o conformativo), da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei confronti della pubblica amministrazione” (da ciò derivando, ai fini del riparto di giurisdizione sulla domanda risarcitoria, l’irrilevanza della circostanza che la pretesa risarcitoria abbia o non abbia natura di diritto soggettivo, avendo la legge, a questi fini, privilegiato la considerazione della situazione giuridica incisa dall’illegittimo esercizio della funzione amministrativa), ha escluso “che, per ciò solo che la domanda proposta dal cittadino abbia ad oggetto esclusivo il risarcimento del danno, la giurisdizione competa al giudice ordinario”, essendo piuttosto necessario, ai fini dell’individuazione del giudice munito di giurisdizione, considerare “il fatto, dedotto a fondamento della domanda, che si assume causativo del danno ingiusto”. Sulla base di tale premessa metodologica, la Consulta ha quindi ritenuto che nelle ipotesi in cui i comportamenti causativi del danno ingiusto costituiscono esecuzione di atti o provvedimenti amministrativi, e sono quindi riconducibili all’esercizio del pubblico potere, la previsione della giurisdizione esclusiva del g.a. (nella specie la previsione di cui all’art. 53 T.U. Espropriazioni) si sottragga alle censure di illegittimità costituzionale; non così per le ipotesi in cui i comportamenti siano stati posti in essere in carenza di potere o in via di mero fatto. Sulla medesima scia si colloca l’ordinanza in commento che, come sopra anticipato, attribuisce rilevanza ai fini del riparto delle giurisdizioni alla circostanza che il danno cagionato sia collegato eziologicamente all’esercizio di un potere amministrativo. Sviluppando gli esiti del ragionamento della Consulta, la Suprema Corte individua le fattispecie di spettanza del giudice amministrativo nell’occupazione usurpativa pura (mancanza della dichiarazione di pubblica utilità), cui accomuna la fattispecie della sopravvenuta inefficacia della dichiarazione di p.u. per scadenza del relativo termine. Proprio a tale ultimo proposito, le Sezioni unite sembrerebbero aderire alla lettura fornita da autorevole dottrina (M.A. Sandulli)[12], in ordine alla giurisdizione del g.o. sulla pretesa risarcitoria conseguente ad occupazioni legittime, ma “non più coperte ratione temporis dall’ombrello del potere”[13]. II. Dopo avere affermato la giurisdizione del g.a. anche sulle domande risarcitorie autonome per i danni derivanti da comportamenti della p.a. collegati all’esercizio di un potere pubblico, l’ordinanza in commento affronta la questione della pregiudiziale amministrativa, negando la necessità della previa o contestuale azione caducatoria dell’atto amministrativo illegittimo ai fini dell’ammissibilità della pretesa risarcitoria. A tale soluzione perviene dopo aver ripercorso criticamente le contrapposte tesi, “tutta civilistica” e “tutta amministrativistica”, rilevando, in esito, la non perfetta conformità di entrambe al principio di effettività della tutela giurisdizionale. Come noto, la tesi “amministrativistica” ritiene che, una volta concentrata presso il g.a. la tutela impugnatoria dell’atto illegittimo e quella risarcitoria conseguente, non sarebbe possibile l’accertamento incidentale della illegittimità dell’atto non impugnato nel termine decadenziale ai fini del giudizio risarcitorio[14], sia per la mancanza in capo al g.a. di un potere di disapplicazione, sia per il carattere sussidiario che la tutela risarcitoria rivestirebbe in un giudizio tipicamente impugnatorio, sia per la natura dell’interesse legittimo quale situazione soggettiva il cui esercizio e la cui tutela non può che ottenersi nell’ambito dei tempi e dei modi di sviluppo della funzione, tanto nella fase procedimentale amministrativa, quanto in quella processuale. A tali argomenti si aggiunge la circostanza (sottolineata a partire da Cass. civ., Sez. II, n. 4538/2003[15]) che l’illegittimità dell’atto, in quanto causa diretta della lesione, non può essere valutata incidentalmente. Vengono invero fatte salve le ipotesi in cui una previa o contestuale azione caducatoria non sarebbe esperibile, avendo la pretesa ad oggetto il ristoro del danno derivante da un ritardo della p.a. o da un atto già annullato d’ufficio o revocato in sede di autotutela. Diversamente, la tesi civilistica, qualificando come autonomo diritto soggettivo la posizione soggettiva di chi lamenta un danno causato ingiustamente da un atto illegittimo, ritiene che la domanda risarcitoria possa essere conosciuta dal g.a. laddove proposta congiuntamente alla domanda di annullamento dell’atto lesivo, ponendo in tal caso l’art. 35 d.lgs. n. 80 del 1998 una deroga alla giurisdizione del g.o. sulle situazioni giuridiche di diritto soggettivo per ragioni di connessione. Non sarebbe però precluso il ricorso alla sola tutela risarcitoria, esperibile, in tale caso, dinanzi al g.o. Peraltro, il g.o., in pronunce di poco precedenti l’ordinanza in commento, pur aderendo alle premesse della tesi “civilistica” in ordine alla natura della situazione soggettiva sottesa alla domanda di risarcimento, aveva comunque affermato l’esistenza della pregiudiziale amministrativa. In particolare, la già citata ordinanza n. 1207/2006 delle Sezioni Unite aveva ribadito che “il giudice ordinario può disapplicare l'atto amministrativo solo quando la valutazione della legittimità del medesimo debba avvenire in via incidentale, ossia quando l'atto non assume rilievo come causa della lesione del diritto del privato, ma come mero antecedente, sicché la questione della sua legittimità viene a prospettarsi come pregiudiziale in senso tecnico e non come principale”[16], con conseguente inammissibilità dell’azione risarcitoria proposta quando l’atto amministrativo lesivo, siccome non impugnato nei termini, sia diventato definitivo[17]. L’ordinanza in commento respinge entrambe le tesi, accedendo ad una soluzione “che, mentre tiene conto dei principi costituzionali che legano la tutela giurisdizionale offerta da due ordini di giudici alle situazioni soggettive, alla luce del criterio enunciato dall’art. 103 Cost., fa propri i valori di effettività e concentrazione delle tutele sottesi all’art. 111 Cost. – e in particolare al principio della ragionevole durata dei processi”. Così, la tesi civilistica viene respinta per la considerazione che la stessa disattende la svolta voluta dal legislatore di assicurare all’interesse legittimo una tutela piena e concentrata dinanzi ad un unico giudice e non tiene conto del criterio tradizionale di riparto fondato, anzichè sul petitum formale, sulla causa pretendi o petitum sostanziale. Parimenti, la tesi amministrativistica viene criticata nella misura in cui, ponendo un nesso inscindibile tra tutela di annullamento e tutela risarcitoria non richiesto da norme di legge né dal quadro costituzionale, impone la previa o contestuale domanda di annullamento dell’atto lesivo. Entrambe le tesi, a giudizio delle Sezioni Unite conducono, pertanto, ad una riduzione dell’effettività della tutela, rispettivamente frammentando o moltiplicando le sedi e i tempi della tutela giurisdizionale e assicurando all’interesse legittimo una protezione che comprime l’ambito della tutela risarcitoria riducendone la portata. L’ammissibilità di una domanda giudiziale solamente risarcitoria, senza necessità di osservare il termine di decadenza pertinente alla sola domanda di annullamento rappresenterebbe, dunque, a giudizio della Corte, la sola soluzione idonea a rendere operanti per le situazioni soggettive di interesse legittimo “il valore della giurisdizione piena e quello di una tutela sostanziale degli interessi legittimi non difforme da ogni altra situazione protetta in rapporto alla tutela risarcitoria”. Il dubbio che la pronuncia desta è se effettivamente il quadro costituzionale imponga di “omologare … quanto al bagaglio delle tutele” le situazioni soggettive di diritto e di interesse legittimo, di indubbia diversa consistenza. E’ stato già ricordato che la giurisdizione del g.a. sull’azione risarcitoria, anche ove proposta in via autonoma, discende dalle considerazioni svolte dalla Corte costituzionale (nn.204/2004 e 191/2006) in ordine al potere di disporre il risarcimento del danno attribuito al g.a. dall’art. 7 l. n. 205 del 2000, da considerare alla stregua non di una “nuova materia”, quanto piuttosto di “uno strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio (e/o conformativo), da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei confronti della pubblica amministrazione”. L’affermazione della Consulta poggia, come noto, sulla considerazione della “piena dignità di giudice riconosciuta dalla Costituzione al Consiglio di Stato”[18] e, ancor più, sulla previsione dell’art. 24 Cost., il quale, “garantendo alle situazioni soggettive devolute alla giurisdizione amministrativa piena ed effettiva tutela, implica che il giudice sia munito di adeguati poteri”. Come rilevato[19], dalle pronunce appena citate è ricavabile che la tutela risarcitoria, riguardando interessi legittimi, non può che rientrare, “naturalmente” – e il riferimento è chiaro al principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge ex art. 25 Cost. –, nella giurisdizione del giudice amministrativo, quale giudice degli interessi legittimi. La qualificazione del risarcimento come strumento di tutela ulteriore delle situazioni soggettive di interesse legittimo induce peraltro a ritenere definitivamente superata (per quanto la Corte costituzionale nella sentenza n. 191/2006 dichiari espressamente di non voler “prendere posizione sul tema della natura della situazione soggettiva sottesa alla pretesa risarcitoria”) la tesi che considera il risarcimento quale forma di tutela della situazione soggettiva di diritto soggettivo nascente dalla lesione di un interesse meritevole di tutela, la cui cognizione la ben nota sentenza n. 500/1999 della Cassazione devolveva, in base ai tradizionali criteri di riparto della giurisdizione, al giudice ordinario[20] (anteriormente alle novità di cui alla l. n. 205/2000, che ha eliminato il sistema della doppia tutela – dinanzi al g.o. per il risarcimento del danno e dinanzi al g.a. per la tutela demolitoria e conformativa). Dalla lettura dell’ordinanza in commento sembrerebbe che la stessa Cassazione superi la tesi del diritto soggettivo che, “doppiata” la situazione originaria di interesse legittimo, si pone alla base della pretesa risarcitoria; diversi passaggi argomentativi della stessa inducono a tale lettura: così, si afferma che “la tesi tutta civilistica non può essere condivisa allorché disattende la svolta voluta dal legislatore di assicurare all’interesse legittimo una tutela piena, concentrata dinanzi ad un unico giudice”; che “la soluzione fatta propria dal legislatore del 2000 … è coerente con la riaffermazione del criterio tradizionale del riparto fondato non sulla distinzione tra le tecniche di tutela, bensì sulla natura sostanziale delle situazioni soggettive”; e che “questa ricostruzione è coerente anche con il processo di evoluzione che caratterizza l’interesse legittimo, che va perdendo la sua tradizionale funzione meramente famulativa o ancillare rispetto all’interesse pubblico, per assumere un più marcato connotato sostanziale, coerentemente del resto con l’evoluzione della stessa nozione di interesse pubblico, al cui perseguimento si accompagna un aumento della discrezionalità, ma anche della connessa responsabilità dell’amministrazione”. Ma se così è, l’azione risarcitoria resta un’azione di interesse legittimo e non di diritto soggettivo e la situazione giuridica dedotta deve continuare a vivere nel regime che le è proprio[21]. Senza potersi diffondere sulla nozione di interesse legittimo – chè la complessità della questione urterebbe con la brevità delle presenti osservazioni -, è noto come lo stesso venga inteso come “posizione di vantaggio riconosciuta dall’ordinamento giuridico ad un determinato soggetto in ordine ad un bene e consistente nell’attribuzione a quel medesimo soggetto di poteri idonei, non a realizzare in modo pieno e immediato l’interesse al bene, ma a realizzarlo in via indiretta e mediata attraverso il corretto esercizio dell’azione amministrativa”[22] (contestabile, per l’appunto, nei termini di decadenza). L’attenzione posta dall’ordinanza in commento al principio di effettività della tutela richiama, poi, l’altrettanto rilevante valore della certezza dei rapporti e del rispetto della legalità nell’amministrazione, concretamente perseguibili solo qualificando la tutela risarcitoria come sussidiaria rispetto alla tutela caducatoria conformativa[23]. Non si può, infine, trascurare di considerare che, anche aderendo all’orientamento – ora autorevolmente sostenuto dalle Sezioni Unite – che esclude la pregiudiziale amministrativa, la mancata impugnazione dell’atto lesivo nel termine decadenziale non potrà che rilevare, nel merito, sulla considerazione dei danni determinati da un provvedimento di cui non si sia voluto domandare l’annullamento. _______________________________________ [1] I medesimi aspetti sono affrontati nelle ordinanze Cass., Sez. Un., 13 giugno 2006, n. 13659 e Id., 15 giugno 2006, n. 12911, identiche, anche testualmente, nella parte in diritto all’ordinanza in commento. [2] Al riguardo, cfr., anche, Cass. civ., Sez. un., 18 ottobre 2005, n. 20123, in Giust. civ. Mass., 2005, dove si legge che “deve riconoscersi la giustiziabilità avanti al giudice ordinario in tutte quelle controversie in cui si denunzino comportamenti configurati come illeciti ex art. 2043 c.c., ed a fronte dei quali per non avere, appunto, la pubblica amministrazione osservato condotte doverose, la posizione soggettiva del privato non può che definirsi di diritto soggettivo” e che “si configura la giurisdizione del giudice ordinario ogni volta che il comportamento della pubblica amministrazione risulta spogliato da ogni interferenza con un suo atto autoritativo, quando in altri termini detto comportamento non è suscettibile di connettersi ad un atto o provvedimento amministrativo non potendosi reputare neanche mediatamente, appunto, espressione dell'esercizio di un potere autoritativo, o quando ancora l'atto o il provvedimento di cui sia esecuzione la condotta dell'amministrazione non costituisca oggetto del giudizio, per farsi valere nel giudizio stesso unicamente l'illiceità della condotta del soggetto pubblico, suscettibile di incidere - contro il più volte ricordato principio del neminem laedere - sulla incolumità e sui diritti patrimoniali del terzo”. [3] Corte cost., 6 luglio 2004, n. 204, in Riv. giur. edil., 2004, I, 1211, con commento di M.A. Sandulli, Un passo avanti e uno indietro: il giudice amministrativo è giudice pieno, ma non può giudicare dei diritti (a prima lettura a margine di Corte cost. n. 204 del 2004). [4] Cons. St., ad. plen., 16 novembre 2005, n. 9, in Riv. giur. edil., 2005, I, 1604. Sulla questione: A. De Roberto, Relazione del Presidente Alberto De Roberto sullo stato della giustizia amministrativa, Palazzo Spada – 9 marzo 2006, in www.giustamm.it, 2006, 3, che rileva come la giurisprudenza amministrativa ritenga come “la lesione del diritto soggettivo provocata dal potere pubblico si lasci ravvisare solo quando un atto amministrativo incidente sui diritti abbia esplicato, per l’efficacia che gli inerisce, secundum legem i suoi effetti compressivi o estintivi e sopraggiunga poi in conseguenza dell’annullamento dell’atto o per altra causa (ad esempio dichiarazione di pubblica utilità non seguita nei termini dagli espropri previsti) la retroattiva caducazione dell’atto e degli effetti spiegati dal provvedimento restando in campo, così, sine titulo gli interventi provocati dal potere”. [5] La questione era stata rimessa alla plenaria da Cons. Stato, Sez. IV, 7 marzo 2005, n. 875, in Riv. giur. edil., 2005, I 790. [6] Ex multis, Cass., Sez. Un., 25 maggio 2005, n. 10962, in Giust. civ. Mass., 2005. [7] Tar Sicilia, Palermo, sez. II, 2 marzo 2005 n. 500; TAR Basilicata, Potenza, 17 maggio 2006, n. 336, in www.giustamm.it, n6/2006; nonché, da ultimo, Cons. Stato, Sez. IV, 26 maggio 2006, n. 3191. [8] Cass., sez. un., 31 marzo 2005 n. 6745, in Giur. it., 2005, 1949. [9] Cons. St., Ad. plen., 19 ottobre 2004, n. 10, in Foro amm. CdS, 2004, 2778 [10] A. De Roberto, Relazione del Presidente Alberto De Roberto sullo stato della giustizia amministrativa, cit., rileva come la “giurisdizione concorrente e non esclusiva del giudice amministrativo” sia “non solo al di fuori di ogni nostra tradizione, ma contrastante con lo stesso art. 103 della Costituzione che consente deroghe alla clausola generale di riparto con attribuzione in via esclusiva del diritto soggettivo al giudice amministrativo e non attribuzione di giurisdizione in via concorrente con il giudice ordinario”. [11] Per un commento alla quale si rinvia a M.A. Sandulli, Riparto di giurisdizione atto secondo: la Corte costituzionale fa chiarezza sugli effetti della sentenza 204 in tema di comportamenti “acquisitivi”, in www.federalismi.it. [12] M.A. Sandulli, Riparto di giurisdizione, cit. [13] M.A. Sandulli, Riparto di giurisdizione, cit., che chiarisce ulteriormente che “il fatto che la controversia investa un comportamento (occupazione) non più coperto ratione temporis dall’ombrello del potere ne rende l’attribuzione al g.o. più aderente al principio base che vincola la giurisdizione amministrativa alla correlazione tra comportamento controverso e potere”. Le medesime conclusioni erano già state formulate in sede di commento alla sentenza Corte cost. n. 204/2004: M.A. Sandulli, Un passo avanti e uno indietro: il giudice amministrativo è giudice pieno, cit.. [14] Cons. Stato, Ad. plen., 26 marzo 2003, n. 4, in Foro amm. CdS, 2003, 877. [15] Cass. Civ., Sez. II, 27 marzo 2003, n. 4538, in Foro it., 2003, 2073. [16] In tale senso: Cass. civ., Sez. II, 27 marzo 2003, n. 4538, cit.; id., Sez. III, 22 febbraio 2002, n. 2588, in Giust. civ. Mass., 2002; Cass., Sez. un., 10 settembre 2004, n. 18263, in Foro amm. CdS, 2004, 2505. [17] Il g.a. è costante sul punto: ex plurimis, Cons. Stato, Sez. V, 2 settembre 2005, n. 4461, in Foro amm. CdS, 2005, 2596; id., sez. IV, 30 maggio 2005, n. 2796, in Foro amm. CdS, 2005, 1434; id., 24 maggio 2005 n. 2631, in Foro amm. CdS, 2005, 1396, dove si legge che “l'accertamento "incidenter tantum" dell'illegittimità di un provvedimento amministrativo, ai soli fini di un giudizio risarcitorio, non è possibile nel vigente sistema di giustizia amministrativa, nel quale sono previsti rigidi termini per l'impugnazione dei provvedimenti amministrativi e non è consentita la disapplicazione da parte del giudice di atti di natura non regolamentare. L'azione di risarcimento del danno proposta unitamente all'azione di annullamento o in via autonoma è, dunque, ammissibile e resta procedibile solo a condizione che sia stato tempestivamente impugnato il provvedimento illegittimo e sia coltivato con successo il relativo giudizio di annullamento, essendo necessario e vincolante in sede di decisione sulla domanda di risarcimento del danno un previo o contestuale accertamento circa l'illegittimità dell'atto, operato dal g.a. in sede di giudizio di impugnazione”; id., Ad. plen., 26 marzo 2003, n. 4, in Riv. giur. edil., 2003, I, 1560. [18] C. cost., 6 luglio 2004, n. 204, cit., che al pt. 3 rileva che a favore di detto riconoscimento “milita, oltre e più che l’apprezzamento, più volte espresso nell’Assemblea costituente, per l’indipendenza con la quale il Consiglio di Stato aveva operato durante il regime fascista, la circostanza che l’art. 24 Cost. assicura agli interessi legittimi – la cui tutela l’art. 103 riserva al giudice amministrativo – le medesime garanzie assicurate ai diritti soggettivi quanto alla possibilità di farli valere davanti al giudice ed alla effettività della tutela che questi deve loro accordare”. [19] F.G. Scoca, Giurisdizione amministrativa e risarcimento del danno nella sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 2004, in M.A. Sandulli (a cura di), Le nuove frontiere del giudice amministrativo tra tutela cautelare ante causam e confini della giurisdizione esclusiva, Quaderni de Il Foro amministrativo T.A.R., 2005, 54. Si v., inoltre, F. Cintioli, Brevi note sul giudizio risarcitorio dopo la sentenza 204 del 2004, ivi, 86. [20] In argomento, amplius, P. Carpentieri, La sentenza della Consulta 204/2004 e la pregiudiziale amministrativa, in Urb. e app., 2004, 1121 ss.. [21] P. Carpentieri, La sentenza della Consulta 204/2004, cit. [22] M. Nigro, Giustizia amministrativa, Bologna, 2000, 102. [23] La pari rilevanza dei valori della certezza e della legalità sostanziale è sottolineata da M.A. Sandulli, Un passo avanti e uno indietro, cit., che rileva come “il ruolo del giudice amministrativo sia quello di assicurare giustizia <NELL&RSQUO;AMMINISTRAZIONEed è proprio in questo ruolo che all’evidenza tale giudice si distingue e si caratterizza rispetto a quello ordinario”; cfr., inoltre, P. de Lise, I nuovi confini della giurisdizione esclusiva (origine, contenuto e conseguenze), in M.A. Sandulli (a cura di), Le nuove frontiere del giudice amministrativo tra tutela cautelare ante causam e confini della giurisdizione esclusiva, Quaderni de Il Foro amm. TAR, n. 1, 2005, 101.