Un`arte per cambiare il mondo
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Un`arte per cambiare il mondo
Filosofia Un’arte per cambiare il mondo di Tommaso Urselli Una delle correnti artistiche che hanno cercato di sottolineare la possibile funzione trasformativa dell’arte è stata l’Espressionismo. Nata agli inizi del Novecento, essa è trasversale a diversi linguaggi artistici, non mancando di coinvolgere anche il teatro. L’Espressionismo attribuisce all’opera d’arte un valore fortemente morale e funzionale al mutamento del mondo, non dimenticando che perché possa realizzarsi, questo deve accadere anche all’interno dell’uomo; secondo il programma espressionista il cambiamento è quindi da attuarsi sia attraverso azioni nel mondo esterno che a un livello più psichico e spirituale. In questa prospettiva, vengono messi in secondo piano i fini commerciali e un tipo di rappresentazione convenzionale, per dare spazio a opere che prevedono la commistione di linguaggi - mutuati a volte da altre arti come il cinema - e sappiano sfruttare al meglio innovative concezioni di regia per conferire forza poetica allo spettacolo; una regia che sappia rappresentare anche in maniera più stilizzata rispetto al passato, e valorizzare lo spazio dal punto di vista architettonico. Le innovazioni non mancano di influire sui testi che gli autori espressionisti compongono: opere spesso brevi, di un unico atto, al fine di tradurre con efficacia un’idea di base. Purtroppo sul finire degli anni Venti questi testi inizieranno a essere banditi dal nazionalsocialismo, che tentò di eclissare tutta l’arte espressionista. Saranno riscoperti e pubblicati nuovamente con l’inizio degli anni Cinquanta; tra cui lavori di autori che hanno operato anche in altri campi dell’arte, come i pittori Oskar Kokoschka e Wassily Kandinsky. Un testo in cui sono evidenti le premesse di cui sopra, è Caino di Friedrich Koffka. L’azione si svolge non nell’Eden come da tradizione biblica, ma in una casa di campagna dove Adamo ed Eva sono due proprietari di bestiame; il figlio Abele li aiuta, e Caino è a prima vista il buono a nulla tra i due fratelli. Man mano che il dramma va avanti, Koffka cerca però di insinuare nel lettore che le cose potrebbero non stare esattamente così; e che l’atteggiamento di Caino non è solo pigrizia, ma soprattutto una tormentata ricerca di purezza e una insofferenza verso la perfezione esteriore del fratello. ABELE Che cosa vuoi da me? Che ne sai di me? CAINO Non so niente di te. ABELE Tu te ne stai ancora a dormire, quando io esco di casa la mattina! CAINO Abele – c’era un fiore sul campo – era bianco, un giglio, era un bel giglio, si apriva quando il sole lo sfiorava – Io uscivo ogni giorno per annaffiarlo – Abele, tu sei passato sul campo e l’hai calpestato – io ti venivo dietro, il fiore era a terra schiacciato, calpestato da te – Abele, perché hai calpestato il fiore? Questa pagina può essere fotocopiata esclusivamente per uso didattico - © Loescher Editore www.loescher.it/filosofiascienzeumane L’opera è evidentemente un dramma sulla colpa; ma anche se il tormento esistenziale di Caino lo condurrà ad alzare la mano contro il fratello nel tragico gesto finale, l’autore sembra voler suggerire che il bene e il male forse non sono poi così nettamente separabili. La vicenda di Caino e Abele ha affascinato intere generazioni di scrittori e pensatori: in essa si trova condensato non solo il tema fondante del rapporto tra bene e male, la cui dialettica decide, inevitabilmente, l’esito dell’evolversi della civiltà, ma anche quelli connessi dell’odio, della violenza e della reazione che possiamo avere nei confronti di queste passioni. In particolare, non sono poche le rivisitazioni della vicenda biblica, e molte mettono in evidenza, se non una rivalutazione, almeno una rilettura del gesto di Caino e più ancora del tormento interiore che lo porta a compierlo (proprio come fa il dramma di Koffka). Caino è non solo il primo uomo nato da uomini della storia, ma anche, contemporaneamente, il primo assassino. Sembrerebbe, quindi, che la vicenda narrata in Genesi contenga in nuce questo nocciolo di verità: la violenza è intrinsecamente legata all’agire umano, fa parte costitutivamente del suo essere, è perennemente una delle possibili soluzioni ai problemi che egli possiede. Un grande filosofo del Seicento, Thomas Hobbes, ha parlato per l’appunto di quello stato di natura in cui l’uomo è un lupo per l’altro uomo; per evitare la lotta perenne tra uomini, e consentire una vita per quanto possibile al riparo dalle violenze, quindi una vita civile, ecco che gli uomini si costituiscono in società attraverso un patto, che li domina, e al quale devono obbedire: lo Stato (Leviatano) è il loro nuovo padrone. Che la violenza sia ineliminabile è tesi di molti altri studiosi più vicini a noi, quale ad esempio Wolfgang Sofsky (1952), per il quale «la violenza è inerente alla cultura», che viene «imposta e conservata con la violenza e mette a disposizione degli uomini i mezzi della distruzione»; sempre secondo Sofsky, «la violenza è il destino della nostra specie. Ciò che cambia sono le forme, i luoghi e i tempi, l’efficienza tecnica, la cornice istituzionale e lo scopo legittimante». Altro tema che si potrebbe far emergere è che in realtà Caino, nel conflitto che instaura con Abele, sta ponendo un dilemma fondamentale per l’umanità: Abele è il secondogenito, l’altro, colui che è venuto dopo; si sta ponendo quindi a tema il problema del rapporto con l’alterità, il diverso (Caino è ombroso, Abele è solare) e delle possibili risposte ad esso. Questa pagina può essere fotocopiata esclusivamente per uso didattico - © Loescher Editore www.loescher.it/filosofiascienzeumane