Torna sul grande schermo la boxe con una nuova

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Torna sul grande schermo la boxe con una nuova
Recensioni cinema e film | Persinsala.it
Emanuele
Marconi
31 agosto 2015
Torna sul grande schermo la boxe con una nuova figura di pugile
– Billy Hope – ispirato alle vicende di un famoso rapper.
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Bendaggi alle mani effettuati, guantoni indossati, un ultimo respiro:
l’ennesimo campione di pugilato della storia del cinema è pronto a salire
sul ring per il match decisivo. Billy “The Great” Hope (Jake Gyllenhaal) è
l’imbattuto campione del mondo dei pesi massimi leggeri ed è
contraddistinto da uno stile di combattimento offensivo e rabbioso. Vive
nel lusso insieme alla figlia Leila (Oona Laurence) e alla bella moglie
Maureen (Rachel McAdams) la quale, provata dalle sofferenze patite dal
marito, desidera per lui l’abbandono degli incontri di pugilato. Durante una
cerimonia di beneficenza, Billy viene provocato da un avversario: la
reazione è brutale e dalla rissa che ne scaturisce parte un involontario
colpo di pistola che ferisce mortalmente Maureen. In poco tempo, Billy
Hope si ritrova nella polvere. Dovrà, così, intraprendere un intricato
percorso di redenzione e di rinascita per riconquistare ciò che ha perso.
Dopo tanti campioni e tanti film sul pugilato, è più che comprensibile
l’ambizione dichiarata del regista Antoine Fuqua di non rendere la sua
opera «il solito film sul pugilato» e di volere per il ruolo di Billy Hope un
attore disposto a sottoporsi a duri allenamenti e a interpretare la parte
senza controfigure. Jake Gyllenhaal è perfetto nel ruolo e riesce a costruire
un personaggio dalle tante sfumature ma dal carattere ben definito: Billy
ama profondamente la sua famiglia, parla quasi sottovoce, appare, perfino
dopo le vittorie, sofferente, mostra sul ring il lato istintivo e rabbioso della
sua personalità. Il regista sfrutta frequentemente gli intensi primi piani sul
protagonista per “catturare” le emozioni e trasmetterle agli spettatori, sia
nelle scene intime sia in quelle di combattimento. Il lavoro effettuato su
queste ultime, in particolare, è interessante: le scene sul ring sono state
girate esattamente come viene fatto solitamente per la televisione, senza
luci di scena, ma adottando espedienti cinematografici come il ralenti, la
sfocatura e la soggettiva, seppur non apportando particolari novità di stile.
Nonostante il proposito di Fuqua di differenziarsi dai “soliti film”, infatti,
Southpaw non riesce a smarcarsi con decisione dai cliché – l’avversario
arrogante e provocatore, l’allenatore maestro di vita, il declino dell’eroe
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costretto a ripartire dal basso – mostrando, così, i propri limiti.
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Non mancano trovate geniali e immagini potenti e dense di significato: la
scala che conduce al piano della palestra di periferia è il simbolo della
strada in salita che attende Billy, l’ottima fotografia – curata dall’italiano
naturalizzato americano Mauro Fiore – sembra riflettere le sensazioni del
pugile.
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Southpaw, in effetti, non è tanto un film sul pugilato quanto un film che
mostra il percorso di redenzione di un uomo attraverso il pugilato e, più in
generale, attraverso lo sport, col carico di valori che esso trascina con sé.
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La vicenda, però, assume un significato più profondo accostando gli attori
(o quelli che dovevano essere gli attori) ai personaggi interpretati.
L’elemento più curioso è il fatto che il ruolo del protagonista doveva
inizialmente essere affidato a Marshall Mathers, meglio conosciuto come
Eminem, il celebre rapper bianco. Anzi, il progetto prese avvio proprio per
sua iniziativa e venne poi sviluppato dallo sceneggiatore Sutter che
dichiara: «ho pensato di raccontare la storia di Marshall attraverso il
pugilato». Così ci si accorge che la morte della moglie di Billy rimanda alla
morte dell’amico di Eminem Proof, che l’intenso rapporto con la figlia Leila
rappresenta il forte legame con la figlia del rapper e che, probabilmente,
la rabbia che il pugile mostra sul ring appare molto simile a quella che il
cantante sfogava nei propri testi. Da notare che, pur allontanatosi in
seguito dal progetto, Eminem firma due canzoni della colonna sonora.
Nel film, però, trova posto anche un altro celebre rapper americano: 50
Cent (Curtis Jackson) che interpreta l’affarista manager di Billy Hope che al
grido di «se è un affare si deve fare» incarna l’immoralità e la mancanza di
valori del business. Anche la scelta di 50 Cent è particolarmente oculata in
quanto il cantante, dopo il successo raggiunto tramite la musica, ha
avviato una ricca carriera come imprenditore.
Sorprende, dunque, che nel film non ci sia consistente spazio per il rap,
considerando anche la massiccia presenza, invece, del mondo della
periferia newyorchese, nella quale la cultura hip hop trova terreno fertile.
Concludendo, si può sostenere che Southpaw non è propriamente un film
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sul pugilato, non un film sullo sport, non un film sulla cultura rap nei
quartieri meno rinomati della Grande Mela. È piuttosto un film sul dolore,
sulla disperazione, sulla solitudine, sull’amore per la famiglia, sulla
possibilità di riscatto, sul percorso di redenzione di uomo segnato dalla
vita. È, in ultima analisi, un film che mostra l’immagine del campione che
si nasconde dietro il successo e dell’uomo che si cela dietro il successo (e
il fallimento) del campione.
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In Southpaw, dunque, non è tanto importante cosa avviene nel momento
in cui il pugile indossa i guantoni, ma cosa resta quando li toglie.
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Titolo originale: Southpaw
Regista: Antoine Fuqua
Sceneggiatura: Kurt Sutter
Attori principali: Jake Gyllenhaal, Forest Whitaker, Rachel McAdams, Oona Laurence
Fotografia: Mauro Fiore
Montaggio: John Refoua
Musiche: James Horner
Costumi: David Robinson
Produzione: Escape Artists, Fuqua Films, Riche Productions
Distribuzione: 01 Distribution
Genere: Drammatico
Durata: 124’
Uscita nelle sale italiane: 2 settembre 2015
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