NEGOZIO FIDUCIARIO - Studio legale tamborlini
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NEGOZIO FIDUCIARIO - Studio legale tamborlini
NEGOZIO FIDUCIARIO: EFFICACIA FORMALE E SOSTANZIALE Con la sentenza n. 10031/97, la Suprema Corte ha, per la prima volta, esaminato la natura del rapporto intercorrente tra la società fiduciaria ed il fiduciante. Prima di soffermarsi sul principio innovativo, che ha portato i giudici di legittimità a distinguere tra “proprietà formale” e “proprietà effettiva”, appare opportuno riassumere, seppur sinteticamente, il funzionamento del negozio fiduciario, unitamente ad alcuni cenni sull’istituto della fiducia, sul quale è imperniato il meccanismo di questa particolare tipologia negoziale. Con il negozio fiduciario1, come è noto, un soggetto, definito fiduciante, trasferisce ad un altro soggetto, definito fiduciario, un determinato bene, con l’accordo che il fiduciario utilizzerà il bene trasferitogli secondo le istruzioni ricevute dal fiduciante (amministrare il bene e, alla fine della gestione, ritrasferirlo al fiduciante; trasferire successivamente il bene ad un terzo indicato dal fiduciante, ecc.), e con l’obbligo, a carico del fiduciario, di ritrasferire il bene in seguito a semplice richiesta. Il fine, quindi, non è quello di realizzare uno scambio, o di arricchire il patrimonio dell’altra parte, ma piuttosto quello di conseguire un risultato diverso da quello traslativo, che dunque si atteggia come effetto puramente strumentale. Al fiduciario -che può essere persona fisica o giuridica- viene trasferita la titolarità del bene, la quale, però, ha una portata strumentale, essendo limitata dal vincolo obbligatorio assunto con il fiduciante mediante il pactum fiduciae, in forza del quale il fiduciario non può trasferire a terzi il bene, ma deve amministrarlo, secondo quanto pattuito, e comunque ritrasferirlo al fiduciante. Il patto non pretende la forma scritta, anche in caso di trasferimenti immobiliari, e può dunque essere provato liberamente2 In ogni caso, dunque, il negozio fiduciario ha effetto traslativo, ma tale effetto è limitato al suo interno dal pactum fiduciae. Risulta, pertanto, evidente la diversità di situazione giuridica rispetto alla simulazione assoluta, là dove l’effetto traslativo non si produce affatto. E’ anche evidente, però, l’affinità di situazione sul piano della fiducia. Anche nel caso di simulazione assoluta, infatti, il titolare apparente può alienare il bene a terzi, i quali, se in buona fede, faranno salvo il proprio acquisto, al pari dei terzi che si rendono acquirenti dal fiduciario, con l’importante differenza, peraltro, che, in tal caso, la buona fede non rileva, appunto perché il fiduciario è proprietario e la limitazione derivante dal pactum fiduciae è inopponibile ai terzi, secondo la generale regola dettata dall’art. 1372 cod. civ.. Diverse sono le ragioni che possono indurre il fiduciante a ricorrere ad un simile schema contrattuale; con tale espediente, ad esempio, questi ha la possibilità di 1 In dottrina, si vedano: JAEGER, Sull’intestazione fiduciaria di quote di società a responsabilità limitata, in Giur. comm. 1979, I, 181; LIPARI, Negozio fiduciario, Milano, 1984, 182 e 187; TRIMARICHI, Negozio fiduciario, in Enciclopedia del diritto, vol. XXVIII, Milano, 1978, 48; GALGANO, Il contratto, in Trattato di diritto civile, diretto da Cicu-Messineo-Mengoni, Milano, 1988, 421; MEO, Tendenze e problemi attuali dell’attività fiduciaria, in Giur. comm. 1989, I, 98. 2 Cfr. Cass. n. 6263/1988, in Foro it. 1991, I, 2495, con nota di VETTORI, nonché Cass. n. 560/1985, in Dir. giur. 1987, 268. mantenere la riservatezza circa il proprio patrimonio attraverso l’intestazione al fiduciario, il quale provvederà a gestire professionalmente il bene trasferitogli, investendolo nel modo più vantaggioso e procedendo agli opportuni disinvestimenti e reinvestimenti. In caso di beni immobili, il fiduciante gode di una tutela piuttosto intensa nei confronti dei terzi. Egli, infatti, può trascrivere, ai sensi dell’art. 2652 n. 2) cod. civ., la domanda di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre, di cui all’art. 2932 cod. civ., volta ad ottenere il ritrasferimento coattivo del bene, prevalendo in tal modo sui terzi che abbiano trascritto il proprio acquisto in un momento successivo. Tale tempestiva trascrizione consente, inoltre, al fiduciante di prevalere anche sugli eventuali creditori del fiduciario, che abbiano trascritto successivamente il pignoramento sul bene (immobile o mobile registrato) oggetto del trasferimento fiduciario. Il rimedio previsto dall’art. 2932 cod. civ. soccorre anche nell’ipotesi in cui il fiduciario, al termine del rapporto, rifiuti di ritrasferire il bene al fiduciante; quest’ultimo, infatti, in base alla norma da ultimo citata, può ottenere una sentenza costitutiva , la quale opera il ritrasferimento del bene stesso. Qualora, invece, il fiduciario, -che è pieno titolare- abbia alienato il bene ad un terzo in violazione del pactum fiduciae, il fiduciante non può opporre al terzo l’esistenza del patto allo scopo di recuperare il bene. Infatti, il pactum fiduciae genera un’obbligazione che può essere fatta valere solo nei confronti del fiduciario. Pertanto, il terzo acquista efficacemente, anche se è in mala fede, ed il fiduciante ha solo il diritto a pretendere dal fiduciario il risarcimento del danno conseguente alla violazione del pactum fiduciae. In tal senso operano le società fiduciarie3, istituite con la legge n. 1966 del 23 Novembre 1939, il cui oggetto sociale consiste istituzionalmente nell’“assumere l’amministrazione dei beni per conto dei terzi, l’organizzazione... ...di aziende e la rappresentanza dei portatori di azioni e di obbligazioni”4. A tale legge, si è poi aggiunta la legge n. 1 del 2 Gennaio 1991, la quale ha operato una suddivisione, distinguendo tra le fiduciarie che svolgono “attività di gestione di patrimoni mediante operazioni aventi ad oggetto valori mobiliari, in nome proprio e per conto di terzi” -di fatto, assimilate alle SIM-, e società fiduciarie cui è concesso lo svolgimento di tutte le altre attività indicate dalla legge n. 1966/1939, con eccezione dell’attività di gestione di patrimoni, ad esse preclusa5. Successivamente, il D. lgs. n. 415/1996 ha ulteriormente equiparato alle SIM le società fiduciarie, prevedendo, per quelle che risultino iscritte nella sezione speciale dell’albo di cui all’art. 3 l. n. 1/1991, l’introduzione obbligatoria della locuzione “società di intermediazione mobiliare” nella denominazione sociale. Esse, inoltre, non sono più soggette alla disciplina prevista dalla citata legge n. 1966/1939, trovando applicazione le disposizioni dettate per le SIM, qualora intendano esercitare il servizio di gestione di portafogli di 3 Per una panoramica sulla disciplina delle società fiduciarie, si veda BORGIOLI, Società fiduciaria, in Enc. giur., XXIX, Roma, 1993, nonché NUZZO, Società fiduciaria, in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, 1094. 4 Così recita l’art. 1 della legge istitutiva delle società fiduciarie. 5 Questo è il quadro delineato dall’art. 17 della legge n. 1/1991. 2 investimento attraverso l’intestazione fiduciaria. Tale opzione, però, oltre a determinare un mutamento del quadro normativo di riferimento, comporta una preclusione con riferimento all’esercizio degli altri servizi di investimento, restando l’attività di gestione fiduciaria l’unica consentita6. Il fulcro del negozio fiduciario è costituito dalla fiducia7. La fiducia trae le proprie origini dal diritto romano, nel quale era presa in considerazione come il contratto in forza del quale taluno, che, per un fine determinato, ha avuto trasmessa una cosa da altri mediante mancipatio o in iure cessio, si obbliga a rimanciparla od a ricederla in iure, quando il fine sia venuto meno. Essa è volta ad utilizzare il negozio per il conseguimento di un fine particolare, senza che la prestazione ivi dedotta sia condizionata a tale conseguimento, ma semplicemente imponendo al fiduciario un obbligo collaterale, che resta estraneo ed autonomo rispetto alla struttura del negozio di attribuzione, con conseguente inidoneità ad alterarne l’efficacia. Dal punto di vista delle finalità che si intendono perseguire, si distingue tra fiducia cum creditore e fiducia cum amico. Si ricorre alla prima, quando la proprietà è trasmessa a garanzia di un credito; la seconda, invece, veniva utilizzata per realizzare diversi altri scopi, per il cui perseguimento l’antico ordinamento non prevedeva mezzi più idonei. La fiducia basata sul trasferimento della proprietà è la fiducia c.d. romanistica, accolta nel nostro ordinamento. Secondo tale ricostruzione, l’acquisto fiduciario di titoli azionari deve qualificarsi come interposizione reale, cui consegue l’acquisto della proprietà da parte del fiduciario. In altri ordinamenti, come quello tedesco, il negozio fiduciario è invece costruito come interposizione formale, cui consegue una scissione tra diritto di proprietà e legittimazione, rimanendo il fiduciante proprietario effettivo, e spettando al fiduciario l’esercizio del diritto. La fiducia germanistica è, peraltro, perfettamente adattabile al caso della intestazione fiduciaria di azioni, quando, mediante le formalità di legge, si attribuisce la legittimazione, ma non si conclude il negozio di trasferimento, indispensabile per il passaggio della proprietà. La fiducia germanistica è infatti alla base della legislazione sulle società fiduciarie, le quali sono tenute a dichiarare le generalità degli effettivi proprietari dei titoli azionari intestati a proprio nome (art. 1 R.D. 29 Marzo 1942 n. 239 e art. 9 L. 29 Dicembre 1962 n. 1745). Tale distinzione è stata già colta dalla Corte di Cassazione in una recente decisione, secondo la quale “nel caso in cui -come nella specie- il fiduciario sia rappresentato da una società fiduciaria, istituzionalmente esercente l’amministrazione di beni per conto terzi, debba applicarsi lo schema della fiducia di tipo germanistico”8. Nell’operare la sussunzione del negozio fiduciario agli schemi contrattuali previsti dal nostro ordinamento, la dottrina giunge a soluzioni diverse. 6 Per un commento sul Decreto legislativo, si veda PALMIERI, L’eurosim, in Commentario, a cura di Campobasso, Milano, 1997, 387. 7 Cfr. ARANGIO-RUIZ, Istituzioni di diritto romano, Napoli, 1987, 307. 8 Cass. n. 9355/1997, inedita. 3 Per alcuni, infatti, il titolo su cui si basa l’attività delle fiduciarie, consistente nell’amministrazione di beni per conto di terzi senza divenirne proprietarie, deve essere identificato nel mandato senza rappresentanza, o nel deposito9. Secondo altri, la fiducia romanistica appare, invece, l’unica concepibile, se il fiduciario acquista titoli di credito, a proprio nome, ma nell’interesse del fiduciante, il quale fornisce la provvista. In tal caso, infatti, sarebbe il fiduciario a divenirne proprietario, poiché non troverebbe applicazione l’art. 1706, primo comma, cod. civ. in tema di mandato senza rappresentanza ad acquistare beni mobili, quali sono i titoli di credito. In materia di titoli di credito, infatti, non opera, in sede di passaggio della proprietà, il principio del consenso traslativo, cosicché il fiduciario sarà proprietario dei titoli acquistati a proprio nome; ciò in quanto si ritienga che non si verifichi l’acquisto automatico in capo al fiduciante-mandante, in assenza della consegna dei titoli, della girata o del transfert. Resta, peraltro, fermo l’obbligo del fiduciario di procedere al ritrasferimento della proprietà al fiduciante, mediante l’attribuzione del possesso qualificato (anche ai fini della legittimazione)10. Non mancano, infine, tesi meno estreme, che individuano nel negozio fiduciario un contratto misto, in cui si fondono gli elementi della prestazione d’opera intellettuale e del deposito11, o che ritengono che la determinazione del tipo contrattuale cui ricondurre l’incarico alla società fiduciaria non possa prescindere da un’analisi di ogni singolo caso, con particolare attenzione alla volontà manifestata dai contraenti12. Trasferendoci alla fattispecie concreta13, che ha dato origine alla sentenza in commento, è necessario premettere che i fatti per cui era causa si sono svolti precedentemente l’entrata in vigore della legge n. 1/1991, la quale aveva formalmente stabilito la separazione fra il patrimonio del cliente e quello della fiduciaria. E’ per tale motivo che la Corte ha basato la propria motivazione sull’esame di norme codicistiche di portata generale, rispetto alle quali la legislazione successivamente entrata in vigore si pone in evidente rapporto di specialità. Proprio in ciò risiede la particolare rilevanza della decisione in esame, in quanto il principio di separazione dei patrimoni viene considerato come da sempre esistente nel nostro ordinamento, a prescindere da una espressa previsione normativa. A tale conclusione, la Suprema Corte perviene attraverso un’attenta analisi di alcune norme del Codice Civile in tema di deposito14, con particolare riferimento all’art. 1770, primo comma, a mente del quale “il depositario non può servirsi della cosa depositata... ...senza il consenso del depositante”, nonché all’art. 1782, primo comma, secondo il quale “se il deposito ha 9 Così SCHLESINGER, in AA. VV., Gli aspetti civilistici e fiscali dell’intestazione fiduciaria, Milano, 1976, 45. In tal senso JAEGER, Sull’intestazione fiduciaria di quote di società a responsabilità limitata, in Giur. comm. 1979, I, 181. 11 E’ la tesi di NUZZO, op. cit., 1108. 12 Si veda BORGIOLI, op. cit., 5. 13 Con riferimento alla sentenza in commento, cfr. D’ALESSANDRO, Dissesto di intermediario mobiliare e tutela dei clienti, in Giur. comm. 1997, I, 465; JAEGER, La separazione del patrimonio fiduciario nel fallimento, Milano, 1968. Sono anche interessanti le note di commento a Trib. Torino 28 Febbraio 1991, in Banca borsa e titoli di credito 1992, II, 478, a cura di SEPE, Tutela concorsuale del fiduciante e separatezza patrimoniale nel regime della legge SIM, e di MAYR, L’ambito di applicazione dell’art. 103 legge fallimentare. 14 Con ciò, fornendo un’implicita qualificazione del negozio fiduciario, che viene, per molti versi, ricondotto al contratto di cui all’art. 1766 cod. civ.. 10 4 per oggetto una quantità di danaro o di altre cose fungibili, con facoltà per il depositario di servirsene, questi ne acquista la proprietà ed è tenuto a restituirne altrettante della stessa specie e qualità”. Dalla norma da ultimo citata, i giudici di legittimità deducono la mancanza di automaticità dell’acquisto della proprietà in capo al depositario (fiduciario); tale acquisto, infatti, avviene unicamente qualora a quest’ultimo sia concessa la facoltà di utilizzare, nel proprio interesse, i beni oggetto del contratto; in questo caso, dunque, all’assetto causale proprio del deposito, si affianca una funzione di finanziamento, la cui operatività giustifica la previsione normativa contenuta nel secondo comma della disposizione da ultimo citata, in forza della quale il contratto di deposito è regolato dalle norme relative al mutuo, in quanto compatibili15. L’applicazione di tale principio al caso di specie non può prescindere da un’attenta indagine sulla reale volontà delle parti in sede di conclusione del contratto16, atteso che il patto aggiuntivo, con il quale viene attribuita al depositario la facoltà di servirsi del bene fungibile, non deve osservare alcun obbligo di carattere formale. Da ciò deriva che, ove sia dato modo di ravvisare nel comportamento delle parti l’intenzione di dar vita ad un contratto di deposito irregolare, la conseguente confusione patrimoniale ben potrà essere invocata dal depositario, in capo al quale, però, incomberà l’onere della prova in tal senso. Qualora, invece -come nella fattispecie che ci occupa- la causa del contratto risieda nell’amministrazione di titoli, da attuarsi attraverso la loro intestazione fiduciaria, troverà applicazione il principio della separazione patrimoniale, che -nel caso di fallimento del fiduciario- potrà utilmente essere fatto valere mediante l’esperimento della domanda di rivendicazione, restituzione e separazione di cose mobili disciplinata dall’art. 103 L.F.. A sostegno di tale ragionamento, la Corte indica una serie di disposizioni normative17, le quali, nell’escludere che le società fiduciarie possano liberamente disporre dei beni ricevuti in consegna dai fiducianti, qualificano questi ultimi come “proprietari effettivi” di detti beni, così delineando in maniera inequivocabile il carattere meramente formale dell’intestazione fiduciaria. Per contro, la giurisprudenza di merito sosteneva che “con l’intestazione fiduciaria dei titoli azionari si realizza un fenomento di interposizione reale, mediante il quale l’interposto acquista effettivamente la titolarità delle azioni”18; l’effetto dell’intestazione fiduciaria, pertanto, si riteneva fosse quello di “far divenire il fiduciario reale titolare”19. Il principio dell’interposizione formale, peraltro, era già stato affermato dalla Corte di Cassazione in un’importante decisione, presa a Sezioni Unite, in materia 15 Si veda, in particolare, il paragrafo 5.1 della motivazione. Da ultimo, sull’applicazione dell’art. 1782 cod. civ., si veda Pret. Macerata 4 Aprile 1997, in Foro it. 1997, I, 2012. 17 Si trovano nel paragrafo 5.2 della sentenza in commento, cui ci si permette di rinviare. 18 Trib. Como 23 Febbraio 1994, in Le Società 1994, n. 5, 678, con nota di CARBONE, il quale distingue tra fiducia dinamica e fiducia statica, a seconda che si renda necessario, o meno, il trasferimento del bene al fiduciario; tale distinzione si trova anche in Cass. n. 6024/1993, in Corr. giur 1993, 7, 855; si veda, inoltre, Trib. Piacenza 10 Agosto 1993, in Banca borsa e titoli di credito 1994, II, 537, con nota di CAREDDA. 19 Corte di Appello Milano 3 Luglio 1992, in Vita not. 1993, 1484. 16 5 tributaria, nella quale si era sostenuta la prevalenza della titolarità effettiva sulla titolarità apparente20. La sentenza che si commenta, invero, presenta una più ampia portata innovativa; i Giudici di legittimità, infatti, avevano precedentemente statuito che “le domande di rivendicazione, restituzione o separazione, previste dall’art. 103 L.F. non sono ammissibili in relazione alle cose fungibili e, in particolare, al denaro”21, con ciò restringendo l’applicabilità della norma indicata alle ipotesi in cui la cosa sia stata determinata nella sua specifica individualità, essendo configurabile, in caso contrario, soltanto un diritto di credito alla restituzione del tantundem, azionabile nei confronti della curatela del fallimento secondo le modalità e con gli effetti previsti dagli artt. 93 e ss. L.F.. Pertanto, l’applicazione del principio di separazione dei patrimoni, desumibile, come visto, dalle diverse disposizioni normative citate dalla sentenza in esame, veniva spesso frustrata dalla pretesa esigenza di individuazione specifica dei beni affidati in amministrazione, posta dalla precedente giurisprudenza come condizione di applicabilità dell’art. 103 L.F.. La chiave di volta, fornita dalla recente pronuncia, scaturisce proprio dall’esame della ratio di detta norma. La finalità che essa si prefigge è, infatti, quella di operare una distinzione tra beni che contribuiscono a formare il patrimonio del fallito e beni che, rispetto ad esso, rimangono, invece, estranei. L’individuabilità è, dunque, richiesta, allo scopo di evitare che si verifichi una confusione tra le due indicate categorie di beni. Orbene, la necessaria presenza di tale requisito risulta evidentemente superata, qualora venga fornita la prova del determinarsi di “una situazione idonea ad impedire che la cosa della quale si reclami la restituzione si sia confusa nel patrimonio del fallito, entrando a far parte dei beni oggetto di sua proprietà”22. Nella fattispecie in esame, tale principio trova perfetta applicazione; infatti, l’estraneità dello schema causale del negozio fiduciario rispetto al contratto di deposito irregolare comporta, come detto, la mancata acquisizione in capo al fiduciario della titolarità del bene, che rimane di proprietà del fiduciante. Conseguentemente, non è configurabile un’ipotesi di confusione tra patrimonio del fiduciario e patrimonio del fiduciante, i quali rimangono separati. L’unica possibile commistione rischia, eventualmente, di avvenire tra i patrimoni di più fiducianti, amministrati dalla stessa società fiduciaria; la relativa mancata individuazione dei beni, però, ha in tal caso rilevanza unicamente tra i diversi fiducianti, non afferendo in alcun modo al rapporto tra questi ed il fallimento del fiduciario. Il principio dell’interposizione formale e della separazione patrimoniale, così decisamente e compiutamente ribadito dalla Suprema Corte, oltre a fornire una ricostruzione del negozio fiduciario sicuramente più aderente al dato normativo, costituisce una maggiore garanzia per i terzi, la tutela delle cui ragioni era risultata spesso frustrata dal ricorso allo schermo fiduciario; in particolare, il riferimento è, da un lato, ai creditori del fiduciario, nel caso di dissesto di quest’ultimo (di cui si è occupata la sentenza esaminata); dall’altro, ai creditori del fiduciante, i quali ben 20 Cass. n. 6478/1984, in Dir. fall. 1985, II, 426. Cass. n. 4262/1990, in Dir. fall. 1990, II, 1398 ed in Giur. comm. 1991, II, 608. 22 Così la sentenza, a pag. 25. 21 6 potranno far valere il proprio diritto, agendo in sede esecutiva, senza che l’eccezione relativa all’avvenuta intestazione fiduciaria possa essere sufficiente al fine di sottrarre all’esecuzione i beni del fiduciante debitore, in considerazione dell’efficacia meramente formale dell’interposizione. EUGENIO TAMBORLINI 7