Intervista Prof. Lorenzo Zino

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Intervista Prof. Lorenzo Zino
Prof. Lorenzo Zino, Lei è autore di un prezioso saggio di Psicoanalisi dal titolo "Gelosia".
Può raccontarci come la Psicoanalisi può spiegare il fenomeno della gelosia? Quali sono gli
aspetti centrali che conducono a vivere tale disagio esistenziale? Quali sono i motivi che
rendono una persona gelosa?
La psicanalisi non ha tanto il problema di spiegare o meno il fenomeno della gelosia
– in realtà questo non è difficile, lo vedremo dopo – quanto quello di lavorare con
un soggetto che si oppone con tutte le proprie forze alla conclusione della sua
gelosia. La domanda d’analisi può presentare la gelosia come qualcosa da cui si
vuole difendersi, e rispetto ad essa si invoca un argine, al limite una scomparsa; ma
insieme avvertiamo con evidenza che la gelosia è ciò da cui il soggetto stesso è più
catturato, e non può farne a meno. E’ la sua trappola, ma ama il proprio carceriere.
E’ la sua identità.
Questo ci porta alla ratio della gelosia. Il bisogno di avere un senso, un fondamento,
non passa più dall’amore ma dal risentimento. Come sappiamo quest’ultimo è una
delle figure dell’odio, del lavoro dell’odio. La gelosia non è un discorso dell’amore,
come spesso purtroppo si continua a credere («lo amo tanto e per questo sono
gelosa da morire»), ma un discorso dell’odio. L’inganno, il sospetto, la malafede,
diventano il nutrimento del geloso. Ed allora non sa più parlar d’amore.
E questo è il punto. E’ nell’amore cha va scorta la torsione soggettiva che porta alla
gelosia, ad una delle figure dell’odio, come abbiamo detto. Per meglio dire, è in una
sorta di impaccio – impeachment, si direbbe nel linguaggio giuridico: è davvero di
una destituzione che si tratta, preceduta da una messa in stato d’accusa – che il
soggetto viene a trovarsi, un impaccio ad amare, e precisamente nel luogo dove
l’amore implica la fiducia. Non se ne può prescindere, l’amore è fatto di fiducia, ed è
questo il punto dove l’amore rende chiunque assolutamente vulnerabile. Incertus
pectora versat amor, scrive Ovidio: l’amore versa l’incertezza nel cuore degli uomini
– proprio così, la ‘versa’ come si fa con un’ampolla dentro un vaso.
Il geloso non tollera l’affidarsi, il consegnarsi all’altro, così specifico dell’esperienza
amorosa. Non lo sa più fare, non lo vuole fare, lo teme al massimo del suo essere;
per questo istituisce un tribunale e processa non soltanto il suo partner ma l’amore
stesso, l’amore in quanto tale. Ed è per questo che l’amore viene messo in stato
d’accusa, viene dichiarato destituito. Il soggetto revoca l’amore dentro se stesso, lo
abroga in se stesso, o disdice se stesso in rapporto all’amore – che è lo stesso. E’
proprio di una disdicenza che si tratta, un dire al contrario, come dare una disdetta
o rescindere un accordo.
Le parole vanno all’inverso, risalgono il torrente del discorso amoroso al contrario,
non sono più quelle di prima. In ogni frase il geloso invalida l’amore, è iniziato il
tempo della guerra.
Non stupisca l’uso denso di termini giuridici: tutto il dramma della gelosia si svolge
su una scena giudiziaria, intorno ad una fattispecie di reato e di colpevolezza.
Nella stanza di consultazione di un analista, il paziente geloso parla del modo in cui si
rappresenta il proprio corpo e i corpi dell'altro. Penso ad esempio alle tipiche affermazioni
di una persona gelosa che si avverte in competizione rispetto a determinati canoni estetici.
Cosa può dirci a riguardo? Che legame troviamo tra modo di percepire il corpo e mondo
dell'affettività?
Il geloso è afflitto per definizione, e tale afflizione si scrive anzitutto nel corpo. Esso
soffre, e s’offre alla vista solo in tal modo. L’enunciato reale della gelosia è «che il
gelo sia», ed il corpo è il primo ad essere ‘gelato’; si presenta come freddo e
distante, rigido, dai movimenti duri, secchi, aridi e spesso meccanici. Il sole ha
abbandonato la radura.
La gelosia poggia su un fondo d’isteria, e l’assioma portante di quest’ultima si deve
all’elaborazione di Aldo Rescio: esso risuona come «ho un corpo e non so che
farmene», e lo vediamo sopra tutto nel confronto impietoso e sempre già perduto
con il corpo dell’altro. La rivale è per definizione favorita nel proprio aspetto,
abitata da quella seduzione che il soggetto vede solo altrove, fuori da sé. In assenza,
per altro rara, di una rivale, vi sono i canoni estetici a perseguitare, sempre
favorevoli agli altri o alle altre, ed ormai inarrivabili.
Si può sostenere l’idea che Lei ispira nella sua domanda: effettivamente nel geloso il
modo di percepire il proprio corpo va insieme alla percezione del mondo
dell’affettività, l’uno è lo specchio dell’altro. Vive cioè allo stesso modo il corpo e il
mondo, se stesso e l’Altro. Il gioco di protezione è continuo, difficilmente si
interrompe o dà tregua, «il mio corpo non è (più) amato» e «il mondo lo sa, se ne
accorge, nemmeno lui mi ama più» si incrociano in profondità. A dispetto anche di
affermazioni come «potrei avere chi mi pare», «solo tu non mi apprezzi», «non
capisci cos’hai tra le mani», fino al fatidico «vado col primo che passa». Quando la
soglia del piacere di se stessi, del piacere di restare al tavolo della seduzione, si è
infranta e si s’impone ormai il cammino inverso, non si riesce più a promettersi
autenticamente. Ed allora quelle affermazioni sono purtroppo svuotate all’interno,
quasi delle caricature, dei mimi della propria fine. Ricorda il verso di Mogol scritto
per Lucio Battisti, «ho visto la mia fine sul tuo viso»? E quello che il geloso vede
ormai costantemente, solo che la “fine” è dentro di lui prima di essere proiettata
all’esterno.
Secondo la sua esperienza professionale, quali obiettivi si può proporre uno Psicoterapeuta
nel lavorare con la problematica della gelosia? Quali difficoltà può incontrare?
La psicoterapia non ha a che fare con la mia professione, se non in un senso vago.
Inoltre ne esistono oltre settecento tipi differenti, almeno per chi si prende la briga
di farne una sorta d’inventario, ed è difficile essere precisi a tale riguardo. E’ un
mondo confuso, il che non è necessariamente un male.
Resta il fatto che una professione siffatta, regolata da una legge – la 56/89 – senza
esserne definita, e per giunta inserita in una normativa che regola un’altra
professione – quella di psicologo – è qualcosa di anomalo in assoluto, priva com’è
perfino di una fattispecie professionale e giuridica. Ciò non toglie che uno
psicoterapeuta praticante possa sentirsi a pieno titolo giustamente legittimato dalla
propria storia professionale e dalla propria preparazione, ma a ciò purtroppo non
corrisponde una qualitas in lege che sarebbe più che necessaria, visto che il mondo
psicoterapeutico sembra non poterne fare a meno.
Questa digressione per ribadire la specificità della psicanalisi che, come si sa, non si
limita alla psicoterapia, pur contenendola. Secondo il principio maxime minima est
(«nel più ci sta il meno») infatti, ogni analista di solida formazione svolge
agevolmente attività psicoterapeutica e psicologica; sfortunatamente la gelosia non
è avvicinabile in forma terapeutica – e da cosa dovrebbe ‘guarire’? -, né si rivelano
sufficienti attività di riabilitazione – da quale danno? – o di sostegno – a proposito
di cosa? – tipiche dell’intervento psicologico. Per non parlare del prevedibile
fallimento di ogni terapia farmacologica, ipotesi assolutamente lunare nel caso di
una gelosia patologica.
Non resta che la psicanalisi. Essa opera favorendo l’ingresso del fantasma della
perdita nel campo della parola, e lentamente le cose cambiano. Il geloso sa già tutto
del suo ‘oggetto’, tutto quello che gli serve: è infedele, cattivo, ingannatore, si
approfitta del suo amore e della sua buona fede. Il verdetto è già emesso, la discolpa
è tanto infinita quanto inutile. La causa è già stata trovata, svuotata di qualunque
possibilità di cambiamento, ed al reo, nonostante ogni espiazione comunque
ipocrita, non sarà data possibilità alcuna di redenzione. I giochi sono fatti, e finiti.
Occorre un altro gioco, e per questo nessuna ‘terapia’ è adatta; il cammino verso
l’inconscio del geloso non ammette deviazioni terapeutiche, la meta è al centro del
soggetto, dove quest’ultimo è da tempo esiliato, destituito.
Chi si rivolge ad uno psicoterapeuta, nel caso della gelosia, che tipo di fantasie si ritrova a
vivere nei confronti del terapeuta? Che funzione hanno nel percorso d'analisi?
Abbiamo visto prima come la gelosia sia legata al discorso isterico. Altrettanto
possiamo aggiungere una certa affinità con le architetture della paranoia, evidente
nell’imporsi di tratti proiettivi come detto poco fa.
Ma ancora: come non vedere la potenza dell’imporsi di un discorso ossessivo,
attraverso il lavoro del rimuginare, del valutare e poi svalutare per rivalutare ancora
ogni elemento del dramma, dell’attenzione talvolta davvero maniacale per i dettagli,
sempre sfavorevoli e ingannatori, del dubbio costante non tanto sulla ‘ragione’
dell’esser geloso, quanto su come afferrare finalmente il significato di quel
particolare, di quella parola, o espressione, o smorfia del volto, e così via. Anche qui
un riferimento alla musica, se me lo permette: Senza fine è una brano assai bello,
nel suo titolo dice la questione della gelosia. E sotto la penna di Gino Paoli passò
allora anche la presenza di un certo incrocio con la potenza della melanconia.
Ecco allora il punto clinico più rilevante. Come si vede, l’esperienza della gelosia si
situa all’incrocio delle quattro grandi istituzioni cliniche della psicanalisi: essa
partecipa dell’isteria, della nevrosi ossessiva, della paranoia e della melanconia - il
termine attuale di ‘depressione’ perde quasi sempre il senso della melanconia, o
dell’accidia, e spesso non lo ritrova più. Tenendo anche conto del rischio
dell’imporsi di un discorso psicotico, imminente quando la permanenza nel punto
focale dell’incrocio diventa insostenibile.
Il lavoro clinico è dunque difficile, ora dovrebbe essere evidente. Da tempo lavoro ai
registri dell’appello, ovvero ai differenti modi nei quali si evidenzia come il soggetto
è inclinato nell’appellarsi all’Altro, al mondo, alla vita, alla sua storia, al futuro che
non trova. Nel suo appello all’analista si vede, dopo un certo tempo e quando siamo
anche un poco fortunati, quale registro d’appello è dominante sugli altri possibili: lì
troviamo ciò che orienta l’atto analitico, l’interpretazione, e un certo manégement
del transfert.
Solitamente all’imporsi di un registro d’appello primario corrisponde una trama
clinica specifica, ad esempio nel caso di un’analizzante donna che domanda l’analisi
a un’analista uomo vi possiamo scorgere come ella appelli l’analista nel luogo del
Padre, piuttosto che in quello del Fratello o dell’Amante. Da quel momento la
conduzione dell’analisi è radicalmente differente.
Immagini ora tra quante possibili combinatorie d’appello deve districarsi il lavoro
dell’analista nel caso della gelosia. Quest’ultima ne porta con sé una notevole
varietà, come si è visto, e l’analista deve seguirle tutte – ma proprio tutte – fino a
giungere al registro d’appello dominante. Il lavoro non è semplice, lo ripeto, ed
occorre una notevole esperienza clinica per il trattamento di un geloso. Egli è
situato dal suo sintomo nel punto focale dei destini degli uomini: chi può dire,
infatti, di essere sempre al sicuro?
Quali sono, a suo avviso, le competenze che uno psicoterapeuta può utilizzare nel trattare
la gelosia? A cosa deve prestare maggiormente attenzione nel trattare la gelosia?
Le rispondo ancora da analista. Tenendo conto di quanto detto, vorrei rivolgere
l’attenzione maggiore al fatto che la gelosia esprime cose che il sintomo condensa –
secondo l’insegnamento di Freud – e che senza quella gelosia il soggetto potrebbe
rischiare moltissimo. Le potenze che lo occupano sono esorbitanti, e potrebbero
soverchiarlo in qualsiasi momento. Il fatto che la spia sul cruscotto sia molto
comune e apparentemente semplice da articolare, non significa affatto che lo stato
del motore sia rassicurante. Occorre pazienza, può essere arduo portare il soggetto a
lavorare su se stesso e sui rischi che corre, ma una volta raggiunta quella riva
potremo guardare al mare con più fiducia.