L`etica oltre la globalizzazione

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L`etica oltre la globalizzazione
L'etica oltre la globalizzazione - Sono trascorsi quasi 8 mesi dalla - Il Sole 24 ORE
14 dicembre 2013
L'etica oltre la globalizzazione
di Andrea Goldstein
Sono trascorsi quasi 8 mesi dalla tragedia del Rana Plaza, il crollo di una fabbrica nei dintorni di Dacca che
fece 1.133 morti. Non certo il primo evento di questo genere in Bangladesh - secondo Fatal Fashion, tra il
2006 e gennaio 2013 le vittime sono state quasi 600 in 245 incendi - ma per le sue dimensioni spaventose
quello del 24 aprile ha rivelato quanto sia difficile combinare globalizzazione, sviluppo ed etica. Un tema che il
rogo di Prato del 1° dicembre mostra essere di drammatica attualità anche in Italia.
Il progressivo trasferimento dell'industria del tessile-abbigliamento verso Paesi con salari risibili e condizioni
di lavoro spesso inaccettabili è l'altra faccia di prezzi di vendita al dettaglio bassissimi. Negli ultimi 5 anni, il
prezzo medio dei prodotti del Bangladesh è calato del 12%. I consumatori sarebbero magari interessati a
conoscere le condizioni di produzioni di magliette o mutande che acquistano per pochi euro: in quali
fabbriche vengono rispettati standard minimi di sicurezza e igiene (come lasciare libere le uscite d'emergenza
e fare la manutenzione degli estintori)? Dove vengono pagati regolarmente gli stipendi? Non sempre queste
informazioni, che renderebbero possibili decisioni oculate e che inciterebbero le marche occidentali a
comportarsi meglio, sono disponibili. Chi conosce per esempio le concerie di Hazaribagh, in Bangladesh, che
secondo Green Cross e Blacksmith Institute, due organizzazioni non governative (la prima creata da Mikhaïl
Gorbatchev), sono tra le più inquinanti al mondo? Eppure sono fornitori importanti per l'industria mondiale
della calzatura.
Il che non toglie che l'impatto della globalizzazione sia stato positivo. In Bangladesh, il tessile-abbigliamento
impiega più di 4 milioni di persone, soprattutto donne. Senza risorse naturali e vulnerabile a ogni tipo di
rischio politico e ambientale, tra il 1990 e 2011 il Paese ha registrato alcuni dei progressi più eclatanti al
mondo: 11 anni di durata di vita attesa guadagnati, sorpassando di 4 anni (70 contro 66) l'India che pure ha
un reddito pro capite medio doppio. Ha giocato anche l'interazione tra occupazione femminile,
comportamenti riproduttivi, empowerment e investimenti privati in capitale umano. La contraccezione è
molto più diffusa che in Pakistan e tra le operaie è quasi universale; molte delle donne che accedono al
microcredito - Grameen Bank è nata proprio in Bangladesh - lavorano nel tessile-abbigliamento.
È legittimo immaginare che le cose andrebbero molto meglio se la qualità delle istituzioni fosse superiore. La
corruzione è quasi endemica - il Bangladesh occupa la posizione 136 (su 175 Paesi) nell'indice di Transparency
International. La metà dei deputati ha interessi nel tessile-abbigliamento e la costruzione del Rana Plaza era
stata autorizzata malgrado le condizioni non fossero soddisfatte.
La risposta dell'industria è stata pressoché immediata. Di fronte al rischio di intaccare irrimediabilmente la
propria reputazione, le marche internazionali si sono impegnate ad aiutare le vittime del rogo e migliorare le
condizioni di lavoro. La risposta non è però stata univoca. Gli europei si sono impegnati a pubblicare i
rapporti sulle singole fabbriche e rendere noti i nomi delle imprese coinvolte; gli americani hanno lanciato
un'iniziativa molto simile, ma non vincolante. Gli incidenti, in ogni caso, continuano, l'ultimo ha fatto 9
vittime.
Il 21 novembre il governo ha rivalutato del 77% il salario minimo a 5.300 taka (50 euro). Un segnale, anche se
secondo l'Asia Floor Wage Alliance per vivere degnamente in Bangladesh sono necessari più di 25mila taka.
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Oltretutto l'aumento è limitato agli operai che guadagnano il minimo e i datori di lavoro minacciano di ridurre
altri emolumenti, per trasporto e refezioni.
Non è facile trovare la quadratura del cerchio. Costi del lavoro ancora più infimi che in Bangladesh si possono
trovare altrove, per esempio in Myanmar, e le condizioni di lavoro sono persino più difficili. In compenso chi,
come la Cambogia, ha fatto la scelta del clean clothing deve fare i conti con costi necessariamente più elevati.
Soprattutto, il Bangladesh ha sviluppato economie di scala (5mila stabilimenti, più che Indonesia e Vietnam
insieme) e gode di accesso al mercato europeo in esenzione da dazi, a differenza di rivali come Cina, India e
Sri Lanka. Non sorprende che prevalga la fiducia sulla capacità del settore di quadruplicare i volumi di
produzione nei prossimi 20 anni.
Aumentare la produttività sarebbe auspicabile, ma non è un obiettivo semplice. Anche se rimane alto (20%), il
rendimento degli investimenti nel tessile-abbigliamento è in calo e questo rende difficile trovare i
finanziamenti per modernizzare gli stabilimenti e formare la manodopera. Un segnale incoraggiante è
l'interesse di fondi specializzati nell'investire in imprese medio-grandi (anche in Cina, Vietnam e Cambogia)
per migliorare le condizioni sanitarie, ambientali e lavorative.
Il celebre giurista americano Louis Brandeis diceva che nessun disinfettante è più efficace che la luce del sole.
La trasparenza migliora molte cose, mentre Rama Plaza e Prato mostrano che l'opacità ha un costo
drammaticamente elevato.
14 dicembre 2013
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