Il Piccolo 9 febbraio 2016 Partorisce e nasconde il feto nell`armadio

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Il Piccolo 9 febbraio 2016 Partorisce e nasconde il feto nell`armadio
Il Piccolo 9 febbraio 2016 Regione Partorisce e nasconde il feto nell’armadio Sedicenne di Ronchi dei Legionari ricoverata a Monfalcone per emorragia uterina. La mamma trova il neonato in una borsa di Laura Borsani. MONFALCONE. Partorisce in casa a soli 16 anni e il feto, senza vita, viene rinvenuto nell’armadio, contenuto in una borsa. È accaduto a una minorenne residente a Ronchi dei Legionari. Tutto risale a venerdì quando la ragazza, accompagnata dalla madre, è giunta all’ospedale San Polo di Monfalcone accusando un’importante emorragia uterina. Ma del feto privo di vita, davanti ai sanitari intervenuti per bloccare l’evento emorragico, non è stato riferito nulla. La ragazzina, infatti, anche a fronte dei dubbi e interrogativi pure espressi dai sanitari, avrebbe sempre negato di essere incinta. Finchè la madre, secondo quanto s’è potuto apprendere, nel rientrare a casa per prelevare il pigiama e quanto necessario per la degenza in ospedale della ragazza, ha trovato il feto nell’armadio, all’interno di una borsa. E lo ha riferito quindi ai sanitari del San Polo. Da qui l’intervento delle forze dell’ordine che hanno avviato un’indagine. Gli atti dell’inchiesta, affidata ai carabinieri della Compagnia cittadina, sono stati inoltrati ieri mattina al Tribunale dei minori di Trieste, in relazione alla ragazzina, e alla Procura di Gorizia in ordine in particolare alle verifiche e acquisizioni di elementi all’ospedale di San Polo. Al momento, peraltro, non risultano ipotesi di reato. Intanto è attesa l’autopsia sul feto, custodito all’obitorio del San Polo, a disposizione dell’autorità giudiziaria. Quanto accaduto è un evento tanto delicato quanto complesso, per il quale rimane lo stretto riserbo da parte degli inquirenti. Gli elementi a disposizione sono piuttosto frammentari, e richiedono necessari e opportuni approfondimenti, tenendo comunque conto del coinvolgimento di una minorenne. Che sarà, del resto, inevitabilmente supportata da personale specializzato. I fatti dunque riconducono alla giornata di venerdì. In tarda mattinata, verso mezzogiorno, la sedicenne, che a giorni compirà 17 anni, si è presentata al Pronto soccorso assieme alla madre per un’importante emorragia uterina. Dopo le prime verifiche sanitarie in Pronto soccorso, la ragazza è stata ricoverata al reparto di Ginecologia-­‐Ostetricia dove è stata sottoposta a un intervento di revisione e raschiamento della cavità uterina. Intervento che ha permesso di fermare l’evento emorragico, mettendo così in sicurezza la salute della puerpera, fino a ieri ricoverata in reparto. Il tutto, a fronte della redazione del referto medico e dei prelievi del materiale biologico da sottoporre ad analisi. Atti, compresa la cartella clinica della puerpera, che sono stati acquisiti dagli inquirenti. Il fatto che la ragazza abbia avuto un’importante emorragia fa ipotizzare uno stadio avanzato della gravidanza, comunque non limitata ai primi mesi, anche se a stabilirlo sarà l’autopsia, che dovrà appurare altresì il momento della morte del feto rispetto al parto prematuro. La ragazza, da parte sua, secondo quanto risulta, avrebbe comunque continuato a negare il suo stato di gravidanza, anche davanti alle domande degli inquirenti. Facendo capire, piuttosto, di esserne all’oscuro, di fronte al feto successivamente rivenuto nell’armadio. Feto trovato dalla madre il giorno successivo al ricovero in ospedale della ragazza, quando la donna, recuperando gli indumenti di cambio per la figlia, ha rinvenuto quella borsa nell’armadio. Gli elementi e le circostanze che gli inquirenti dovranno chiarire, pur nell’inconfutabilità del feto nascosto nell’armadio dell’abitazione, spaziano su tutta una serie di aspetti. A partire dal parto prematuro, avvenuto in casa. Un evento complicato da gestire, non privo peraltro di possibili rischi per la partoriente e per il feto. Come non facile appare mantenere in qualche modo nascosto l’evolversi di una gravidanza. Sarà comunque l’autopsia a fornire elementi importanti al fine di stabilire innanzitutto lo stadio del feto e di risalire al momento della morte. 1 La psicologa «Per superare il trauma è necessario stare vicino a tutta la famiglia» di Tiziana Carpinelli. MONFALCONE. Si deve partire dal comprendere, prima ancora di mettere a fuoco cos’è successo a Ronchi, qual è la storia di questa ragazza che all’anagrafe ha solo 16 anni. La sua verità. Bisogna darle modo di parlare, di «riferire il suo punto di vista», le ragioni che l’hanno spinta ad affrontare tutto questo per gran parte in solitudine. È l’unico modo per aiutarla. Lo spiega Anna Roia, psicologa e psicoterapeuta di Neuropsichiatria infantile dell’ospedale Burlo Garofalo, che si occupa di disturbi emotivi e comportamentali in età evolutiva. L’abbiamo interpellata per supportare i genitori nella lettura dei segnali che tradiscono una difficoltà, un inciampo o uno scoglio insormontabile nel quale la vita di un figlio adolescente s’incaglia. Intanto: esistono degli indizi? «Parlando in termini generici -­‐ replica la psicologa Roia -­‐, perché il caso specifico non lo conosco, posso dire che si tratta di una domanda tipica, che mi viene sottoposta quando le famiglie portano i ragazzi qui per una consulenza psicologica. Vi sono senz’altro degli aspetti che possono essere valutati come dei campanelli d’allarme. Per esempio un cambiamento d’umore o comportamento, una chiusura, un maggior isolamento anche sociale: tutti segnali che fanno intuire come stia succedendo qualcosa di diverso rispetto a quanto finora accaduto». «Ovviamente -­‐ prosegue l’esperta -­‐ questo va considerato dando per scontato che c’è una certa comunicazione in famiglia. È vero inoltre che proprio nel periodo dell’adolescenza possono scoppiare determinate problematiche, però di solito non si propongono solo in quel momento lì ma rappresentano sovente l’esito di una situazione trascinatasi negli anni». Ma cosa può passare per la mente di un’adolescente che si trova a gestire una situazione così delicata da sola? «Questo è il grande quesito -­‐ risponde la dottoressa Roia -­‐, nel senso che a noi adulti vicende come questa possono sembra alquanto incomprensibili, invece un senso potrebbe esserci stato. Bisogna capire fino a che punto la ragazza fosse consapevole della situazione. Non va dato per scontato. Oppure potrebbe anche essersene resa conto, ma averlo in qualche modo negato rimandando il problema fino all’ultimo». Succede? «Sì -­‐ chiarisce -­‐: ci può essere una consapevolezza del problema e la decisione di posticiparlo finchè non ci si ritrova al punto finale. A me colpisce molto che la situazione sia stata gestita in completa solitudine, come se vi fosse l’incapacità di pensare alla possibilità di rivolgersi a delle persone di riferimento, quelle che accudiscono». Che risvolti ci possono essere dopo un fatto del genere? «È un’esperienza che appare traumatica -­‐ conclude Roia -­‐, l’importante è che si diano un senso e una ricostruzione a quanto successo. Se invece la cosa viene lasciata lì, allora può diventare un problema in seguito. Riuscendo a ricostruire, anche da un punto di vista emotivo, l’accaduto, può essere che lo si riesca a superare. Bisogna stare vicino alla ragazza, ascoltarla, darle la possibilità di spiegare, di dire qual è il suo punto di vista e offrirle anche un supporto per il futuro: a lei e ai genitori. Io mi preoccuperei anche di come sta la famiglia rispetto a ciò che è successo e a quello che poi verrà affrontato. Ora è necessario ascoltare, dare un supporto specialistico a tutto il nucleo, per aiutarlo a capire e a dare un senso a questa vicenda». Trieste Cardiopatie, gli esperti spiegano il “fai da te” Incontri con i cittadini per sensibilizzare sull’importanza dell’allertamento rapido e delle donazioni Ogni anno a Trieste nel Reparto di cardiologia dell’Ospedale di Cattinara vengono accolti 500 nuovi casi d’infarto miocardico acuto. Si tratta per il 75% dei casi di uomini, con un’età media di 69 anni mentre il 20% è di età inferiore a 55 anni. Un 20% di questi malati sono diabetici. Più del 70% dei pazienti viene “riperfuso” entro 90’ mediante angioplastica coronarica (la dilatazione con palloncino e l’apposizione di uno stent), il tempo medio fra l’allerta dei sistemi “118” e Pronto soccorso da parte dei pazienti e la riperfusione è 53’. La Cardiologia di 2 Cattinara è ospedale di riferimento per la provincia di Gorizia. La mortalità degli infarti miocardici più gravi è stata del 4,3% e scende a meno del 3% quando ci si rivolge all’ospedale entro 30 minuti. «Il tempo è muscolo» affermano gli specialisti e il ritardo nella chiamata al Sistema 118 da parte del paziente o della famiglia è una variabile fondamentale di efficacia delle successive cure. «Un sistema di continuità assistenziale ospedale-­‐territorio esistente da oltre 20 anni che include la Cardiologia ospedaliero-­‐universitaria di Cattinara, la Riabilitazione del cardiopatico all’Ospedale Maggiore e il Centro cardiovascolare dell’Azienda territoriale, garantisce cure avanzate e una presa in carico globale» afferma una nota degli organizzatori di “Cardiologie Aperte”. I cittadini sono invitati a partecipare alla manifestazione organizzata e supportata dall’Anmco, Associazione nazionale dei medici cardiologi ospedalieri e dalla Fondazione “Per il tuo cuore”. Da domani al 12 febbraio, dalle 17 alle 19, al Polo cardiologico dell’Ospedale di Cattinara, vi saranno incontri per i cittadini, gli ex pazienti, i familiari con lo scopo di allenarsi al riconoscimento e al trattamento dell’arresto cardiaco. Inoltre si avrà la possibilità di parlare con cardiologi, infermieri e fisioterapisti per comprendere come è possibile prevenire le malattie cardiovascolari. Il 13 febbraio, alle 14.30, l’evento si concluderà nell’Aula Foreman Casali, al piano terra dello stesso Polo cardiologico, con un incontro con il professor Gianfranco Sinagra e i cardiologi della Sc di Cardiologia che illustreranno l’importanza dell’immediato riconoscimento e trattamento dell'arresto cardiaco, la rilevanza della prevenzione dei fattori di rischio cardiovascolare e il valore, molto importante, delle donazioni di sangue e organi. Pianeta Scienza Il bisturi “intelligente” imita il serpente Studio della Sissa sulla mobilità dei rettili, modello per applicazioni anche in medicina L’andatura del serpente è fonte di ispirazione tecnologica: armoniosa, silenziosa, adattabile ed efficiente può essere implementata in dispositivi dalle applicazioni più svariate, dalle esplorazioni spaziali alla medicina. Una ricerca condotta da un team della Sissa, appena pubblicata sui Proceedings of The Royal Society A Mathematical Physical and Engineering Sciences, si inserisce in questo filone di ricerca. Nell’articolo viene proposta una descrizione matematica dettagliata di uno dei vari modi di muoversi tipici di quest’animale. Questo modello potrebbe per esempio trovare applicazioni nel campo biomedico, per la creazione di bisturi “intelligenti”, in grado di insinuarsi nei tessuti con il minimo danno. Non ha ruote, non ha zampe, non ha niente, eppure si muove e anche piuttosto velocemente. Il serpente sul fronte della mobilità è un gioiello ingegneristico, e non a caso viene studiato al fine di comprendere la fisica alla base del suo incedere. Giancarlo Cicconofri, ricercatore della Sissa, e Antonio DeSimone, professore della Sissa e direttore di MathLab, il laboratorio di simulazione matematica e calcolo scientifico della Scuola, hanno sviluppato un modello matematico in grado di descrivere nel dettaglio uno dei particolari modi di muoversi del serpente, descritto dall’espressione “serpente nel tubo”. Il “serpente nel tubo” è quel movimento che l’animale fa quando non si sposta lateralmente (senza scivolamenti o derapate) e si limita a scorrere lungo un “binario” sinuoso. «Il serpente riesce a muoversi comprimendo e decomprimendo la muscolatura, e sfruttando l’interazione con l’ambiente», spiega DeSimone. «Non siamo i primi a proporre un modello matematico per questo movimento, ma lo facciamo con una grande precisione. Il merito di questo lavoro è soprattutto quello di dare una descrizione precisa dell’interazione con l’ambiente in cui avviene il movimento». «Per capire meglio possiamo immaginare una delle possibili applicazioni dei nostri risultati», continua Cicconofri, che è il primo autore della ricerca. «Nel campo della chirurgia si potrebbero creare dei bisturi, o delle sonde, in grado di strisciare attraverso i tessuti fino al punto in cui devono svolgere la loro azione. È chiaro che mentre strisciano all’interno dell’organismo è auspicabile che facciano meno forza possibile su i tessuti che incontrano. Un modello come il nostro può essere 3 sfruttato per calcolare questo aspetto, al fine di ottimizzare il movimento della sonda», conclude Cicconofri. (l.str) Quel gene egoista che ha spiegato il senso della vita di MAURO GIACCA. Chi è cresciuto negli anni '70 ricorda sicuramente Konrad Lorenz, premio Nobel per i sui studi sull'etologia, inseguito dalle paperette su cui studiava l'imprinting. Erano quelli gli anni in cui l'interesse per la biologia delle specie animali e la loro varietà di comportamenti permeava la ricerca biologica. Le teorie della selezione naturale di Darwin venivano applicate ai singoli organismi, cercando di interpretare come questi sono fatti e come si comportano. Competizione tra i maschi per l'accoppiamento, cure parentali per la prole, comportamenti sociali delle specie venivano visti sotto la luce della pressione selettiva della natura e dell'adattamento del singolo organismo ai suoi cambiamenti. Poi comparve un libro che era destinato a cambiare per sempre lo scenario. Era il 1976 quando Richard Dawkins, biologo evoluzionistico a Oxford, pubblicò il suo "Il gene egoista". Presentava una visione drasticamente diversa della natura: non sono gli organismi che subiscono la pressione selettiva, ma i loro singoli geni. Il motore dell'evoluzione è il tentativo continuo del gene di essere trasmesso nelle generazioni successive. Solo il gene è immortale ed è il soggetto primario dell'evoluzione. Non contano i cromosomi, gli individui, i gruppi e le specie. Questi sono soltanto effimeri veicoli per i geni, come le barche sono veicoli per il talento dei vogatori che vi montano (analogia di Dawkins). Ecco che allora anche fenomeni biologici che gli etologi classici non riuscivano a spiegare avevano immediatamente senso. Tra questi il comportamento altruistico fino al sacrificio della vita: quello che conta è preservare un gene presente nel pool della specie, non il singolo corpo che lo alberga né tantomeno la specie stessa. Quando la sequenza del genoma umano fu decifrata nel 2001, fu un ulteriore tripudio per il concetto del gene egoista: più del 98% del nostro Dna non serve a codificare le proteine che compongono il nostro corpo, e più del 50% è fatto da sequenze ripetute. Sono tratti di geni egoisti, una specie di parassita che si automantiene avendo come unico scopo proprio quello di automantenersi. Le uniche componenti immortali degli orgnismi viventi sono i loro singoli geni: passano di generazione in generazione, forgiando i corpi perché si adattino ai cambiamenti della natura, con il fine unico di essere trasmessi alle generazioni future. A distanza di 40 anni dalla sua pubblicazione, "Il gene egoista" è stato tradotto in 25 lingue e ha venduto più di un milione di copie. Rimane un must nella biblioteca di ogni medico e biologo moderno e di chiunque abbia interesse a capire quale davvero sia il senso della vita. Lettere Ferriera. Indagine sui malati e sui morti Desidero rispondere al signor Silvano Baldassi che scrive che la lotta alla Ferriera è cavalcata per motivi politici e dice che la Ferriera fa ammalare la gente ma nessuno si è mai curato di presentare uno studio che metta in evidenza l’incidenza delle malattie e della mortalità tra i lavoratori della Ferriera, confrontandola con quella degli abitanti di Servola, di Barcola o altre località. Caro signor Baldassi, lei evidentemente non abita, e non ha famigliari, amici che vivono o lavorano in zona Ferriera. Non conosce nessuno di quella zona che si sia ammalato e morto, magari, di ogni genere di cancro. Io sono della zona di Costalunga, zona delle campagne di Trieste. Parte della mia famiglia sta a Valmaura. A me sono morti tutti e quattro i nonni di tumore. Tutti e quattro i nonni coltivavano la terra per la propria famiglia, per vendere i prodotti al mercato ed avevano animali propri. L’ultima mia cara nonna, è mancata quasi due anni fa, anche lei per tumore ai polmoni. La dottoressa ci ha chiamati per chiederci se potevamo darle l’ok per l’autopsia, vista la causa di morte, e parole sue, "visto che stanno facendo una statistica dei malati e deceduti di tumore in zona Ferriera". Io, non sono di nessuna parte politica, religione o altro. Ma, come diceva mia nonna, ragiono con la mia testa, 4 per quel che vedo e provo. Se la politica triestina prende questo problema per farsi la campagna per le prossime amministrative, affar loro. Domenica 31 gennaio ero in corteo, per la salute e per dire basta di essere presi in giro dai politici, e da chi sta con loro per comodo, non per fare del bene ai cittadini e alla città! Io sto per la salute, il rispetto delle persone, la presa di responsabilità, la chiarezza. Elena Svara Messaggero Veneto 9 febbraio 2016 Gemona, monito dei comitati sull’ospedale GEMONA. «Si attenda l’esito dell’esposto prima di investire 10 milioni di euro per la ristrutturazione dell’ospedale di Tolmezzo». Il coordinamento dei comitati a difesa del San Michele di Gemona intervengono in merito al prossimo investimento in programma all’ospedale carnico, ricordando che è ancora atteso l’esito dell’esposto alla Corte dei conti presentato proprio dai comitati in merito all’opportunità di effettuare investimenti pubblici per la messa in sicurezza delle strutture sanitarie pur essendo il nosocomio gemonese completamente anti-­‐sismico. «Lanciamo un monito – dicono i comitati – per quanto riguarda i dieci milioni previsti per l’adeguamento antisismico di Tolmezzo. A riguardo pende un nostro ricorso alla Corte dei conti, considerato che il San Michele è già una struttura totalmente antisismica di primo grado e che la presidente Serracchiani e la sua maggioranza di centro Sinistra vorrebbe declassare a poliambulatorio/cronicario. Se verrà riconosciuto il danno erariale, chi ne risponderà?»(p.c.) Forza Italia e M5S difendono il punto nascita di Latisana LATISANA. Una deroga per Latisana e per Tolmezzo. È quanto – secondo i portavoce del Movimento 5 Stelle, Andrea Ussai e Cristian Sergo – la Regione dovrebbe chiedere al Ministero per la salute, vista la recente apertura e «considerando l’aumento del numero dei parti, la disponibilità dei pediatri (che hanno risposto al bando di dicembre) e l’elevato numero di prestazioni legate all’urgenza pediatrica al quale l’ospedale di Latisana dà risposta». «A nostro avviso – aggiungono in una nota i due pentastellati – va chiesta quanto prima una deroga al ministro Lorenzin per il punto nascita di Latisana, ma anche per quello di Tolmezzo, che ha chiuso poco sopra i 500 parti, perché in virtù della loro posizione geografica rappresentano due presidi assolutamente indispensabili della rete ospedaliera regionale». Riccardo Riccardi, capogruppo di Forza Italia in consiglio regionale, nel commentare le ultime vicende legate al punto nascita di Latisana e in particolare all’iniziativa di “mail bombing” avviata dal comitato spontaneo di cittadini, ricorda come «in questi giorni numerosi hanno scritto, chiedendo alla presidente Serracchiani di non chiudere il punto nascita dell’ospedale di Latisana, che a oggi – sottolinea Riccardi in una nota – supera il limite minimo dei 500 parti l’anno e l’avviso per la ricerca di due pediatri, mi risulta abbia registrato oltre una decine di domande. La presidente Serracchiani non ha più alibi e sulla base dei dati oggettivi, modifichi la delibera, prevedendo nell’Aas 2 tre punti nascita, Latisana compresa». Quanto alla smentita, arrivata dal Ministero della salute, alle dichiarazioni dei consiglieri regionali di Ncd, Riccardi commenta: «Non credo sia di grande interesse sapere se, dopo aver letto i giornali, Debora Serracchiani abbia raggiunto la Lorenzin per pretendere la smentita di Cargnelutti e Colautti». (p.m.) 5