L`ideologia ed i giovani - Il memoriale della libertà

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L`ideologia ed i giovani - Il memoriale della libertà
L’Ideologia e i Giovani:
plagiati, illusi, traditi, uccisi.
Gli altoparlanti gracchiavano già da una o due ore canzoni ed inni fascisti e patriottici sulla piazza
Trento e Trieste o piazza dell’0lmo per i paesani. Per le ore 17 del pomeriggio era atteso con ansia e
un po’ di paura un discorso del Duce di enorme importanza. Il segretario del Fascio di Fiuggi
l’aveva fatto annunciare dalle prime ore del mattino attraverso il banditore pubblico che girava tutti
gli angoli del paese, e, dopo il suono bitonale caratteristico della trombetta di ottone aveva
annunciato il grande evento del pomeriggio ed invitava tutta la popolazione ad intervenire. Alle16
la piazza era piena di gente in paziente attesa. Nel balconcino al primo piano del municipio
esattamente dove le due ali del municipio si incontrano quasi ad angolo retto faceva bella mostra di
sé un grande fascio di vetro colorato come la bandiera , bianco, rosso verde, illuminato all’interno
da lampadine elettriche. Ai lati del fascio due grandi altoparlanti per trasmettere la voce del Duce
via radio, come era accaduto in passato, per la guerra in Etiopia o altri fatti per i quali il regime
fascista era solito mobilitare le piazze. Alle 17 puntuale la voce stentorea ed in qualche modo
suggestiva di Benito Mussolini echeggiò sulla piazza attenta e attonita:
” Italiani, la dichiarazione di guerra è stata consegnata agli ambasciatori di Francia e di Gran
Bretagna!”.
Era il dieci di Giugno del 1940. La Germania era in guerra dal primo Settembre del 1939. Aveva
occupato con la guerra lampo la Polonia per spartirla, dopo, con l’Unione Sovietica attraverso il
famigerato patto von Ribentropp- Molotov. Aveva attaccato la Francia passando attraverso i Pesi
Bassi, Olanda e Belgio e sgominato in un fiat la linea fortificata Maginot, prendendola alle spalle
con i carri armati Tigre. Gli Inglesi si ritiravano precipitosamente imbarcandosi a Dunquerke. La
Francia stava per arrendersi.
Quale momento più favorevole per sedersi al tavolo della pace quasi senza colpo ferire e reclamare
anche per l’Italia le spoglie della vittoria sicura? Da tempo Mussolini esaltava l’italianità di Nizza,
della Savoia, della Corsica. Si cantava:” e se la Francia non è una troi….. Nizza e Savoia ci deve
ridar”. Mussolini si riteneva il più furbo della combriccola degli uomini di stato, ma aveva fatto i
conti senza l’oste: gli Stati Uniti.
Il discorso fu accolto dagli applausi della gente, un po’ spontanei, un po’ forzati. Soprattutto le
donne mostravano grande preoccupazione pensando ai figli, mariti, fratelli che sarebbero stati
coinvolti nella tragedia della guerra. I più entusiasti erano i giovani presi dall’euforia ed esaltati
dalle parole di facili trionfi che Mussolini prometteva e loro ne sarebbero stati i vittoriosi
protagonisti e testimoni. Erano cresciuti ( io tra questi) imbevuti a scuola nell’Etica Fascista
racchiusa, secondo me, in tre Slogans del Regime:
1)Credere (nel Duce), Obbedire (al Duce), Combattere (per il Duce),
2) Mussolini ha sempre ragione,
3) Dio stramaledica gli Inglesi.
Li leggevi dovunque, sui libri, sui giornali, sui muri delle case, li ascoltavi nei discorsi. Per noi
giovani e giovanissimi ( avevo meno di dieci anni ) erano una verità indiscussa, il nostro vangelo, e
il Duce il nostro idolo.
Alla fine del discorso del Duce che aveva attaccato duramente Francia ed Inghilterra definendole
potenze reazionarie “demoplutocratiche” i giovani più vivaci, più entusiasti, specie quelli del
G.U.F. (gioventù universitari fascisti) organizzarono un corteo per le vie del paese guidati da un
alfiere non alto di statura, infervorato nel suo ruolo, esuberante e generoso, convinto di incarnare
una storia vittoriosa. Sulle spalle aveva la bandiera tricolore. Ai miei occhi appariva come un eroe
vincente. Pensai di seguirlo e di inneggiare con Lui alla immancabile vittoria.
Era Silvio Incocciati. Aveva 20 anni.
Lo accompagnavano altri ventenni, come Lui ( e come me) ubriacati dalle parole del Duce, pronti a
servire la Patria Fascista che li chiamava alle armi. Mi pare di ricordare Samuele Cellie, Funtò
Aurelio, Alessandro Ludovici ( più tardi mio grande amico personale) ed altri di cui non mi
sovviene. Erano tanti. Tutti giovanissimi, disposti ad una sfida più grande di loro di cui neppure
immaginavano le tragiche conseguenze. Passarono davanti a San Pietro, scesero verso il Colle,
risalirono per il monumento fino alla piazza dove continuarono a saltare e cantare gli inni fascisti.
Tornando a casa quella sera trovai nonno Luigiotto con la faccia seria e preoccupata. Mi guardò in
faccia e disse: “La guera è nu guaio grusso. Iu duce nun po’ abbence cu la perfida Albione
(Mussolini non può farcela con la Gran Bretagna)!” Ebbi un gesto di ribellione:” no,’ si nu’ ‘lla
pianti te vaio a denuncia’!” Non l’avrei mai fatto, ma ancora oggi mi vergogno di quelle parole
cattive da fascista in erba.
Dopo qualche mese tutti quei giovani ricevettero la cartolina di precetto e la festa finì. Iniziava il
dramma personale, per qualcuno la tragedia, che coinvolse poi tutta l’Italia.
Silvio era studente universitario, fece il corso ufficiali e fu inviato in Russia con l’Armir. L’ultimo
indizio della sua vicenda umana me lo dà Felicetto De Marchis (mio amico nella vita e nella
politica). Nell’inverno 42-43 sul fronte ucraino, non sò come, Felicetto, anche Lui in Russia, aveva
saputo che Silvio, prima di rientrare in Italia per gli esami universitari, voleva andare a trovarlo.
Aveva anche saputo che Silvio preparava i suoi esami in trincea tra una cannonata e l’altra.
La visita non ci fu come non ci fu il rientro in Italia, perché la guerra aveva inghiottito Silvio
insieme a tanti altri giovanissimi eroi. Si calcola che dagli 80 ai 100000 giovani italiani persero la
vita combattendo o in prigionia sterminati dalle sofferenze, dal gelo,dalla fame, dal tifo petecchiale
nella più totale indifferenza dello Stato Sovietico che non si preoccupò neppure di dare notizie sulla
morte e sulle circostanze della morte allo Stato italiano, alle famiglie, alla Croce Rossa
Internazionale.
Il silenzio più assoluto.
Colombo ancora oggi, nell’anelito inappagato di amore fraterno, cerca il volto del fratello nelle
figure sbiadite di fotografie di prigionieri italiani in Russia che fortunosamente arrivano a lui.
Caro Colombo, non cercare più il tuo Silvio tra gli uomini. Egli,avvolto nella luce della verità,
ormai al riparo dagli inganni dei falsi profeti di false ideologie, ci vede ed indica a tutti noi la strada
giusta da percorrere.