Elaborato di Alessandro Ronci

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Elaborato di Alessandro Ronci
“La massa ama gli uomini forti, la massa è donna”. Così parlava Benito Mussolini, un uomo che ha
costruito la sua fortuna proprio intorno a questa donna. Nessun italiano, prima e dopo di lui, ha mai
suscitato tanto entusiasmo, tanto isterismo, tanta speranza, tanto orgoglioso patriottismo e tanto
dolore. Nessun italiano è stato più amato e più rinnegato, nessuno ha lasciato dietro di sé tanto
amore, tanto odio e tanta rovina. Non è affatto un caso che nella formazione del giovane e
rivoluzionario Mussolini, quando ancora era soprannominato “Barbarossa” e già si fregiava di poter
“vuotare le strade”, abbia avuto un ruolo fondamentale un libro come “La psicologia della folla”
scritto nel 1895 da Le Bon, proprio quando la società stava mutando il suo volto in società
massificata. L’azione sulla collettività fu dunque pianificata con basi socio-psicologiche dal Duce,
tuttavia egli si distingue da Lenin, da Hitler e dagli altri dittatori del suo tempo proprio per la sua
funambolica capacità di trasformarsi. Quelli conquistarono il potere fidando su incrollabili certezze
e obbedendo a schemi precedentemente stabiliti, lui lo conquistò mutando i suoi progetti in corso
d’opera con l’ardire di un giocoliere, tenendo sempre presente cosa richiedesse la massa in quel
momento per consacrarsi ciecamente al suo capo. Al contrario di quanto avvenne negli altri
totalitarismi, il fascismo tenne perfettamente conto della risposta dei molti, infatti se Stalin instaurò
un culto della personalità basato sulla propaganda martellante e sul terrore, Mussolini aveva un
rapporto personalissimo con le folle che stazionavano sotto il balcone da cui teneva il discorso: la
sua fortuna dipendeva dal comportamento di quelle. Usando le due leve dell’entusiasmo e
dell’interesse, il Duce riusciva ad ottenere quello di cui aveva bisogno: la fede, perché, come lui
stesso ha ammesso ai taccuini di Emil Ludwig , è “solo la fede a smuovere le montagne” . Questo
rapporto è perfettamente descritto dal capo del governo stesso nel 1932 “Quando sento la massa
nelle mie mani, quando avverto la sua fede, o quando io mi mescolo con essa, che quasi mi
schiaccia, allora mi sento un pezzo di questa massa. Eppure provo anche un po’ di avversione, come
la sente il poeta verso la materia che intende trattare. E lo scultore non spezza forse talvolta per ira il
marmo, perché questo sotto le sue mani non si plasma secondo la sua intenzione? In questo caso
può addirittura accadere che la materia si ribelli contro il suo formatore”. Con queste ultime
considerazioni Mussolini dimostra di conoscere davvero gli arcani meccanismi che regolano le
folle, riconoscendo anche la possibilità di un ribaltamento a cui era esposto, e di cui poi fu
effettivamente vittima. Ovviamente quello di cui parliamo è un rapporto diabolico, la risposta
consensuale dei singoli era obbligata dalla repressione, e comunque pilotata da un grande apparato
di propaganda. Marcette, canzoni, divise, emblemi e stendardi servivano da “elementi festosi” (cit)
che, per utilizzare le parole del dittatore, “sono il lievito della folla e la rendono più leggera. Il
saluto romano, tutti i canti e le formule, le date e le commemorazioni, sono indispensabili per
conservare il pathos a un movimento. Così fu anche nell’antica Roma”.
Se la storia è veramente maestra di vita, dall’intuizione e dalla parabola di Mussolini è doveroso
trarre una lezione. Nella nascita e nella consolidazione delle figure carismatiche sono determinanti
le aspettative delle masse, particolarmente pressanti in tempi di crisi, le quali ripongono nell’uomo
forte le speranze di un avvenire migliore, che le istituzioni tradizionali non riescono a garantire .
Hitler e lo stesso dittatore italiano hanno ottenuto il potere cavalcando il malcontento derivante
dalle pessime condizioni nelle quali versavano i rispettivi paesi. Si cerca il classico “salvatore della
patria”, non a caso il Duce ricevette l’appellativo di “uomo della provvidenza”, caricandone
l’azione in senso quasi messianico. In questo pericoloso meccanismo è insita una
deresponsabilizzazione da parte del cittadino, che delega al suo leader la possibilità di essere esso
stesso impegnato nella lotta politica. Ad ulteriore riprova di quanto affermato, si può osservare ciò
che è successo in Italia e nel mondo, in quella che Hobsbwan ne “Il secolo breve” chiama “Età
dell’oro”, ovvero il secondo dopoguerra, quando si assistette ad una spettacolare e continua crescita
dell’economia, affiancata da una conseguente “rivoluzione sociale”, che portò all’opulenza
collettiva dell’occidente. Questa è l’età della completa massificazione della società in ogni suo
aspetto, grazie al trionfo dell’industria fordista (con la relativa scomparsa della classe contadina) e
al diffondersi della televisione; ragion per cui i partiti di massa raggiunsero il loro massimo
splendore. Eppure, proprio la struttura di questi partiti, incentrata sull’ideologia, sul programma e
sulla struttura capillare nel territorio, fece sì che i leaders recitassero un ruolo da comprimari,
sebbene questa fosse l’età dei grandi cortei, delle manifestazioni operaie e studentesche, delle
piazze piene per i comizi sindacali.
Seppure con le dovute proporzioni, e tenendo conto dei cambiamenti avvenuti nella società, anche
nella nostra attuale situazione politica si rintracciano alcune di queste caratteristiche; senza dubbio
vi è una crisi economica forte con pochi precedenti a memoria d’uomo. In virtù di questa
congiuntura economica c’è l’emergere di personalità molto forti, tali che, secondo il
costituzionalista Stefano Rodotà, il sistema politico italiano si caratterizza per tre grandi populismi.
Anche se con metodi molti differenti, Berlusconi, Renzi e Grillo riescono, con la propria persona
più che con le idee dei loro partiti, a coinvolgere e a trascinare le masse. Infatti, sempre secondo il
professore, si sta vivendo in una situazione di “autoritarismo-soft”, cioè un autoritarismo che
mantiene le forme della democrazia ma le svuota della sostanza.
Intanto però mentre i leaders politici erano ridotti a personaggi secondari rispetto ai loro ideali, vi
erano un gruppo di attori che si preparavano ad entrare in scena come assoluti protagonisti: i
successori di Pietro.
Le alte gerarchie cattoliche, rigidamente barricate nel “latinorum”, vivevano completamente
estranee alla società di massa. Eppure quella sera del 28 Ottobre 1958 le cose cambiarono. Con il
“discorso della luna”, il primo e più famoso dei “fuori programma” del Papa, San Giovanni XXIII
commosse la folla accorsa festante in San Pietro. Era l’inizio di un’epoca nuova, con una Chiesa
che parla la lingua nazionale, con un Pontefice senza tiara e sceso, finalmente, dall’antiquata sedia
gestatoria. A continuare sul solco tracciato da Roncalli è stato Wojtyla, lui sì vera figura carismatica
trascinatrice di folle. In questo senso il maggior successo di Giovanni Paolo II sono state le
Giornate Mondiali della Gioventù, adunate oceaniche di giovani cattolici di tutto il mondo chiamati
a raccolta dal pontefice. Negli incontri internazionali il ruolo da protagonista spettava senza dubbio
a Wojtyla, tanto che si parlò del fenomeno dei “Papa boys”, che cantavano “John Paul two we love
you”, rendendo il vescovo di Roma simile ad una rockstar. Tra l’altro la GMG del 1995 tenutasi a
Manila è uno dei più grandi raduni nella storia dell’umanità, e uno dei massimi esempi di maestria
di fronte alle folle del Papa, che ha trasformato il suo bastone (era convalescente per una frattura del
femore) in una sorta di bacchetta da direttore d’orchestra per i milioni di giovani presenti.
Chi ha raccolto l’eredità di questi due santi è Papa Francesco, che con la sua forte e particolare
personalità è riuscito a far dimenticare all’opinione pubblica gli scandali che avevano afflitto la
Chiesa durante il pontificato precendente. Sia Bergoglio che Wojtyla hanno avuto un impatto
devastante sulla collettività, raggiungendo anche i non fedeli; il tutto grazie esclusivamente alla loro
capacità mediatica, dato che il magistero della Chiesa è rimasto pressoché invariato.
Ma infine dei conti, cosa fa la massa? Qual è l’azione, il verbo, da associare a questo soggetto?
Credere. Anzi, credere e pensare il meno possibile. “La ragione è un strumento, ma non può essere
mai la forza motrice della massa. Oggi la gente ha poco tempo per pensare. La disposizione
dell’uomo moderno a credere è incredibile …” questo diceva Mussolini, e questa frase è un monito
a rendersi conto di come e di quanto, nel corso della storia, si sono utilizzate queste nostre facoltà.
Insomma, continuando la metafora del Duce, spetta a noi decidere se questa donna deve essere una
Penelope o un’Elena di Troia.