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Commento di mercato
1° dicembre 2015
Cosa ha in serbo il 2016 per gli investitori
Christophe Bernard, Chief Strategist di Vontobel
Gli economisti amano aggiornare le loro previsioni alla fine dell’anno e anche noi non
facciamo eccezione. Ciò che osserviamo chiaramente è il robusto dinamismo
dell’economia statunitense, per cui ci siamo posizionati di conseguenza. Le prospettive
sono meno nitide per il resto del mondo. A nostro parere, gli investitori dovrebbero
essere molto selettivi e pronti a sorprese, soprattutto sul prezzo del petrolio.
Comunque sia, il nostro considerevole cuscinetto di liquidità ci consente di cogliere le
opportunità di mercato. Per completare questo quadro, esaminiamo fino a che punto si
sono avverate le nostre previsioni: un esercizio utile, ma talvolta imbarazzante.
Se paragoniamo le nostre previsioni economiche iniziali con il risultato effettivo del
2015, dobbiamo ammettere che i tassi di crescita mondiale hanno di nuovo deluso le
nostre aspettative. Le cause non sono da ricercare né negli USA, colpiti da un primo
trimestre debole a causa di fattori meteorologici eccezionali, né nell’eurozona, che ha
evidenziato un’ammirevole resistenza. La radice del problema risiedeva nella persistente
debolezza delle economie emergenti. L’effetto combinato del rallentamento economico
in Cina e del crollo dei prezzi delle materie prime ha inferto un duro colpo ai mercati
emergenti, soprattutto Brasile e Russia (vedi grafico 1).
Grafico 1: il calo dei prezzi delle commodity ha frenato la crescita in Russia e Brasile
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PIL reale, variaz. anno su anno in %
Rendimento totale, variaz. anno su anno in %
Fonte: Bloomberg, Thomson Reuters Datastream, Vontobel Asset Management
Nel 2016 prevediamo che l’economia statunitense rimanga la locomotiva mondiale, con
una crescita del 2,8 percento dopo il 2,6 percento del 2015, sotto la spinta della
sostenuta domanda interna che riesce a mitigare gli effetti negativi delle esportazioni
deboli e di un’attività produttiva piatta. Nel complesso, i fondamentali degli USA
rimangono decisamente favorevoli: il rafforzamento del mercato del lavoro favorisce
infatti i consumi, che rappresentano il 69 percento del prodotto interno lordo
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statunitense. Di fronte alla forza del dollaro, alle mediocri prospettive dei mercati
emergenti e alle scarse pressioni inflazionistiche pensiamo che la U.S. Federal Reserve
(Fed) procederà con i piedi di piombo, iniziando ad alzare i tassi di interesse nel
dicembre 2015, ma puntando sulla cautela nel ritmo delle manovre restrittive dell’anno
prossimo. L’eurozona beneficerà dell’indebolimento dell’euro, dell’attuale ripresa della
cosiddetta periferia e di politiche di bilancio leggermente più espansive in alcuni paesi.
Tuttavia la transizione dell’economia cinese dall’export e dall’industria pesante verso il
terziario esercita una forte pressione sulle esportazioni dei mercati emergenti verso la
Cina e sui prezzi delle materie prime in generale.
«Tori azionari» e segni di affaticamento
Cosa significa tutto ciò per i mercati finanziari? Mentre la combinazione di una modesta
crescita mondiale e di politiche monetarie in gran parte espansive favorisce le attività
rischiose come le azioni, le valutazioni sono - nella migliore delle ipotesi - eque e gli utili
societari non accennano a salire. Il modesto potenziale di rialzo e la crescente volatilità
richiederanno un approccio più tattico nei confronti degli investimenti e la selezione sarà
un elemento cruciale. In un tale contesto prevediamo lievi perdite per i titoli di Stato dei
paesi “core” dell’eurozona – cioè essenzialmente la Germania – e degli USA. Allo stesso
tempo, i segmenti del credito, come le obbligazioni societarie high-yield, dovrebbero
performare discretamente visto che la recessione è altamente improbabile. L’eventualità
di una ripresa delle azioni e delle obbligazioni dei mercati emergenti dipende in grande
misura dalla stabilizzazione dei mercati delle materie prime. L’attuale risposta sul fronte
dell’offerta non sembra sufficiente a riportare equilibrio sui mercati perché i produttori
cercano di mantenere o addirittura aumentare la loro produzione per sostenere i flussi di
cassa. In un tale ambiente si osserva una sorprendente divergenza tra le politiche
monetarie: la Fed alzerà probabilmente i tassi nella sua seduta del 15/16 dicembre,
mentre la Banca centrale europea ha già accennato “indirettamente” a un ampliamento
del suo programma di “quantitative easing” il 3 dicembre. Queste politiche divergenti
tra le due sponde dell’Atlantico imprimeranno maggiore forza al greenback, anche se la
valuta americana non è già più a buon mercato. In generale, le prospettive di cospicui
rendimenti sui mercati finanziari sono relativamente modeste perché le autorità
monetarie, con la loro iperattività, hanno spinto le valutazioni a livelli elevati.
Mercati emergenti: una spada di Damocle
Il nostro scenario principale si basa sull’ipotesi di una stabilizzazione della crescita
mondiale al di fuori degli USA. Uno scenario decisamente pessimistico, ma poco
probabile, sarebbe il seguente: un’ondata di default nei mercati emergenti, dove le
imprese hanno accumulato una forte leva finanziaria, potrebbe distruggere la fiducia
degli investitori e tarpare le ali alla crescita economica e agli utili. Un’altra fonte di
preoccupazione è l’avanzare in Europa di partiti politici che rivendicano la fine
dell’austerity e mettono addirittura in questione i principi fondamentali che reggono le
istituzioni e le politiche del Vecchio Continente. D'altro canto, in uno scenario più
ottimistico (in termini economici, ma non necessariamente in termini di mercati
finanziari), un’economia statunitense forte potrebbe risvegliare il resto del mondo dal
suo torpore e gettare le basi per un’inversione di tendenza dei prezzi delle commodity.
Un tale sviluppo spingerebbe a sua volta la Fed ad attuare un giro di vite più rapido del
previsto, con conseguenze negative per i prezzi dei titoli di Stato e le attività che negli
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ultimi anni sono state favorite dalla caccia al rendimento. In tal caso potremmo assistere
a una ripresa dei segmenti finora disdegnati dagli investitori, cioè i mercati emergenti e i
produttori di materie prime. In effetti, le previsioni sui prezzi delle commodity e in
particolare del petrolio saranno una variabile cruciale nel 2016, perché influenzeranno in
grande misura la redditività di settori azionari chiave e la qualità del credito di numerosi
emittenti dei mercati emergenti. Quanto attenderà ancora l’Arabia Saudita prima di
costatare il successo della sua strategia, intesa a scacciare dal mercato il petrolio “ad alto
costo”, cioè prevalentemente quello delle società di fracking americane? Il crollo dei
ricavi dell’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (OPEC) condurrà a un
ripensamento strategico (vedi grafico 2)?
Grafico 2: i ricavi dell’Arabia Saudita scendono di pari passo con il prezzo del petrolio
Prezzo del petrolio al barile in dollari USA
in miliardi di dollari
Fonte: Thomson Reuters Datastream, Vontobel Asset Management
Per concludere: abbiamo intitolato il nostro scenario principale per il 2016 “Economia
USA robusta, fiacca crescita mondiale” e le abbiamo attribuito una probabilità del 60
percento. I nostri portafogli sono posizionati di conseguenza: siamo ampiamente neutrali
nelle attività rischiose, sottopesati nei titoli di Stato, nei mercati emergenti e nelle
materie prime e sovrappesati nel dollaro USA. Deteniamo anche livelli di liquidità
superiori alla media per essere in grado di cogliere eventuali opportunità. Il nostro livello
di convinzione dipende ovviamente dalla situazione su scala mondiale. A seconda dei
dati economici dovremo rivalutare quale dei nostri scenari è il più probabile. In ogni caso
terremo sempre presente l’eventualità di notevoli oscillazioni delle diverse classi di
attività.
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