Vontobel Asset Managemen t

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Commento di mercato
2 novembre 2016
L’oro nero dopo la bonifica del mercato
Christophe Bernard, Chief Strategist di Vontobel
Per molti anni il “picco del petrolio” è stato considerato un fatto ineluttabile. Tutti
ripetevano come un mantra che le risorse petrolifere si sarebbero presto esaurite. Nel
frattempo, però, le nuove tecnologie che permettono di estrarre petrolio e gas dalle
rocce di scisto hanno scombussolato il mercato dell’energia e riportato sulla scena gli
Stati Uniti come importante produttore. Questi cambiamenti hanno chiamato in causa
l’Arabia Saudita, maggiore produttore all’interno dell’OPEC, inducendola ad aumentare i
suoi volumi di estrazione per preservare la sua quota di mercato. È solo di recente che
Riad ha acconsentito a tagliare la produzione petrolifera. Secondo le nostre previsioni,
il prezzo del petrolio dovrebbe assestarsi a 50-55 dollari USA al barile, ma ha un
potenziale di rialzo sul medio termine.
La fratturazione idraulica o “fracking” – il nuovo metodo inventato negli USA per estrarre
dalle formazioni rocciose giacimenti di petrolio e gas altrimenti inaccessibili – è passata
inizialmente inosservata, almeno fino a quando non ha rivoluzionato l’intero settore. Questa
tecnologia, che ha consentito agli USA di liberarsi dalla loro dipendenza dalle importazioni
di petrolio, ha un impatto altrettanto importante come le auto senza conducente o le
applicazioni per ordinare un taxi.
Grafico 1: Il rifiuto dell’Arabia Saudita del 2014 di ridurre l’output ha depresso i prezzi
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Prezzo del greggio (varietà WTI) al barile in dollari USA
Fonte: Thomson Reuters Datastream, Vontobel Asset Management
L’espansione dell’attività estrattiva americana ha avuto però anche un effetto indesiderato
dal punto di vista dei produttori: il calo delle esportazioni verso gli USA ha infatti scatenato
un’acerrima lotta per la conquista di fette di mercato. L’Arabia Saudita, il maggiore
produttore all’interno dell’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (OPEC), era solita
adeguare il suo volume di estrazione alle fluttuazioni della domanda. Nel novembre 2014 ha
deciso di prendere le distanze dalla sua tradizionale politica e ha rifiutato di tagliare la
produzione per rispondere alla sovrabbondanza di offerta. In questo modo ha abbandonato il
suo ruolo storico di “swing producer”, che riequilibrava il mercato mondiale aprendo o
chiudendo il rubinetto delle forniture di greggio. Perché, quale produttore a basso costo,
rinunciare a quote di mercato e aiutare così i concorrenti americani confrontati a costi più
elevati? Questa era la logica alla base del nuovo approccio di Riad. La conseguenza: tra metà
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2014 e gennaio 2016 il prezzo del greggio West Texas Intermediate (WTI) è sceso da 100
dollari a meno di 30 dollari USA al barile (vedi grafico 1).
È fuori dubbio che la nuova strategia dell’Arabia Saudita ha contribuito al collasso dei prezzi
del greggio. Esaminiamo ora le conseguenze:
1. Il calo del prezzo del petrolio ha indotto le società energetiche a cancellare e/o rinviare i
loro programmi di esplorazione a lungo termine per un valore di circa 1000 miliardi di dollari
USA. Inoltre ha causato un notevole taglio dei bilanci di investimento, che da 700 miliardi
di dollari nel 2014 sono passati a 400 miliardi nel 2016. Negli USA il numero dei pozzi di
trivellazione è sceso dell’80 percento tra metà 2015 e maggio 2016, mentre la scoperta di
nuovi giacimenti su scala mondiale dovrebbe toccare quest’anno un nuovo minimo storico
degli ultimi 70 anni.
2. L’industria petrolifera, in generale, e il settore shale americano, in particolare, non
avevano altra scelta che abbattere notevolmente i loro costi e aumentare la produttività se
volevano sopravvivere. I risultati sono davvero impressionanti: i costi di produzione unitaria
nel ramo shale americano sono diminuiti del 40 percento negli ultimi 18 mesi grazie a
standardizzazioni, semplificazioni e pressioni sui fornitori. All’attuale livello di 50 dollari al
barile, gli operatori del Bacino Permiano del Texas riescono a coprire i loro costi. Di
conseguenza, il numero delle trivelle è tornato a salire (vedi grafico 2), il che indica una
stabilizzazione a breve termine della produzione americana. Un elemento essenziale è che,
dopo un’ondata di insolvenze tra le società più deboli, gli operatori shale più solidi
continuano ad avere accesso al credito, soprattutto sul mercato americano delle obbligazioni
societarie ad alto rendimento. Grazie alla sua forza e alle sue dimensioni, il mercato
finanziario americano permette alle imprese sane di continuare a finanziare la loro attività,
impendendo un crollo della produzione USA.
Grafico 2: I produttori shale USA sono diminuiti, ma non sconfitti: aumento delle
trivellazioni
Numero di trivelle negli USA
Fonte: Baker Hughes, Thomson Reuters Datastream, Vontobel Asset Management
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3. Di fronte a un aumento del deficit di bilancio, che nel 2017 ha raggiunto il 16 percento
del PIL ed è stimato al 12 percento nel 2016, l’Arabia Saudita ha dovuto compiere un
voltafaccia. Riad ha dovuto inoltre constatare che il settore shale americano è più resistente
del previsto. Alla riunione dell’OPEC di Algeri, il paese ha appoggiato il piano
dell’organizzazione (che dovrà essere concretizzato alla seduta di Vienna del 30 novembre)
di ridurre la produzione dagli attuali 33,5 milioni di barili a un volume variabile tra 32,5 e
33 milioni di barili al giorno e allo stesso tempo consentire all’Iran di ritornare ai livelli
antecedenti alle sanzioni (circa 4 milioni di barili al giorno). L’onere di questa operazione
dovrà essere sostenuto da Riad, tanto più che altri grandi produttori dell’OPEC come Iraq,
Libia e Nigeria non sono disposti a diminuire la loro produzione. Nel complesso, il “regno
del deserto” ha accusato un duplice colpo: ha sottovalutato la forza del settore shale
americano e sopravvalutato la sua capacità di sostenere un periodo prolungato di prezzi del
petrolio estremamente bassi.
Domanda di petrolio ancora in aumento
Di conseguenza prevediamo che il prezzo del petrolio si muoverà in un range ristretto di 5055 dollari USA nel prossimo futuro, con una buona probabilità di sforare al rialzo questa
soglia sul più lungo periodo. Il motivo è che, nonostante il recupero, i prezzi non
incentivano abbastanza le imprese a sfruttare nuovi giacimenti. Allo stesso tempo il petrolio
rimane un bene molto richiesto: la domanda cresce ogni anno in media di 1 milione di barili
al giorno. L’impatto delle auto elettriche sui consumi di carburante non si farà sentire prima
del 2025.
Per i mercati finanziari, la stabilizzazione del prezzo del petrolio a circa 50 dollari USA è
chiaramente positiva. Ciò vale soprattutto per i paesi esportatori, le relative valute e il
settore petrolifero. Inoltre, il rimbalzo dei prezzi del petrolio inizia a stimolare l’inflazione
primaria in molte regioni, attenuando i timori di deflazione mondiale. Se (con un grosso
accento sul “se”) questo dato avrà un impatto anche sulle cifre dell’inflazione “core”, esso
potrà aiutare le banche centrali a raggiungere i loro obiettivi di inflazione e consentire una
normalizzazione delle politiche monetarie.
Manteniamo la nostra posizione neutrale sui mercati azionari anche se l’esito delle elezioni
americane sembra meno incerto rispetto a un mese fa. Restiamo invece sottopesati nei titoli
di Stato, il cui profilo rendimento-rischio è sempre meno allettante sullo sfondo della
stabilizzazione della crescita mondiale e delle prospettive di inflazione.
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