Il Collegio di Milano - Arbitro Bancario Finanziario

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Il Collegio di Milano - Arbitro Bancario Finanziario
Decisione N. 367 del 08 febbraio 2012
Il Collegio di Milano
composto dai signori:
- Prof. Avv. Antonio Gambaro
Presidente
- Prof.ssa Antonella Maria Sciarrone Alibrandi
Membro designato dalla Banca d’Italia
- Prof. Avv. Emanuele Cesare Lucchini Guastalla
Membro designato dalla Banca d’Italia
- Dott. Mario Blandini
Membro designato dal Conciliatore
Bancario Finanziario (Estensore)
- Dott.ssa Anna Bartolini
Membro designato dal C.N.C.U.
nella seduta del 20 dicembre 2011 dopo aver esaminato:
x il ricorso e la documentazione allegata;
x le controdeduzioni dell’intermediario;
x la relazione istruttoria della Segreteria Tecnica.
FATTO
Con il proprio ricorso la ricorrente ha evocato avanti questo Collegio due intermediari
esponendo che:
a)in data 21.12.2005, essa aveva sottoscritto presso la Sede della convenuta sub A) l'apertura
di un conto di deposito, sul quale, alla data del 31.12.2008, era disponibile un saldo liquido
totale di € 53.030,86, comprensivo degli interessi sino a quel momento maturati;
b)nel gennaio 2009 era stata contattata telefonicamente da un soggetto qualificatosi
dipendente della predetta convenuta sub A), il quale, dimostratosi perfettamente al corrente
delle informazioni attinenti al rapporto in essere con l’intermediario stesso, le aveva proposto
di trasferire ulteriore liquidità su un nuovo conto di cui le veniva fornito l'identificativo Iban, a lei
stessa intestato e garantito dalla convenuta sub A), con prospettive di rendimento pari al 6%
di interesse annuo lordo;
c)nella stessa circostanza,era stata prospettata l'opportunità di lasciar maturare l'investimento
già realizzato sul conto esistente e contestualmente trasferire nuova liquidità sul conto che si
sarebbe appositamente aperto a nome della ricorrente, che solo in epoca successiva si
avvedeva di essere stato radicato presso la convenuta sub B);
d)in buona fede e nella convinzione che la proposta d’investimento venisse formulata
dall’intermediario sub A), aveva provveduto ad inviare copia della carta d'identità e del codice
fiscale via mail all’interlocutore, affinché procedesse all'apertura di tale nuovo conto deposito
e, il 29.1.2009, come da indicazioni ricevute, aveva proceduto,altresì, al versamento di € 1,00
sul conto aperto a suo nome, mediante bonifico bancario disposto presso gli sportelli di altro
intermediario per adempiere alle procedure antiriciclaggio;
e)in seguito all'apertura del nuovo conto, il sedicente operatore della banca sub A) le aveva
chiesto di alimentare il conto stesso con i fondi disponibili dalla ricorrente stessa presso un
altro intermediario; il che veniva effettuato il 12.3.2009 - al numero Iban fornitole e coincidente
con il conto accesso presso l’intermediario sub B) - per complessivi € 40.000,00 con causale
"trasferimento di liquidità”;
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f)trascorso un anno dalle suddette operazioni e non ricevendo alcun rendiconto aveva
effettuato distinti accertamenti:1) presso la banca sub A), contattata telefonicamente, veniva
informata che gli estratti conto erano stati inviati al nuovo indirizzo che avrebbe variato a
mezzo sistema informatico, in data 27.2.2009, alle ore 19,43 (recapito peraltro non
appartenente alla cliente e inesistente). Contestualmente apprendeva che il saldo del proprio
conto era pari a € 220, in quanto l’importo di € 53.000,00 era stato trasferito con bonifico
bancario, disposto online, su un conto corrente a lei intestato e radicato presso l’intermediario
sub B); 2)presso la banca sub B) appurava che, in data 3 e 4 marzo 2009, erano stati disposti
due bonifici dell’importo rispettivamente di € 25.000,00 e 27.990,00 in addebito del conto della
ricorrente e a favore di due conti correnti intrattenuti da una persona terza presso altro
intermediario. Con le stesse modalità, in data 16 marzo 2009, erano stati ordinati due bonifici,
rispettivamente di € 25.000,00 e € 15.000,00 allo stesso beneficiario presso un intermediario
diverso;
g)in data 9 aprile 2010, aveva presentato denuncia ai Carabinieri riportando i fatti accaduti
come sopra rappresenti e in quella sede, otre a fornire tutte le informazioni necessarie per
l’identificazione degli autori della truffa, dichiarava di riservarsi la facoltà di costituirsi parte
civile nel procedimento penale e nell’instaurando procedimento civile;
h) in relazione a tali fatti, per il tramite del proprio legale, era stato proposto reclamo ai due
intermediari convenuti, nei seguenti termini:
- All’intermediario sub A):
ascriveva specifiche responsabilità per non aver custodito adeguatamente i dati della propria
cliente, disattendendo le disposizioni di cui agli artt. 31 e ss. D. Lgs. 196/2003, in
considerazione del fatto che i soggetti presentatisi come dipendenti dell’istituto di credito
conoscessero nei dettagli la posizione finanziaria della ricorrente stessa, inducendola a
credere di interfacciarsi con la propria banca. Pertanto, ravvisando le condizioni per applicare
le previsioni di cui all’art. 2050 del C.C., attribuiva all’intermediario la responsabilità oggettiva
dei danni subiti dalla propria rappresentata. Inoltre, sottolineando la circostanza che la propria
assistita avesse subito il c.d. "furto d'identità", per il quale è riconducibile alla banca un
preciso e rigoroso onere di attivazione teso ad evitare il verificarsi di tali episodi,
rappresentava che la ricorrente non aveva mai operato mediante la rete internet sul sito della
banca e, nonostante ciò, soggetti terzi, entrati in possesso delle predette informazioni,
riuscivano ad accedere sul conto online e variare il domicilio, vanificando così ogni controllo
della cliente sullo stato del proprio conto. Anche per tale aspetto il legale richiamava la
responsabilità della banca, per il danno arrecato al correntista dal fatto illecito di terzi, sul
presupposto che l'abuso fosse stato reso possibile per non aver questa posto in essere la
diligenza richiesta per l'identificazione del cliente “a fortiori” al ricevimento di ordini e richieste
di bonifico per importi rilevanti. Competeva alla banca, pertanto, il potere-dovere di esercitare il
controllo sulla legittimazione del soggetto e della sua reale identità, oltre alla sussistenza delle
premesse per il valido esercizio della pretesa, rifiutando, nel caso, di procedere
all'adempimento di ordini o all' accettazione di richieste.
In conclusione il legale chiedeva alla banca di risarcire il ricorrente dell’intero importo di €
93.000,00, oltre agli interessi maturati dalla data di prelievo e dai danni subiti dalla propria
cliente per “essere stata spogliata dal proprio patrimonio liquido”.
- All’intermediario sub B):
imputava specifiche responsabilità per il danno arrecato alla correntista dal fatto illecito del
terzo, con riferimento alle previsioni di cui all’art. 2050 del C.C., sul presupposto che l'abuso
fosse stato reso possibile per la condotta omissiva della banca stessa, per non aver posto in
essere la diligenza richiesta nell’identificazione del cliente, ossia, per aver reso di fatto
possibile il c.d. "furto d'identità". Competeva alla banca, pertanto, il potere-dovere di esercitare
il controllo sulla legittimazione del soggetto e della sua reale identità, oltre alla sussistenza dei
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presupposti per il valido esercizio della pretesa, rifiutando di procedere all'adempimento di
ordini o all' accettazione di richieste.
Inoltre, ravvisava ulteriori responsabilità in ordine alla conclusione del negozio giuridico
gravemente viziato, oltre per il raggiro posto in essere dal terzo, anche per la violazione delle
prescrizioni previste dal D. Lgs. 385/1993, in materia di trasparenza delle operazioni e dei
servizi bancari. In particolare, secondo le previsioni dell’art. 117 del T.U.B., mancando il
requisito della forma scritta, il contratto non poteva intendersi perfezionato e, di conseguenza,
doveva intendersi nullo.
In conclusione il legale chiedeva alla banca di risarcire il ricorrente dell’intero importo di €
93.000,00, oltre agli interessi maturati dalla data di prelievo e dai danni subiti dalla propria
cliente per “essere stata spogliata dal proprio patrimonio liquido”.
Con lettera dell’8.06.2010, la convenuta sub A), nel respingere le responsabilità evidenziate
dal legale della ricorrente, forniva le seguenti precisazioni:
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i nominatavi dei sedicenti dipendenti della banca non risultavano essere mai stati alle
proprie dipendenze;
le informazioni riservate potevano essere state carpite direttamente alla cliente, sulla
quale gravavano gli obblighi di cui all’art. 3, c. 5, del contratto di conto relativamente alla
custodia dei dati personali, inclusa la gestione del codice cliente e della password. Tali
presidi di sicurezza, sconosciuti ai dipendenti della banca, erano stati spediti al domicilio
della ricorrente all’atto dell’apertura del deposito avvenuto nel 2005;
la ricorrente risultava intestataria di un “Conto di Deposito”, dal quale era possibile
effettuare prelevamenti di fondi solamente con bonifico verso altro conto corrente con
intestatario coincidente con quello del conto di deposito. Infatti, la ricorrente risultava
beneficiaria del bonifico online del febbraio 2009 con il quale si disponeva il trasferimento
di € 53.000,00 presso l’intermediario […];
la richiesta di risarcimento per gli ulteriori € 40.000,00, fraudolentemente sottratti,
sarebbe priva di qualsiasi fondamento, posto che la cliente stessa forniva al truffatore i
propri documenti identificativi per aprire a proprio nome il conto dove poi la stessa
ricorrente effettuava un versamento iniziale di un euro e, quindi, quello di € 40.000,00;
la modalità di gestione del nuovo conto corrente, così come descritto, risulterebbe in
contrasto alla prassi operativa adottata dalla banca e alla ricorrente ben nota.
In data 11 agosto 2010 il legale della ricorrente replicava alla suddetta nota evidenziando:
9 che gravava sulla banca “dimostrare l’adozione di tutte le misure necessarie a garantire il
controllo sulla legittimazione del soggetto e sulla sua identità”; sicurezza asserita
solamente in linea teorica, posto che, oltre all’esecuzione del bonifico da € 53.000,00,
sarebbe stato variato anche la residenza della ricorrente, vanificando qualsiasi controllo;
9 la negligenza della banca, rilevando l’assenza di controllo in presenza di movimenti
rilevanti e in ordine alle procedure di identificazione del cliente e sulla legittimazione del
soggetto ordinante;
9 che era evidente la responsabilità in solido della banca con l’altro intermediario, in quanto
sarebbe stata carpita la buona fede della ricorrente utilizzando il nome della banca e sia
informazioni riservate di pertinenza della stessa;
L’intermediario sub B) in data 1° ottobre 2010 ha dichiarato la correttezza del proprio operato,
escludendo ogni responsabilità per i danni subiti dalla ricorrente, e ha tenuto a precisare che:
9 la parte attrice avrebbe volontariamente consegnato i documenti d’identità a soggetti terzi,
senza alcun legame con la propria società e successivamente, avrebbe materialmente
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eseguito il bonifico di € 1,00 presso gli sportelli di un intermediario estraneo alla vicenda;
con tale attività – conformemente al dettato D. Lgs. 231/07, art. 30 – si è realizzata
l’identificazione con modalità indiretta; il relativo “modulo di adesione sarebbe pervenuto
in originale, regolarmente sottoscritto;
non rilevava alcuna propria responsabilità relativamente al trasferimento delle somme di
importo rispettivamente di € 53.000,00 e € 40.000,00, in quanto disposti mediante
disposizione di bonifico impartite dalla cliente ovvero disposti “dai dipendenti dell’istituto di
credito cui […] aveva di fatto delegato la gestione del proprio patrimoni”;
gli ordini dispositivi di trasferimento della liquidità sarebbero stati eseguiti online mediante
la corretta digitazione delle credenziali di accesso al sistema informatico della banca
(user-id, password, one-time password token);
Il 21.9.2010 il legale dell’interessata ha presentato ricorso all’ABF ove, premessi tali fatti, ha
chiesto a questo Collegio di accertare la responsabilità solidale di entrambi gli intermediari
convenuti e condannarli in solido al pagamento di un indennizzo complessivamente arrecato
alla ricorrente, quantificato nel limite massimo della competenza del Collegio.
DIRITTO
Il Collegio ritiene di affrontare e risolvere, in limine, due questioni di ordine procedimentale.
La prima è quella concernente la ricevibilità di ricorsi proposti nei confronti di più intermediari.
Il Collegio, alla luce di una interpretazione logica e letterale delle Disposizioni sui sistemi di
risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e
finanziari”, ritiene di escludere ogni fondamento al cd. principio di “unicità del convenuto”.
Seconda questione è quella conseguente alla pendenza di un processo penale insorto a
seguito della denunzia-querela presentata dalla ricorrente nei confronti “degli effettivi esecutori
dell’illecita sottrazione di somme” per il reato di truffa, alla luce dell’art. 2 della delibera CICR
29 luglio 2008 n.275 il quale prevede che non possono essere proposti all’ABF ricorsi inerenti
a controversie già sottoposte all’autorità giudiziaria ordinaria.
Il Collegio ritiene che la pendenza di un processo penale non consenta di affermare che la
controversia oggetto del ricorso a questa Commissione sia stata già sottoposta al Giudice, in
quanto non risulta che la ricorrente si sia costituita parte civile ed abbia, così, introdotto una
controversia identica, per petitum e causa petendi, a quella introdotta innanzi a questo
Collegio, tanto più che l’azione civile, se promossa, sarebbe rivolta a soggetti diversi da quelli
convenuti nel presente procedimento.
Quanto al merito, è bene, in primis, individuare il contenuto della pretesa avanzata dalla
ricorrente per valutarne il fondamento giuridico.
La ricorrente, agendo nei confronti dell’intermediario sub A, imputa alla medesima la
responsabilità conseguente alla violazione delle disposizioni di cui agli artt. 31 e segg. D. Lgs.
196/2003, ravvisando la responsabilità ex art.2050 c.c. della intermediaria per i danni da lei
subiti.
Passando ad esaminare la pretesa risarcitoria vantata nei confronti della seconda convenuta,
la ricorrente, invocando l’applicazione dell’art. 2050 c.c. imputa alla intermediaria di non avere
posto in essere la richiesta diligenza nella identificazione della cliente così da rendere agevole
il “cd. Furto di identità”, dando effetto, inoltre, ad un negozio nullo per vizio di forma (scritta).
Ritiene il Collegio, sulla base dei dati fattuali acquisiti al procedimento, che alcuna
responsabilità sia imputabile alle intermediarie convenute.
Ricordato che la ricorrente, allorché parla di responsabilità degli intermediari convenuti, non
considera alcuna ipotesi di responsabilità contrattuale a carico degli stessi, nei cui confronti
non lamenta la violazione di obblighi contrattuali, immaginando, invece, a carico dei medesimi
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una responsabilità extracontrattuale, oggettiva, quale risulta prevista dal richiamato art. 2050
c.c., va osservato che le circostanze da considerare a tal fine sono:
a) gli autori della frode patita dalla ricorrente non risultano essere stati dipendenti delle
intermediarie;
b) le informazioni che hanno consentito di realizzare la frode sono state date dalla stessa
ricorrente che, ha così violato, oltre che le più elementari regole di prudenza e di diligenza, il
preciso obbligo contrattuale di cui all’art. 3, comma 5, del contratto di prestazione di servizio
che testualmente prevede: “il cliente è tenuto a mantenere segreta la Password che non deve
essere conservata insieme al contratto né annotata su di esso. Il cliente è responsabile della
custodia e del corretto utilizzo dei codici sopra menzionati e risponde del loro eventuale
indebito uso, comunque avvenuto anche se in conseguenza di smarrimento o furto”.
Del tutto inconferente è, infine, il richiamo - operato dalla ricorrente - all’art. 2050 c.c., la cui
epigrafe detta “responsabilità per l’esercizio di attività pericolose”, atteso che, per
giurisprudenza costante del Supremo Collegio (Sez. 3, Sentenza n. 11275 del 27/05/2005 (Rv.
581921) per attività pericolose, in relazione al cui svolgimento l'art. 2050 cod. civ. stabilisce
una presunzione di responsabilità a carico di chi le esercita, devono intendersi quelle che tali
sono qualificate dalla legge di P.S. e da altre norme speciali come quelle sugli infortuni sul
lavoro ed altresì quelle che abbiano insita la pericolosità nei mezzi adoperati e nella loro
stessa natura, talché non può considerarsi pericolosa agli effetti dell'art. 2050 cod. civ. l'attività
bancaria, perché i rischi cui sono esposti i clienti negli istituti di credito in relazione alle azioni
di malviventi non derivano dalla natura dell'attività bancaria, potendo la stessa costituire
soltanto l'occasione per tali rischi.
Conclusivamente il ricorso non può essere accolto.
P.Q.M.
Il Collegio non accoglie il ricorso.
IL PRESIDENTE
firma 1
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