5 INNOCENZO III ORDINI MENDICANTI CATARI appunti

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5 INNOCENZO III ORDINI MENDICANTI CATARI appunti
LA CHIESA NEL DUECENTO: INNOCENZO III
SAN FRANCESCO d’ASSISI e SAN DOMENICO di GUZMAN E GLI ORDINI MENDICANTI.
I CATARI
Premessa
Il Duecento è il secolo in cui il Papato raggiunge il culmine della sua potenza, non solo come guida spirituale della cristianità , ma
anche come potenza politica. Questo non significa che ci sia un'espansione dello Stato della Chiesa, però il papa esercita una
grande influenza su tutta la vita politica europea, interviene nei conflitti fra le potenze politiche offrendo il suo arbitrato, oppure
appoggiando una delle parti in lotta, promuove crociate, pone condizioni ai sovrani.
D'altra parte in questo secolo la Chiesa dimostra anche una grande vitalità e ricchezza spirituale: nascono nuovi ordini religiosi, si
moltiplicano i movimenti religiosi di laici, appaiono grandi figure di santi. Invece l'Impero nel corso del XIII secolo declina,
perché esce sconfitto dallo scontro con il Papato, con i Comuni e con la monarchia francese (nel 1266 la battaglia di Benevento, in
cui Carlo d’Angiò, chiamato in Italia dal papa, sconfigge Manfredi, figlio di Federico II di Svevia, segna la definitiva vittoria in
Italia del partito guelfo su quello ghibellino).
La Chiesa nel Duecento
Il papato di Innocenzo III (1198-1216) costituisce il culmine della potenza della Chiesa.
Nel gennaio 1198 veniva eletto papa il trentottenne Lotario di Segni che prese il nome di Innocenzo III. Rampollo di una
famiglia feudale romana, aveva ricevuto a Parigi e a Bologna un’ottima preparazione teologica e soprattutto giuridica.
Aveva però anche una sensibilità mistica, derivatagli dalla lettura delle opere di Sant’Agostino, di San Bernardo di Chiaravalle, di
Ugo di San Vittore, e tesa soprattutto al contemptus mundi, al disprezzo delle cose di questa terra, anche se da molti è stato
giudicato come un papa troppo preoccupato di affermare l'egemonia del papato sul mondo: il che è vero solo in parte dati i
suoi presupposti etici e culturali.
Con Innocenzo III la dottrina teocratica di Gregorio VII veniva riproposta con grande determinazione: solo nella sottomissione
alla Chiesa romana il “mondo” avrebbe potuto salvarsi, e dunque il papa aveva il dovere e anche il diritto, in quanto capo della
Chiesa, di porsi a capo dell’intera cristianità.
Le direttrici dell'azione innocenziana si possono così riassumere: opera di arbitrato nelle contese per la corona imperiale e di
affermazione della signoria eminente del papato sui re della terra; lotta contro gli infedeli e rilancio degli ideali crociati con
estensione del concetto di crociata a tutte le guerre combattute per la fede e nel nome della Chiesa, anche se non dirette alla
liberazione del Santo Sepolcro; lotta contro l'eresia.
Innocenzo III infatti ebbe un ruolo determinante nella successione imperiale (appoggiò Federico II di Svevia contro gli altri
pretendenti tedeschi). Fu promotore della 4A crociata (che però non ebbe esito positivo, in quanto deviò da Gerusalemme a
Costantinopoli), ma promosse anche la "Reconquista" della penisola iberica, la colonizzazione delle regioni del Baltico (Polonia,
Lituania ecc.) e la cristianizzazione dei popoli slavi, la crociata contro gli Albigesi, vale a dire gli eretici catari della Provenza.
Nel Duecento infatti proliferarono anche i movimenti ereticali, vale a dire movimenti di cristiani che respingevano l'autorità della
Chiesa e la dottrina ufficiale, tradizionale, del cristianesimo. Le eresie erano tanto più frequenti e diffuse quanto più l'istituzione
ecclesiastica, con la sua potenza e ricchezza, sembrava lontana dall'ideale evangelico. I vari movimenti ereticali del Duecento
erano quindi accomunati dall'ideale pauperistico (pauperismo = esaltazione della povertà).
Nel 1215 Innocenzo III convocò a Roma un Concilio ecumenico a cui parteciparono, oltre ai vescovi e agli abati, tutti i sovrani
della cristianità. Durante il concilio Innocenzo III ribadì la dottrina teocratica, cioè la supremazia della Chiesa su ogni potere
terreno, e ottenne l'omaggio feudale dei sovrani d'Inghilterra, del Portogallo, d'Aragona, di Castiglia, d'Ungheria, di Polonia, che
si riconoscevano quindi vassalli del papa.
La vita della Chiesa nel Duecento non fu però caratterizzata soltanto dai trionfi politici ma anche da intense esperienze religiose.
Nacquero molti movimenti religiosi in cui i cristiani, anche laici, vivevano in comunità e si dedicavano alla preghiera, alla
penitenza, ad attività caritatevoli. Ma la spinta più forte al rinnovamento religioso e spirituale venne da due santi, San Francesco
d'Assisi e San Domenico di Guzman, che fondarono due nuovi ordini religiosi, quello dei frati francescani e quello dei frati
domenicani. Questi due ordini si distinguevano dall'ordine benedettino perché facevano una scelta di povertà ancor più radicale:
non solo i singoli frati facevano voto di povertà, ma la stessa comunità non doveva avere proprietà (a differenza dei monasteri
benedettini che possedevano vaste proprietà terriere). Per questo gli ordini francescano e domenicano furono chiamati "ordini
mendicanti". I frati di San Francesco e di San Domenico non stabilirono i loro conventi nelle campagne come i Benedettini, ma si
inserirono nella nuova realtà urbana, e si dedicarono, oltre che alla preghiera, alla predicazione e all'assistenza dei pover i e dei
malati. L'esempio di umiltà, di semplicità, di amore e di generosità spinto fino all'eroismo (si pensi che i francescani si assunsero
anche la cura dei lebbrosi) rappresentò un "segno di contraddizione" in una società ormai tesa in gran parte all'arricchimento e al
potere. D'altra parte i frati mendicanti volevano anche opporsi agli eretici, con cui condividevano l'ideale pauperistico, senza però
accettare il rifiuto della Chiesa e della dottrina cattolica tradizionale.
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San Francesco d’Assisi
Francesco nacque ad Assisi, intorno al 1182, da una famiglia di ricchi mercanti: suo padre Bernardone era un intraprendente
commerciante di stoffe, in strette relazioni con la Francia (da qui il nome stesso del figlio: Francesco = Francese). Senza dubbio, il
giovane Francesco ebbe una discreta formazione culturale: imparò a leggere e a scrivere, studiò il latino, imparò il francese e lesse
con passione le poesie o i romanzi che trattavano dell'amor cortese.
Nella sua prima giovinezza Francesco visse una vita agiata, partecipò alla vita gaudente dei giovani aristocratici di Assisi, ascoltò
con passione i canti dei trovatori e dei giullari (la cultura cortese e giullaresca caratterizzò il suo modo di essere e di esprimersi
anche dopo la conversione), desiderò l’avventura e coltivò l’ambizione di diventare egli stesso nobile cavaliere; per questo
partecipò a due sfortunate campagne militari, ma fu fatto prigioniero e cadde malato: l’esperienza della prigionia e la malattia
provocarono probabilmente la crisi da cui scaturì la conversione.
Nel 1207 decise di andarsene dalla ricca casa paterna e vivere di elemosina, imitando in tutto la povertà di Cristo. Per capire il
comportamento di Francesco, non basta mettere in luce la sua volontà di seguire il Vangelo alla lettera, sine glossa, cioè senza
commenti capaci di attenuare la radicalità delle parole di Cristo. In vari casi, può essere più utile istituire dei paralleli con il modo
di fare dei cavalieri dei romanzi di Chrétien de Troyes, primo fra tutti Lancillotto.
In effetti, come questi non aveva esitato a patire infamia e disonore, pur di servire in tutto e per tutto la sua signora, la regina
Ginevra, così Francesco voleva comportarsi da vassallo fedele nei confronti di Dio, di cui bisognava eseguire senza discutere
qualsiasi comando. Allo stesso modo, come il cavaliere partiva all'avventura, verso l'ignoto, per compiere grandi imprese, così
Francesco accettava di tuffarsi in un'esperienza dai contorni vaghi e pericolosi, al servizio dei più miseri e dei più emarginati: tutte
le biografie di Francesco ricordano che la sua conversione fu davvero completa solo nel momento in cui egli trovò la forza di
abbracciare un lebbroso, figura che la società medievale trattava con estrema diffidenza e profondo disprezzo (anche Dante, nel
canto del Paradiso dedicato a San Francesco, ha evidenziato che egli serviva fedelmente Madonna Povertà così come ogni
cavaliere cortese doveva servire la sua dama).
La decisione di Francesco incontrò la dura resistenza del padre Bernardone, ma suscitò perplessità anche tra gli ecclesiastici: che
cosa voleva questo Francesco? Non aveva, e non intendeva prendere gli ordini sacri (non divenne mai sacerdote); non voleva
seguire le regole già approvate, come quella agostiniana e quella benedettina; diceva che la sua unica regola era il Vangelo.
Certamente la scelta della povertà e dell’umiltà evangelica era implicitamente critica nei confronti del clero e della Chiesa
istituzionale, ricca e potente, troppo lontana dalla vita evangelica. Francesco però voleva cambiare la Chiesa solo con il suo
esempio e non intendeva contestare la Chiesa gerarchica, dispensatrice dei sacramenti e della parola di Dio: insegnava a rispettare
i sacerdoti, anche se peccatori, perché essi “gli davano il corpo e il sangue di Cristo”; per questo egli si recò a Roma e chiese che
la sua “regola” fosse approvata dal papa. Papa Innocenzo III comprese le sue intenzioni e diede una prima approvazione verbal e
(1210); successivamente papa Onorio III concesse l’approvazione formale.
Intorno a Francesco si riunì in breve tempo una comunità di discepoli. E il suo esempio fu contagioso: anche Chiara, una giovane
nobile di Assisi, volle abbracciare lo stato di povertà e di penitenza, ben presto seguita da altre donne. Chiamati minores (i più
piccoli) e fratres (fratelli), i seguaci di Francesco non dovevano possedere beni, dovevano guadagnarsi da vivere con il lavoro
manuale e non potevano accettare e maneggiare denaro. Anche la cultura era rifiutata, come manifestazione di superbia e di
potere: i francescani dovevano essere armati solo del Vangelo, e dovevano predicarlo non con parole sapienti, ma con l’esempio.
Le dure penitenze non dovevano però “indurire i cuori”: al contrario Francesco predicava la “perfetta letizia”, che consisteva nel
sopportare le privazioni, i mali e le ingiustizie con gioia, rendendo bene per male e lodando Dio in ogni circostanza. La penitenza
francescana nasceva dall’amore per Gesù Cristo e per i fratelli, non dal disprezzo del mondo. Infatti Francesco dettò, poco prima
di morire, il Cantico delle Creature, una preghiera di lode e di ringraziamento a Dio per la natura che Egli ha creato (questo testo,
evidentemente, era scritto anche in contrapposizione alle dottrine dei Catari, secondo cui il corpo e la materia erano stati creati da
Satana).
Frattanto il numero dei seguaci di Francesco cresceva in maniera smisurata: nel 1221 erano già circa tremila, e si poneva il
problema di organizzare e disciplinare una comunità che stava trasformandosi in un movimento di massa: Francesco temeva che
l’organizzazione facesse venir meno la purezza evangelica, però, obbediente come sempre alle gerarchie ecclesiastiche, accettò
che la Chiesa strutturasse il suo movimento come “ordine”, e si tirò in disparte. Morto Francesco nel 1226, l'ordine si sviluppò
diviso: da un lato i rigoristi, diffidenti del mondo e delle istituzioni; dall'altro, i moderati, più pronti ai compromessi. L'ordine
restò comunque una delle colonne della Chiesa e della cultura del Duecento.
San Domenico di Guzman e l’ordine dei Predicatori
L'altra colonna del rinnovamento della Chiesa nel Duecento fu l'ordine fondato da Domenico di Guzman, un prete della Castiglia,
che, visti i danni arrecati dagli eretici Catari durante un viaggio in Provenza , decise di abbandonare la sua cattedrale per dedicarsi
tutto alla missione: bisognava predicare la vera fede, difendere i credenti, convertire i deviati non con la spada, bensì con la
parola, con la persuasione, con l’esempio, mostrando che si era poveri e distaccati dal mondo proprio come gli eretici si vantavano di essere.
Passato in Italia, a Bologna, trovò che la sua idea era condivisa e che i suoi seguaci crescevano: nel 1215 la regola dei frati
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predicatori fu ufficialmente approvata; nel 1235 i conventi in Europa erano già circa 300.
Scopo fondamentale dei Predicatori era la diffusione dell’ortodossia (= vera dottrina) cattolica mediante la parola: da ciò nacquero
la necessità dello studio e dell’insegnamento, per cui quello dei domenicani divenne l’ordine più colto della cristianità.
Il successo dei Mendicanti
Il grande successo degli ordini mendicanti, specie dei Minori, va collegato con esigenze religiose tipiche del vivere urbano di
allora. Con l'economia mercantile molti avevano scoperto il benessere, le «dolci ricchezze», ma anche il loro costo umano e
sociale : «giacché le ricchezze non si acquistano senza fatica, non si conservano senza paura, non si perdono senza dolore». Con
lo sviluppo delle città, molti avevano accolto con entusiasmo i vantaggi del vivere civile, ma non i drammi che ben presto lo
accompagnarono, e cioè le lotte, le prevaricazioni, le vendette. E si domandavano dove trovare una via d'uscita, una salvezza
sicura.
Allora il desiderio di Dio tende a cambiare. Da tempo, come scrive in un suo sermone Innocenzo III, si era guardato soprattutto al
Dio di Mosé e dell'Antico Testamento: un Dio che permetteva le ricchezze, consentiva la vendetta, malediceva la sterilità. E
giustamente, perché per secoli gli uomini avevano avuto come unica preoccupazione quella di sopravvivere, di difendersi con tutti
i mezzi, di perpetuare la specie e più ancora la famiglia minacciata. Ma da quando — ed è questo, in fondo, il senso, oltre che il
limite, della nuova età cittadina — gli uomini hanno imparato ad accumulare ricchezze, ad usare la spada per distruggersi, ad
abbandonarsi ai piaceri fine a se stessi, il Dio di Mosé non basta più, e se ne cerca un altro, più adatto a salvare dagli squilibri
connessi al mutamento di civiltà. Allora ci si riconosce meglio nel Dio rivelato dai Vangeli, cioè in Cristo, colui che non amava il
benessere, bensì la povertà; non tollerava la vendetta ma esigeva il perdono del nemico; non benediceva la fecondità, bensì la
verginità. Cristo con il suo messaggio di pace, di povertà, di rinuncia, era dunque il Salvatore che la gente attendeva.
Si diffonde pertanto il modello di Cristo, di Cristo-uomo, colui che visse da povero, patì e diede tutto — anche la vita — per gli
altri uomini. Si cominciò a pensare che la povertà, la sofferenza, il sacrificio di sé, la penitenza, non erano maledizioni, ma l'unica
via per essere veri cristiani, ossia per seguire Cristo fino in fondo. E si agì di conseguenza: nasce una mentalità del soccorso al
povero, al malato, al bisognoso; si fondano congregazioni religiose che hanno per scopo l'esercizio della carità verso i fratelli
(come gli Ospedalieri di S. Lazzaro di Gerusalemme che si occupano dei lebbrosi, e i Trinitari, che si occupano dei prigionieri e
degli schiavi).
Soprattutto, molti che erano ricchi nel mondo decisero di farsi poveri per amore di Cristo.
Comunque, ciò che distingue gli ordini mendicanti non è il momento della fuga dal mondo (che caratterizzava i monaci
benedettini, e, ancor più gli eremiti), ma quello dell'incontro con il mondo stesso, sull'esempio di Cristo. Ciò che li distingue,
infatti, non è il primato della preghiera, della contemplazione, della meditazione delle Scritture, e neppure il lavoro manuale, bensì
la testimonianza, la predicazione, l'ascolto delle confessioni, il dialogo semplice con la gente, la loro capacità di vivere a contatto
con il difficile mondo delle città. E poi ciò che li fa amare è il fatto che sono uomini della pace, uomini che portano pace (un dono
di cui le città avevano estremo bisogno); uomini che apprezzano la realtà, la natura, la storia, e sanno rinnovare la Chiesa senza
distruggerla.
La Curia romana si servì abilmente dei frati “mendicanti”. Ai domenicani e francescani si affidò la gestione dei tribunali
dell’Inquisizione, delle lotte antiereticali e antighibelline, della predicazione delle Crociate, della missione presso Musulmani e
Tartari. La loro crescente preparazione intellettuale — giacché su questo piano i francescani, nonostante il parere del loro
fondatore, avevano finito col far concorrenza ai domenicani — fece sì ch'essi popolassero le cattedre universitarie.
Molti furono i moti d’insofferenza, tra i francescani, contro l'intellettualizzazione dell'ordine e la sua crescente ricchezza. Ai frati
che facevano i professori universitari, gli inquisitori e perfino gli agitatori politici al servizio del papa se ne contrapposero altri,
che vollero tornare al primitivo messaggio di san Francesco. Si assistette così, tra la fine del Duecento e tutto il Trecento, alla
ribellione degli Spirituali e dei Fraticelli, che sarebbe più tardi spesso sconfinata nell'eresia e nella rivolta contro il papato e la
Chiesa gerarchica.
LA DOTTRINA DEI CATARI
I catari diffusero nel basso medioevo, e in particolare tra il 1150 e il 1250, un'eresia dualista che si fondava essenzialmente sul
rapporto oppositivo tra materia e spirito.
Appoggiandosi ad alcuni passi del Vangelo, in particolare quelli in cui Gesù sottolinea l'irriducibile opposizione tra il Suo regno
celeste e il regno di questo mondo, i Càtari rifiutavano in toto i beni materiali e tutte le espressioni della carne. Professavano un
dualismo in base al quale il re d'amore (Dio) e il re del male (Rex mundi) rivaleggiavano a pari dignità per il dominio delle anime
umane; secondo i Càtari, Gesù avrebbe avuto solo in apparenza un corpo mortale (docetismo). Essi svilupparono così alcune
opposizioni irriducibili, tra Spirito e Materia, tra Luce e Tenebra, tra Bene e Male, all'interno delle quali tutto il creato diventava
una sorta di grande tranello di Satana (una sorta di Anti-Dio diverso dalla concezione cristiana) nel quale il Maligno irretiva lo
spirito umano contro le sue inclinazioni rette, verso lo Spirito e verso il Tutto. Lo stesso Dio-creatore dell'Antico Testamento
corrispondeva al Dio malvagio, a Satana.
La convinzione che tutto il mondo materiale fosse opera del Male comportava il rifiuto del battesimo d'acqua, dell'Eucarestia, ma
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anche del matrimonio, suggello dell'unione carnale, genitrice dei corpi materiali - prigione dell'anima. L'atto sessuale era infatti
visto come un errore, soprattutto in quanto responsabile della procreazione, cioè della creazione di una nuova prigion ia per un
altro spirito. Allo stesso modo era rifiutato ogni alimento originato da un atto sessuale. Era proibito quindi collaborare in qualsiasi
modo al piano di Satana. La vittoria massima del Bene contro il Male era la morte, che liberava lo spirito dalla materia, e la
perfezione per il càtaro era raggiunta quando egli si lasciava morire di fame.
Pur convinti della divinità di Cristo, gli albigesi sostenevano che Egli fosse apparso sulla Terra come un angelo (un "eone"
emanato dal Dio e dalla Luce) di sembianze umane (di natura angelica era considerata anche Maria) e accusavano la Chiesa
cattolica di essere al servizio di Satana, perché corrotta e attaccata ai beni materiali.
La propaganda catara ebbe una forte presa tra i ceti più umili, favorita dal clima di delusione seguito alla riforma gregoriana, che
aveva mancato di riformare la Chiesa secondo la povertà predicata da Cristo e ritenuta tipica del cristianesimo delle origini.
Le comunità di fedeli erano divise in "credenti" (simpatizzanti, non tenuti ad applicare tutte le norme della disciplina catara), che
si chiamavano «Buoni Uomini», «Buone Donne» o «Buoni Cristiani» e quelli che per l'Inquisizione erano i "perfetti", coloro cioè
che praticavano la rinuncia ad ogni proprietà e vivevano unicamente di elemosina. Gli unici che potevano rivolgersi a Dio con
la preghiera erano i perfetti, mentre i semplici credenti potevano sperare di divenire perfetti con un lungo cammino di iniziazione,
seguito dalla comunicazione dello Spirito Santo, il consolamentum, mediante l'imposizione delle mani.
Tra i perfetti esisteva comunque una gerarchia facente capo ai vari vescovi di ogni provincia e ai diaconi delle comunità catare.
Scrive Jacques Le Goff in L’Europa medievale e il mondo moderno: “ La Chiesa aveva fatto ricorso all’Inquisizione perché era
minacciata. La Chiesa medievale non poteva sopportare l’espressione e la pratica di concezioni devianti rispetto all’ortodossia
cristiana. Ora, nella misura in cui si diffondeva lo sviluppo economico, intellettuale e sociale, le critiche a una situazione in cui la
religione ufficiale e il sistema feudale erano intimamente legati si facevano più numerose e vivaci. Queste contestazioni hanno
assunto a lungo carattere religioso. Sono le eresie che proliferano a partire dall’anno Mille. Tra queste, nei secoli XII e XIII, il
catarismo, diffuso soprattutto nell’Italia del Nord e nella Francia meridionale, ma che si spinge anche fino alle Fiandre e alla
Bassa Renania, è una contestazione che investe i fondamenti del cristianesimo. Si tratta infatti di un’altra religione, simile al
manicheismo e allo zoroastrismo orientali, e da questi influenzata, che contrappone in maniera assoluta un principio del bene e un
principio del male, identificato con tutto ciò che è carne, con tutto ciò che è materia. Incontriamo qui una delle contraddizioni
fondamentali dell’Europa, posta di fronte a contestatori il cui successo avrebbe portato senza dubbio a società di tipo teocratico e
integralista. La Chiesa cristiana non ha saputo cpmbattere questo pericolo se non ricorrendo a mezzi moralmente inaccettabili e
distruttivi dei valori che affermava di voler difendere. L’Europa moderna ritrova sfide analoghe …”.
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