Francesco ei vicari di Cristo - "Ferraris"

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Francesco ei vicari di Cristo - "Ferraris"
Roberta Tenti1
Francesco e i vicari di Cristo
Il francescano Bonaventura da Bagnoregio inizia la biografia (1260-1263) di Francesco d’Assisi
con la frase “La grazia di Dio, nostro salvatore, in questi ultimi tempi è apparsa nel suo servo Francesco”, parafrasi di una frase del Nuovo Testamento (Tito 2,11-13) che si riferisce all’ingresso di
Cristo nella storia. L’intento del teologo Bonaventura era quello di collegare Francesco a Cristo,
equiparando la vita del santo a quella del Salvatore nato da Maria. Il ciclo di affreschi per la basilica
di Assisi, commissionato trent’anni più tardi dall’ordine francescano, s’ispira alla biografia del Bagnoregio facendo vedere la grazia divina “apparsa” in Francesco, ritenuto all’epoca alter Christus.
Gli affreschi di Assisi narrano la vita del Poverello, ma anche il suo rapporto con i vicari di Cristo dall’anno 1209, quando Francesco chiese a Innocenzo III l’approvazione della Regola, fino alla
canonizzazione del santo per mano di Gregorio IX nel 1228. Con Innocenzo III è Francesco che,
recatosi a Roma, s’inginocchia davanti al pontefice; alla fine è Gregorio IX che si reca ad Assisi e
celebra la messa sulla tomba del Santo.
Questa relazione tra Francesco e i pontefici si apre con un sogno: Innocenzo III “aveva visto …
come se la basilica del Laterano stesse per crollare e un uomo, poverello, modesto e dimesso, poggiata ad essa la sua spalla, la sosteneva perché non cadesse” (Bonaventura da Bagnoregio - Legenda
maior, III, 10).
Innocenzo III
Innocenzo III, nato Lotario dei conti di Segni a Gavignano nel 1160, papa dall’8 gennaio 1198 al
16 luglio 1216, conseguì a Parigi, centro intellettuale dell’Occidente dell’epoca, la sua formazione
teologica e studiò diritto a Bologna; fu autore di diversi trattati di teologia morale e ascetica e di filosofia, nei quali cercò di dare un ordine sistematico alla dottrina del dominio del papato nelle cose
spirituali e temporali, in un periodo di forti contrasti tra i due poteri e da cui emerge la padronanza
delle correnti di pensiero dell’epoca e la conoscenza dell’amministrazione della Curia.
Da studente si recò in pellegrinaggio alla tomba di Thomas Becket, il martire difensore dei diritti
spirituali della Chiesa contro la prepotenza dei governanti secolari, ne seguì l’esempio, avendo per
tutta la vita mantenuto la stessa preoccupazione; da pontefice mirò a rafforzare l’autorità pontificia
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Docente di religione al Liceo scientifico “G. Ferraris” di Varese.
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nel mondo cattolico, realizzando una riforma morale e disciplinare della Chiesa. Fu il tutore di Federico II di Svevia nei suoi primi anni di vita, dopo la morte della madre Costanza d’Altavilla. La
morte lo colse a Perugia per un attacco di febbre e fu sepolto nella cattedrale.
Innocenzo III è anzitutto l’uomo di Dio, animato da una fede profonda che lo riporta ad ogni
istante sul pensiero di Dio, con cui comunica attraverso la preghiera per assicurarsi la salvezza eterna, ma anche per preparare, nel mondo, l’avvento d’un ordine di cose più conforme al piano divino
e, per ottenere il divino aiuto, oltre alla preghiera bisogna aggiungere la penitenza. Per obbedire ai
precetti evangelici non basta in realtà evitare il peccato: bisogna servire, cioè osservare la legge della carità, senza la quale non si può entrare nel regno di Dio. Pochi papi sono stati come lui sensibili
alle miserie del prossimo ed hanno avuto espressioni così commoventi per confortarlo.
Fu eletto lo stesso giorno in cui morì Celestino III e a 37 anni era il più giovane dei ventiquattro
cardinali elettori, in un momento in cui l’Impero era immerso in una grave crisi dopo la morte improvvisa di Enrico VI che faceva sentire maggiormente la recrudescenza del pericolo musulmano.
La Chiesa approfittò di questo momento di indecisione per rafforzarsi nel conflitto con l’Impero, e
affrontare lo sconcertante moltiplicarsi di movimenti eterodossi e inquietudini religiose contraddittorie. Dopo due anni dalla sua elezione, lo Stato della Chiesa raggiungeva le dimensioni che aveva
conosciuto ai tempi della donazione di Pipino, e il papa non solo fu riconosciuto come signore di
questi territori, ma fu anche nominato protettore d’Italia.
I fini della sua attività apostolica traspaiono dalle prime bolle e rimasero rigidamente le stesse
sino alla fine del suo pontificato: la liberazione del santo sepolcro, a lui si devono la quarta e la
quinta crociata contro i musulmani; la lotta contro l’eresia, animato da rispetto per l'ortodossia combatté in particolare contro gli albigesi in Francia e scatenò una vera e propria caccia al cristiano eretico; la riforma della Chiesa intervenendo contro il ritorno del nicolaismo e della simonia; la riforma
della curia romana moderando il tenore di vita della corte pontificia; la riforma dei monasteri invitando gli abati al rispetto della regola; la protezione della Chiesa di fronte alle intrusioni laiche.
Innocenzo III e le origini degli ordini mendicanti
Innocenzo III il 1° novembre 1215 aveva convocato in Laterano un concilio destinato a riformare
la Chiesa. Più volte il pontefice aveva manifestato il desiderio di organizzare la predicazione su basi
nuove: i predicatori devono procedere con umiltà, agendo e predicando secondo l’esempio di Gesù,
viaggiando a piedi, senza portare oro e argento e imitando in ogni cosa l’esempio degli apostoli;
non sono accompagnati da alcun servo e sollecitano dalla pubblica carità il loro pane quotidiano.
Scienza ed umiltà sono le due caratteristiche dei predicatori intineranti. Il concilio Lateranense ratificherà, sia pure con qualche modifica, il progetto presentato al papa. Fu però necessario superare
varie difficoltà, sorte per la nascita di altri ordini e particolarmente di quelli di Domenico di Guzman e di Francesco, per quest’ultimo era stata richiesta l’approvazione pontificia e che, per il suo
carattere singolare, aveva suscitato a Roma alcuni timori, rivelatisi tuttavia vani.
Inizi della predicazione e prima regola francescana
Fin dai primi giorni della comunità francescana, un nuovo obbligo si aggiunge alla pratica della
penitenza: la predicazione. Occorre imitare Gesù anche nella predicazione del Vangelo e il primo
pensiero di Francesco fu quello di formare dei predicatori itineranti che, camminando a due a due
come i discepoli di Gesù, andassero di città in città per portarvi un messaggio di pace: soffermandosi sulle pubbliche piazze e agli angoli delle vie, dovevano predicare più con l’esempio che con la
parola, praticando sempre la più stretta povertà ed elemosinando il loro pane. I frati minori si molti2
plicarono rapidamente, ma insorsero le prime difficoltà che Francesco non aveva previsto. Se è relativamente facile, per anime elette, praticare la povertà e l’umiltà e partecipare alle sofferenze di Cristo, per la predicazione invece è necessaria la dottrina per non cadere nell’eresia. Francesco, tutto
pervaso di spirito evangelico, all’inizio non se ne rese conto, e rimase sorpreso dall’accoglienza
piuttosto diffidente che i vescovi, e particolarmente quello di Assisi, riservavano a questi predicatori
itineranti che richiamavano alla memoria, per le loro idee e il modo di comportarsi, ricordi inquietanti. Francesco avrebbe voluto “convertire i prelati con la santa umiltà e il rispetto”. Era un’illusione e ben presto si convinse che l’unico modo per convincere i vescovi e ottenere le agevolazioni necessarie per la diffusione della fraternità era di provare al papa - il solo capace di dissipare le prevenzioni dei vescovi - che la comunità francescana era in grado di infondere una nuova linfa nel
corpo della Chiesa.
Così nel 1210, dopo un anno di incertezze, Francesco si recò a Roma accompagnato da alcuni
suoi frati. Il vescovo di Assisi, già a Roma, gli ottenne un abboccamento con il card. Giovanni di S.
Paolo, che, conquistato da “questo uomo dotato della più alta perfezione”, gli facilitò l’accesso
presso Innocenzo III. Francesco espose con la sua abituale semplicità le linee fondamentali della regola, riassunte in tre versetti del Vangelo: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi i tuoi beni, donali ai
poveri e avrai un tesoro in cielo: poi vieni e seguimi (Mt 19,21); Non prendere niente per il viaggio,
né bastone, né bisaccia, né pane, né oro, né due tonache (Lc 9,3); Colui che vuole seguirmi, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua (Mt 16,24)”. Innocenzo III non poteva non approvare
questa forma di apostolato: essa rispondeva alle sue più intime aspirazioni e non era altro che una
variante di ciò che aveva consigliato alcuni anni prima a Diego di Osma e a S. Domenico. Sorgeva
però una riserva: i discepoli di Francesco erano in massima parte laici senza molta cultura e vivevano con un umile lavoro o di elemosina; la vita itinerante che conducevano non era molto indicata
per acquistare quell’istruzione necessaria per predicare, alla quale si poteva accedere soltanto nei
conventi; del resto come si sarebbero potuti costruire, rimanendo fedeli al concetto di ordine mendicante avanzato da Francesco? Questa difficoltà stava per compromettere l’approvazione pontificia;
ma nel corso di un altro incontro con il papa l’impressione prodotta dai frati fu talmente favorevole
e l’obbedienza verso la Sede apostolica così piena che Innocenzo III accordò oralmente a Francesco
la facoltà di predicare, autorizzandolo anche a trasmetterla a ciascun frate individualmente, tutte le
volte che lo credesse opportuno. I temi però dovevano essere soltanto morali.
Quindi nel 1210 Innocenzo III approvò verbalmente il programma dell’ordine dei Frati minori,
ma Francesco non pretese mai di fondare un ordine tradizionale, poiché nella costituzione di un ordine scorgeva la tentazione permanente di possedere e dominare. Tuttavia, la gerarchia considerò
indispensabile questo passo, dal momento che il numero crescente dei suoi seguaci imponeva l’adozione di una forma organizzata. Occorre ricordare che in alcune regioni della Germania e della
Francia i primi predicatori francescani furono confusi con gli eretici per la loro povertà, per il rifiuto
di avere una dimora stabile e a causa del loro stile di vita. Pertanto, soltanto dopo la morte di Innocenzo III la Chiesa romana elaborerà un’organizzazione dell’ordine.
I francescani, grazie alla loro organizzazione sovranazionale, all’autonomia dal potere dei vescovi e alla capacità di movimento dei membri in funzione delle necessità di predicazione e di insegnamento, divennero un potente strumento di azione religiosa ed ecclesiale al servizio della volontà riformatrice e centralizzatrice del papato. Essi esercitarono un’influenza più diretta sulla religiosità
laica, attraverso la semplice predicazione e la testimonianza e tramite il confessionale. Fecondi
nell’ordine furono sia il pensiero sia l’azione pastorale. Infatti, gli ordini mendicanti rifiutavano la
struttura agraria degli ordini monastici, la loro stabilità e l’autonomia di ciascun monastero, e adattavano il proprio stile di vita alle esigenze pastorali del momento, vivendo nei luoghi dove era necessaria la loro testimonianza o la loro parola. Evidentemente, risultavano più conformi alle condi3
zioni di vita del momento più che i monaci.
Con Francesco nasce una nuova spiritualità. Il Dio onnipotente della spiritualità monastica cede
il posto all’umanità di Gesù, che appare agli uomini come un fratello. La prima vera risposta alle
nuove esigenze dei laici fu fornita dalla predicazione popolare ed emotiva degli ordini mendicanti.
Il privilegio papale che consentiva ai mendicanti di predicare e confessare in ogni angolo della
cristianità interferiva con le funzioni e i diritti di vescovi e sacerdoti secolari, e con le loro fonti di
reddito, e ciò produsse situazioni conflittuali che si protrassero nel corso dei secoli. Erano, difatti, in
gioco il concetto di organizzazione diocesana e l’armonizzazione tra la giurisdizione papale e quella
episcopale.
Onorio III
Dopo la morte di Innocenzo III (16 luglio 1216) i cardinali affidarono la tiara al cardinale Cencio
Savelli, che prese il nome di Onorio III (1216-1227) e la cui elezione fu accolta con gioia dai romani che avevano finalmente come papa un loro concittadino. Già avanti negli anni, aveva dedicato la
maggior parte della sua attività alla compilazione del Liber censuum della Chiesa romana; era uomo
pio, caritatevole, coscienzioso, conciliante e pacifico, ma non era affatto un diplomatico e il carattere conciliante del pontefice a cui faceva difetto l’energia e la sua benevola debolezza furono sfruttati con un cinismo che il pontefice mai osò denunciare o reprimere. Continuò la crociata contro gli
albigesi e approvò ufficialmente la regola dei francescani e dei domenicani. Scrittore fecondo, redasse una raccolta di decretali, la Compilano quinta, considerata il primo testo ufficiale di diritto canonico, e il Liber censuum. Nel 1217 consacrò l'imperatore d'Oriente, cosa che nessun papa aveva
mai fatto. Nel 1219 il Comune di Roma tentò di riconquistare la libertà, ma Federico II intervenne
immediatamente in favore del papa. Nel 1220 conferì la corona del Sacro Romano Impero a Federico II, che aveva promesso di organizzare una crociata in Terra Santa. Si dedicò all’evangelizzazione
dei paesi scandinavi e slavi e approvò l’Ordine Domenicano e l’Ordine Francescano. Onorio III
morì prima di veder realizzata la tanto attesa crociata. Fu sepolto in S. Maria Maggiore.
Onorio III e gli ordini mendicanti
E’ questo il periodo in cui si cerca di dare un’organizzazione agli ordini fondati da Domenico di
Guzman e Francesco d’Assisi. I frati predicatori di Domenico avevano compreso sin dall’inizio la
necessità di una regola e, in attesa di poterne adottare una che fosse propria, avevano accettato provvisoriamente quella di S. Agostino. Ma l’organizzazione dei frati minori di Francesco in un ordine
sollevò maggiori difficoltà. Infatti, Francesco d’Assisi non considerò neppure per un istante la possibilità di riallacciare la sua fraternità a un ordine già esistente: si contentò di far approvare al papa
il movimento a cui aveva dato inizio, e si continuò a vivere secondo il Vangelo, senza fissare per
mezzo di costituzioni gli obblighi ai quali ci si impegnava. Essi intendevano praticare la povertà e,
per mezzo della predicazione, condurre le anime sulla via della salvezza, e non sembrava che questo
ideale dovesse essere codificato sotto la forma di una regola.
Ma a Roma si pensava diversamente. Finché i discepoli di Francesco furono pochi compagni animati dallo stesso desiderio di imitare Cristo, si lasciò correre; ma questa nuova forma di vita ebbe
ben presto un immenso successo. Nel giro di pochi anni i frati minori si contarono a migliaia e in
men che non si dica si diffusero dall’Italia in Francia, in Germania, in Ungheria e in Spagna. Fin da
allora Francesco non riusciva più ad avere con i suoi figli spirituali il contatto necessario per mantenerli nel suo spirito. Vi era da temere che ogni comunità seguisse usi propri, difficilmente controllabili, e che, come si era già verificato, il desiderio di perfezione evangelica conducesse più o meno
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all’eresia.
Di questo pericolo Francesco non ebbe coscienza. Egli non pensava che a convertire i pagani e
ad evangelizzare gli infedeli. Già sotto Innocenzo III aveva tentato di portare la fede cristiana
all’Islam e, nonostante circostanze impreviste l’obbligarono a differire l’esecuzione del suo progetto, egli non vi rinunciò e ritornò in Oriente nel 1219. Rientra in Italia nel 1220 con un’idea di apostolato più profonda che mai, e cioè con il desiderio di sostituire alla crociata delle armi la missione
di condurre le anime a Dio senza spargimento di sangue. Egli è il vero iniziatore del movimento di
evangelizzazione all’estero, che si svilupperà subito dopo la sua morte, senza che egli si fosse reso
conto che occorreva, per questo, un’organizzazione e una disciplina, delle quali personalmente non
vedeva la necessità.
La regola francescana del 1223
Anche senza tener conto di questo nuovo campo dell’attività francescana, diventava sempre più
evidente la necessità di dare una regola ai frati minori. Lo stesso Francesco, al ritorno dall’Oriente,
dovette constatare alcuni disordini scaturiti sia da una crisi d’autorità sia da un bisogno di novità,
che aveva condotto a strane esagerazioni. Provandone una viva delusione e comprendendo la necessità d’una direzione più efficace, e ritenendosi incapace di assicurarla, si recò a Roma (1220) e chiese al papa Onorio III di prendere i frati minori sotto la protezione della S. Sede e di designare qualcuno che lo assistesse nel governarli. Onorio III scelse il card. Ugolino, che aveva una conoscenza
esatta del movimento e vedeva molto bene a quali bisogni della Chiesa esso poteva servire. Francesco allora riunì in un capitolo i suoi discepoli, delegò come loro superiore Pietro Cattani e, dopo la
morte di questi, frate Elia. Egli si ritirò nella solitudine per dare libero sfogo alle sue aspirazioni
ascetiche, da cui si allontanava per predicare e, a volte, per riprendere contatto con i suoi frati.
La Santa Sede era così indotta a prendere in mano il movimento francescano. Una bolla del 22
settembre 1220 imponeva un noviziato di un anno a coloro che volevano entrare nella fraternità; in
seguito, d’accordo con Francesco, si provvide a redigere una regola. Una prima redazione, in 23 capitoli, comparve nel 1221: essa consisteva in un commento abbastanza vago delle parole evangeliche all’origine della fraternità francescana. Una seconda regola, molto più precisa, fu più tardi
composta da Francesco, rivista dal card. Ugolino e approvata da Onorio III il 29 novembre 1223.
Questa regola conferma fin dall’inizio i princìpi che avevano ispirato la fondazione della comunità francescana. L’ordine, tutto pervaso di spirito evangelico, avrebbe praticato la più rigida povertà: non doveva possedere case, né ricevere denaro, neppure a titolo di elemosina, sia direttamente
che per interposta persona. Né sarebbe stato meno fedele al precetto dell’amore con tutte le conseguenze che ne derivano: i frati non solo dovevano essere uniti da una mutua carità cristiana che
deve manifestarsi specialmente in caso di malattia, di necessità o di peccato, ma non devono mai disprezzare coloro che vivono in modo diverso dal loro, anche se ostentano un lusso sfacciato o si abbandonano agli eccessi della gola; devono essere pacifici, modesti, umili, pazienti e devono trovare
nell’unione un sostegno per la loro carità.
La regola del 1223 tratta anche dell’organizzazione dell’ordine: conferisce l’autorità al ministro
generale e al capitolo, che, composto dai provinciali e dai custodi, si deve radunare ogni tre anni ed
eleggere il ministro generale. Questi esercita il potere esecutivo; è lui, in particolare, che designa i
predicatori e dà ai frati la facoltà di predicare, che però è subordinata al consenso dell’ordinario del
luogo. Infine, una delle caratteristiche dell’ordinamento francescano è la subordinazione dell’ordine
alla Santa Sede per mezzo di un cardinale “governatore, correttore e protettore” che deve vegliare
sull’ortodossia dei frati e sull’osservanza della povertà e dell’umiltà.
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Questa regola, in cui è riconoscibile la mano del card. Ugolino, cambiava completamente la fisionomia della comunità francescana, che da libera e disorganizzata quale fino allora era stata, diventava un ordine come quello domenicano, con una vita conventuale regolare; e, con l’istituzione
del cardinal protettore, veniva sottomessa al controllo del pontefice romano che aveva su di essa
ogni potere di correzione. In conseguenza di ciò, l’individualismo che aveva caratterizzato i suoi
inizi fu grandemente limitato: i frati, abituati a praticare la vita comune in spirito di perfetta carità,
ma secondo la propria ispirazione, dovevano ormai piegarsi a una disciplina; persino le loro austerità furono regolate; e fu senza dubbio questa la cosa più penosa per molto di loro, che videro infranto
il loro slancio verso la perfezione evangelica.
Francesco fu il primo a provare tale delusione. Come in ogni altra circostanza, si chinò senza esitare alla volontà suprema della Chiesa romana, ma preferì non entrare nella nuova organizzazione in
cui non avrebbe potuto il suo desiderio di sofferenza. L’ordine dei farti minori non rispondeva alla
sua idea: da peregrinante a sedentario; digiuni e austerità regolate e non più illimitate; da capanne
sprovviste del più elementare conforto a conventi in muratura; umiltà compromessa da una regola
che permetteva di attendere allo studio, da lui proibito, convinto che per seguire l’esempio di Cristo
era meglio pregare che studiare.
Perciò, appena promulgata la regola nel capitolo del 1224, Francesco si ritirò nella solitudine
della Verna, dove morirà il 3 ottobre 1226, abbandonandosi ad un’ascesi che va oltre ogni limite
(stigmate, “Cantico di frate sole”). Prima di morire dettò il suo “Testamento” in cui, insistendo ancora una volta sulla povertà, ammonisce i suoi frati di guardarsi dall’eresia e li esorta ad essere obbedienti verso la Chiesa.
Gregorio IX
Il card. Ugolino dei conti di Segni, che il 19 marzo 1227 divenne papa Gregorio IX (1227-1241),
non aveva niente in comune con il suo predecessore; infatti, era dotato di quell’esperienza che mancava ad Onorio III, avendo svolto sotto il pontificato di Innocenzo III (appartenevano alla stessa famiglia) numerose e delicate missioni, che lo avevano reso un abile diplomatico. Nonostante l’età,
aveva conservato un temperamento autoritario che contrastava con l’arrendevolezza dell’antico precettore di Federico II. Infatti, a differenza del suo predecessore, assunse subito un atteggiamento
fermo e risoluto nei confronti dell’imperatore, spingendosi fino allo scontro in armi, conclusosi con
la pace di San Germano del 23 luglio 1230.
Era sensibile ai diversi aspetti della miseria umana, pervaso del nuovo spirito che gli ordini mendicanti avevano immesso nella Chiesa. Da cardinale ebbe grandi meriti nella protezione e nella direzione del nuovo Ordine francescano, mirando a disciplinarlo secondo le tradizioni e gli scopi della
Chiesa. Divenuto papa, le sue premure per l’Ordine francescano culminarono nella canonizzazione
di Francesco d’Assisi il 16 luglio 1228 e la posa della prima pietra per la costruzione della chiesa di
San Francesco in Assisi.
Nello stesso tempo fu un intellettuale, che diede un vivo impulso alle Università, e un canonista
che in tutte le cose voleva che ci si conformasse alle prescrizioni del diritto. Come Innocenzo III,
egli volle far rispettare le decisioni della Chiesa romana sia dai re che dai vescovi e rimase fedele
alle idee espresse da S. Bernardo nel De consideratione che, riprese dai canonisti del sec. XIII, furono da essi presentate in una forma più chiara. Enrico da Susa, più noto con il nome di Hostiensis,
dopo aver paragonato il papa al sole e il re alla luna, non temerà di affermare che soltanto il sole è
fonte di luce e che, come la luna non riceve da altri che da esso la sua chiarezza, così l’imperatore
riceve il suo potere solamente dal papa, signore dell’universo. A sua volta Gregorio IX, dopo aver
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ricordata la Donazione di Costantino, scrive in una lettera del 18 maggio 1233:
Alla Chiesa sono state affidate le due spade, ma essa non ne usa
che una e dà l’altra al principe secolare che se ne serve per essa; una
deve essere usata dal sacerdote e l’altra dal cavaliere che obbedisce
al cenno del sacerdote.
Gregorio IX era deciso ad assicurare con tutti i mezzi la supremazia della Chiesa, a cui i laici
sono tenuti ad inchinarsi nell’esercizio del loro potere temporale. Istituì l’Inquisizione e fece sentire
ai principi temporali, con una durezza a volte violenta, tutto il peso della potenza romana.
La crisi francescana
Era appena morto Francesco e già l’ordine era in preda a una crisi dovuta alle difficoltà di interpretazione della regola, soprattutto in materia di povertà. La costruzione di una basilica ad Assisi e
di un convento a Parigi andavano contro le prescrizioni sulla povertà volute da Francesco. La discussione che ne nacque ben presto fece emergere delle divergenze di vedute. Il dissenso fu tale che
nel 1230 il capitolo chiese al card. Ugolino, ora papa Gregorio IX, di definire come dovessero interpretarsi la regola e il testamento di Francesco.
Con la bolla Quo elongati del 28 settembre 1230, il papa prese nettamente posizione: dichiarò
che il testamento non aveva forza di legge, perché opera personale di Francesco, e che solo la regola
era obbligatoria. Affrontava poi la questione della povertà e, da esperto giurista, cercava di conciliare le contrastanti posizioni che si erano manifestate, distinguendo tra la proprietà, che rimaneva
formalmente interdetta, e l’uso che doveva essere tollerato. Per quanto riguardava conventi e chiese,
non se ne poteva condannare l’uso, qualora continuassero ad appartenere ai donatori; ugualmente
l’uso del denaro era permesso se conservava il carattere di deposito ed era maneggiato non dai frati,
ma da una persona di fiducia.
E’ lecito dubitare che Francesco avrebbe approvato il contenuto della bolla. Infatti, alcuni ferventi discepoli di Francesco non vollero accettare l’interpretazione pontificia, che sembrava loro in
contrasto con gli insegnamenti del fondatore. Ben presto due tendenze si delinearono nell’ordine:
gli “zelanti”, in seguito detti “spirituali”, rimproverarono al papa di aver falsato il pensiero di Francesco e dichiararono di voler continuare a osservare la povertà assoluta, secondo il suo esempio; gli
altri, invece, docili al consiglio di obbedire alla Chiesa romana, acconsentirono ad abitare nei conventi e a frequentare le Università. Il rappresentante di questa tendenza era frate Elia di Assisi, che,
divenuto ministro generale, governò in modo troppo autoritario e senza convocare il capitolo che,
riunito Roma nel 1239 contro la sua volontà, lo depose.
Si ebbero allora alcune modificazioni nell’organizzazione dell’ordine. Il capitolo generale, divenuto semplice consiglio, prese a riunirsi ogni tre anni e gli fu demandata l’autorità suprema, come
per i domenicani, così che le sue decisioni obbligavano anche il ministro generale, che da esso poteva essere deposto. Le costituzioni pubblicate a Narbona nel 1260 da S. Bonaventura ratificarono
questa superiorità del capitolo generale, in cui ogni provincia era rappresentata anzitutto dal provinciale, e quindi da un custode eletto dai custodi della provincia e da un discreto eletto dal capitolo
provinciale. Il sistema elettivo si introdusse a tutti i livelli dell’organizzazione: d’ora innanzi il provinciale sarà eletto dal capitolo provinciale e confermato dal ministro generale. I frati minori divenivano ogni giorno più un ordine molto strettamente legato alla Santa Sede. Gli zelanti avevano potuto provocare la caduta di Elia di Assisi, ma non per questo riuscirono a imporre le loro idee; anzi, la
legislazione francescana si avvicinava sempre più alle costituzioni domenicane.
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Il papato e l’ordine francescano
A partire dal 1239 l’ordine francescano, se si fa eccezione per gli zelanti, divenne, al pari dei domenicani, uno dei meccanismi essenziali del governo pontificio. Il papato non lesinò il suo favore:
non solo vegliò sull’osservanza della disciplina ed approvò le regole degli altri due ordini scaturiti
dalla fraternità primitiva – clarisse e terz’ordine della penitenza – ma ingiunse ai vescovi di proteggere i francescani, ma nel contempo li invitava a partecipare, insieme ai domenicani, alla predicazione della crociata e, più ancora, all’opera di evangelizzazione dei pagani, di cui il papato prese la
direzione e che procedette di pari passo con la guerra santa.
Bibliografia
M. Dell’Olmo, Storia del monachesimo occidentale dal medioevo all’età contemporanea, Editrice
Jaca Book 2011
Dizionario dei papi, a cura di Dorina Alessandra, SugarCo Edizioni 1995
A. Fliche, Ch. Thouzellier, Y. Azais, Storia della Chiesa dalle origini ai giorni nostri, vol. X, La
cristianità romana (1198-1274), a cura di Mariano Da Alatri, Editrice S.A.I.E. 1980
J.M. Laboa, La storia dei papi tra il regno di Dio e le passioni terrene, Editrice Jaca Book 2007
“L'Osservatore Romano”, 15 marzo 2013
A. Vauchez, Francesco d’Assisi, Einaudi 2010
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