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Valérie Tasso:
L'altro lato del sesso
Tropea Editore 2007
pp.252
Valérie Tasso
L'ALTRO LATO DEL SESSO
Traduzione di Ximena Rodriguez
Tropea
Titolo originale: el atro ludo del sexo © 2006 Valérie Tasso © 2006 Random House
Mondadori S.A. © 2007 Marco Tropea Editore s.r.l.
Corso Buenos Aires 36
20124 Milano
Tel: (0039) 02 36596750
Fax: (0039) 02 36596754
www.marcotropeaeditore.it
Prima edizione: settembre 2007
ISBN: 978-88-9551501-4
L'ALTRO LATO DEL SESSO
A Jorge. Per continuare a cercare insieme quadrifogli in giardino.
Alla mia nuova famiglia: Pepita, Maria José, Mito e Coco.
Alla voragine che ha lasciato il suo corpo. Inevitabile.
Nota dell'autrice: i nomi che compaiono nel libro sono di fantasia per tutelare
la privacy delle persone coinvolte.
Introduzione
Raccontano che una volta domandarono a Baudelaire sul significato ultimo del suo
lavoro. E raccontano che il poeta rispose: «Quando mi chiedono che cosa voglio
dire, dico che quello che desidero è fare, ed è di questa volontà di fare che
scrivo».
Lo capisco. Personalmente, mi è sempre costata fatica distinguere dove comincia
la scrittura e dove finisce la vita, quale confine separa la conoscenza
dall'esperienza vissuta e in quale particella di pelle abbiamo fine noi e
cominciano gli altri. Ho sempre creduto che vita e pensiero si nutrano l'una
dell'anima dell'altro, incessantemente, reciprocamente.
Ho iniziato a vivere e quindi a scrivere questo libro qualche anno fa. Non
saprei dire esattamente quando, ma credo di poter affermare che dal primo
istante si sia innescata una fratellanza assoluta tra la mia formazione teorica
(sostanzialmente, gli studi di sessuologia che ho intrapreso dopo la laurea) e
il mio bagaglio esistenziale. Entrambi mi hanno fatto capire che il sesso, la
dimensione più agognata e perseguita della coscienza umana, celava un «oltre»
sconosciuto. Una faccia nascosta. L'altro lato. Cosicché scoprendolo, e
scoprendomi, non mi restava che avventurarmici. Avvicinarmi.
L'altro lato del sesso è, e ha avuto fin dall'inizio l'ambizione di essere, un
viaggio ai margini della condizione umana. Un incontro ravvicinato con le pieghe
oscure dell'uomo, quelle pieghe in cui la materia inizia a perdere consistenza e
il cielo abbandona i toni del blu per virare al nero. Prima di partire, e per
tutto il viaggio, ho ricordato le parole del maestro Sun Tzu: «Quando ti scontri
in battaglia, sappi che indipendentemente dall'esito devi essere disposto a
perdere una parte di te». E così è stato.
Non esistono viaggi senza rischi. I percorsi di autoconoscenza (l'immersione
nella nostra coscienza per far venire a galla quello che accomuna tutte le
altre) sono sempre dolorosi; non sappiamo compierli in altro modo. Lontano dalle
mistiche orientali, il nostro pensiero a compartimenti stagni ci permette solo
di smontare l'ingranaggio per capire cosa c'è dentro e, con un po' di fortuna,
cercare di ricomporlo. Smontarci per capirci. Smontarci per ricomporci.
Smontarci per raccontarci.
Ora che a stento ritorno (ci sono luoghi da cui non si torna mai del tutto),
credo di aver perso in innocenza e guadagnato in spessore. Ora che a stento
ritorno, racconto quello che ho visto dove non si può tornare del tutto, quello
che ho vissuto dove non si vuole tornare del tutto. Racconto il mio sforzo di
aprirmi per raggiungere quei luoghi e, una volta tornata, raccontarmi. Cerco di
farlo con maturità, quella maturità che consiste - cito Nietzsche - nel
ritrovare «la serietà che da fanciulli si metteva nei giochi». Cerco di farlo
con schiettezza. Di parlare dei colori che ho captato, di ragionare sui
comportamenti che ho assunto, di riflettere sul perché il lato che ho visto sia
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quello nascosto e non quello visibile; di capire perché, se da qui la luna
appare sempre uguale, piatta e serafica, non ce ne lascino mai vedere il
rovescio, il lato su cui batte sempre il sole.
Quello che avete fra le mani è il risultato di tutto ciò.
A vostra disposizione...
Il Regno dell'Altro Mondo. Il vero impero delle donne
Se tortura i suoi schiavi in camera dopo la mezzanotte, è vivamente pregata di
limitare le urla.
Dal regolamento di The Other World Kingdom
Valérie Tasso
Quella sera comprai una tigre. Una tigre abbastanza addestrata, abbastanza
affettuosa.
«A casa ho un gatto e mi manca terribilmente. Per cui vedi di fare il
gattino. Fai le fusa» ordinai alla mia tigre.
«Mi dispiace, Signora, non posso. Sono una tigre, non un gatto» rispose la
tigre, con aria severa.
Subito dopo, però, mi si buttò ai piedi e iniziò a strusciarmisi contro.
Cercava di compiacermi.
La sera che comprai la tigre, Lilith, la sua padrona, mi ringraziò
calorosamente. Dopo tutta la fatica che aveva fatto a dipingerle il corpo di
strisce nere, ci sarebbe rimasta davvero male se non fosse riuscita a venderla
all'asta. Eravamo tutti perfettamente calati nella nostra parte; la cosa più
sconvolgente, per me, era l'estrema scioltezza, l'assoluta naturalezza con cui
ci comportavamo. Come se stessimo mettendo in scena una pièce teatrale che
avevamo provato per tutta la vita e dì cui, ormai, conoscevamo talmente bene i
dialoghi da non avere nemmeno più bisogno del copione. Mentre mi pavoneggiavo un
po' in giro con il mio tigrotto e le altre domine si fermavano ad accarezzarlo,
pensavo proprio a questo, alla teatralità. In quel momento, Oggetto mi si
avvicinò timidamente per sapere se avevo bisogno di qualcosa.
«Sì. Vai al bar e ordina un bicchiere di vino bianco e una birra analcolica
per il mio schiavo. Ah, dimenticavo. Portami anche un bicchiere d'acqua.»
«Sì, Signora. A sua disposizione, Signora. Con il suo permesso, Signora, mi
ritiro.»
«Va bene, vai. Ma quando torni voglio che mi reciti un po' di Shakespeare.»
«Of course, Madam.»
E correndo verso il bar per prendere quello che gli avevo ordinato, Oggetto
fece tintinnare il lucchetto che gli pendeva dai genitali. Sulla sua natica
sinistra spiccava un livido, senza dubbio recente, a giudicare dai colori. Poi
la sagoma del suo corpo nudo svanì nel buio della discoteca.
«Benvenute nel Regno dell'Altro Mondo:
non dimenticatevi di mettere il collare alla vostra creatura maschile»
Il Regno dell'Altro Mondo si trova a un'ora e mezza da Praga, a metà strada
fra la capitale e Brno, in una località di nome Cerna. Sarei perfettamente in
grado di individuarla su una cartina della Repubblica Ceca. Sull'esatta
posizione del castello, però, non metterei una mano sul fuoco. È strano, non mi
ero minimamente preoccupata di sapere dove si trovava. Forse volevo già
cancellarlo dalla memoria. O non essere troppo consapevole di dove stavo
andando. O, più semplicemente, non spremermi troppo il cervello su cosa mi
sarebbe potuto accadere, in caso di emergenza, in quel luogo sperduto e isolato.
Monique, la persona alla quale dovevo il mio imminente ingresso nella mecca del
sadomasochismo, mi aveva spiegato che il castello si trovava in mezzo alla
campagna, vicino a un piccolo paesino.
«Ci tratteranno da vere regine, puoi starne certa» mi disse in tono
eccitato, davanti alle porte del castello.
Ero eccitata anch'io, ma al tempo stesso ero molto spaventata all'idea di
ciò che avrei trovato dietro quelle mura.
Eravamo atterrate quella mattina all'aeroporto di Praga. Ad accoglierci c'era un
biondo mozzafiato con un cartello su cui compariva la sigla Owk, «Other World
Kingdom». Per un attimo avevo pensato che si trattasse di uno schiavo della
Regina Patricia, la sovrana del regno. In realtà era soltanto un tassista con
qualche difficoltà a comunicare con noi. Durante il tragitto in macchina,
Monique e io avevamo scherzato sul nostro soggiorno in quel posto. Lei sembrava
molto sicura di sé. Era normale, del resto. Quello era il suo quarto viaggio.
Quanto a me, ero più che altro preoccupata dal comportamento che avrei dovuto
tenere in una situazione simile e dal fatto di non sapere che cosa mi
aspettasse. Avevo dato un'occhiata alle foto che comparivano sul sito ufficiale
del castello, e devo ammettere che mi avevano sconvolta. Oltre a una panoramica
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dei vari ambienti, comprese le sale di tortura, il sito mostrava cruente
sessioni Sm. L'evento a cui stavo per assistere aveva chiamato a raccolta le
domine più importanti del mondo, giunte dai quattro angoli del pianeta per
prendere parte alla cerimonia ufficiale. Sicuramente non sarebbero state tutte
come Monique - gradevoli, comprensive, ironiche e consapevoli del fatto che l'Sm
(sadomasochismo) è qualcosa di più di qualche frustata sul culo di uno schiavo.
Ora, però, l'adrenalina cominciava a salire. Eravamo lì, in piedi davanti alla
porta, ma nessuno sembrava fare caso ai nostri tocchi insistenti di campanello.
Erano passati quindici minuti eterni. Stavamo per cedere al nervosismo e
all'impazienza, ma Monique aveva ancora stampato in faccia il suo bel sorriso.
Il tassista non si era mosso. Se ne stava lì, tutto serio, senza guardarci;
probabilmente voleva accertarsi che entrassimo. La sua presenza mi
tranquillizzava: se non avesse risposto nessuno, almeno, avrebbe potuto
riaccompagnarci in città. Alla fine, un ragazzo biondo, dai tratti ariani, venne
ad aprirci. Dopo averci fatte entrare, ci accompagnò direttamente alla reception
per farci compilare dei moduli tutt'altro che rassicuranti, con cui l'Owk
declinava ogni responsabilità in caso di problemi.
«E per le autorità ceche» disse il ragazzo biondo quando gli chiesi se fosse
proprio necessario riempirli.
«Perché, la polizia di solito guarda il registro degli ospiti?» ribattei,
cercando di mantenere la calma.
«No. Polizia no» mi rispose in un inglese elementare.
«Non preoccuparti» intervenne Monique. «È solo una formalità, nient'altro. Qui
non ci sono mai problemi.»
Ero costretta a crederle. In realtà, non avevo paura della polizia, ma di
quello che poteva succedere dentro il castello. Dopo aver cambiato un po' di
euro in dom (1 dom = 0,68 euro), la moneta ufficiale del Regno nonché l'unica
accettata dal ristorante e dal negozio dell'Owk, ritirammo la chiave della
nostra stanza e ce ne andammo.
La gente che stava arrivando parlava quasi tutta inglese. Uscendo, oltre a
qualche depliant sulle attività previste per quei giorni, presi una copia del
regolamento del castello, che riporto parzialmente qui di seguito:
Benvolute nel Regno dell'Altro Mondo (Owk), il vero Impero delle Donne! Regole
basilari di comportamento all'interno del Regno:
* Nell'Owk le donne sono superiori alle creature maschili, e queste creature
devono comportarsi di conseguenza.
* Tutte le creature maschili devono portare un collare attorno al collo
ventiquattro ore su ventiquattro.
* Le poltrone, le sedie e gli sgabelli sono riservati esclusivamente alle donne.
* Sul suolo delimitato dal recinto possono camminare solo le donne.
* Le donne godono di assoluta preminenza sulle creature maschili, in qualsiasi
situazione e in qualsiasi luogo.
* Tutti i servizi offerti dall'Owk sono riservati esclusivamente alle donne.
* È vietato nutrire altri schiavi al di là dei propri.
È vietato punire severamente uno schiavo altrui senza il permesso della sua
padrona.
* È vietato praticare giochi erotici nelle aree pubbliche.
* È espressamente vietato l'uso di macchine fotografiche e videocamere.
* Per entrare nel Palazzo della Regina bisogna essere vestiti! (Le creature
maschili devono essere vestite in modo da essere interamente coperte, compresi i
genitali, il culo e le parti superiori del corpo).
* Quando viene intonato l'Inno del Regno, le donne devono alzarsi in piedi e gli
uomini devono inginocchiarsi.
* L'Owk declina ogni responsabilità in caso di eventuale smarrimento o
distruzione di effetti personali.
* L'Owk declina ogni responsabilità in caso di eventuali lesioni, ferite,
malattie o qualsiasi altro danno possa pregiudicare la salute.
* Tutti coloro che entrano nel Regno dell'Altro Mondo lo fanno a proprio rischio
e pericolo.
* All'interno del Regno, l'Owk non assicura nessuno contro danni di alcun
genere.
* In caso di grave violazione del regolamento, l'Owk si riserva il diritto di
espellere dal Regno le persone coinvolte senza alcun tipo di risarcimento
economico.
* In caso di controversie, l'ultima parola spetta alla prima hoffmistress.
Pasti
* La colazione e la cena vengono serviti nel pub U Chomouta, all'interno della
Long House. Il pub è aperto dalle nove del mattino alle nove di sera.
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* La colazione (dalle nove alle undici del mattino) è inclusa nel prezzo; la
cena e le bevande vanno invece pagate immediatamente e in contanti (dom).
* Se il nostro cibo non la soddisfa può mangiare nell'albergo di Merin, il paese
vicino, o nella città di Velké Mezirici.
* Fatta eccezione per quella del laghetto del parco, l'acqua erogata in tutta
l'area è assolutamente potabile.
* Sistemazione
* Per qualsiasi problema relativo alla sistemazione la invitiamo a informare la
reception della New House.
* Se tortura i suoi schiavi in camera dopo la mezzanotte, è vivamente pregata di
limitare le urla.
* In caso di grande affluenza è possibile che l'acqua scarseggi (soprattutto la
sera). Se può, ne approfitti per farsi la doccia durante il giorno.
* In caso di problemi di salute, incendi, eccetera, la invitiamo a contattare
immediatamente la reception. Di notte può suonare al campanello del negozio e
rivolgersi a Madame Gabrielle.
Letto fuori dal suo contesto e senza una vaga idea di cosa sia il vero Sm, un
regolamento del genere farebbe accapponare la pelle a chiunque. Io stessa, per
quanto pienamente istruita in materia, per quanto abbastanza inserita
nell'ambiente e accompagnata da una femdom professionista di prima categoria,
non riuscii a restare impassibile di fronte a quelle parole. Anzi, per dirla
tutta, mi vennero i brividi. Del resto, è chiaro che nessuno entrerebbe mai nel
Regno dell'Altro Mondo se non ci fossero regole ben precise che limitano l'uso
del proprio corpo e l'entità dei castighi. Il che, in parole povere, significa
che alle «creature maschili» non può essere fatto nulla che non sia stato
precedentemente concordato.
Come mi spiegò Monique, il Regno è frequentato da due tipi di uomini: quelli
che arrivano con la loro padrona, e che in qualche modo sono protetti da lei nessuna donna, infatti, può toccare uno schiavo che non sia il suo - e quelli
che arrivano da soli. Questi, detti anche «orfani», sono a completa disposizione
di tutte. Si tratta di uomini «pubblici», disposti a farsi frustare, a lustrare
fino alla nausea gli stivali delle signore e a esaudire qualsiasi altro loro
capriccio. A un'unica condizione: nessuno fa niente contro la propria volontà.
Poi ci sono gli schiavi personali della Regina Patricia, che non possono essere
toccati per nessuna ragione al mondo (tranne in caso di gravi violazioni da
parte loro). Indossano tutti una maglietta dell'Owk con un cerchio nero. Gli
intoccabili, finii per soprannominarli. Interamente al servizio di Sua Maestà,
questi schiavi mangiano separatamente dagli altri e dormono nelle segrete del
castello.
Dopo esserci sistemate nella nostra camera, Monique e io ci preparammo a
esplorare il centro sadomasochista più importante del mondo.
I miei rapporti con una femdom: Lady Monique
La prima volta che sentii parlare del Regno dell'Altro Mondo fu nove anni fa,
sfogliando una rivista francese di successo. Ero andata a passare le vacanze in
Francia, a casa dei miei genitori. Ricordo che mi annoiavo a morte e che, per
far passare il tempo, me ne stavo tutto il giorno a leggere le vecchie riviste
che mia madre conservava gelosamente in un piccolo baule di legno. Su una di
quelle riviste c'era un lungo servizio dedicato a un castello della Repubblica
Ceca in cui le donne dominavano gli uomini. Ricchi imprenditori di tutto il
mondo giungevano a Cerna - così si chiamava la località - disposti a pagare per
intrattenere rapporti sadomasochistici con queste signore. L'articolo era
arricchito da fotografie sconcertanti. Un po' imbarazzata, avevo strappato le
quattro pagine del sommario e me le ero messe in tasca, per paura che mia madre
potesse accorgersene. Ho conservato quel servizio in tutti questi anni perché lo
trovavo molto intrigante. All'epoca, non potevo certo immaginare che un giorno
la mia curiosità mi avrebbe spinta a esplorare in prima persona i misteri che si
celavano in quel luogo morboso.
Dopo l'uscita del mio primo libro, Diario di una ninfomane1, iniziai a
collaborare con i media. In più occasioni, ricordo di avere parlato di Sm,
sebbene non lo avessi mai praticato in modo consapevole. Le mie esperienze in
questo campo si limitavano al cosiddetto «psicosado» - di cui spiegherò più
avanti le caratteristiche - con qualche ex o qualche cliente della casa
d'appuntamenti in cui avevo lavorato a Barcellona. Ma erano più una messa in
scena che realtà. Ho sempre difeso l'Sm come pratica sessuale alternativa, a
patto che sia sano, sicuro e consensuale. Del resto, le persone dell'ambiente
predicano proprio questa massima. E non esitano a dissociarsi da qualsiasi
pratica che non rispetti queste tre condizioni.
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Personalmente, credo che l'Sm sia più vicino all'Ara amandi descritta da
Ovidio nel i secolo d.C. di quanto non lo sia la posizione del missionario.
Conservo alcuni articoli sull'argomento. Ricordo che una giornalista del
quotidiano ElMundo, si era dilungata non senza una certa ironia, su una mia
affermazione destinata a suscitare polemiche: «È molto più democratico praticare
l'Sm con il proprio partner piuttosto che allargare le gambe il sabato sera solo
perché si è costrette a farlo». Suona scandaloso. Ma non lo è. L'Sm è un gioco,
un gioco siglato da un patto. E il patto vuole che non si faccia nulla contro la
volontà dei partecipanti. Sappiamo tutti che molte donne fanno sesso anche se
non ne hanno voglia, solo per fare bella figura, perché bisogna. È un
atteggiamento democratico questo? Sfortunatamente, il mondo dell'Sm ha una
pessima fama perché l'industria pornografica sforna immagini lontanissime da
quella che in realtà è una vera sessione Sm, contribuendo ad associare questa
pratica alla violenza.
Nelle mie apparizioni pubbliche, non mancavo mai di citare quel luogo fuori
Praga, affermando che in realtà, nell'Sm, c'era molto amore: in fin dei conti,
bisogna davvero amare qualcuno per abbandonarglisi completamente e lasciargli
fare tutto quel che vuole senza temere che infranga il patto siglato prima della
sessione. Senza rendermene conto, mi stavo addentrando sempre di più in questo
mondo e cominciai a conoscere gente esperta nel sadomasochismo. Un giorno,
durante un programma televisivo in cui parlavo di Patricia, la regina dell'Owk,
una domina professionista chiamò in diretta e mi propose di incontrarci in
privato per fornirmi maggiori informazioni sull'argomento. Così conobbi Lady
Monique de Nemours.
Il mio primo incontro con Lady Monique avvenne durante una festa fetish
organizzata da un noto locale Sm di Barcellona e riservata alle persone
dell'ambiente. Quel venerdì sera, non so se per il nervosismo o per un virus
improvviso e quanto mai inopportuno, proprio qualche ora prima del mio
appuntamento con Monique, cominciai a sentirmi male e a vomitare. Mi trascinai
dalla camera da letto al bagno in preda alla febbre e a coliche tremende.
Malgrado il mio stato pietoso, avevo davvero molta voglia di andare, e così
inghiottii mezzo flacone di Buscopan, mi vestii di nero per stare al gioco e
chiamai un taxi.
Arrivata nel locale, mi aprì la porta un tipo dall'aria diffidente. Monique,
che era proprio dietro di lui con un bicchiere in mano, gli fece capire con
un'occhiata che era stata lei a invitarmi.
«Vieni, Valérie. Andiamo su, lì staremo più tranquille» mi disse sorridendo.
Monique indossava una minigonna scozzese, una camicia bianca con cravatta e un
paio di stivali da cavallerizza con tacchi interminabili. Aveva un'aria da
collegiale ma, sebbene con me fosse molto dolce, il tono della sua voce
ricordava a tutti che era lei a comandare. Dopo avermi presentata al padrone del
locale, che aveva la faccia perennemente imbronciata, mi fece strada su per una
scala che portava a una sala del primo piano. Lo confesso, per qualche istante
provai il desiderio di darmela a gambe; la mia faccia spaurita faceva a pugni
con quel mondo. Sapevo che la mia presenza era vista con sospetto, perché ero un
personaggio pubblico, e la gente mi riconosceva. Al padrone non andava giù che
fossi lì. Ma c'era Monique a proteggermi, per cui nessuno si azzardò a fare
commenti.
Da un angolo della sala comparve un uomo basso.
«E Paul» mi spiegò Monique. «Lui è master, oltre che il mio manager da dieci
anni. È francese, per cui potete parlare nella vostra lingua.»
Paul si avvicinò e mi strinse la mano. Per non fare brutta figura, scambiai
qualche parola in francese con lui. Poi decisi di non fare troppe domande: se
arrivavo a formularne una, era perché ci avevo pensato su diverse volte. Non
volevo offendere. Il mio rispetto aveva qualcosa di religioso; di fronte a
Monique, ero più a disagio che al cospetto di un prete in un confessionale. La
cosa più sorprendente fu che ero riuscita a domare il mal di pancia che solo
qualche ora prima mi aveva costretta a letto. Merito, credo, della paura che i
brontolii inopportuni del mio stomaco attirassero l'attenzione dei presenti.
All'ingenua domanda «che è un master?», Paul rispose che in pratica era lo
schiavo degli schiavi di Monique. Silenzio. Penso che notò che non avevo capito
molto bene la sua risposta.
Con Monique parlai pochissimo dell'Owk. Le chiesi soltanto se conosceva la
Regina Patricia.
«Certo» disse. «Sono una Sublime Lady del Regno dell'Altro Mondo, quindi sono
una cittadina dell'Owk. E in quanto tale, ogni anno, intorno a maggio o giugno,
devo andare per celebrare la fondazione del Regno.»
E per dimostrarmi la sua devozione alla causa, mi mostrò la bandiera dell'Owk
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che si era fatta tatuare su una scapola. Era il simbolo del pianeta Venere.
«È il simbolo del Regno dell'Altro Mondo. Se ci fai caso, è anche il simbolo
della donna» mi spiegò con orgoglio. «Per questo, il motto dell'Owk è "Women
over Men", le donne sopra gli uomini.»
Dopo quella serata, iniziai a frequentare Monique. Mi presento alcune persone
dell'ambiente e mi permise persino di assistere a qualche sessione. Devo
ammetterlo, facevo un po' di fatica ad avvicinarmi al sadomasochismo.
All'inizio, mi limitavo a guardare. Monique mi chiamava ogni volta che aveva una
sessione. Non volevo partecipare in prima persona, ma non per paura degli
schiavi. Erano a mia completa disposizione. Sebbene fossero loro a dettare
condizioni e limiti tramite un questionario che Monique faceva compilare prima
di ogni sessione, sarei stata io ad avere il comando, se solo avessi
partecipato. Il fatto è che avevo paura di infliggere troppo dolore. A volte,
Monique mi dava la sua frusta e mi incoraggiava a provarla sulle natiche
grassocce del sottomesso. All'inizio, la usavo con moderazione. Ma ben presto
finii col prenderci gusto.
«Tutto quello che stai per fare a uno schiavo, provalo prima su te stessa.
Così riesci a farti un'idea del dolore che stai per procurargli. Ed eviterai
sorprese sgradevoli, fidati.»
Cercai di seguire il saggio consiglio di Monique tutte le volte che fu
possibile.
Grazie al nostro rapporto, iniziai a conoscere molta gente che ruotava attorno
al mondo del sadomasochismo. Erano quasi tutte persone incantevoli, estremamente
rispettose. Forse con quel modo di fare cercavano di dimostrare che, nonostante
la loro predilezione per il dolore e la sottomissione, erano pur sempre esseri
umani. E forse è anche questo che spesso li rende persone più tolleranti di
quelle che praticano il sesso «convenzionale». I sottomessi e gli schiavi, al
pari dei masochisti, sono soliti creare un'atmosfera di fiducia per ottenere
quello che vogliono.
Conservo un ricordo speciale di Alex, un ragazzo austriaco che, ogni volta che
veniva a Barcellona per lavoro, pagava in cambio di una sessione Sm con Monique.
A Vienna aveva una fidanzata che amava moltissimo, ma che sfortunatamente non
condivideva la sua passione per le fruste e il leather.
Con Alex nacque subito un feeling. Era un grande appassionato di internet, ed
era sempre in cerca di siti Sm. Fu lui a fornirmi gran parte del materiale di
cui dispongo, soprattutto indirizzi web dove scambiare opinioni sul sado con
gente seria.
Non lo toccai mai. Suo malgrado, oserei aggiungere. I sottomessi e gli
schiavi, fatta eccezione per quelli che appartengono a una sola padrona, adorano
sperimentare nuovi giochi con altre donne.
A differenza di molti sottomessi che ho conosciuto tramite Monique, Alex era
una persona estremamente conflittuale.
«Questa storia dell'Sm è una merda, Valérie» mi disse un giorno, mentre
infilava nel suo portatile un film porno di Amrita, una domina giapponese molto
famosa tra gli intenditori.
« A cosa ti riferisci? Io mi aspettavo ben di peggio. In realtà, siete quasi
tutti brave persone e vivete la cosa con molta onestà, con molto rispetto.»
«No. È una merda. Se inizi, sei finito. Perché ogni volta spingi un po' più in
là i tuoi limiti, e tornare indietro non ti interessa. All'inizio mi eccitavo
con qualche frustata. Poi, ho voluto provare altre cose. Ora non so dove andrò a
finire. Ho paura.»
Quelle parole mi turbarono. Alex sosteneva che il rischio più grande dell'Sm è
che a un certo punto tutto può sembrare insipido. Francamente, non sono del
tutto d'accordo. Questo è un pericolo che si può evitare, con un po' di
consapevolezza e di maturità. E come con il cibo: non dobbiamo mangiare in modo
compulsivo, altrimenti finiremo per stare male. Con l'Sm è lo stesso.
«Ti piacerebbe non provare nessuna attrazione per l'Sm?» gli chiesi.
«Sì. E poi mi piacerebbe anche avere rapporti sessuali normali.»
«Cosa sono per te i rapporti sessuali normali?»
«Ficcarlo dentro.»
Quest'ossessione di «ficcarlo dentro», che la nostra cultura si è vivamente
impegnata a fomentare, è il problema principale di molte persone. Se pensassimo
un po' meno a «ficcarlo dentro», e un po' di più a giocare e a sperimentare,
sicuramente ci sarebbero meno problemi sessuali, sia psicologici sia fisici
(impotenza, eiaculazione precoce, vaginismo ecc. ). E tutto ciò che viene
definito «sessualmente deviato» smetterebbe di essere visto come tale. Nella
nostra società, il benessere sessuale non è così importante. Personalmente,
credo che sia fondamentale attribuirgli un po' più di importanza, visto che la
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maggior parte di noi cova desideri nascosti con i quali, prima o poi, dovrà
confrontarsi. E chi nega di averli è soltanto un bugiardo represso.
Un giorno di primavera del 2004, Monique mi accennò alla possibilità di fare una
visita all'Owk. Era un anno che non ci andava e non voleva perdersi l'ottavo
compleanno del Regno dell'Altro Mondo.
«Verresti con me?» mi chiese con naturalezza.
Non potevo crederci. Era la cosa che desideravo di più.
«Ci puoi contare, Monique» risposi senza esitare.
Sapevo che, sebbene tutti i sadomasochisti avessero sentito parlare di quel
posto, erano davvero in pochi ad avere avuto la possibilità di andarci, e ancora
meno quelli che avevano il coraggio di farlo non sapendo cosa li aspettava.
«Allora è deciso» disse con un sorriso compiaciuto.
Mi sembrava tutto troppo facile. Come avrei fatto a entrare, senza essere una
domina? Come mi sarei dovuta comportare una volta arrivata al castello? Queste
incognite mi mettevano un po' in ansia, ma le avrei risolte improvvisando.
In realtà, la preoccupazione principale era il mio fidanzato. Conosceva nei
minimi dettagli il mio prossimo libro. Sapeva anche del viaggio, e l'aveva
accettato senza problemi, anche se l'idea di non potermi accompagnare non lo
faceva stare tranquillo.
«Prima devo vedere com'è. Probabilmente non è affatto rischioso. Ma nel dubbio
preferisco andare da sola.»
«Sai quello che fai» mi rispose con una Ducados tra le labbra. «Ma il mio
dolore per la tua lontananza sarà molto più forte di quello dei sottomessi che
incontrerai.»
Il giorno che comprai uno schiavo
Mentre ci godevamo il nostro primo giorno nel Regno dell'Altro Mondo, la maggior
parte delle domine doveva ancora arrivare. Monique aspettava due amiche con le
quali aveva condiviso momenti indimenticabili in quel castello. Erano partite in
macchina, da Vienna, cariche di vestiti fetish e di schiavi. Con loro, mi disse,
mi sarei divertita un mondo. Proposi a Monique di seguire il programma che ci
avevano consegnato all'arrivo. Ne valeva la pena.
Per gli schiavi la giornata iniziava alle nove, con mezz'ora di esercizi fisici
sotto la guida della Domina Irene Boss, una padrona americana che aveva l'aria
di essere molto simpatica.
«Alle undici issano la bandiera. E io non intendo perdermelo per niente al
mondo» mi avvertì Monique. «È un rito che si ripete ogni anno: mettono su l'inno
dell'Ovvie e gli schiavi si inginocchiano. È molto emozionante.»
Nei suoi occhi mi sembrò di vedere un luccichio strano.
«Poi, dopo il brindisi, gli schiavi si presentano uno a uno e fanno un breve
discorso in cui dichiarano la loro inferiorità rispetto alle donne. A quel
punto, il genere maschile viene simbolicamente punito per tutti i crimini che ha
commesso e continua a commettere contro le donne. Quest'anno, per il castigo,
verranno scelte nove creature maschili che riceveranno nove frustate da nove
lady volontarie. È il nono anno che l'Owk esiste.»
«Come vengono scelti questi nove schiavi?» chiesi.
«Sono le padrone che mettono a disposizione i loro schiavi. Quelli che vengono
puniti devono ringraziare le rispettive padrone di averli offerti per il
castigo. E lo fanno baciando i loro stivali.»
«Interessante» dissi. Non sapevo cos'altro dire.
Mi sentii invadere da una sensazione onirica. L'atmosfera si era parecchio
surriscaldata, ed era facile cedere al desiderio di frustare il primo che si
incrociava. Quando vedevo uno schiavo camminare sul lastricato, cosa
assolutamente proibita, mi veniva voglia di punirlo. Monique non aveva certo
peli sulla lingua, nonostante fosse una padrona comprensiva. Ma la sua voce
trasudava autorità, sicurezza in se stessa. Io avevo ancora molto da imparare.
All'una e mezza, padrone e schiavi ci ritrovammo tutti all'ingresso della Casa
Principale per una visita alle dependance del Regno. Lì Monique salutò
calorosamente le sue amiche Alice e Sandra, scortate dai loro cinque schiavi, e
Amrita, la padrona giapponese che a dispetto del suo faccino angelico godeva di
una fama da dura.
«È una persona incantevole, ma è molto temuta dagli schiavi. È capace di fare
un bondage (l'arte di legare il sottomesso) in cinque minuti e di sollevare un
uomo senza che se ne renda conto» mi spiegò Monique.
Quella padrona giapponese mi intrigò fin dal primo istante. Non solo per i
vistosi e scomodissimi indumenti di lattice che indossava, ma anche per i due
splendidi ragazzi che le camminavano a fianco. Uno di loro, il più giovane,
reggeva un ombrello per proteggerla dai raggi del sole e non si allontanava da
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lei per nessun motivo. L'altro, altrettanto affascinante, si sarebbe detto un
po' più maturo, a giudicare dalla chioma cosparsa di capelli bianchi: un
dettaglio che contribuiva a renderlo ancora più interessante. Stava aiutando
Amrita a salire le scale, visto che lei da sola non ci riusciva, a causa degli
stivali altissimi che quasi sicuramente le stavano distruggendo i piedi. Non
sapevo chi soffrisse di più, se gli schiavi in mutande e maglietta, con i loro
collari da cane stretti attorno al collo, o la domina con quei vestiti e quelle
scarpe che le impedivano di muoversi. Il tocco erotico si svelò quando Amrita,
girandosi, esibì il suo culetto tondo e nudo, coperto soltanto da un sottile
strato di plastica trasparente cucito al vestito.
Alice e Sandra, le due amiche di Monique, erano di una simpatia
impareggiabile. Avevano vestito due dei loro schiavi da neonati, con tanto di
pannolino e di ciuccio in bocca, e da pom-pon-boys altri due che non la
smettevano di saltare e di cantare, come se fossero a una partita di football
americano. In quel momento avrei voluto avere una macchina fotografica per
immortalare la scena. Finalmente iniziavo a godermi il mio soggiorno all'Owk. Mi
sentivo meno spaesata. Anche Sandra aveva uno schiavo che la proteggeva dal sole
con un ombrello. Il suo, però, portava una cintura di castità. E ogni volta che
si distraeva, Sandra non mancava di ricordargli chi comandava, premendo
immediatamente il pulsante di un telecomando.
«A cosa serve quel telecomando?» le chiesi.
Per tutta risposta Sandra sorrise, premendo di nuovo il pulsante. Meno di un
secondo dopo, Paolo, lo schiavo con la cintura di castità, raggelò tutti noi con
un urlo di dolore. L'ombrello quasi gli sfuggì di mano. Aveva ricevuto una
scarica elettrica. Tutte le domine erano scoppiate a ridere.
«Povero Paolo» disse Sandra, accarezzando la testa del suo schiavo come una
madre intenta a consolare il suo figlioletto. «Non impara mai. Eppure non faccio
che ripeterglielo. Ma non c'è verso. Comincio a credere che gli piacciano,
queste scariche.»
E scoppiò in una risata. Facendo finta di non sentire, Bart, lo schiavo
personale della Regina Patricia, incaricato di mostrarci la proprietà, continuò
a descriverci le zone che stavamo per visitare, compresi il Palazzo della Regina
e le segrete, dove la temperatura si aggirava normalmente intorno ai dodici
gradi. La visita finì per prenderci un paio d'ore.
Ma la cosa più interessante doveva ancora venire: l'asta degli schiavi.
Consisteva nel vendere ad altre domine uno dei propri schiavi per un minimo di
tre ore e un massimo di tre giorni.
«Che peccato non avere neanche uno schiavo da vendere. Mi sarebbe piaciuto
esporlo a mo' di mercanzia» rise Monique.
«Possiamo sempre comprarne uno, no?» replicai.
«Bene, vedo che ci stai prendendo gusto...»
E Monique mi strizzò un occhio con aria complice. Anche se non volevo
ammetterlo, aveva ragione. Era vero, ci stavo prendendo gusto. Ed era
altrettanto vero che tutti quegli uomini che si stagliavano nudi sotto i nostri
occhi erano felicissimi di potersi esibire, e ancora più eccitati dal fatto di
non sapere in che mani sarebbero finiti.
Gli schiavi all'asta erano circa una ventina, tutti in piedi davanti a noi, a
testa bassa, con un numero appeso al collo e un cartello che ne indicava l'età e
le varie specialità: massaggiatore, lustrastivali, servitore ecc. Ma la cosa a
cui fare più attenzione era l'estratto della loro cartella clinica e i problemi
che potevano avere, di cuore, di schiena... insomma, quello che potevano e non
potevano fare. Questo mi riportò alla realtà: qualsiasi cosa si facesse, non si
poteva prescindere mai dalle condizioni dello schiavo. Io ne avevo adocchiato
uno che mi incuriosiva particolarmente. Era l'uomo brizzolato che scortava
Amrita, la domina giapponese. Oltre ad avere un fisico pazzesco, che non esitava
certo a esibire, aveva uno sguardo da canaglia davvero intrigante. Sulla sua
scheda c'era scritto che parlava diverse lingue, tra cui la mia. E, cosa ancora
più sorprendente, aveva cinquant'anni. Avrei tanto voluto fargli qualche
domanda, ma siccome lui non aveva il permesso di rivolgerci la parola mi limitai
ad annotare il suo numero.
L'asta si aprì con un breve discorso introduttivo della Domina Irene Boss. Il
prezzo di partenza era fissato a cinque dom per ogni schiavo e le offerte
dovevano essere come minimo di un dom, senza limiti fino all'aggiudicazione.
Irene Boss ci presentò il primo candidato, chiamandolo con il suo numero. Dopo
una breve descrizione dello schiavo, gli concesse di parlare. Questi riaffermò
la sua fedeltà alla padrona, la sua inferiorità rispetto alle donne, e si
congedò al grido di «Women Over Men», il motto dell'Owk.
Gli schiavi si esibivano in balli in cui mettevano in mostra le loro doti per
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apparire più attraenti possibile. Le donne urlavano come ragazzine, fischiando
quando trovavano ridicolo lo spettacolo o sgolandosi quando il «pezzo» valeva la
pena. Mi sorpresi a gridare insieme a loro. Con i dom in mano, Monique e io
avevamo concordato un importo limite oltre il quale non ci saremmo potute
spingere.
Gli schiavi si davano il cambio, si umiliavano, e noi ci godevamo lo
spettacolo con un bicchiere di vino bianco in mano, brindando a noi donne e alla
nostra condizione. Quando toccò allo schiavo che mi piaceva, alzai l'offerta
fino al massimo possibile per me. Ma era abbastanza gettonato. Così abbandonai
il campo, delusa per averlo perso.
Alla fine, comprammo un ragazzo israeliano specializzato in massaggi e un
signore di una certa età che si esprimeva soltanto in tedesco e che avremmo
usato come cavallo al Grand Prix del giorno dopo.
«Ti è piaciuta l'asta?» mi chiese Monique dopo aver vuotato il suo bicchiere.
«Sì. Non avrei mai immaginato che fosse così divertente» dissi dal profondo
del cuore. «È stato un vero spasso. Ti sei accorta che alcuni di loro avevano
un'erezione ogni volta che qualcuno alzava la posta?»
«Ragazza, dove vivi? Loro sono i primi a godersi tutto questo» mi rispose.
«Devi cambiare disco. Devi pensare che tutto quello che gli viene fatto gli
piace. Altrimenti non sarebbero qui.»
Ed era proprio così.
Le meraviglie sadomaso del Regno dell'Altro Mondo
Calata la sera, andammo a bere qualcosa al bar scortate dal nostro schiavo
israeliano. Era un ragazzino - non più di venticinque anni - radioso, che faceva
di tutto per apparire gradevole. Non aveva l'aria di amare molto le punizioni,
anzi, mi sembrava che obbedisse scrupolosamente ai nostri ordini proprio per
evitarle. Ci massaggiò i piedi e ci lustrò gli stivali. Lo schiavo tedesco,
invece, ci sarebbe stato consegnato il giorno dopo, per il Grand Prix. Mentre
tagliavamo dal prato dirette alla terrazza del bar, scorgemmo in lontananza un
tipo con un minivestito da cameriera che lasciava intravedere i genitali. Una
maschera bianca gli copriva il volto.
«Guarda quello lì, com'è conciato!» esclamò Monique scoppiando a ridere. «È
venuto da solo, si vede lontano un chilometro. Non sa cosa lo aspetta!»
Nel passarci accanto, in un inglese molto british e servile ci chiese se
volevamo che ci lustrasse gli stivali. Rifiutammo il suo servizio.
Quella sera, alle otto, al Palazzo della Regina era previsto un nuovo evento:
il culo maschile meglio frustato. La partecipazione era libera, e consisteva
sostanzialmente in questo: le donne dovevano eseguire in due minuti un'«opera
d'arte» sul culo nudo del loro schiavo servendosi di uno strumento di tortura a
scelta. Lo schiavo doveva giacere su un banco di fustigazione. Se gridava «stop»
o se il corpo scivolava giù dal banco, la domina veniva squalificata. Una giuria
formata da tre padrone sceglieva il vincitore attribuendo a ciascuno un
punteggio da uno a dieci che tenesse conto del valore artistico, dei colori
(lividi) e del livello di crudeltà della signora. Alla vincitrice spettavano un
diploma, una bottiglia di champagne e altri premi di valore. Lo schiavo della
vincitrice doveva mettersi in mostra per venti minuti nella sala d'ingresso
affinchè tutte le signore potessero osservare nei dettagli il «capolavoro».
Quell'atto mi scocciò abbastanza; era la prima volta che assistevo a una
punizione del genere. Per digerire quelle scene, cercai di mettere in pratica il
consiglio di Monique: dovevo cambiare disco. Se non dicevano «stop» era perché
non volevano. Non avevo gli strumenti per giudicare se si trattasse di violenza
oppure no, e non avevo nemmeno il diritto di intromettermi in una cosa che
individui adulti praticavano di loro spontanea volontà. Se non mi piaceva,
dovevo solo alzarmi e andarmene.
L'atto a cui assistemmo subito dopo fu il processo agli schiavi. Sua Eccellenza
la giudice Lady Mona di Svezia era in procinto di emettere la propria sentenza
su alcuni schiavi colpevoli di qualche errore o di aver spudoratamente
disobbedito alla loro padrona. Apparvero tre schiavi, due della Domina Irene
Boss e l'altro di una domina di cui non ricordo il nome. Joseph, il primo
schiavo, che si era sottoposto a un'operazione di chirurgia estetica al petto
per apparire più femminile, era accusato di essersi fatto iniettare troppo
silicone senza il consenso della sua padrona. Quando gli fu concessa la parola
per spiegarsi, non si mostrò per niente convincente, e finì per essere
condannato a diverse frustate e a dormire nelle segrete del palazzo.
Il secondo schiavo, con una lunga chioma raccolta da un elastico, era accusato
di essere un «tossicodipendente» perché fumava troppo. Nonostante la sua padrona
gli avesse proibito le sigarette, lui continuava a procurarsele di nascosto,
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disobbedendo così all'autorità della domina. Una volta era stato perfino
sorpreso a fumare di notte, con l'aggravante di aver rischiato di provocare un
incendio. Il suo caso era grave. Dopo averglielo comunicato, la giudice lo
condannò a sottoporsi al trattamento del cerotto per vincere la dipendenza e a
pene corporali per aver disobbedito, nonché a farsi rasare la testa. Le signore
presenti assentirono all'unanimità, soddisfatte del verdetto. Poi il prigioniero
scomparve tra due guardie.
Nel Regno dell'Altro Mondo, le serate si chiudevano sempre alla discoteca Wanda,
dove le signore si dedicavano a vari giochi con i loro schiavi. Quella sera,
senza uno schiavo a disposizione e senza voglia di giocare, sentii la mancanza
del mio fidanzato.
Alle undici, in discoteca, era prevista una performance davvero speciale: lo
spettacolo clinical di Madame Helen, la domina danese, che si presentava sul
palco con una divisa da infermiera in lattice bianco. Le sessioni di clinical
sono poco indicate per gli animi sensibili. In generale, si tratta di giochi con
aghi, scarnificazioni (infliggere piaghe e ustioni con oggetti incandescenti) e
quant'altro comprenda il sangue come arte. Quella sera, non so perché, pensai
che allo spettacolo di Madame Helen avrebbero partecipato in pochi, ma quando
Monique e io arrivammo la discoteca era già piena. Le domine portavano i loro
schiavi, nervosi e pallidi al pensiero di cosa gli sarebbe potuto accadere se
non si fossero comportati bene. Su mia espressa richiesta, ci sedemmo al banco
del bar, un po' appartate dalla scena.
Servendosi di un taglierino, Madame Helen cominciò a praticare piccole
incisioni orizzontali sulla schiena del suo schiavo, facendo affiorare dalle
ferite sottilissimi rivoli di sangue. Helen illustrava al pubblico ogni singolo
gesto, mentre Boot-dog, il suo schiavo, con le mani legate da corde che
pendevano dal soffitto, gemeva indifeso. Il silenzio della discoteca era
opprimente. Nessuno osava neppure un colpo di tosse. Io, per distrarmi da quella
visione cruenta, osservavo le facce degli schiavi, quasi tutti testimoni
involontari di quello spettacolo. Alcuni se ne stavano seduti senza dire niente,
altri non avevano il coraggio di guardare. Poi, dopo gli ultimi ritocchi alla
schiena, con tono solenne e con la credibilità conferitale dal suo ruolo di
«infermiera», Helen annunciò la sessione con le siringhe. Prima, però, passò un
ramo di ortiche fresche sul corpo del partner. Mentre preparava la siringa con
cui di lì a poco avrebbe bucato Bootdog, la domina sembrava tranquilla, sicura
di sé.
«Un po' forte, non ti sembra?» chiesi a Monique.
Volevo la conferma che quella pratica non era così abituale.
«Sì, un po'. Ma sa perfettamente quello che fa. Non ci sono rischi. Sta
facendo leva più sulla paura del sangue e degli aghi tipica degli uomini che non
sul dolore praticamente impercettibile. I tagli sono molto superficiali, e l'ago
della siringa è sottilissimo.»
«Meno male» dissi, senza molta convinzione. «Vuoi dire che Bootdog non sente
quasi niente?»
«Esattamente. Ma la scena è di grande impatto.»
«Proprio così» disse una voce maschile alle nostre spalle.
Quando ci girammo, vidi che lo schiavo brizzolato di Amrita era accanto a noi.
Beveva una birra, e non sembrava impressionato dallo spettacolo.
«Ti piace il clinical?» gli chiesi, un po' altezzosa.
«Be', diciamo che è un qualcosa che mi capita di praticare. Ma con molto più
sangue» rispose con un sorriso.
Mi sembrò che ci stesse provocando. Ma Monique aveva capito cosa intendeva
quello schiavo fuori degli schemi, che si azzardava a rivolgerci la parola e a
bersi un bicchiere senza la sua padrona.
«In che senso? Sei medico o qualcosa del genere?» gli chiese.
Aveva l'aria da playboy cinquantenne, e in confronto agli altri sottomessi
esibiva fin troppa sicurezza.
«Diciamo di sì.»
«In cosa sei specializzato?»
Bevve un sorso, si tolse con la mano la schiuma dalle labbra e si lasciò
sfuggire:
«Riparo cuori rotti.»
«Che romantico! Sei cardiologo?»
«Già.» E si presentò facendoci un baciamano.
Si chiamava Christophe, ed era uno dei cardiologi più prestigiosi della
Svizzera, il suo paese natale. Fece qualche battuta su Madame Helen, dicendo che
avrebbe voluto assumerla come infermiera nella sua clinica di Zurigo. Nel
frattempo, Helen andava avanti con i suoi giochi e iniettava nei testicoli di
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Bootdog una sostanza che non sembrava di suo gradimento.
«Acqua e sale» mi spiegò Christophe. «Il corpo lo riassorbe. Non è pericoloso.
Non preoccuparti.»
Si era rivolto a me. Sicuramente aveva visto l'orrore dipinto sul mio volto.
La sua spiegazione era servita a tranquillizzarmi un po', nonostante le continue
smorfie di dolore di Bootdog ogni volta che la siringa gli perforava la pelle.
«Perché non mi hai comprato all'asta?» mi chiese Christophe di punto in
bianco. Si stava prendendo un po' troppe confidenze con noi due.
«Perché le offerte erano salite alle stelle. E ho pensato che non valessi così
tanto. Tutto qui.»
Vidi un sorriso malizioso disegnarsi sulle sue labbra. Aveva voglia di
replicare, ma non lo fece. Con un cenno feci capire a Monique che andavo a
dormire. Per quella giornata ne avevo avuto abbastanza. Lei mi seguì e, tra gli
applausi della
gente, contenta per lo spettacolo di Helen, uscimmo dalla discoteca. Io ero
soddisfatta di avere parlato con Christophe e di averlo mollato lì. Mi ero
comportata come una vera domina. Avevo ottenuto la mia rivincita.
Arrivammo in camera mia, esauste, ma ansiose di scoprire che cosa ci avrebbe
riservato il nuovo giorno nel Regno dell'Altro Mondo.
I miei rapporti con il sadomasochismo
Anche se l'esperienza nel Regno dell'Altro Mondo mi stava turbando non poco, non
ero completamente digiuna di sadomasochismo. Dopo l'incontro con Monique, e a
mano a mano che diventavamo amiche, cominciai a familiarizzare con le pratiche
dell'Sm. Devo ammetterlo, però: la prima volta che mi trovai faccia a faccia con
un sottomesso, rimasi profondamente impressionata.
Monique mi aveva chiamato per presentarmi a un'amica. Quando arrivai nel suo
studio, mi trovai di fronte un sottomesso appeso a una trave, completamente
nudo. Aveva i testicoli strangolati da una corda e i genitali di un azzurro
violaceo. Una maschera di cuoio nero gli copriva gli occhi e la bocca, e
respirava solo grazie a due forellini all'altezza del naso. Non poteva vedermi,
sentiva soltanto la mia presenza. Mentre entravo, i miei tacchi risuonarono
contro il legno del parquet e ricordo che il sottomesso, come un cieco, girò la
testa spaventato verso il rumore dei miei passi.
Preferii non prestargli troppa attenzione e mi sedetti sul divano con l'aria
di essere al corrente di tutto. Ogni tanto Monique impugnava la frusta e premeva
il cuoio, ammorbidito dall'uso, contro i testicoli dello sconosciuto. Cominciai
a eccitarmi. E lo dissi a Monique.
«Vuoi partecipare?» mi chiese lei. Voleva mostrarsi gentile e compiacermi. «E
un sottomesso alle prime armi, non richiede particolari sforzi.»
Risposi di no con la testa. Dominare richiede un apprendistato e il rispetto
di alcune regole. Mi sentivo ancora troppo inesperta per insegnare a un
sottomesso, per quanto novellino potesse essere. Rimasi a guardare Monique
mentre passava da uno struménto di supplizio all'altro, modulando con estrema
naturalezza la voce a seconda del suo stato d'animo e delle risposte fisiche del
sottomesso ai suoi gesti di dominatrice. Seduta sul divano, contemplavo la
voluttà che si sprigionava da quel corpo indifeso, completamente abbandonato
alla curva dello staffile che schioccava sulla sua groppa arrossata. Sì, ho
detto voluttà. Non avrei mai pensato di poterla avvertire in una scena così, in
un corpo ricoperto di ferite. Non capivo le ragioni che muovevano quell'uomo. Ma
capivo le mie sensazioni. Erano un misto di solennità ed eccitazione.
L'amica di Monique espresse il desiderio di partecipare. Slegò il sottomesso
per piazzarlo su un banco che esponeva ancora di più il suo culo generoso. A
ogni frustata, mi si riempiva la bocca di saliva. Non avevo mai pensato che
potesse risultare così eccitante la visione di due donne che punivano un uomo. E
cercavo di capire anche la posizione del sottomesso: legato, con quella maschera
soffocante, attento ai battiti del proprio cuore e agli schiocchi della frusta.
Il suo livello di adrenalina doveva essere altissimo. Ogni tanto mi alzavo e mi
avvicinavo a lui. Il solo fatto di sentire che una terza persona era presente
gli provocava un'erezione. E io, più bagnata che mai, dovetti fare sforzi
sovrumani per non soccombere all'erotismo che invadeva tutta la stanza.
Dopo quell'episodio, volli provare per mio conto. Quando facevo la prostituta,
avevo un cliente, un giudice, che si presentava la mattina presto e pagava per
sentirsi umiliato. Portava sempre un tanga colorato e mi chiedeva di
improvvisare per due ore, mentre lui metteva in mostra le sue natiche depilate.
Alla fine della sessione aveva quasi sempre il culo rosso come un pomodoro,
perché lo picchiavo con una mano. Non approfondii mai la sua psicologia. Pensavo
che fosse un modo peculiare di vivere la sessualità, nient'altro. A volte lo
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punivo a mano nuda. Altre, invece, mi mettevo un guanto di velluto per attutire
il rumore dei colpi. E sempre eiaculava in questa situazione. Poi si toglieva il
tanga e lo buttava nella spazzatura, si rivestiva, mi dava una buona mancia e se
ne andava. Curiosamente all'inizio di ogni incontro mi chiedeva di togliermi gli
anelli perché non gli lasciassi segni sul corpo, ma poi mi ordinava di
picchiarlo più forte che potevo.
Anche il psicosado (o sadismo psicologico) ha occupato un posto privilegiato
nei miei rapporti con gli uomini. Era un qualcosa a cui acconsentivamo entrambi,
ma che nasceva in modo spontaneo. Un gioco a cui ci abbandonavamo senza paura,
ma nel quale non ero sempre io ad avere il comando. A volte ero dominante, altre
mi facevo dominare. Mi piaceva alternare i ruoli. Nel mondo del sadomasochismo,
le persone che alternano i ruoli sono chiamate switch. Sono quelle che ne sanno
di più di sadomasochismo, perché hanno interpretato entrambe le parti.
Il rapporto sadomasochistico più significativo che ho avuto è stato con Michael,
un americano di New York. Lo conobbi alla casa d'appuntamenti, e ancora oggi
siamo in contatto, anche se non abbiamo scambi economici. Né la distanza né il
fatto che sono diventata famosa impediscono che di tanto in tanto manifesti il
suo servilismo attraverso il telefono. Quando lo conobbi, mi avvertì che i suoi
gusti erano un tantino singolari. A me la cosa andava benissimo. I rapporti
convenzionali ormai mi avevano stancato, e cercavo altre esperienze che mi
arricchissero come persona. Credo che molti, al mio posto, si sarebbero seccati
di fronte alle richieste di Michael; io, semplicemente, le vedevo come
un'opportunità per imparare e per crescere. E così, accettai i suoi gusti con
estrema disponibilità. Si autodefiniva il mio cane. Le nostre conversazioni
iniziavano sempre allo stesso modo:
«Sa cosa sono per lei, Signora, non è vero?» e chinava il capo.
«Sì, Michael.»
«Che cosa sono, Signora?»
«Sei il mio cane.»
«E dormo ai suoi piedi, per terra.»
«Sì. E non sei autorizzato a salire sul mio letto, cane schifoso.»
«E sa Signora perché sono il suo cane?»
«Dimmelo tu, Michael.»
«Sono il suo cane perché la desidero.»
Iniziava ad abbaiare, e a me toccava mettere fine a cotanta manifestazione
d'affetto. Era il mio cane, il mio servitore, il mio schiavo, qualsiasi cosa
potesse soddisfare la sua ansia di essere dominato da una donna. Spesso lo
obbligavo a uscire con la mia biancheria intima addosso perché sentisse di
appartenermi, e mi rifiutai di fargli da padrona finché non si fosse deciso a
leggere i classici della letteratura Sm, a cominciare da Leopold von Sacher
Masoch e dalla sua Venere in pelliccia.
Un pomeriggio tenemmo una sessione di psicosado che per lui si rivelò una vera
tragedia. Lo punii severamente con le mie parole cariche di rifiuto e di
indifferenza. Cominciò a singhiozzare perché non capiva se avessi esagerato o se
pensassi davvero quello che avevo detto. Dovetti rimettere le cose al loro
posto:
«Michael, se ti piace soffrire ed essere il mio schiavo, la sofferenza peggiore
per te sarebbe che ti abbandonassi, oppure che ti trattassi benissimo. Non ti
pare?»
«Non capisco, Signora.»
«Il peggior castigo che ti può capitare è che la tua padrona ti rifiuti. O che
sia molto affettuosa con te. Giusto?»
Vidi il panico sulla sua faccia.
«A te piace che ti tratti male. Se ti tratto bene, soffri da matti. Per cui,
se voglio farti soffrire, non mi resta che rifiutarmi di trattarti male. A
partire da questo momento sarò la donna più adorabile che tu abbia mai
conosciuto. Sarà la tua vera sofferenza.»
«Per favore, Signora, non lo faccia. La supplico. Per favore...»
In realtà non mi veniva in mente un castigo peggiore: abbandonarlo e ignorare
completamente i suoi gusti. Ma alla fine decisi di obbedire al mio schiavo.
Michael tornò alla sua vita da manager, e con il tempo il nostro rapporto si
limitò a qualche telefonata. All'inizio, e con il fuso orario, chiamava a ore
indecenti. Ma io non gli rispondevo mai. Era la sua punizione. Lui lo sapeva e
per questo chiamava sempre alla stessa ora. Quando decise che ne aveva
abbastanza, cominciò a chiamarmi durante il giorno. Io lo liquidavo in fretta e
furia, perché stavo lavorando. E, anche così, lo lasciavo sempre con il
desiderio di chiamarmi ancora. Il fatto di avere ai miei piedi un uomo dal
servilismo incondizionato, disposto a qualsiasi cosa, mi dava un senso di potere
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incredibile, anche se si trattava solo di una messinscena. L'ultima volta che lo
sentii, non molto tempo fa, era a Londra, e mi telefonò per sapere la mia
taglia. Qualche giorno dopo, ricevetti per posta un completo intimo di seta. Mi
chiamò per sapere se mi era piaciuto.
«La prossima volta chiedi il mio parere sul colore. Se no, rischi di veder
tornare indietro il pacco.»
«Non le è piaciuto il regalino, Signora?»
Certo che mi era piaciuto. Ma non avevo nessuna intenzione di farglielo
sapere.
«Per questa volta può andare. Ma la prossima chiedimi qual è il mio colore
preferito.»
In fondo, il nostro era un gioco innocente. Un tira e molla, nient'altro.
Molte coppie si dedicano a giochi simili, a volte senza rendersene conto. Quanto
a me, ero pronta a fare il salto dallo psicosado al sadomasochismo.
Ricordo il giorno in cui Monique mi presentò un vero masochista. Thomas era un
tedesco sulla cinquantina che ogni tanto lavorava nel bar del locale Sm in cui
avevo conosciuto Monique. Eravamo alla presentazione di un dizionario di Bdsm
(acronimo di Bondage-Disciplina-Dominazione-Sottomissione-SadoMasochismo). Alla
fine dell'incontro, Monique mi presentò Thomas. La mia prima impressione fu
quella di trovarmi di fronte a una persona fantastica. Aveva un sorriso genuino,
sincero. Sapeva già chi ero perché mi aveva vista in televisione, e non era
rimasto troppo sorpreso nel sapere che ero interessata al Sm. Decidemmo di bere
qualcosa insieme il giorno dopo in un locale fetish.
I miei rapporti con Thomas si fecero sempre più stretti e, fin dall'inizio,
capì che gli piacevo. Una sera mi invitò a cena, e io, felicissima, accettai.
Desideravo trascorrere qualche ora insieme a quell'uomo così complesso. Nel
corso della serata mi spiegò i suoi gusti:
«Non sono né un sottomesso né uno schiavo. Sono un masochista, che è una cosa
molto diversa. Un masochista vero. Mi piace provare dolore. E ho molta
resistenza.»
Una presentazione a regola d'arte. Era chiaro che non si accontentava di
qualche frustatina sul culo, come la stragrande maggioranza. Aveva bisogno di
qualcosa di più forte.
«È molto difficile trovare una brava padrona che oltretutto ti piaccia. Nella
mia vita posso dire di averne conosciute, di donne. Ma erano quasi tutte
fidanzate "vaniglia"» disse, ricorrendo al termine con cui comunemente si indica
la gente che non fa parte della comunità Sm. «Dovevo mentire in continuazione
sui miei gusti. Così mi sono stufato. Ora sono solo, non ho una fidanzata, e
nemmeno mi interessa. L'ho giurato a me stesso: la prossima volta che esco con
una donna, dev'essere una persona a cui piace questo tipo di giochi. Ormai è
chiarissimo.»
«E che tipo di giochi ti piacciono?» chiesi, incuriosita.
«Tutti quelli che producono dolore. Fruste, scudisci, aghi, chiodi...»
Dalla mia faccia doveva essere abbastanza chiaro che la cosa non mi divertiva
molto.
«Aghi e chiodi?» chiesi.
«Sì. In questi rapporti, la psicologia è molto importante. Devi essere davvero
molto eccitato per farti infilare gli aghi. Non è una cosa che fai così, come
viene. La visione degli aghi ti fa salire l'adrenalina, anche più del dolore che
provi quando ti trafiggono. Lina volta mi hanno infilato aghi nello scroto. Se
vuoi ti mando le foto. È stata una sessione indimenticabile.»
Assentii con la testa. Avrei voluto bombardarlo di domande, ma non ne avevo il
coraggio.
«Non trovi che per infilare aghi bisognerebbe saperne almeno un po' di
anatomia e medicina?»
«Certo che sì! Non lo lascio mica fare alla prima che passa. Ma non credere,
non è nemmeno così complicato. È impressionante, questo sì. Ma a me l'attimo
prima fa letteralmente impazzire.»
Conoscere così da vicino un masochista come Thomas mi offrì una nuova
prospettiva per avvicinarmi all'Sm. Non ho mai capito perché i sadomasochisti
siano così malvisti. La nostra cultura è masochistica per definizione. Spesso,
tutto ciò che ci aspettiamo dalla vita sono mazzate e batoste. Anzi, la nostra
educazione ruota intorno a questo. Con quale diritto condanniamo le scelte dei
sadomaso, fintanto che si tratti di una pratica consensuale che non lede la
libertà dell'altro? La chiave del rifiuto sta nel fatto che queste persone si
servono dell'umiliazione e del dolore per provare piacere, e questa cosa è
sempre stata fonte di scandalo. Se i sadomasochisti non avessero scopi sessuali,
molto probabilmente verrebbero accettati senza problemi; anzi, oserei perfino
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dire che verrebbero incitati a comportarsi così. Se ti flagelli o ti mortifichi
per Dio, se ti sacrifichi per rassegnazione cristiana, nessuno ti rimprovera. Ma
se lo fai ai piedi di una domina, vestito fetish, allora stai commettendo un
grave peccato.
Vedevo Thomas una volta alla settimana, sempre in compagnia di altra gente. Ma
lui non lasciava passare un giorno senza chiamarmi per telefono. Diventai la sua
confidente. E anche se non me l'aveva mai detto chiaramente, intuivo che avrebbe
voluto qualcosa di più da me. Io, però, non ero disposta a condividere i suoi
gusti. Volevo capire e imparare, ma l'idea di provare dolore con aghi o chiodi
non mi attirava per niente. Oltretutto, volevo vivere l'Sm come un'esperienza
fra tante, non come un fine in se stesso.
Thomas si era lasciato scappare che gli piaceva anche il sesso convenzionale.
Io però ne dubitavo. Usciva solo con persone dell'ambiente, in locali Sm. In
realtà, credo che volesse soltanto apparire ai miei occhi più convenzionale di
quanto non fosse.
«Hai scoperto molto tardi il masochismo, vero?» gli chiesi un giorno, decisa a
farmi un'idea della sua psicologia.
«Figurarsi!» mi rispose con gran naturalezza. «Sono maso da tanto tempo. Ma
l'ho accettato da poco. Prima negavo questo lato di me. Anzi, mi faceva soffrire
moltissimo. Mi sentivo anormale rispetto agli altri. Ai miei amici non parlavo
mai dei miei veri gusti. E nemmeno alle mie fidanzate. Una volta al mese, quando
proprio non ce la facevo più, pagavo di nascosto una femdom professionista
perché mi facesse una sessione. Ma dopo era peggio. Mi sentivo in colpa.
Inoltre, vivevo costantemente nella menzogna.»
Il suo racconto mi toccò profondamente. Quell'uomo aveva sofferto moltissimo. E
la cosa peggiore era che aveva dovuto nascondersi da se stesso.
«Ho scoperto di essere masochista quando avevo sette anni, a scuola. Ero un
pessimo alunno. Non mi piaceva studiare. Mi sentivo molto attratto dalla
maestra. Aveva gli occhiali e i capelli raccolti, e indossava sempre abiti con
gonne strettissime sotto il ginocchio. Portava calze di nylon color carne e
tacchi altissimi. Un giorno mi ha punito severamente, come si faceva una volta,
colpendomi sulle nocche con una riga. Ho provato una sensazione molto piacevole.
E ho continuato a masturbarmi per anni pensando a quella maestra e al suo fare
autoritario. Già da adolescente, mi masturbavo con un rituale preciso.
Appoggiavo un pezzo di lattice sulla sedia, a mo' di cuscino, e me lo menavo con
il culo nudo che sfiorava il lattice, fantasticando su quell'episodio della mia
infanzia.»
I ricordi di Thomas erano straordinariamente nitidi. Era chiaro che a
risvegliare il suo lato maso era stata quella maestra, quella signorina
Rottenmeier in versione sexy. Non mi stupiva che la maggior parte dei feticisti
sbavasse per quel tipo di donna. Anzi, sono convinta che in passato molti di
loro abbiano vissuto un'esperienza simile a quella che mi aveva raccontato
Thomas.
Con il passare del tempo presi un po' le distanze da Thomas. Ormai non avevamo
più niente da scambiarci. Se continuando a vederlo, non facevo altro che
alimentare le sue speranze. Lui arrivò a pensare che lo trattassi male o mi
negassi al telefono solo per farlo soffrire, ovvero per compiacerlo.
Macchinazioni da domina che andavano molto al di là delle mie intenzioni. Quando
decisi di rompere definitivamente i rapporti, lui diventò freddo e in alcuni
casi mi trattò in modo molto sgradevole. A volte manifestiamo così la nostra
delusione. Mi dispiace sinceramente per lui. Ma non gli feci mai credere,
neanche per un secondo, che tra noi due potesse nascere qualcosa.
Il giorno del compleanno di Monique ci fu una grande festa in una discoteca del
centro di Barcellona. Thomas approfittò di quell'occasione per rendere esplicite
le sue intenzioni nei miei confronti. Voleva che diventassi la sua fidanzata. Mi
sentii molto lusingata, ma non provavo gli stessi sentimenti per lui. Cercai di
farglielo capire senza ferirlo, ma lui tornò a casa molto deluso. Continuammo a
scriverci via mail, e lui mantenne la promessa di inviarmi qualche foto delle
sue sessioni con femdom professioniste. Foto davvero hard, sconsigliabili ai non
iniziati (in una era incatenato a un'asse di legno con lo scroto trafitto da
chiodi del quattordici).
Lo schiavo dell'anno
Il mattino del nostro secondo giorno nel Regno dell'Altro Mondo mi svegliai
prima di Monique. I raggi del sole penetravano attraverso le tende di color
marrone e illuminavano il tavolino su cui avevamo lasciato le nostre fruste. Era
ancora presto, e Monique, che aveva il sonno leggero, continuava a rigirarsi nel
letto, come in preda a un incubo. Ogni tanto apriva gli occhi e incrociava il
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mio sguardo. Ma subito dopo si riaddormentava.
Fui attratta dai rumori che venivano da fuori: le catene di qualche schiavo
che strisciava per terra, lo schiocco di uno scudiscio che fendeva l'aria, gli
ordini che le padrone sussurravano ai loro schiavi. Di fianco a noi, in
corridoio, c'era un sottomesso che dormiva, legato alla porta della stanza della
sua padrona. Ne sentivo distintamente i gemiti. Era vero, non stavo sognando. .
Quel giorno si sarebbe celebrata l'assegnazione della cittadinanza ad alcune
domine, grazie alla quale sarebbero diventate ufficialmente «Sublime Ladies»
dell'Owk. Grazie a questo titolo avrebbero potuto godere di diversi sconti al
castello e, soprattutto, del rango di padrone a tutti gli effetti. Quella sera
era previsto un banchetto dove speravo di poter conoscere finalmente la Regina
Patricia, che fino a quel momento non si era fatta vedere. Girava voce che fosse
malata. Quanto alla sua storia, al come o al perché avesse dato vita a quel
Regno, nessuno era stato in grado di dirmi niente. Forse, molto semplicemente,
nessuno aveva voglia di dirmi niente. Comunque, circolavano due versioni
ufficiose. La prima, la più verosimile, era che un lord inglese, appassionato di
Sm, si fosse perdutamente innamorato della Regina Patricia e le avesse comprato
quel castello per dimostrarle il suo amore. Capitava di vederlo in giro, ogni
tanto, ma non si mischiava mai agli ospiti. Tanto che non sembrava esserci
nessuno che lo conoscesse di persona (riguardo alla seconda versione, non posso
scucirmi perché non possiedo prove. Solo voci. La prima versione è la più
credibile, oltre che la più romantica).
Mi alzai verso le undici. Monique stava ancora dormendo e approfittai di quel
momento di tranquillità per farmi una doccia. Ormai ci eravamo perse il primo
evento della giornata: la caccia allo schiavo. Non riuscivo a perdonarmelo.
Secondo il programma, venivano sguinzagliati nel parco gli schiavi partecipanti,
completamente nudi. Le signore dovevano dargli la caccia lanciando delle uova.
Quello che veniva colpito da più uova doveva indossare una maschera da maiale
fino alle sei del pomeriggio, senza poter parlare, emettendo solo grugniti, come
i suini. Inoltre doveva ripulire il parco da tutti i gusci d'uovo. La signora
che cacciava più schiavi riceveva un diploma, una bottiglia di vino e altri
premi.
Alle due e mezzo del pomeriggio, assistemmo al Grand Prix dell'Owk, la corsa di
pony umani. Ma decidemmo di non partecipare. Il tempo peggiorò, cominciò a
piovere e la gara dovette essere organizzata nelle stalle e non nel parco. Le
lady indossavano tutte sfolgoranti divise da cavallerizza. Gli schiavi,
completamente nudi, avevano un pennacchio in testa; alcuni avevano dei
copriorecchie, come i cavalli di una volta. Ognuno di loro doveva trainare un
sulky su cui era seduta la padrona. Vinceva la domina che effettuava il percorso
in meno tempo. Alla gara partecipava anche Christophe, lo schiavo svizzero. Ci
salutò da lontano con un gran sorriso.
A un certo punto, una domina afroamericana dall'aspetto temibile, Mistress
Denetra, attirò su di sé tutti gli sguardi iniziando a imprecare contro il suo
schiavo. Lo riconobbi subito, era l'inglese che il giorno prima si era offerto
di lustrarci gli stivali.
«Tu!» gridò Mistress Denetra.
L'inglese cominciò a tremare.
«Sì, tu! Sto parlando con te, lo sai benissimo! Ti stavi toccando. Non
negarlo. Ti ho visto. Sai che è espressamente proibito toccarsi davanti alle
signore?» gridò, avvicinandosi allo schiavo con la frusta in mano.
«No, Signora. Dev'esserci uno sbaglio, Signora, glielo assicuro» balbettò lo
schiavo.
Tutti gli sguardi si spostarono sull'inglese, prostrato a terra, con il culo
nudo scorticato dalla paglia su cui era seduto. Aveva i genitali avvolti in un
cerotto. Accanto a lui, Mistress Denetra appariva immensa.
«Pezzo di merda! È altrettanto proibito mentire a una mistress o mettere in
discussione la sua parola. Vieni qui, che ti insegno le buone maniere!»
E gli afferrò un braccio. L'inglese faceva resistenza, terrorizzato all'idea
di quello che poteva succedergli. A quel punto intervenne Madame Gabrielle, la
prima hoffmistress del Regno, per chiedere spiegazioni al sottomesso. Lui
continuava a negare di essersi masturbato in pubblico. Ma a comandare, nell'Owk,
erano sempre le donne, e se Mistress Denetra sosteneva di averlo sorpreso a
masturbarsi, doveva essere vero. Così, se lo portò al Palazzo della Regina
perché ricevesse la punizione che meritava.
Durante il Grand Prix prestai poca attenzione a quello che stava succedendo.
Pensavo a quell'inglese, colto in flagrante con la mano sui genitali. Monique
alla fine decise di partecipare, ma il premio fu vinto da un'altra domina. Dopo
la gara, Madame Gabrielle ricomparve trascinando l'inglese per un orecchio e mi
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si avvicinò.
«Signora, le dispiacerebbe occuparsi di questo idiota?» mi domandò in inglese.
«Io non ce la faccio. Sta dando fondo alla mia pazienza, e io devo dedicarmi
alle altre attività.»
Esitai un attimo prima di rispondere. Farmi carico di uno schiavo che non
conoscevo era una grande responsabilità. Ma alla fine accettai.
«Grazie infinite, Mistress Valérie» disse Madame Gabrielle con sentita
riconoscenza.
Monique scoppiò a ridere. Per la testa mi passarono un'infinità di pensieri.
Prima di tutto, bisognava dargli un nome. Mi venne in mente che potevamo
chiamarlo Conchita. Così glielo comunicammo, avvertendolo che ogni tanto
l'avremmo chiamato anche «servetta». Sarebbe stato la nostra serva personale.
Lui aveva l'aria di essere molto contento. Monique e io dovevamo sembrargli
padrone gentili e piacevoli. Mentre chiacchieravamo con lui dei suoi gusti,
scoprimmo che adorava servire le donne.
«Casca proprio a pennello per il banchetto di stasera» mi disse Monique. «Ci
porterà le borse, ordinerà il vino per noi e tutto il resto.»
«E domani mattina ci porterà la colazione» aggiunsi io, guardandolo con aria
di sfida.
Capì quello che stavamo dicendo, perché ci raccontò d'essersi comprato un
orologio di altissima precisione per essere sempre in perfetto orario, non un
minuto di più né uno di meno. Sarebbe stato puntuale, non avrebbe mancato un
appuntamento. Si notava che aveva già fatto parecchia strada nel suo
apprendistato come servo. E mi piaceva l'idea di non doverlo addestrare in
questo senso.
Riprese a piovere. Un signore un po' obeso si avvicinò a noi e chiese se avevamo
bisogno di un tassista per andare da una dependance all'altra senza sporcarci le
scarpe.
«Il mio nome è Atlante, Signore, e sono a vostra disposizione. Posso portare
sulle spalle fino a tre signore. Sono molto forte, e la mia specialità è essere
un taxi» ci disse, abbassando lo sguardo.
«Ok. Però ti cambiamo nome. Ti chiameremo Big Berta. Atlante non ci piace»
dissi.
Accettò senza fiatare. D'altronde, non aveva scelta. Monique gli montò in
spalla e io sulla schiena. Conchita seguiva con le borse e le fruste.
Decidemmo di mangiare qualcosa insieme ad alcune domine nel salone della Longue
House del castello. Chiesi a Big Berta e a Conchita di recuperarci due piatti di
prosciutto, salsiccia e formaggio. Quando decidemmo di cambiarci per il
banchetto, Conchita mi pregò di ascoltarlo. «Sì, Conchita. Cosa c'è?»
«Niente, Signora. Volevo solo dirle che quello di oggi pomeriggio è stato un
malinteso.» «A cosa ti riferisci?»
«A Mistress Denetra... a quello che ha detto. Non mi stavo masturbando, Signora.
Il cerotto mi faceva male, così ho cercato di scostarlo un po' dai genitali. Ma
le giuro che non mi stavo masturbando. Non mi sarei mai permesso di fare una
cosa del genere, lì davanti a voi. Mai. Glielo giuro, Signora.» «Stai
tranquillo. Non ti succederà niente, se è di questo che hai paura. A patto che
tu ci serva come si deve, ovviamente.» «Certo, Signora Valérie. Non ne dubiti.
Sarò onorato di servirvi questa sera.»
«Perfetto. E ora vieni con noi. Devi sistemare il vestito di Lady Monique e
lustrarci gli stivali. Questa sera devono splendere» gli ordinai. «E poi ti
darai una sistemata. Così fai davvero pena. Non puoi entrare nel salone di Sua
Maestà con le calze rotte, guardati...»
E mentre Conchita faceva per guardarsi, gli tirai la calza di nylon con due
dita per fargli vedere che era bucata.
«Ah! E ti truccheremo in un altro modo. Con questo look, lasci proprio a
desiderare.» Poi montai in groppa a Big Berta, tutto contento di aver trovato
due signore disposte a fargli fare quello che più gli piaceva: trasportare
persone.
Tra una cosa e l'altra, ci restava davvero poco tempo per prepararci. Come se
non bastasse, Madame Gabrielle, che aveva saputo che ero una scrittrice, mi
chiese di parlare in pubblico dei miei libri subito dopo l'elezione del miglior
schiavo dell'anno. Accettai, anche se con qualche reticenza. Mi sentivo
intimidita di fronte a un uditorio così singolare.
Il momento del banchetto arrivò. La sala delle celebrazioni era gremita di
domine che sfoggiavano i loro costumi e le loro parrucche. Mi sembrava di essere
tornata indietro nel tempo, di trovarmi a una festa in stile Versailles con
tanto d'abiti d'epoca. Stretta nel mio Dolce & Gabbana, mi sentivo un po' fuori
luogo; il vestito era bello da impazzire, ma stonava con l'ambiente. Monique era
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splendida con il suo completo di metallo, top e gonna, che Conchita aveva
sistemato, perché alcuni anelli della maglia si erano smollati. Sicuramente,
quell'abito pesava più di Monique.
Prima della consegna dei diplomi alle Sublime Ladies, si doveva eleggere il
miglior schiavo del 2005. Dopo essersi sottoposto a una serie di prove, il
candidato che avesse ottenuto il punteggio più alto si sarebbe aggiudicato il
titolo. Anche la sua domina avrebbe vinto diversi premi. La prima prova, la più
attesa di tutte, consisteva nel fustigare ogni schiavo per tre minuti. Quello
che gridava «stop», veniva eliminato e non poteva partecipare alle altre prove.
Monique e io prendemmo posto su una piccola panca, mentre Conchita e Big Berta
si sistemarono dietro di noi in ginocchio. Ogni volta che volevamo qualcosa, li
mandavamo in cucina. Gli schiavi iniziarono a salire sul podio per presentare la
loro candidatura. Nel frattempo vennero scelte le tre domine chiamate a formare
la giuria, e ci rendemmo conto che erano tutt'e tre statunitensi.
«Non è giusto» sussurrò Monique.
«Perché non c'è neanche una rnistress europea? Siamo nella Repubblica Ceca,
mica in Iraq!» gridò indignata Lady Alexandra.
Non ci furono altri commenti, e lo spettacolo ebbe inizio. I primi avevano
una resistenza sovrumana, sopportavano stoicamente le frustate anche quando il
sangue gli affiorò sulle natiche. Le domine sudavano; molti schiavi non
manifestavano il proprio dolore apposta per scatenare le ire della domina, che
si accaniva con ancora più violenza. Il concorso prese una piega sempre più
cruenta. A un certo punto, Monique si alzò e disse che non riusciva a sopportare
quella vista un secondo di più. Il suo gesto mi colpì. Stava infrangendo il
regolamento. Mi sentii orgogliosa di lei e di tutto ciò che rappresentava.
Lanciai un'occhiata veloce al pubblico. Madame Gabrielle non c'era, aveva la
bronchite. Riconobbi soltanto Bart, lo schiavo della Regina Patricia. Sembrava
molto a disagio per la situazione che si era venuta a creare. Ma lo spettacolo
andò avanti. Nel giro di qualche minuto, però, eravamo tutte fuori della sala.
Bart cercava di ristabilire l'ordine, senza riuscirci. Monique iniziò a
contestare l'organizzazione, e io le davo assolutamente ragione.
«E poi non è giusto che la giuria sia formata solo da americane» insistè Lady
Alexandra, con le lacrime agli occhi e il trucco sul punto di disfarsi.
Credo che avesse bevuto un bicchiere di troppo. Questo, e il fatto che uno dei
suoi schiavi era stato punito con una durezza mai subita in precedenza,
l'avevano resa triste e depressa. Alla fine, si giunse a un accordo. Bart chiese
alla gente di tornare ai propri posti, e annunciò che da quel momento in poi le
prove sarebbero state meno dure. Poi, cogliendomi completamente alla sprovvista,
mi chiese di salire sul palco e di entrare a far parte della giuria.
«Chi, io?» domandai incredula.
«Sì, Mistress Valérie. La prego.»
Monique mi fece un cenno di approvazione. Tremante, mi avvicinai cercando di
nascondere la mia timidezza. Poche volte mi sono sentita così. Di solito ho una
grande fiducia in me stessa e in quello che faccio, ma quando Bart mi chiese di
far parte della giuria, devo ammetterlo, non seppi come reagire. Mi spiegò che
ero stata eletta all'unanimità per sostituire uno dei giurati. Insistette perché
accettassi. Monique non mi toglieva gli occhi di dosso e la vidi sorridere. Quel
sorriso mi aiutò ad accettare la sfida. Mi sentii appoggiata da lei.
Gli animi si calmarono ben presto. Le prove successive si tinsero di una vena
comica; non si trattava più di punizioni dure e pure, ma di vedere come si
dimenavano gli schiavi a ritmo di musica o come se la cavavano in prove a scelta
libera. Contribuirono a rilassare tutti e ad arrivare senza problemi alla
premiazione del miglior schiavo dell'anno. Dopo di questo, e di una breve
presentazione dei miei libri, la serata si concluse con il conferimento della
cittadinanza del Regno dell'Altro Mondo ad alcune domine del pubblico, scelte
fra quelle che avevano frequentato il castello almeno tre volte. Tra le nuove
cittadine c'erano Amrita, la padrona giapponese, Mistress Denetra, la guardiana
di Conchita, e Madame Helen, la specialista di clinical.
Quella sera, andai a letto distrutta. Era stato un giorno pieno di forti
emozioni. Tuttavia, faticai ad addormentarmi. Ero riuscita a inserirmi nell'Owk,
e l'esperienza aveva soddisfatto tutte le mie aspettative. Ma avevo nostalgia di
quello che avevo lasciato a Barcellona. Avevo voglia di tornare a casa.
Arrivai a Barcellona di notte, con il telefono di Christophe memorizzato sul
cellulare e la faccia struccata di Conchita impressa negli occhi. L'aereo
atterrò con ritardo. Sfiorai il collasso nervoso più di una volta. Ma quando
atterrai, ad aspettarmi c'era lui, con la Ducados fra le labbra, le occhiaie
segnate, sorridente.
Ci baciammo al limite delle nostre forze. Salutai Monique, e raggiunsi il
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parcheggio con il mio fidanzato.
«Non ti chiedo se stai bene» gli dissi. «Dalla tua faccia non è stato un
granché.»
«Be'» rispose, «sarebbe potuta andare meglio.»
Tornammo a casa in silenzio. Non mi sentivo in colpa per essere stata nel
Regno dell'Altro Mondo, ma sapevo che per lui quel viaggio aveva significato un
sacrificio.
E il suo unico modo di passare il tempo era stato scrivere sul suo diario di
quelle tre giornate di solitudine. Strano. Come i giorni della mia assenza. I
giorni che lui era riuscito a descrivere. Per non smettere di esistere. Il
diario di uno schiavo accidentale. Per amore.
Molto mio malgrado.
Quella sera ho comprato una tigre
Il mio secondo viaggio all'Owk non ebbe niente a che vedere con il primo.
Durante la mia visita precedente mi ero limitata a guardare, a osservare tutto
quello che succedeva, a impregnarmi di quel posto così singolare e di quelle
persone così poco convenzionali. Quando ci tornai con il mio fidanzato, un paio
di mesi dopo, l'idea era quella di una riflessione approfondita sull'Sm. Lui
acconsentì a venire con me, anche se con qualche reticenza, visto che per natura
è tutto tranne che sottomesso. Ciò nondimeno, accettò la sfida di calarsi per
due giorni nei panni di un sottomesso. E dato che ero io la sua domina, non gli
poteva succedere niente, visto che punire gli schiavi altrui era vietato. Doveva
più che altro mostrare umiltà e rispetto nei confronti delle altre signore e
portare un collare al collo quando non eravamo soli nella nostra stanza.
Quella volta, il Regno dell'Altro Mondo non ospitava molta gente. Quando
arrivammo, un giovedì sera, la maggior parte delle domine se n'era già andata.
Se per me questa scoperta fu un sollievo, per il mio fidanzato lo fu ancora di
più.
Il programma di attività era un po' meno fitto e iniziava alle quattro del
pomeriggio. Posso dire che questo secondo viaggio fu più stimolante. Io ero più
rilassata, ero in compagnia del mio fidanzato e riuscivo a intavolare
conversazioni più tranquille con alcune padrone. E lui non si stancava di fare
il baciamano a ogni domina che si fermava a parlare con me, perché potessi
essere fiera di lui.
Conoscemmo Lilith, una domina tedesca sulla cinquantina che si rivelò
utilissima per i miei obiettivi. Girava dappertutto con uno schiavo molto più
giovane di lei e con le altre parlava appena.
Il giorno dell'asta di schiavi comprai il sottomesso di Lilith, che girava
completamente nudo, con il corpo dipinto a righe come se fosse una tigre. Si
presentò all'asta rinchiuso in una gabbia sospesa, legato a una cinghia, ma
nessuno fece un'offerta. Trovavo così ammirevole lo sforzo che avevano fatto
entrambi, lei a dipingerlo e lui a interpretare egregiamente la sua parte
imitando i ruggiti del felino e muovendosi con la sensualità e la prestanza di
un animale selvaggio, che mi pareva un sacrilegio lasciarmi scappare un
esemplare del genere. Mi aggiudicai la tigre e un servitore inglese, Oggetto,
completamente nudo a parte la cintura di castità che gli aveva messo la sua
padrona. Lilith, riconoscente per il mio acquisto, ci si avvicinò per spiegarmi
come trattare la tigre. Fu così che scoprii l'interessante storia di quella
donna.
Dopo il divorzio dal primo marito, la sua vita aveva subito una svolta
inaspettata. Le porte le venivano chiuse regolarmente in faccia, e non vedeva
nessuna possibilità di rifarsi una vita sentimentale. Era grassa, bassa e brutta
- queste le parole che aveva usato per descriversi. Chi avrebbe voluto una donna
così? Poi, un giorno, alcuni amici l'avevano invitata a una festa fetish. Qui,
Lilith si era resa conto che poteva riaffermarsi come persona: nessuno faceva
troppo caso al suo fisico, in quell'ambiente non era la cosa più importante. E
così, dopo un po', aveva messo un annuncio per cercare uno schiavo. La prima
lettera che aveva ricevuto l'aveva emozionata. Era del ragazzo con cui ora
condivideva la propria vita. Si erano trovati, e avevano deciso di seguire
insieme la strada dell'Sm, lei come padrona e lui come sottomesso. Grazie al
sadomasochismo Lilith era riuscita a ritrovare l'autostima che aveva perso,
aveva iniziato a scrivere su una rivista specializzata e aveva portato avanti la
passione della sua vita: la pittura.
In Germania era appena uscito un suo libro intitolato Come trovare una
padrona, in cui spiegava che molti uomini hanno la fantasia di trovare una donna
dominante ma sono spesso vittime degli stereotipi. All'inizio cercano una donna
bellissima, senza preoccuparsi delle sue capacità intellettuali. L'unica cosa
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che conta, per loro, è incontrarne una che risponda a determinate
caratteristiche fisiche. Poi, quando la trovano, si rendono conto che non è
esattamente quello che vogliono. Così iniziano a cercarne un'altra, sempre con
gli stessi criteri, e così via, fino a quando non capiscono che una padrona è
innanzitutto una donna comprensiva con un cervello funzionante, non
necessariamente una top model. A quel punto si rendono conto del perché ci hanno
messo tanto a
trovarla.
Mi dispiacque molto non passare un po' più di tempo con loro. Anche il mio
fidanzato era contento di quell'incontro. E in più, si divertì nei suoi nuovi
panni di sottomesso. Dopo aver visto le domine frustare i loro schiavi, mi
chiese di provare con lui. Lo facemmo nell'intimità della nostra stanza, perché
si sentisse a suo agio. Mi rifiutavo che venisse umiliato dagli sguardi degli
altri. Volevamo provare quell'esperienza insieme e poi parlarne.
Nell'Owk ho capito che la dominazione è sinonimo di controllo e non ha niente a
che vedere con l'immagine di una bella donna che infligge dolore ventiquattro
ore su ventiquattro. Come ha detto durante i giorni della celebrazione una
domina riconosciuta a livello internazionale: «Per meritarsi che gli infligga
dolore, un sottomesso deve piacermi davvero molto». Non è affatto strano
imbattersi in domine che sanno rifilare soltanto colpi. Ma l'Sm è molto più di
questo. Una brava padrona deve essere innanzitutto comprensiva. Sfortunatamente,
molte donne dell'ambiente si servono della punizione per competere tra loro. E
ricorrono a qualsiasi strumento per far sì che il didietro dei loro schiavi sia
il più straziato di tutti.
I più esperti utilizzano le sessioni Sm come uno strumento di catarsi vera e
propria. E con l'aiuto della padrona, in un'atmosfera di rispetto reciproco,
trasgrediscono progressivamente i propri tabù per riuscire a conoscersi meglio.
Molti, di fatto, si sottopongono a prove che non riuscirebbero a sopportare
nella vita quotidiana. In una sessione Sm, «esorcizzano» tutto ciò che suscita
in loro più rifiuto.
Quella del sottomesso è una figura davvero interessante. La gente che pratica
la sottomissione ha capito, come recita un celebre aforisma taoista, che «al
mondo l'elemento più forte e potente è al tempo stesso quello più soave:
l'acqua». In altre parole, che la sottomissione è l'arma migliore per dominare
completamente l'altro e piegarlo ai propri obiettivi.
I concetti di dominazione e sottomissione non sono due opposti, ma due facce
della stessa medaglia. La dominazione non è necessariamente migliore della
sottomissione. Il segreto sta nel concepirle come due realtà assolutamente
complementari. E per questo che la vera domina, anche quella che lo fa per
soldi, vede nello schiavo o nel sottomesso la sua parte mancante. E come tale lo
deve rispettare. Cosa sarebbe una domina senza il sottomesso o lo schiavo? E
cosa sarebbe lo schiavo senza la domina? Solo comprendendo questo equilibrio,
entrambi potranno raggiungere l'estasi.
La questione dei soldi ha sempre sollevato polemiche, sia all'interno sia al
di fuori del mondo Sm. Il denaro rappresenta una cosa sporca per tutti. Molti
pensano che non si dovrebbe pagare per una sessione Sm. Non sono d'accordo.
Qualsiasi femdom professionista che si rispetti potrà confermare che se non ci
sono soldi di mezzo i sottomessi non la rispettano. Un'opinione che condivido
pienamente.
Perché esiste l'Sm? A darmi la risposta è stata una domina: perché il mondo è
imperfetto. Se fosse perfetto, non esisterebbero le «perversioni». Sono sempre
stata affascinata dalla questione dell'imperfezione. E nell'Owk, tra domine e
schiavi, ho avuto modo di incontrare diverse persone con handicap più o meno
visibili. Per esempio, uno schiavo che nonostante la gamba finta era
perennemente inginocchiato davanti alla sua signora. O una domina norvegese che,
nonostante le palesi malformazioni alle estremità, soprattutto alle braccia e
alle mani, maneggiava la frusta come se niente fosse. O Lilith, la domina
tedesca che a quarantasei anni, obesa, divorziata e con problemi di autostima,
era riuscita a ritrovare la speranza nell'Sm, un mondo nel quale l'aspetto
fisico è secondario.
Dopo aver assistito a ogni genere di umiliazioni e castighi, penso di essere
riuscita a capire un po' di più il processo della sottomissione. In fondo si
tratta di un processo di meditazione. Attraverso l'Sm, il sottomesso cerca di
trascendere il proprio ego, di superare se stesso. Per riuscirci, fissa
l'attenzione sui colpi che gli vengono inferti. Si tratta solo di concentrarsi
per entrare in uno stato meditativo. Il sottomesso di Lilith comprato da me la
sera dell'asta si era davvero immedesimato nel ruolo di una tigre. Il tempo che
lei aveva passato a frustarlo sarebbe stato difficilmente sostenibile da comuni
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mortali. Il mio fidanzato e io abbiamo notato in lui una concentrazione ferrea,
che gli dava modo di astrarsi da ciò che lo circondava. In seguito ci ha
spiegato che usava le endorfine per «volare». Ripeto alla lettera le sue parole,
perché non sarei in grado di spiegarlo meglio. Un risultato del genere mi sembra
molto difficile da raggiungere. Le maschere e i vestiti fetish sono vere e
proprie pitture di guerra di cui ci si serve per potenziare la concentrazione e
raggiungere più facilmente il centro di se stessi.
Quando una domina indossa il suo vestito di lattice o un sottomesso si infila
una maschera di cuoio significa che sono pronti a dare inizio alla sessione. È
come se stessero per gridare: «Show time!». È il loro modo di iniziare a calarsi
nella parte.
L'Sm è un mezzo per conoscere se stessi. Ma è solo uno dei tanti. Vedere
nell'Sm l'unica via di conoscenza possibile può portare alla dipendenza. Al
contrario, riuscire a considerarlo per quello che è, come uno strumento in più
rispetto agli altri, ci permette di praticarlo senza pericoli. Alex, il ragazzo
austriaco, era schiavo dell'Sm perché era convinto che fosse l'unico mezzo per
conoscere i suoi limiti. Alcune persone vivono l'Sm come una forma di nevrosi.
Addirittura, riescono a praticarlo solo sentendosi emarginate. Così producono
più adrenalina. Nell'Owk, comunque, di nevrotici non ne ho quasi incontrati. Si
vede che sono persone che hanno riflettuto a fondo su se stesse.
Il sacrificio è ben visto dalla nostra società. Come ho già detto, se ti
sacrifichi a Dio o agli altri vieni accettato. La nostra educazione ruota tutta
attorno a quest'idea. Etimologicamente parlando, però, la parola «sacrificio»
significa «rendere sacro». E questo vincolo religioso spiega molti aspetti della
nostra mentalità.
Se infatti ti sacrifichi e dimostri di riuscire a godere di questo sacrificio,
di riuscire a trarne piacere, vieni automaticamente tacciato di «perversione» o
di «depravazione».
Esistono diversi modi di affrontare la sofferenza. Il primo è quello dello
stoico: non far vedere che stai soffrendo. Il secondo, al contrario, è quello di
non nascondere il tuo dolore. Molti di noi l'adottano, e spesso finiscono
addirittura per nutrirsene. Ma ce n'è anche un terzo, che pochi capiscono:
quello di non soffrire, anzi, di godere di quello che stai facendo. Nell'Sm, il
sottomesso/schiavo/masochista si comporta così. Sarebbe davvero interessante
riuscire a mettere in pratica nella vita quotidiana la filosofia dell'Sm come
processo di autoconoscenza.
Se c'è qualcosa di cui la nostra società abbonda, sono i piagnoni. Se c'è
qualcosa di cui scarseggia, sono quelli che non contagiano gli altri con il
proprio dolore. La cosa difficile è riuscire ad andare oltre. Trascendere
l'umiliazione: questa è la vera intelligenza. Ma siamo più docili quando siamo
paralizzati dalla paura. Per questo, il modo migliore di vendicarci della vita è
essere felici.
Le conseguenze del mio viaggio nell'Owk
Quando il mio fidanzato e io tornammo da Praga, mi sentii come svuotata. Tornare
alla routine ci appariva un'impresa impossibile. Eravamo stati lì solo tre
giorni, ma ci erano sembrati molti di più.
Provai a scrivere, ma mi faceva male il polso. La mia mano si era abituata al
tocco della frusta. Tirai fuori gli oggetti che avevamo comprato a Praga, tra
cui uno scudiscio e una maschera di cuoio. Presi lo scudiscio e lo provai contro
il sacco da boxe che c'è in sala. Risuonò con forza. Fischiava. Era flessibile,
sebbene fosse nuovo. Mi impregnai dell'odore del cuoio.
«Lo ungerò con grasso di cavallo» mi disse il mio fidanzato.
Notai nei suoi occhi che ci sarebbe voluto ben più di qualche giorno per
tornare alla normalità. Toutit, la gatta, giocava con la frusta nera. Per lei
non era più un oggetto estraneo: il cuoio era già pieno dei segni delle sue
unghie. Il mio fidanzato passò tutto il pomeriggio su internet cercando di
comprare all'asta qualche bella frusta di vario genere. C'erano quasi duemila
offerte da tutto il mondo, e milleseicento venivano dall'Inghilterra.
«Te l'ho detto, gli inglesi sono i più esperti» commentai. «Mi cercherò un
servitore inglese. Sono i migliori.»
E scoppiai a ridere. A lui parve una buona idea.
«Ma dove dormirebbe?»
«Io lo metterei di sotto, vicino alla caldaia» proposi.
«Non si può stare di sotto. Non ci sono finestre.»
Riflettei un secondo. Aveva ragione. Ma non sarebbe mai stato un bravo
padrone. Troppo generoso. Se non altro, era stato un sottomesso occasionale.
«Nella stanzetta» mi venne in mente all'improvviso. «Lì non starebbe male.»
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Continuai a giocare con lo scudiscio di un metro e mezzo, pensando che prima
di riuscire a dominarlo davvero avrei avuto bisogno di molto allenamento. A un
certo punto persi il controllo, e l'aggeggio mi colpì violentemente il busto.
Non mangiammo niente per tutto il giorno. Eravamo molto stanchi. Non riuscivo a
pensare lucidamente.
«Io non mi sono convertito» disse.
«Lo so. Non era questa la mia intenzione.»
«Già. Ma se ci torniamo, mi piacerebbe partecipare di più. Prima ero convinto
che per capire le cose bisognasse guardarle da fuori. Con distacco. Ora, per
capire quello che mi succede, sento di doverlo vivere al massimo. Come faccio
con te.»
Lo guardai per un istante, con l'aria di non capire a cosa si riferisse. Lui
si prese la briga di spiegarmelo:
«Ti amo, amandoti».
Per qualche settimana la cosa strana fu restarcene a casa, programmare le
giornate, andare a fare un tuffo in piscina anche quando minacciava di piovere.
La cosa strana era questa. Non andare in un castello di sadomasochisti a
frustare a sangue qualcuno. Non rinchiudere in una gabbia minuscola un uomo nudo
con una maschera da maiale.
A volte, provavo un po' di rimorso all'idea di avergli fatto vivere quelle
esperienze insieme a me. Ripensavo alle parole di Alex: «Dopo, tutto ti sembra
insipido». Ma non doveva essere necessariamente cosi.
«Sai, finalmente ho capito dove sono i nostri limiti» mi disse improvvisamente
un giorno, mentre osservava la maschera di cuoio.
«Ah, sì?» sorrisi. «E dove sono?»
Inspirò una profonda boccata d'aria, guardò per un istante il sacco da boxe,
si accese una sigaretta ed enunciò la verità della giornata:
«I tuoi limiti sono dove finisci tu».
La società segreta delle Tigri Bianche. Al di là della fellatio
«Dentro di me, speravo ancora in qualche
nuovo indizio in grado di condurmi a una vera Tigre Bianca. Non sapevo che
quella ricerca mi avrebbe portata fino in Australia.»
Storia della fellatio
Fino a poco tempo fa, il sesso orale era malvisto. Parlo al passato, ma forse
dovrei usare il presente, dato che in quindici stati del Nordamerica la fellatio
continua a essere considerata un delitto. E anche in altri paesi. Del
cunnilingus non si sa niente. Diciamo che il sesso orale che pratica l'uomo su
una donna non è considerato un atto rilevante. Il suo contrario, in compenso,
viene considerato denigrante da molte donne, se non addirittura ripugnante. Che
si tratti o no di un problema psicologico, molte donne non sopportano di
mettersi un pene in bocca. Un po' per via dei conati, un po' per paura di farsi
eiaculare in bocca, convinte, per ignoranza, che il seme sia qualcosa di sporco.
Siamo semplicisti fino a questo punto. Crediamo che tutto quello che esce dal
nostro corpo sia sporco. Cosa ovviamente falsa.
C'è un altro fattore di cui dobbiamo tenere conto. Per alcuni uomini la fellatio
continua a essere un modo per esercitare il proprio potere sulle donne.
Credetemi, parlo con conoscenza di causa. Quel gesto della mano dell'uomo sulla
testa della donna, del quale i film porno hanno tanto abusato -e temo
continueranno ad abusare - rievoca immediatamente il potere del maschio sulle
femmine. Il «succhiamelo, tesoro» è assolutamente odioso: presuppone che la
donna sia al servizio dell'uomo. Mentre a me verrebbe da dire che ad avere il
potere in quella circostanza è proprio la donna. Pensateci un attimo. Con il
pene imprigionato nella bocca di lei, è lui che si trova completamente indifeso.
Più di una volta, nella mia breve esperienza alla casa d'appuntamenti, sono
stata tentata di mettere in azione i canini per mozzare il fiato a qualche
pallone gonfiato e fargli capire chi comandava davvero. Ma poi non lo facevo, un
po' perché sono una brava ragazza, un po' perché mi rendo conto che un gesto del
genere potrebbe distruggere per sempre la vita di molti uomini, specialmente di
quelli convinti che la loro forza e la loro virilità si concentrino fra le loro
gambe.
La prima fellatio documentata nella storia mitica viene attribuita a Iside,
sorella e sposa di Osiride. A formare la leggenda di Osiride è un sapiente
intreccio di varie versioni. Una di esse vuole che Osiride sia stato squartato
dal fratello Seth, e che questi abbia gettato i suoi resti nel fiume. Iside
sarebbe riuscita a recuperarli e a ricomporne il corpo. Mancava il pene,
sostituito da un fallo di argilla, che Iside avrebbe succhiato per ridargli
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vita.
Per molto tempo, la fellatio è stata una pratica sessuale esercitata
unicamente dalle prostitute. Forse per questo è così malvista. Le prostitute
fenicie e quelle dell'Antico Egitto si coloravano le labbra per far capire ai
clienti che erano specializzate in «giochi di bocca», mentre le romane lo
annunciavano direttamente per iscritto sulle pareti del luogo dove lavoravano.
Essere una professionista della fellatio ha la sua importanza. Bisogna saper
usare bene la bocca, fare attenzione a coprire i denti con le labbra per evitare
incidenti e ruotarle intorno al glande come se si stesse stringendo una vite.
Anche la lingua ha la sua importanza: al momento giusto, la si deve passare
sopra o intorno al glande, il punto più sensibile del pene. Non è certo mia
intenzione dare lezioni di «buone maniere»; cerco solo di insistere sul fatto
che è un'attività abbastanza complessa. Alle specialiste del mestiere
bisognerebbe rendere omaggio. Non soltanto per la tecnica, ma anche per aver
demolito un bel po' di pregiudizi e di tabù.
La storia ci ha tramandato alcune celebri specialiste in fellatio. Da
Cleopatra a Èva Perón, senza dimenticare la più recente, Monica Lewinsky. Quando
decisi di avventurarmi nella ricerca di queste illustri rappresentanti, lavoravo
per una rete televisiva locale di Barcellona e mi capitava di ricevere
frequentemente per posta lettere da parte dei telespettatori. Un giorno in
redazione mi arrivò un pacco che conteneva un libro e una lettera. Era di una
casa editrice specializzata in manuali. La direttrice del marketing, mia
fedelissima sostenitrice, mi scriveva per segnalarmi un tema poco conosciuto
dalla maggior parte della gente, per non dire completamente ignorato. Il libro,
The Sexual Teachings of the White Tigress (Gli insegnamenti sessuali della Tigre
Bianca), era stato scritto da tale Hsi Lai. Lo divorai all'istante.
Avevo già sentito parlare delle Tigri Bianche, ma non potevo assicurare al
cento percento che esistessero. Mi ricordavano da vicino le geishe, figure che
ammiro profondamente già solo per il semplice fatto di essere vittime di
un'ignoranza diffusa sulla loro reale attività. Qualsiasi donna si allontani
dagli stereotipi prestabiliti deve sempre scontrarsi con l'incomprensione della
società. Le Tigri Bianche soffrono dello stesso male delle geishe. E per questo
sono, a quanto pare, a rischio di estinzione. La loro attività consiste
nell'«assorbire l'energia» degli uomini, sostanzialmente attraverso la fellatio,
allo scopo di riconquistare la giovinezza e raggiungere l'immortalità.
Le Tigri Bianche sono donne forti, donne che credono in quello che fanno e che
hanno saputo infrangere molti tabù anche a rischio della propria pelle. Per
molte persone, infatti, il sesso che praticano sfiora la «perversione». In ogni
caso, sono convinta che in fatto di sessualità queste donne possiedano una
saggezza senza pari.
Tutto quello che dirò d'ora in avanti è sostanzialmente tratto dal libro di Hsi
Lai. Di fatto, nessun altro ha scritto finora su questo argomento in modo così
approfondito. Spero che questo capitolo susciti in voi lo stesso interesse che
queste affascinanti figure femminili sono riuscite a risvegliare
in me.
A caccia di una Tigre Bianca
Al di là dalle informazioni che ero riuscita a procurarmi soprattutto grazie al
libro di Hsi Lai, la cosa che più mi interessava era riuscire a scovare una vera
Tigre Bianca. Così, iniziai a cercarne una disposta a trasmettermi i suoi
insegnamenti, la sua filosofia di vita e le sue opinioni riguardo all'immagine
che il mondo aveva di lei. Sentivo che non sarebbe stato facile.
La prima difficoltà fu il nome. «Tigre Bianca», su qualsiasi motore di ricerca,
rimanda direttamente all'animale selvaggio o a qualche pseudonimo usato su siti
porno o chat erotiche. Per avere qualche informazione dovetti digitare il nome
inglese, «White Tigress», perché in spagnolo non si trovava assolutamente nulla
che c'entrasse con una setta di donne taoiste. E nemmeno con il libro di Hsi
Lai, tradotto in diverse lingue.
La prima cosa che rintracciai fu un fumetto intitolato Tigre Bianca: al servizio
segreto del Grande Timoniere2. Narra le avventure di Alix Yin Fu, un agente
segreto donna, comunista e membro della società segreta delle Tigri Bianche. Una
specie di James Bond in versione asiatica. Bisogna tenere presente che, sotto
Mao, i membri di gruppi dediti a rituali sessuali come le Tigri Bianche venivano
arrestati e accusati di reati che molto spesso non avevano commesso; per questo
la protagonista del fumetto, pentendosi di essere stata una Tigre Bianca, aveva
accettato di mettersi al servizio del suo capo di Stato per riscattarsi dalle
sue colpe. Dai disegni che riuscii a vedere, si capiva che la protagonista era
una Tigre Bianca in piena regola, molto simile alle donne che ci sono nel libro
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di Hsi Lai. E il suo elemento più caratteristico era una lunghissima chioma
nera.
Andando un po' più a fondo nelle mie ricerche, mi imbattei in Jade Lee, una
scrittrice di origini cinoamericane che aveva pubblicato romanzi rosa a sfondo
erotico e i cui ultimi titoli avevano come protagonista una Tigre Bianca. Si
trattava solo di un caso, di esperienze personali trasformate in romanzi per far
sognare le casalinghe o, più semplicemente, di reminiscenze di racconti
infantili su donne straordinariamente affascinanti che esistevano solo
nell'immaginario collettivo? Se quella aveva scritto sulle Tigri Bianche, doveva
avere trovato le informazioni da qualche parte. Forse poteva mettermi sulla
strada giusta. Così, dopo un po' di ricerche sulla scrittrice che a quanto
pareva collezionava un successo dopo l'altro, decisi di mettermi in contatto con
lei.
Il ballo della Tigre Bianca e del Dragone di Giada
Le Tigri Bianche sono un gruppo di donne taoiste che nella loro vita perseguono
un obiettivo preciso: riconquistare la giovinezza e raggiungere l'immortalità
spirituale. Questo obiettivo, secondo loro, si può raggiungere solo attraverso
il sesso, visto che per la filosofia taoista quella sessuale è la forma di
energia più potente che possediamo. Il problema è che la maggior parte di noi
non sa sfruttare quest'energia. E sfruttarla in modo sbagliato non solo non ci è
di alcun beneficio, ma può addirittura distruggerci. Contrariamente a come siamo
abituati a vederlo noi, per le Tigri il sesso non rappresenta un fine in se
stesso, ma un mezzo. Le donne che decidono di diventare Tigri Bianche si
sottopongono a una formazione di nove anni, suddivisa in tre fasi di tre anni
ciascuna. La prima è dedicata alla rigenerazione sessuale. Era questa la fase
che mi interessava di più: la concezione del sesso sviluppata da questa società
iniziatica femminile è assolutamente affascinante. Visto l'alone di segretezza
pressoché assoluto, delle altre due fasi sappiamo molto poco.
La seconda tappa corrisponde all'alchimia spirituale, e la meta finale è la
filosofia contemplativa, l'unico sentiero che porta all'immortalità. Di fatto,
sebbene esistano molte scuole di pensiero, questi tre concetti corrispondono
alle tre diverse interpretazioni degli scritti ufficialmente accettati dal
taoismo tradizionale.
Durante i primi tre anni, la Tigre si dedica a sedurre il maggior numero di
uomini possibile per poter praticare la fellatio (vedremo che esistono altre
pratiche sessuali, ma nessuna riveste la stessa importanza). Oltre che il modo
più rapido ed efficace per assorbire l'energia sessuale maschile, per lei la
fellatio è una pratica in grado di apportare una quantità di benefici a noi
assolutamente sconosciuti.
Queste donne si fanno chiamare Tigri Bianche perché nella cultura cinese la
tigre rappresenta l'animale più dominante della Terra. La tigre è il simbolo
della donna e dello yin. L'attività delle Tigri Bianche ricorda da vicino quella
delle tigri reali, che per riuscire a rimanere incinte devono accoppiarsi più di
cento volte. Il che equivale a dire che le tigri femmine necessitano di una
quantità di sperma di gran lunga superiore a quella di cui hanno bisogno gli
altri animali. Il fatto di dover attrarre a sé molti maschi fa di loro delle
grandi seduttrici. Siccome al maschio generalmente basta solo un accoppiamento,
le tigri devono sfoderare tutte le loro armi per riuscire ad «adescare» altri
maschi, leccandoli ed esibendosi davanti a loro. Al tempo stesso, le tigri
femmine sono animali molto solitari, che si riuniscono socialmente solo in
pochissime occasioni.
La tigre bianca o albina è un animale raro, e in genere viene rifiutato dalle
altre tigri. Le Tigri Bianche si fanno chiamare così sia per il loro
atteggiamento nei confronti degli uomini sia per la loro natura assolutamente
fuori dal comune, che molti non comprendono.
Per sottolineare questa identificazione con l'animale, si rasano completamente
i peli del pube (anche per tornare ad avere il pube di una bambina) e si
depilano interamente il corpo, ma non si tagliano mai i capelli.
Si dice - e Hsi Lai lo conferma nel suo libro - che seguendo le pratiche delle
Tigri Bianche una donna possa ringiovanire da cinque a quindici anni, a seconda
dell'età in cui intraprende il suo percorso di formazione. Ovviamente, prima
inizia meglio è. Se una donna è vergine, il percorso sarà più breve: sei anni
anziché nove. Anticamente, era abbastanza comune che l'iniziazione avvenisse
intorno ai quattordici anni. Ma non è indispensabile. Dopo una formazione di
nove anni, una donna di cinquanta può tranquillamente arrivare a dimostrarne
venti o trenta di meno. In realtà, le Tigri Bianche sono donne assolutamente
«naturali»; rifiutano la chirurgia estetica e qualsiasi tipo di cosmetico e
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ricorrono solo a prodotti esistenti in natura, alle tecniche yoga per
riacquistare l'elasticità che avevano da bambine e alla fellatio. Sostengono che
i loro metodi siano molto più efficaci e che alla lunga la chirurgia estetica
deturpi il corpo e i tratti del volto. Al di là dell'aspetto fisico, però, il
vero obiettivo di queste donne è tornare a sentire la stessa energia che avevano
da adolescenti: una cosa che nessun chirurgo, nessun integratore vitaminico e
nessun presunto elisir di giovinezza sono riusciti finora a ottenere.
Le pratiche sono finalizzate ad assumere il comportamento sessuale tipico
dell'adolescenza, a raggiungere le condizioni fisiche di quella fase della vita
e a intensificare l'orgasmo. Il sesso, per loro, rappresenta questo: un aspetto
ludico e sano della gioventù, caratterizzato da un'esplorazione e da
un'eccitazione reciproca senza limiti. Con il passare degli anni, la donna
inizia a perdere estrogeni e si avvicina alla menopausa, momento di transizione
inevitabile dalla giovinezza alla fase di invecchiamento. La menopausa coincide
per molte con la perdita dell'appetito sessuale (anche se, personalmente, credo
che si tratti più di un'opinione dei medici che non di un dato di fatto).
Praticando un sesso estremamente ludico, le Tigri Bianche sollecitano
continuamente la stimolazione sessuale, evitando così la scomparsa del
desiderio. In questo modo riescono a ritardare al massimo la menopausa e, in
alcuni casi, a farla addirittura scomparire (se è vero, mi iscrivo subito!).
Per poter mettere in pratica le cose che ha imparato, la Tigre Bianca ha
bisogno di molti uomini. E più ne avrà a disposizione per esercitarsi, più
energia riuscirà ad assorbire. Qui entra in scena la figura del Dragone Verde,
il suo compagno di giochi. Nella cultura cinese, il dragone è l'animale
dominante del cielo, simbolo maschile dello yang. La ricerca quotidiana di
Dragoni Verdi è il compito principale della Tigre. E per convincere un Dragone
Verde a sottoporsi ai suoi giochi sessuali, dovrà ricorrere a tutte le sue doti
di stratega.
Il taoismo ortodosso prescrive la conservazione dell'energia sessuale maschile
attraverso la ritenzione del seme (filosofia seguita anche dal Tantra); gli
uomini, quindi, evitano l'eiaculazione. La Tigre Bianca, invece, si propone
esattamente il contrario, e cioè che l'uomo eiaculi il più possibile per potersi
nutrire della sua energia. È per questo che per molti seguaci del taoismo le
Tigri rappresentano un pericolo. A loro volta, però, le Tigri sostengono che
anche l'uomo può servirsi di questo tipo di rapporti per raggiungere
l'immortalità.
Il Dragone Verde deve essere un uomo normale di qualsiasi età, ma non deve
superare i sessantacinque anni (pervia della qualità del seme) né essere un
taoista fanatico, per i motivi che abbiamo appena visto. Deve essere una persona
gentile e matura, con la quale la Tigre possa sentirsi a proprio agio e creare
un clima di fiducia; è assolutamente necessario stare alla larga dal «macho»,
che difficilmente accetterebbe il modo di fare della Tigre. Con i Dragoni Verdi
la Tigre cercherà di divertirsi, ma per nessun motivo potrà innamorarsi di loro.
Per questo, per non creare nessun tipo di legame sentimentale, sceglie uomini
assolutamente estranei al suo mondo. La Tigre si lascia guidare molto
dall'intuito: se al primo incontro un Dragone Verde le trasmette vibrazioni
negative, non avrà nessun tipo di rapporto con lui. Se invece è pulito, educato
e attraente, la Tigre potrà unirsi a lui fino a un massimo di nove volte. In
questo modo il Dragone Verde non avrà la possibilità di affezionarsi troppo e la
Tigre eviterà che lui voglia praticare qualcos'altro oltre la fellatio, per
esempio il coito (più avanti vedremo perché questa pratica è sconsigliata). La
Tigre può ricorrere senza indugi alla menzogna per far sì che i suoi incontri
sessuali si limitino appunto a questo: a puri incontri sessuali, in modo che a
volte fa credere al Dragone di essere sposata o impegnata per dissuaderlo
dall'avviare una relazione seria di qualsiasi tipo.
Dopo essere andata nove volte con lui, non lo vedrà per sei settimane, il
tempo necessario perché il Dragone si riprenda da tutte quelle fellatio
«frenetiche» (a ogni incontro, la Tigre cerca sempre di far avere al Dragone tre
orgasmi consecutivi, fino a farlo crollare esausto). Così eviterà anche che lui
si affezioni troppo. Dopo questo periodo di riposo, la Tigre riprenderà a
frequentarlo per altre nove settimane, e così via, fino a portare a termine i
suoi tre anni di apprendistato.
La maggior parte delle Tigri Bianche che portano avanti l'apprendistato non
hanno il tempo di lavorare e di guadagnarsi da vivere. Per questo, hanno bisogno
di una specie di «mecenate», un uomo che le capisca, condivida i loro obiettivi,
le sottoponga a una disciplina ferrea e sia disposto a mantenerle almeno per i
primi tre anni di pratica. Quest'uomo è il Dragone di Giada, l'unico autorizzato
ad avere con loro una relazione vera e propria. Di solito la Tigre e il Dragone
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di Giada non vivono insieme, e se lo fanno dormono comunque in camere separate.
Una volta alla settimana, lei gli chiede il permesso di dormire con lui e, nel
caso in cui siano entrambi d'accordo, praticano diverse tecniche sessuali
sottoposte a regole rigidissime, su cui varrà la pena di soffermarci più avanti.
A differenza della Tigre Bianca, che pratica il sesso con molti uomini, il
Dragone di Giada deve a lei una sorta di fedeltà implicita. Nei tre anni di
formazione della Tigre, tutta la sua esistenza ruota attorno a lei e alle sue
pratiche, da cui trae anche lui beneficio. In ogni caso, non imporrà mai alla
Tigre niente che lei non voglia fare e non avrà rapporti sessuali con altre
donne. In compenso, la Tigre dovrà informarlo di ogni incontro sessuale con un
Dragone Verde e avere la sua approvazione. La relazione tra loro si basa sul
reciproco accordo e sulla trasparenza assoluta. Il Dragone di Giada, infatti,
assiste alle fellatio che la Tigre pratica sugli altri uomini. Assumendo il
ruolo del voyeur, si eccita e produce sempre più sperma, evitando al tempo
stesso di cadere nella routine sessuale che colpisce la maggior parte delle
coppie. Questa complicità, più che un sinonimo d'amore, nasconde una meta molto
più elevata: progredire insieme nel processo di riconquista della giovinezza.
La presenza del Dragone di Giada agli incontri fra la Tigre e un Dragone Verde
viene sempre tenuta segreta. Il Dragone Verde non può sapere che c'è un'altra
persona che guarda. Solo così la Tigre può sentirsi a suo agio ed effettuare in
tutta tranquillità la fellatio, che in seguito condividerà nei particolari con
il Dragone di Giada.
Mentre osserva di nascosto la coppia, questi è autorizzato a toccarsi ma non
deve assolutamente eiaculare.
La relazione che si instaura fra la Tigre e il Dragone di Giada è una
relazione talmente seria e complessa che quando la Tigre trova un possibile
candidato per questo ruolo, chiede alla sua maestra un quadro astrale di
entrambi per vedere se sono compatibili.
Dopo i tre anni passati insieme, possono separarsi o restare uniti. A
deciderlo è la Tigre.
In alcuni casi, i Dragoni Verdi possono diventare Dragoni di Giada.
Solitamente è la Tigre a proporglielo, nel caso in cui abbia soddisfatto tutti i
suoi desideri durante i tre anni della formazione.
Parallelamente, un Dragone di Giada può diventare un maestro di Tigri (in
genere, il ruolo spetta alle donne che hanno portato a termine i loro nove anni
di formazione). In questo caso, assume anche lui il nome di Tigre Bianca,
diventando il suo omonimo maschile.
Molte Tigri Bianche, che non possono contare su un Dragone di Giada per
mantenersi, si guadagnano da vivere come massaggiatrici.
Suonando il flauto di giada
Per riferirsi alla fellatio, i cinesi ricorrono a una metafora: «suonare il
flauto di giada». È l'attività sessuale più praticata dalla Tigre Bianca, in
quanto ritiene che sia la più efficace per assorbire l'energia sessuale
maschile.
La fellatio ha effetti positivi sulla salute che molti ignorano e che, se
fossero presi in considerazione, spingerebbero molte coppie a introdurla nei
loro giochi sessuali e a smettere di considerarla un atto «sporco». In realtà,
la fellatio induce la secrezione di sostanze estremamente pulite: la saliva, lo
sperma e il liquido seminale.
La fissazione delle Tigri nei confronti della giovinezza fa della fellatio la
loro pratica prediletta, soprattutto per il risvolto simbolico, in quanto le
riporta inevitabilmente all'infanzia. La psicoanalisi occidentale ha sempre
considerato la fase orale come la prima tappa dello sviluppo della libido,
durante la quale il desiderio sessuale e il desiderio di mangiare sono ancora
indistinti. Lo sappiamo tutti, ma forse vale la pena di ricordarlo: i neonati
succhiano sempre qualcosa. Appena vedono un oggetto, se lo mettono in bocca,
perché, di fatto, la lingua è il primo ricettore sensoriale di cui si servono.
Succhiare il pene ricorda da vicino l'atto di poppare dal seno materno o quello
di succhiare il dito, il ciuccio o il biberon.
Quando entriamo nell'adolescenza, continuiamo a succhiare cose, per esempio la
penna (che alla fine della lezione è completamente distrutta) ; alcuni iniziano
a fumare, altri mangiano caramelle. Quello che conta è infilarsi qualcosa in
bocca. Ci rassicura, perché ci ricorda i momenti felici in cui eravamo bambini
ed eravamo protetti dal seno di nostra madre.
Come ho già spiegato, per recuperare l'infanzia perduta, la Tigre Bianca
riproduce il comportamento di quando era neonata. Con la fellatio, torna a
«poppare dal seno della madre».
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È dimostrato, inoltre, che succhiare il pene aumenta la circolazione sanguigna
del volto, mettendo in moto muscoli facciali che si utilizzano solo raramente e
facendo assumere alla pelle un aspetto più sano. Con il pene in bocca, poi, la
Tigre Bianca non ha altra scelta che praticare la respirazione «naturale», vale
a dire quella nasale, un tipo di respirazione più profonda che parte
dall'addome. Da piccoli respiriamo tutti così; poi, con l'avanzare dell'età e
dello stress, smettiamo progressivamente di farlo.
Il più delle volte respiriamo male, con la bocca, e questo ci espone a
un'infinità di virus e batteri che potremmo tranquillamente evitare se
praticassimo la respirazione nasale. Oltre ad avere conseguenze positive sul
sistema immunitario, la respirazione profonda ha un effetto rilassante e può
favorire il processo di meditazione. Il mio professore di yoga non si stanca mai
di ripeterlo: «Il naso per respirare, la bocca per mangiare».
Le secrezioni indotte dalla fellatio di cui parlavamo prima hanno anch'esse i
loro vantaggi:
- La saliva è una grande fonte di nutrimento per il corpo, in quanto contiene
proteine, calcio, potassio, eloro e sodio. Non ci pensiamo mai, ma la saliva è
un ricostituente potentissimo, che penetra nel sangue attraverso lo stomaco e
ripulisce l'intero organismo. Senza accorgercene, passiamo tutto il giorno a
inghiottire saliva. Grazie all'azione di un enzima, il lisozima, la saliva
contribuisce a eliminare i batteri che potrebbero aggredire la bocca, la lingua
e la gola.
Quando la Tigre fa una fellatio a un Dragone Verde, gli bagna completamente i
genitali e la zona fra le cosce, proprio come una tigre reale quando lecca il
maschio prima di accoppiarsi con lui.
Il liquido seminale è la sostanza priva di spermatozoi che l'uomo produce
prima di eiaculare. È detto anche «lacrime del Dragone». Per la Tigre Bianca
questo liquido è estremamente benefico perché, se ingoiato, aiuta a riacquistare
la giovinezza. Al contrario dello sperma, non viene prodotto in grandi quantità;
ma più eccitato sarà l'uomo, più liquido seminale produrrà, e migliore sarà
l'effetto per la Tigre Bianca.
Il seme è l'unione di liquido seminale e sperma. Per molti rappresenta
qualcosa di sporco. In generale, la nostra cultura vede tutto quello che esce
dal nostro corpo come un «escremento». In realtà non è affatto così. Il seme è
una sostanza che contiene diverse proteine, oltre a vitamina C, calcio, ferro e
fosforo. Spesso consiglio alle mie amiche di applicarselo sul viso: è un potente
astringente, attenua le rughe, elimina le imperfezioni della pelle e le
restituisce tutta la sua morbidezza. Non è un caso che i taoisti lo conservino
con cura ed evitino di eiaculare durante ogni rapporto sessuale. Per loro, come
per quelli che praticano il tantra, il seme e il sangue sono, in fondo, la
stessa cosa. Si dice che per produrre una sola goccia di seme ci vogliano circa
quarantanove gocce di sangue. Perdere il seme equivale a perdere energia. Per
questo è così ambito dalla Tigre Bianca, non tanto per ingoiarlo, ma per
spalmarselo sul corpo e sul viso con una tecnica detta «coagulazione».
La Tigre Bianca fa sempre molta attenzione al colore e alla densità del seme.
Il raggiungimento del suo obiettivo, infatti, dipende direttamente dalla qualità
della sostanza. Per questo, si guarda bene dal rivedere un uomo con un seme
grigiastro, chiaro sintomo di malattia. Se il seme è troppo chiaro, invece,
significa che l'uomo è alcolizzato o si masturba troppo. La masturbazione è
malvista, ma non per ragioni morali: semplicemente, diminuisce la qualità del
seme. Un uomo che si masturba troppo finisce per eiaculare soltanto liquido
seminale. Il seme ideale è quello bianco e denso.
Nelle prossime pagine spiegherò le tecniche della fellatio sviluppate dalle
Tigri Bianche nel corso degli anni e descritte da Hsi Lai nel suo libro.
Ovviamente, non è necessario essere una Tigre per mettere a frutto i seguenti
consigli e procedimenti.
Durante l'incontro con un Dragone Verde, la Tigre Bianca osserva scrupolosamente
alcune regole affinchè l'atto della fellatio risulti il più proficuo possibile e
le faccia ottenere il massimo di energia sessuale maschile. Il primo obiettivo
consiste nel creare un'atmosfera che stimoli il desiderio e l'eccitazione.
Davanti al Dragone Verde, la Tigre non si spoglia mai completamente. Più che
mostrare, vuole alludere. Così facendo, evita anche di piacergli troppo. Per
esempio, mostra solo i seni. Anticamente, le Tigri Bianche si dipingevano le
labbra solo a metà perché la loro bocca sembrasse più piccola e l'uomo avesse
l'impressione di avere un pene più grande. Ignoro se continuino a farlo, ma si
tratta di un espediente molto ingegnoso. I registi di film porno prendano
spunto!
La Tigre Bianca indossa vestiti a collo alto o si adorna con collane o altri
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oggetti che facciano sembrare il collo più lungo. Così, riesce ad attirare
l'attenzione dell'uomo esclusivamente sul volto.
A quel punto la Tigre si inginocchia per procedere alla fellatio. Questo
permette all'uomo di vedere sempre quello che sta facendo e quindi di eccitarsi
ancora di più. La Tigre prende fra le mani il pene eretto dell'uomo e inizia a
tirarlo dolcemente verso il basso, stimolando così un maggiore afflusso di
sangue che serve a potenziare l'erezione e quindi a far produrre più seme.
La fellatio può essere praticata in tanti modi diversi. Per esempio, la lunga
chioma della Tigre Bianca può tornare davvero utile. La Tigre avvolge il pene
del Dragone Verde con un ciuffo di capelli bagnato di saliva e inizia a
spingerlo verso l'alto e verso il basso. I capelli hanno un effetto molto
stimolante sui genitali dell'uomo. A volte, lei si fa una coda o una crocchia a
cui l'uomo possa afferrarsi con forza. Oltre a trasmettere al Dragone Verde una
sensazione di potere, assicura alla Tigre Bianca un massaggio ai capelli
fantastico. Non dimentichiamo che le Tigri sono molto vanitose, e appena possono
sfruttano il sesso per diventare ancora più belle.
Un modo di eccitare moltissimo il suo Dragone Verde e di produrre grandi
quantità di saliva è infilarsi il pene quasi fino in gola. Non si tratta di
morire soffocata, però quando ce l'ha in bocca, la Tigre Bianca si provoca dei
conati, senza smettere di gemere per far credere al Dragone Verde che la cosa le
piace. La saliva è importante, perché permette, inumidendosi la zona fra le
cosce, di ridurre la temperatura di quella parte del corpo. Il calore ai
genitali può diminuire la produzione di sperma e le sue proprietà. E come
abbiamo visto, la Tigre Bianca mira alla massima quantità e alla massima qualità
dello sperma.
Durante la fellatio, la Tigre mette in atto alcune tecniche di visualizzazione
e di respirazione estremamente rigorose. Per prima cosa, stringe le gambe per
ritrarre la vagina e non disperdere energia sessuale (qi). Dopo nove respiri
profondi, inizia a ruotare la lingua attorno al glande del Dragone Verde, in
senso orario. Così facendo, assorbe il liquido seminale che l'uomo produce prima
di eiaculare. Quando lui è vicino all'orgasmo, la Tigre tira fuori il pene dalla
bocca e si allontana di cinque-dieci centimetri, tenendo gli occhi fissi sul
glande. A quel punto, un momento prima dell'eiaculazione, si concentra
sull'energia del Dragone Verde, immaginando che le
penetri dalla nuca. Per facilitare il processo di visualizzazione, la Tigre
chiude gli occhi e li rivolta verso l'alto, come se stesse osservando il proprio
cervello. A quel punto lascia che il seme le sgorghi sul viso o sul corpo e lo
fa asciugare, come se fosse una maschera.
Nel frattempo, la Tigre si rinfila il pene in bocca e ripete la serie di nove
respirazioni succhiandolo, poi passa nuovamente la lingua attorno al glande,
sempre in senso orario. A quel punto, trattiene la saliva prodotta e si ritira
per meditare. Di solito il Dragone Verde la lascia meditare in pace,
completamente spossato dall'orgasmo violento che ha appena raggiunto. Questo
momento di quiete è tanto importante quanto l'atto della fellatio. Se dopo aver
eiaculato un Dragone Verde non lascia in pace la Tigre, lei non lo rivedrà più.
Poi la Tigre si toglie la maschera di seme con un panno impregnato di succo di
cetriolo (più avanti approfondiremo l'importanza di questo vegetale nelle cure
quotidiane della Tigre). Quindi passa lo stesso panno sul membro del Dragone
Verde, lo aiuta a vestirsi e si congeda da lui.
Ci sono situazioni in cui la Tigre Bianca non pratica la fellatio, per esempio
quando il pene del partner presenta piaghe o ferite. Anche in questo caso,
comunque, non rinuncia al rapporto, e ricorre a tecniche manuali: afferra la
base del membro con una mano e con l'altra inizia ad accarezzarlo, verso l'alto
e verso il basso, con un movimento a spirale o ruotando il polso. A volte, per
le carezze, si serve di oli speciali.
Un'altra tecnica molto eccitante consiste nel tenere il pene tra le mani e
nell'iniziare a sfregarlo con i palmi, molto lentamente e senza interruzioni,
come se stesse accendendo un fuoco con un pezzo di legno.
Per un effetto ancora più potente, la Tigre può infilare l'anulare sinistro
nell'ano del Dragone Verde per stimolargli la prostata (quello che gli
occidentali conoscono come il punto P) e stringere la base del pene con la
stessa mano, accarezzandogli con la destra il glande cosparso d'olio.
Durante un incontro, la Tigre cerca di produrre nell'uomo tre orgasmi
consecutivi. Nel frattempo, cerca di raggiungere il maggior numero di orgasmi
possibili. Il suo obiettivo primario di sfruttare l'energia a fini spirituali,
infatti, non esclude affatto il piacere sessuale.
Dopo il rapporto, la Tigre racconta al suo Dragone di Giada l'esperienza che
ha appena vissuto e a cui lui ha assistito senza destare il minimo sospetto nel
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Dragone Verde. È il loro modo per evitare di cadere nella routine sessuale di
cui sono vittime molte coppie.
Altre pratiche sessuali delle Tigri
Il coito
Sebbene questa pratica sessuale non le dispiaccia affatto, la Tigre Bianca fa di
tutto per evitarla. La fellatio è l'unico modo che ha di tornare alla prima
giovinezza, quella in cui i bambini giocano e si toccano. La penetrazione è
considerata un atto sessuale più adulto.
Il coito, inoltre, impedisce la ventilazione dei genitali dell'uomo, rischiando
di far aumentare il calore nella zona dei testicoli e di ridurre quindi la
produzione di sperma. La Tigre preferisce la fellatio, perché le da modo di
controllare meglio quella parte del corpo. Per di più, è convinta che il coito
sia pericoloso per il corpo della donna, perché accorcia la vita. L'uomo può
essere molto brusco e impetuoso, rischiando involontariamente di danneggiare la
zona dei genitali. Non sempre, durante l'atto sessuale, la vagina è lubrificata,
e questo può provocare danni irreparabili ai tessuti vaginali. Per non parlare,
poi, del rischio di contrarre una malattia venerea, sebbene all'uomo sia vietato
eiaculare nella vagina della Tigre Bianca e lei pretenda l'uso del preservativo.
A volte, comunque, alcune di loro possono sentire il bisogno di entrare in uno
stato di simbiosi con qualche Dragone Verde o con il proprio Drago di Giada, e
provare il desiderio di essere penetrata. In questo caso, per limitare al
massimo i danni provocati dal coito, la Tigre Bianca ricorre a un prodotto a
base di erbe che ha la funzione di contrarre la vagina. Questo prodotto viene
utilizzato sia per ostacolare l'ingresso del pene e dissuadere l'uomo dal
penetrarla, sia per dargli la sensazione di starla sverginando, aumentando così
la sua eccitazione. Se durante la penetrazione la Tigre sente molta resistenza,
può sempre dire al suo compagno che le fa male e tornare così al rituale della
fellatio.
Se invece prosegue con il coito, la Tigre Bianca si sdraia sotto di lui nella
posizione del missionario, e chiede all'uomo di afferrarla per la vita o di
infilarle le mani sotto le natiche; poi, con una mano, afferra il pene e si
infila il glande in vagina. Con il pene stretto nella mano, la Tigre Bianca
impedisce all'uomo di entrare troppo in profondità. Al tempo stesso, questo le
permette di stimolarsi la clitoride fino a raggiungere l'orgasmo. Quando
raggiunge l'apice, la Tigre torna immediatamente alla fellatio. L'uomo non può
eiaculare dentro la Tigre, e nemmeno dentro il preservativo. Può farlo solo con
la fellatio. Altrimenti la Tigre non può beneficiare del suo seme.
La Tigre si protegge costantemente la vagina secernendo molti fluidi. Queste
secrezioni servono a pulire e a purificare la vagina.
Il sesso anale
È un'altra variante che la Tigre Bianca può essere disposta a praticare, in
quanto è convinta che il sesso anale, se fatto con dolcezza, trasmetta parecchia
energia. Il problema dei rapporti anali è che molte volte il dolore le impedisce
di provare piacere. Come nella penetrazione vaginale, quindi, l'atto si limita
solo all'introduzione del glande, che l'uomo dovrà eseguire senza fretta e con
molta delicatezza.
Nel retto si trova la ghiandola che gli induisti chiamano Kundalini e che
contribuisce anch'essa a far riacquistare la giovinezza. Attraverso una serie di
esercizi mirati a rafforzare i muscoli dell'ano, la Tigre Bianca riesce a
stimolarsi da sola la Kundalini e a provare meno dolore durante l'atto sessuale.
Quando il glande penetra nell'ano della Tigre, a muoversi è soltanto lei (e
non l'uomo), facendo oscillare avanti e indietro le natiche con estrema
lentezza. Così, il glande sfiora delicatamente la ghiandola della Kundalini.
Anche in questo caso, il Dragone Verde non è autorizzato per nessun motivo a
eiaculare dentro la Tigre Bianca.
Le orge
La Tigre Bianca può partecipare a sessioni di sesso di gruppo, ma non deve mai
abusarne. Giochi di questo tipo non sono assolutamente obbligatori; nel caso in
cui lei ne abbia voglia, comunque, potrà praticarli, ma non più di una volta
ogni nove mesi, per via dell'enorme quantità di energia generata. La Tigre deve
essere sempre l'unica donna, e con un minimo di tre uomini, il Dragone di Giada
e due Dragoni Verdi. I Dragoni Verdi presenti non devono per forza essere gli
stessi con cui la Tigre Bianca pratica abitualmente la fellatio.
L'organizzazione dell'orgia spetta al Dragone di Giada, che non dirà nulla
alla compagna per farle una sorpresa. Durante un'orgia, la Tigre pratica diverse
fellatio e induce negli uomini il maggior numero possibile di orgasmi.
Il cunnilingus
Generalmente, la Tigre Bianca raggiunge l'orgasmo attraverso la stimolazione
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manuale della clitoride. Tuttavia, in alcuni casi può accettare di farsi
stimolare oralmente dai suoi Dragoni Verdi, a condizione che la portino
all'orgasmo e non si interrompano per nessun motivo fino a quando non l'ha
raggiunto. Oltre alla stimolazione orale, la tecnica utilizzata dal Dragone
Verde consiste nell'accarezzarle la clitoride con movimenti circolari
dell'indice, infilando e tirando fuori la lingua dalla vagina a ritmo sostenuto.
La stimolazione sessuale generata dalle carezze del dito e dal movimento della
lingua è molto intensa. In questo modo la Tigre produce grandi quantità di
fluido vaginale, fornendo al Dragone Verde una sostanza nutritiva ricca di
proprietà curative, a cui si attribuisce anche il potere di ringiovanire.
Per beneficiare di questi flussi vaginali, molte Tigri Bianche hanno rapporti
sessuali con altre donne. La cosa non solo non è malvista, ma costituisce una
pratica tradizionale caldamente incoraggiata, visto che la donna è un simbolo
yin e, secondo il tao, due yin si rafforzano a vicenda.
Grazie ad alcuni esercizi per potenziare l'elasticità della schiena, le Tigri
Bianche riescono, dopo un po' di tempo, a praticarsi da sole il cunnilingus,
raggiungendo la flessibilità che avevano durante l'infanzia, quell'infanzia che
cercano a tutti i costi di rivivere attraverso il sesso.
In cerca di Jade Lee
In un suo articolo sul tao del sesso, nel quale parlava anche del suo ultimo
romanzo, The White Tigress, Jade Lee scriveva che, nonostante i suoi libri
fossero ambientati nel xix secolo, «le Tigri Bianche continuano a esistere, ma
tendono a praticare i loro insegnamenti in segreto, soprattutto a Hong Kong e a
Taiwan».
L'articolo era molto lungo, e dovetti rileggerlo diverse volte. Sulle pratiche
sessuali fra la Tigre Bianca e il Dragone di Giada diceva le stesse identiche
cose che avevo letto sul libro di Hsi Lai. Ma la cosa incomprensibile era che
questa donna, di origini cinesi, mescolava il buddismo al taoismo, due correnti
di pensiero che non hanno nulla a che vedere l'una con l'altra.
Quando decisi di scrivere un'e-mail a Jade, non sapevo come iniziare. La prima
difficoltà era la lingua. Non avevo mai avuto problemi a esprimermi in inglese,
ma questa volta era diverso. Volevo essere gentile, e al tempo stesso farle
capire quanto fosse importante per me raccogliere informazioni sulle Tigri.
Volevo che la mia richiesta d'aiuto suonasse seria e credibile.
Come molti altri scrittori (includo me stessa nella lista), Jade riceveva
sicuramente una montagna di lettere da parte di ammiratori e curiosi; il mio
timore era che mi scambiasse per una lettrice indiscreta in cerca di una scusa
qualunque per mettersi in contatto con lei. Decisi di spiegarle in tutta
franchezza quello che volevo da lei, senza troppi giri di parole:
Cara Jade Lee,
mi chiamo Valérie e sono una scrittrice francese, anche se vivo in Spagna da
quattordici anni. Scrivo libri sul sesso, e sono molto interessata al tema delle
Tigri Bianche e al taoismo. Il mio prossimo libro dovrebbe uscire nel 2006.
Mentre cercavo informazioni su queste donne affascinanti, mi sono imbattuta per
caso nel suo nome. Come saprà anche lei, è molto difficile trovare articoli o
qualsiasi altra fonte sull'argomento, visto che si tratta di una società
segreta. Pensavo che forse lei potrebbe fornirmi qualche informazione in merito,
o se non altro indirizzarmi verso altre fonti. Non intendo disturbarla, poiché
immagino che lei sia una donna molto occupata, ma le sarei davvero grata se
prendesse in considerazione la mia e-mail.
In attesa di sue notizie, colgo l'occasione per ringraziarla in anticipo per la
sua collaborazione. Con molta cordialità,
Valérie Tasso
Pensai che non mi avrebbe risposto. Forse proprio per questo smisi di
controllare la posta elettronica per qualche giorno. Volevo evitare una
delusione, che in fondo mi aspettavo. Salivo al piano di sopra, nello studio,
gironzolavo un po' per la stanza con una sigaretta in bocca, collegavo l'adsl e
poi spegnevo il computer, senza guardare i messaggi. Passavo ore e ore davanti
allo schermo a pensare. Poi scendevo, scrivevo due righe e cominciavo a leggere
le recensioni di tutti i suoi libri pubblicati. Avrebbe preso in considerazione
la mia e-mail? Leggeva lei stessa la posta o una segretaria pagata dalla sua
casa editrice? Quello era il suo indirizzo di posta personale? Se lo era o meno,
la cosa, in effetti, cambiava parecchio. Com'era riuscita a ottenere tutte
quelle informazioni sulle Tigri Bianche? Forse ero stata troppo indiscreta? Mi
avrebbe rivelato le sue fonti? Perché aveva mescolato il buddismo con il
taoismo?
Poi, una mattina, mentre mi rigiravo nel letto nel vano tentativo di
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riaddormentarmi, pensai che fosse da idioti non controllare la posta per paura
che quella donna non mi avesse risposto. Forse aveva cambiato indirizzo. Magari
non controllava sempre la posta. O forse la mia e-mail non era arrivata. Dovevo
scoprirlo. Ero disposta perfino a scrivergliene un'altra.
Mi accesi una sigaretta ancora a digiuno, salii in mansarda e iniziai a
controllare la posta.
Senza avere il tempo di reagire, mi accorsi che Jade Lee mi aveva risposto.
Sì. Mi aveva inviato una e-mail. Non ci potevo credere. Pensai di stare
sognando, di trovarmi ancora tra le mie lenzuola bianche, bagnate di sudore per
una notte difficile affollata da gemiti di draghi e sussurri di sirene cinesi.
Il messaggio di Jade Lee era abbastanza lungo.
Le armi seduttive delle Tigri Bianche
La sfida quotidiana di adescare sempre nuovi Dragoni Verdi e praticare con loro
la fellatio ha indotto le Tigri Bianche a potenziare una serie di strategie con
cui sedurre in modo irresistibile gli uomini che interessano. Alcune tattiche
sembrano contradditorie, ma sono giustificate da un unico fine: raggiungere
l'energia giovanile vitale per loro.
La sottomissione
È una tattica a cui la Tigre Bianca ricorre costantemente. La sottomissione è un
potente strumento di stimolazione per l'uomo, in quanto gli fa credere di avere
sempre il controllo della situazione. Cosa ovviamente non vera: in realtà, si
tratta soltanto di uno stratagemma.
Dichiarare guerra agli uomini, come hanno fatto e continuano a fare alcune
femministe radicali negli Stati Uniti, non serve assolutamente a nulla. Al
contrario. Questo atteggiamento, anziché liberare la donna, non fa che
alienarla. E, in fondo, è l'antitesi della saggezza. La Tigre Bianca si propone
di trascendere la sofferenza generata dalla dominazione maschile. Sottomettersi
è il modo migliore, nonché il più efficace, di dominare l'altro. Per questo la
Tigre Bianca è compiacente e pratica il sesso orale, che tra tutte le pratiche
sessuali esistenti è, almeno in apparenza, il più grande atto di sottomissione.
In realtà, come ho già avuto modo di spiegare, sarà sempre la Tigre Bianca ad
avere il controllo della situazione. Non va dimenticato, inoltre, che il
dominante che pratica la sottomissione ha la possibilità di capire meglio se
stesso, di conoscere lati di sé fino a quel momento sconosciuti, come abbiamo
visto nel primo capitolo.
Lo spanking
Lo spanking, l'arte di colpire il didietro, conobbe il suo momento d'oro nel
XVIII secolo, quando iniziò a essere adottato da alcuni circoli di flagellanti
in Inghilterra. I suoi effetti benefici, tuttavia, erano già noti
nell'antichità. I greci vedevano in questa pratica un modo efficace per far
circolare il sangue e per nutrire la pelle.
La Tigre Bianca ricorre a quest'arte per due ragioni. Innanzitutto perché è
molto salutare: oltre a mantenere soda la pelle dei glutei (posso confermarlo
personalmente, visto che parlo con cognizione di causa ! ), impedisce l'accumulo
di grasso in quella zona, così delicata per le donne. Le natiche della Tigre
Bianca ricordano quelle dei neonati: sono morbide e lisce. Molte madri
sculacciano leggermente il sedere dei loro piccoli per stimolare le terminazioni
nervose che si trovano in quella zona. In sostanza, l'obiettivo della Tigre
Bianca è tornare a vivere tutte le sensazioni dell'infanzia che con il passare
del tempo sono svanite.
In secondo luogo, lo spanking permette alla Tigre Bianca di instaurare un canale
di comunicazione privilegiato con il Dragone di Giada. Farsi colpire è un modo
di sottomettersi all'altro, ed è proprio questo che la Tigre Bianca fa con il
Dragone di Giada. Con la frusta in mano, lui è convinto di avere il controllo.
Il Dragone di Giada colpisce la Tigre Bianca fino a quando le sue natiche non
appaiono leggermente arrossate. Non si spinge mai oltre. In genere, lo spanking
viene praticato dopo l'incontro fra la Tigre Bianca e il Dragone Verde.
Attraverso questo gioco, il Dragone di Giada riesce a dare sfogo alla sua
gelosia. Il Dragone di Giada, non dimentichiamolo, è un essere umano, e non
sempre accetta con piacere di vedere la sua Tigre insieme ad altri uomini.
Siccome non può permettersi di cedere a questi sentimenti, il Dragone di Giada
frusta la Tigre, investendola di domande per farsi raccontare tutti i
particolari dell'incontro. È il suo modo per esorcizzare la cosa. Inutile dire
che il Dragone di Giada pratica lo spanking sulla Tigre Bianca solo quando lei è
d'accordo e glielo permette.
Esibizionismo e voyeurismo
La Tigre Bianca è molto esibizionista. Civetta costantemente con i Dragoni Verdi
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per provocarli e sedurli, e permette al Dragone di Giada di assistere ai suoi
incontri sessuali. In alcuni casi il Dragone di Giada rifiuta di farlo, ma di
solito non avviene. Questi due atteggiamenti, che ovviamente non esisterebbero
l'uno senza l'altro, contribuiscono a eccitare tutte le persone coinvolte e
aiutano la Tigre Bianca ad acquistare più sicurezza in se stessa attraverso il
fare sbarazzino tipico della sua giovinezza.
L'elisir di giovinezza delle Tigri Bianche
La Tigre Bianca conosce alcuni segreti di bellezza che non hanno nulla da
invidiare alla cosmesi moderna. Tra l'altro, sono molto meno cari. Uno consiste
nello spalmarsi attorno ai genitali e all'ano un miscuglio di seme e della
propria saliva, lasciandolo asciugare per circa trenta minuti per rigenerare le
cellule di questa delicatissima zona del corpo.
Un altro consiste nell'infilarsi in vagina un cetriolo sbucciato allo scopo di
detergerla e purificarla. Essendo molto acido, il cetriolo è un potente
battericida. In effetti, dopo un rapporto sessuale con un Dragone Verde, la
Tigre Bianca usa succo di cetriolo sia per detergere il pene dell'uomo sia per
rimuovere la maschera di seme che ha applicato su se stessa. In genere, questi
due trattamenti vengono ripetuti una volta alla settimana.
Quando siamo eccitati, il nostro corpo secerne vari fluidi che, se ingoiati,
hanno il potere di ringiovanirci.
Uno di questi si forma sotto la lingua, una saliva dal colore grigiastro che
contribuisce a ritardare gli effetti dell'invecchiamento.
Una delle secrezioni più difficili da ottenere è quella che viene prodotta dai
capezzoli. È di colore bianco, ha un sapore dolce e, per procurarsela, la Tigre
Bianca deve chiedere all'uomo di succhiarle i seni e poi di passarle il fluido
in bocca. Un altro modo per nutrirsi di questa secrezione è avere rapporti con
altre donne, cosa che spiegherebbe tra l'altro la frequenza delle relazioni
lesbiche fra le Tigri Bianche.
I fluidi vaginali sono importanti almeno quanto il seme. Sono densi, hanno un
potente effetto tonificante, sia per la donna sia per l'uomo.
Per riuscire ad apprezzarne i risultati sul nostro corpo, queste secrezioni
devono essere consumate in maniera costante.
Non si deve per forza fare sesso per trarre beneficio da questi particolari
elisir di giovinezza. Il mio insegnante di yoga ci raccomanda sempre un
esercizio semplice, che consiste nell'arrotolare la lingua e nell'appoggiarla al
palato per dieci minuti. In questo modo si produce molta saliva, che poi bisogna
ingoiare lentamente.
La dieta per rafforzare il sistema immunitario
Non posso parlare delle Tigri Bianche senza menzionare le malattie a
trasmissione sessuale (Mts). Come gruppo a rischio, sembrano superare tutti. In
realtà, sono molto prudenti. Le poche volte che praticano il coito o il rapporto
anale, non permettono mai che l'uomo eiaculi dentro di loro, e comunque usano
quasi sempre il preservativo. Non durante la fellatio, però: come abbiamo visto,
lo scopo è riuscire a impossessarsi del seme, dell'energia sessuale maschile. Le
Tigri si servono del seme per i suoi effetti benefici sul viso e sul corpo, ma
non lo ingoiano mai (a parte quello del loro Dragone di Giada).
Le Tigri Bianche non hanno paura delle malattie a trasmissione sessuale: si
sentono immuni al contagio. Secondo la loro filosofia, essere ossessionati dal
contagio è il modo più sicuro di farsi contagiare.
In ogni caso, la Tigre non va mai a letto con il primo che passa. Se per
qualsiasi motivo una persona non dovesse piacerle o avesse l'aria di non godere
di buona salute, si guarderà bene dal fare sesso con lui. E se dovesse venirle
qualche sospetto durante l'incontro intimo, ricorrerà alla stimolazione manuale
e non gli succhierà mai il pene.
Al di là di queste precauzioni, le Tigri seguono una dieta quotidiana che
contribuisce a rafforzare il sistema immunitario, già di per sé molto resistente
per via degli esercizi cui si sottopongono. La loro dieta è a base di soia,
frutti di mare e té verde, a cui si aggiungono due spremute d'arancia, mezzo
bicchiere di succo di carota e prezzemolo, mezzo bicchiere di succo di cetriolo,
zenzero, aglio e grani di pepe. E alcune erbe cinesi a me ignote. Le Tigri
evitano rigorosamente la carne di manzo, perché è quella che contiene più
batteri, anche quando viene cotta.
A questa dieta associano alcuni esercizi di kung fu e ch'i kung. Inoltre,
prendono quattro aspirine alla settimana perché, a quanto dicono, proteggono
dalle malattie «sociali». E non ingeriscono per nessun motivo grassi e
latticini.
Attraverso l'applicazione rigorosa di queste regole, le Tigre Bianche sono in
grado di riconquistare la giovinezza, come se si reincarnassero magicamente in
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una lolita orientale.
La Tigre Bianca: mito o realtà?
Davvero interessante, Valérie. Sfortunatamente, temo di non esserti di grande
aiuto. Tempo fa mi è capitato tra le mani un esemplare del libro di Hsi Lai,
TheSexual Teachings of the White Tigress. Lo puoi trovare su amazon
(www.amazon.com). Ma sono sicura che lo conosci già. Io mi sono ispirata a
quello che ho letto in quel libro e ci ho aggiunto un po' di sessualità zen: è
stato così che ho costruito il mio mondo. Per cui... non credo di poterti dare
informazioni interessanti. Comunque, ti prometto che sarò la prima a comprare il
tuo libro!
Che tipo di informazioni hai raccolto sulle Tigri Bianche?
La lettera era firmata.
Mi sentii una merda. Comunque, mi faceva piacere che Jade Lee si fosse presa
il disturbo e il tempo di rispondermi. E anche che fosse stata così gentile e
educata. Quello che non riuscii a capire era perché fosse così interessata alle
informazioni che avevo raccolto sull'argomento.
Quel giorno, non fui in grado di scrivere neanche una riga. Passai tutto il
tempo su internet, a guardare un'infinità di siti porno. Alla fine, scrissi una
e-mail a Jade per ringraziarla di avermi risposto. Le chiedevo anche di mandarmi
l'indirizzo del suo editore per farle arrivare una copia del mio libro. Fino a
oggi non ho più avuto sue notizie.
La mia ricerca non andava avanti. Di notte, continuavo a sognare draghi
giganteschi che sputavano fuoco e seme, pezzi di un puzzle su cui si leggevano
parole come «intelletto», «saggezza», «sesso» e altre che non ricordo.
Il mio fidanzato era abbastanza allarmato da quelle mie notti così inquiete.
Diceva che lavoravo troppo. Forse aveva ragione. Lasciai perdere le Tigri
Bianche per qualche giorno. Pensai perfino di eliminare quel capitolo dal libro.
«Fa' come vuoi» mi disse lui, un giorno. «Ma il fatto di non essere riuscita a
trovare una Tigre Bianca non significa che non ne puoi parlare. Pensi che sia
necessario morire per scrivere un saggio sulla morte?»
Come sempre, aveva ragione. Quella chiacchierata mi aveva fatto tornare la
voglia di scrivere. Dentro di me, speravo ancora in qualche nuovo indizio in
grado di condurmi a una vera Tigre Bianca. Non sapevo che quella ricerca mi
avrebbe portata fino in Australia.
Sesso e filosofia taoista
Non mi stancherò mai di ripeterlo: in fatto di sesso, abbiamo molto da imparare
dagli orientali. Poi, però, quando ci addentriamo nella loro cultura, ci
rendiamo conto che è piena di pregiudizi, che nasconde un volto repressivo, come
la nostra. Spesso noi occidentali subiamo in modo fortissimo il senso di colpa
cristiano. In Oriente, la gente si scontra con altri tabù. Nel caso della Cina,
per esempio, le pratiche delle Tigri Bianche vengono condannate dal taoismo,
anche se non per una questione morale.
Secondo il taoismo, l'uomo deve penetrare la donna, cioè praticare il coito,
per assorbire la sua energia yin. Il sesso orale non va praticato, in quanto non
contempla il coito. Il taoista, inoltre, evita di eiaculare per non disperdere
la propria energia. E la ritenzione del seme è più facile con il coito che non
con la fellatio.
Nell'antica Cina, si riteneva che l'uomo che praticava soltanto il sesso orale
disonorasse i suoi antenati, in quanto non fecondava la donna. Il sesso orale
era relegato nella sfera dei preliminari come un modo per accrescere
l'eccitazione, ma niente di più.
Curiosamente, la nostra cultura taccia di vizio e di perversione il fatto di
soffermarsi sui preliminari.
La credenza popolare cinese imputava (e immagino che in alcune zone lo faccia
ancora) l'omosessualità a un esercizio smodato della fellatio. Il lesbismo non è
mai stato malvisto, perché due elementi yin, due donne, possono tranquillamente
sommarsi e mischiarsi senza infrangere l'armonia. Se due gocce d'acqua si
mischiano, continuano a essere acqua. Al contrario, due elementi yang, maschili,
non possono occupare lo stesso posto. Come nel caso dell'acqua, Hsi Lai ricorre
a un esempio, quello di due pezzi di legno che non potranno mai fondersi in uno,
e che per questo non generano armonia. Al pari della fellatio, l'omosessualità
maschile non viene giudicata negativa per ragioni morali.
Temo che il taoismo accetti l'omossessualità femminile perché, come in
Occidente, eccita e stimola l'uomo. I film porno non fanno che mettere in scena
questo tipo di fantasia.
Nel tao non esiste il concetto di vizio come lo intendiamo noi occidentali.
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Nemmeno la masturbazione viene vista come una perversione; semplicemente, viene
sconsigliata per motivi di salute. Come abbiamo visto, le Tigri rifuggono dai
Dragoni che si masturbano troppo perché il loro seme è di qualità inferiore.
Gli orientali si sono sempre appellati al concetto di salute per giustificare
alcuni divieti sessuali. In questo, si sono rivelati più sottili di noi. Ma il
risultato è lo stesso. Del resto, è quello che abbiamo fatto anche noi qualche
tempo fa, quando abbiamo sostituito al termine «morale» il termine «salute». È
solo un problema semantico. Un altro modo per continuare a esercitare un
controllo sul desiderio della gente. Se non lo si controlla, infatti, potrebbe
diventare pericoloso. D'altronde, che cos'è il sesso, se non l'espressione più
sublime della complessità umana?
La soluzione di un enigma
Le mie peripezie telematiche alla fine dettero i loro frutti. Su un sito di
esoterismo mi imbattei nel seguente annuncio: «Portatrice degli insegnamenti
tradizionali della Tigre Bianca». Era una donna australiana, maestra in
sessualità sacra. Si firmava con lo pseudonimo Little Tiger e, a quanto pare, si
dedicava a diffondere gli insegnamenti delle Tigri Bianche dal 1989. Oltre a
organizzare seminari internazionali, offriva orientamento spirituale a tutti gli
uomini e le donne desiderosi di riattivare la passione nella loro vita di
coppia. Fra le sue molte specialità, c'erano anche sedute private di sessualità
sacra personalizzata e i cosiddetti «massaggi della Tigre Bianca».
Le sedute di sessualità sacra, che duravano fra l'ora e mezza e le due ore,
avevano prezzi che variavano dai 225 dollari per la seduta individuale ai 250
per la seduta di coppia. Nella visione di questa maestra, la sessualità
rappresentava un sacramento e una pratica spirituale di cui si poteva godere al
massimo solo parlandone apertamente e senza inibizioni.
Il «massaggio della Tigre Bianca» durava un'ora e mezza e costava più o meno
come la seduta di sessualità sacra. Non era obbligatorio spogliarsi. Il suo
metodo di massaggio veniva indicato come l'unico davvero efficace.
Da quello che riuscii a scoprire sul sito, l'origine di questi massaggi risaliva
all'epoca delle consorti cinesi, le antesignane delle Tigri Bianche. Le
consorti, scelte in base al loro aspetto fisico e alla loro personalità,
rappresentavano una valvola di sfogo rispetto a tutti i problemi familiari e
professionali dell'uomo. Erano specializzate in massaggi per rilassare e per
aprire i canali di energia di tutto il corpo.
Ebbi l'impressione di avvicinarmi sempre di più alla vera filosofia della
Tigre Bianca. Quell'australiana sapeva di cosa stava parlando. Ma le sue sedute
private mi sembravano un po' troppo care, oltre che un po' sospette. In realtà,
sapevo che le Tigri Bianche che non potevano contare su un Dragone di Giada
potevano lavorare come massaggiatrici per guadagnarsi da vivere. Così, alla
fine, visto che quello che c'era scritto sul sito coincideva esattamente con i
metodi tradizionali esposti da Hsi Lai, decisi di mettere da parte i miei
sospetti su Little Tiger.
Cercai di contattarla. Ma i numeri di telefono e gli indirizzi di posta
elettronica indicati sul sito non portavano a niente. Le e-mail tornavano
indietro per «indirizzo inesistente». Provai a cercarla per altre vie, ma senza
riuscirci.
Mi venne in mente che se Little Tiger era davvero una Tigre Bianca e seguiva
la filosofia di queste donne, non sarebbe stato facile scovarla, per quanto il
suo annuncio comparisse su internet.
Sono giunta alla conclusione che le Tigri Bianche si circondano di mistero
assoluto per proteggersi, non solo dai taoisti più ortodossi, che le condannano
per il fatto di nutrirsi della preziosissima energia maschile, ma anche dai
confuciani, che credono in una società «dove regnano l'ordine e la morale, il
dovere e la rettitudine, e dove l'uomo è superiore alla donna».
Per questo le Tigri Bianche praticano l'anonimato e si conoscono così poco tra
loro, a meno che non condividano la stessa maestra. Di fatto, non esiste una
scuola di Tigri Bianche in quanto tale, ma soltanto diversi modelli di
insegnamento che prendono il nome dalla maestra e dal luogo in cui questa
impartisce le sue lezioni. La divisione in gruppi isolati garantisce una
continuità di funzionamento nel caso in cui uno di essi venga smantellato.
Questi gruppi sono sparsi in tutto il mondo.
Nonostante tutte queste informazioni, dopo il mio incontro fallito con la
specialista australiana nutro ancora qualche dubbio sull'effettiva esistenza
delle Tigri Bianche. A ogni modo, l'importante è concentrarsi sulla loro figura.
Molti la paragonano a quella della donna vampiro, in quanto assorbe l'energia
maschile. In realtà, questa visione cela una velata minaccia nei confronti di
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tutte le donne che provano a discostarsi dai modelli precostituiti. In
Occidente, un equivalente di questo atteggiamento potrebbe essere la
stigmatizzazione della ninfomane e della prostituta. Il mio viaggio finì qui:
intorno a una figura.
Come spiega Hsi Lai nel suo libro: «La concubina, nell'antica Cina, era una
moglie di minore importanza. Un uomo poteva avere tutte le concubine che voleva,
a patto che le sue finanze glielo permettessero, e queste rivestivano un ruolo
tutt'altro che disprezzabile. Vivevano sotto lo stesso tetto dell'uomo e della
sua prima moglie, contribuivano all'andamento della casa e, oltre a offrire i
loro servigi sessuali, avevano l'obiettivo di generare un figlio. Spesso erano
il simbolo dell'influenza e della ricchezza di un uomo».
Si pretende di associare la figura delle Tigri Bianche a quella delle
concubine o delle consorti. Anche se non c'entra niente, è il prezzo che la loro
leggenda paga per essersi discostate dalle norme prestabilite. Per essersi
scelte una vita sessuale alternativa rispetto alle usanze tradizionali.
Le Tigri Bianche sono la dimostrazione che, in qualsiasi cultura, la sessualità
imperante è quella maschile. Loro incarnano il rifiuto del coito. E, al di là
dei fini spirituali che si propongono di perseguire, sono il simbolo di una
rivendicazione: quella di una sessualità femminile libera. Che esistano o no.
Spie del sesso Guardare ed essere guardati
«L'avevo riconosciuto subito, appena l'avevo visto riflesso sul vetro. Non che
gli si leggesse in faccia che passava il tempo a spiare la gente. Era uno come
tanti altri. Occhiali piccoli, viso tondo, capelli corti. Indossava dei jeans e
una giacca. Al pollice aveva un grande anello d'argento e uno zaino che gli
pendeva dalla spalla destra.
Era quello il segnale di riconoscimento.»
Faccia a faccia con un voyeur
Per quanti sforzi di immaginazione avessi fatto, non avrei mai pensato che un
voyeur potesse avere una faccia così ingenua, un'aria così innocua. Quando varcò
la soglia di quel piccolo bar defilato, nel pieno centro di Madrid, ero già lì
ad aspettarlo. Aveva scelto lui quel posto. Io, non so perché, ero nervosa. Ero
arrivata in anticipo, per paura che fosse un tipo puntuale e, non vedendomi,
decidesse di andarsene. Avevo dovuto faticare un po' per convincerlo. E sapevo
che il nostro incontro era appeso a un filo.
Io avevo sempre detto la verità, fin dalla prima volta che ci eravamo
conosciuti in chat. Non volevo mentire. Inventarsi delle storie sarebbe stato
troppo facile.
NEREIDE: Si tratterebbe di parlare un po' noi due. Tutto qui. Non intendo
registrarti, e non penso di rivelare qualcosa su di te. Voglio solo
chiacchierare. DALI'72: Perché dovrei crederti?
NEREIDE: Senti, facciamo così. Tu vieni all'appuntamento e poi, se ti senti a
disagio, te ne vai. Io non mi opporrò. Mi sarei potuta inventare chissà quali
storie, per vederti, eppure non l'ho fatto. Se avessi voluto smascherarti avrei
potuto usare una tattica migliore, non trovi?
DALÌ72: Sì, ma non mi fido comunque. Troppe telecamere nascoste, troppi
giornalisti in cerca di gloria. NEREIDE: Non sono una giornalista, te l'ho già
detto. Sono una scrittrice, e ho fatto la prostituta.
DALÌ72: Per tua informazione, la caratteristica principale di un buon voyeur è
l'anonimato.
Dalì72 e io ci eravamo conosciuti su una chat di voyeur, mentre cercavo un po'
di materiale sull'argomento. Eravamo in contatto da diverse settimane. Io gli
avevo detto subito chi ero e cosa mi spingeva a fare quell'indagine. Gli avevo
assicurato che non intendevo affatto giudicare le persone che praticano una
sessualità alternativa, ma che volevo soltanto capire cosa li inducesse a farlo
e come fosse la loro vita quotidiana. Di tutte le persone della chat, Dali72 mi
aveva attratto per il suo pseudonimo. Mi era sembrata una scelta tutto sommato
sofisticata, in confronto a nomi come José il Voyeur o il Guardone dei buchi.
NEREIDE: E il 72 sta per la tua data di nascita? DALI'72: Touché, mademoiselle!
:-) :-) :-) :-) :-)
Era più giovane di me. Dopo essermi presentata, gli avevo chiesto se gli dava
fastidio che gli ponessi qualche domanda. Lui mi aveva risposto che dipendeva
tutto dalle domande. Era un po' provocatorio, nei suoi messaggi. Immagino che
volesse capire se meritavo davvero il suo tempo.
NEREIDE: Da quanto pratichi il voyeurismo? DALÌ72: Ricordo la prima volta... Ero
in vacanza a casa di una zia e la spiavo quando andava in bagno. Cazzo, era
puntuale come un orologio. Ci andava sempre alle stesse ore. All'inizio me le
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segnavo su un quaderno, ma dopo un po' non ne avevo più bisogno. Le sapevo a
memoria. Sarà stato, non so, vent'anni fa. Sì, più o meno vent'anni fa. A
scuola, poi, mi piaceva nascondermi sotto il banco per richiamare l'attenzione.
La mia maestra si chinava sempre per vedere cosa stavo facendo, allora io mi
nascondevo dietro di lei e le guardavo sotto la gonna. Mi sono beccato un sacco
di sgridate, e perfino un'espulsione di quindici giorni. Sai, storie da
ragazzini.
NEREIDE: Tutti i bambini sono curiosi. Il loro lato voyeuristico fa parte del
loro processo di scoperta del mondo. Lo dico sinceramente.
DALI'72: Sì, certo. Solo che non tutti finiscono nei parchi a spiare gli altri
con gli infrarossi.
Da quelle parole avevo capito che viveva in modo conflittuale le sue preferenze
sessuali, nonostante non facesse che sbandierarle. Era per quello che volevo
incontrarlo. Alla fine, eravamo arrivati a un patto. Lui mi avrebbe dato tutte
le informazioni che volevo sul voyeurismo, e io in cambio avrei mantenuto il suo
anonimato.
Dali72 era di Madrid, per cui per andare all'appuntamento dovetti prendere un
aereo da Barcellona.
Si guardò velocemente intorno. Io ero seduta in un angolo, vicino alla
finestra, ed esitò prima di avvicinarsi. Dalla soglia riusciva a vedermi solo di
profilo. Lo riconobbi subito, nel riflesso della vetrina. Non che gli si
leggesse in faccia che passava il tempo a spiare la gente. Era un tipo comune.
Occhiali piccoli, faccia tonda, capelli corti. Indossava jeans e una giacca. Al
pollice portava un grande anello d'argento, e uno zainetto gli pendeva dalla
spalla destra. Era quello il segnale di riconoscimento.
Si sedette di fronte a me, di sbieco, come se stesse per andarsene da un momento
all'altro. Mi accorsi subito che non era del tutto a suo agio. Sembrava avere
poco tempo da dedicarmi, e cercai di ottenere che si rilassasse.
«Non sono venuta per giudicarti. Assolutamente. Stai tranquillo. Per me il
voyeurismo non è una cosa deprecabile. Anzi. Sai cosa penso? Che in fondo lo
siamo tutti, e che la società dello spettacolo non fa che fomentarlo. Solo che
siamo ipocriti.»
Mi fissò a lungo, ma nonostante il suo sguardo cristallino non riuscii a
indovinare cosa stesse pensando.
«Senti» gli dissi, facendo il gesto di alzarmi per convincerlo delle mie buone
intenzioni «non ho niente addosso. Se vuoi perquisirmi, per me non c'è
problema.»
Poteva aver pensato che in borsa nascondessi qualcosa. Per questo non l'avevo
portata. E mi metteva un po' a disagio il fatto di non potere giocare con la
chiusura o fingere di frugarci dentro in cerca di una penna. Mi sentivo nuda,
piena di pudori.
«D'accordo. Non preoccuparti» disse con tono tranquillo. «Senti, sei molto più
bella dal vivo che in tv.»
«Me lo dicono sempre. Ma in fondo sarebbe peggio il contrario, non ti pare?»
Abbozzò un mezzo sorriso, che mi riempì di soddisfazione.
I guardoni della Casa de Campo
Prima di conoscere Dali72, le mie ricerche mi aprirono diverse strade. In un
primo momento presi in considerazione l'idea di andare nei parchi o nei luoghi
in cui si esercita la prostituzione, convinta che avrei trovato qualche
guardone. Ma poi ci ripensai e quell'idea mi parve idiota. Se anche fossi
inciampata su qualche guardone, cosa poco probabile per una principiante come
me, che cosa gli avrei detto? Di sicuro non si sarebbe lasciato avvicinare e
sarebbe scappato appena mi avesse vista. In piena notte, di fronte a un'attività
malvista dalla società, il mio atteggiamento poteva risultare fastidioso, se non
addirittura violento. Potevo perfino rischiare qualche grana con la polizia, che
sicuramente bazzicava quei luoghi.
La prima cosa che mi venne in mente fu di andare alla Casa de Campo; un posto
scontato, lo ammetto, anche se più di un amico madrileno me l'aveva
sconsigliato.
«Non troverai niente. Solo guai. La Casa de Campo è enorme. E pericolosa.»
«Sì, lo so. Ma pensavo di andarci in macchina, insieme a qualcuno.»
«Il comune di Madrid ha bloccato l'accesso alle macchine per combattere la
prostituzione. Vogliono impedire ai clienti di avvicinare le prostitute e di
contrattare con loro» mi aveva spiegato Toni, un amico di vecchissima data.
Così, andai sul sito del Comune di Madrid, ed ebbi la conferma che le
informazioni di Toni erano vere. La Casa de Campo è aperta al traffico dalle
sette alle dieci del mattino e dalle sei alle otto di sera nei giorni feriali.
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Nei fine settimana e nei giorni festivi rimane chiusa tutto il giorno, eccetto
la zona dei divertimenti. Potevo sempre andarci a piedi. Ma non mi sembrava una
buona idea.
Allora mi misi a cercare qualche chat per gli appassionati di voyeurismo ed
esibizionismo. Prima di avviare le mie indagini con lo pseudonimo femminile di
«Nereide», mi feci passare per uno di loro come «Spy3669», in onore ai numeri
del Minitel francese, che iniziano tutti per 36. Mi inventai di essere del nord
della Spagna e di dovermi trasferire a Madrid per motivi di lavoro. La cosa più
difficile era dare credito alle informazioni con cui mi bombardavano. Comunque,
si dimostravano tutti molto disponibili, e cominciai a sentirmi quasi parte del
gruppo. Uno di loro, che si faceva chiamare «Il guardone d'antan», mi raccontò
quanto segue:
IL GUARDONE D'ANTAN: Ci sarebbero un sacco di zone dove andare, ma adesso che
hanno chiuso alcune strade al traffico e hanno modificato i percorsi stradali, i
ritrovi dei voyeur sono molto più nascosti. In pochi sanno dove si trovano. E
diventano tutti isterici perché con i nuovi tragitti escono dal parco senza
rendersene conto e tornano sempre al punto di partenza... Comunque, alcuni
guardoni mi hanno detto che ci sono dei modi per raggiungerli... SPY3669:
Sapresti dirmi quali?
IL GUARDONE D'ANTAN: Be', io quei posti li evito. È troppo complicato, e anche
troppo pericoloso, se non conosci bene la zona. Io ne preferisco altri, in cui
si può ficcare il naso senza scervellarsi troppo. Di posti così non ne mancano,
a Madrid. E poi, se voglio guardarmi le puttane della Casa de Campo, posso
sempre andare sul sito ufficiale.
SPY3669: Le prostitute della Casa de Campo hanno un sito ufficiale?
IL GUARDONE D'ANTAN: Certo, cosa credevi? Le più esibizioniste ci sono tutte.
C'è perfino una pagina da cui puoi accedere alle loro foto e ai loro video. Sai
cosa c'è scritto? «Perché andare fino alla Casa de Campo, se puoi vederle qui?»
Ah, ah, ah!
Seguendo le indicazioni di «Il guardone d'antan», entrai nel sito. Di tutti
quelli che ero riuscita a scovare nel corso delle mie ricerche, pochi, devo
ammetterlo, erano così autentici. Per quanto esplicitamente rivolti a voyeur e a
esibizionisti, si limitavano quasi tutti a mostrare qualche «vittima»
immortalata da una webcam, in realtà tutte modelle erotiche professioniste. Non
bisogna essere un esperto per rendersi conto del trucco. Molte aziende,
approfittando del boom di internet, si sono lanciate nel business pornografico e
si sono specializzate in questo settore specifico. Hanno guadagnato montagne di
soldi. La pagina delle prostitute della Casa de Campo, invece, sembrava davvero
autentica. E se non lo era, quelli che l'avevano progettata erano dei geni
assoluti. Il realismo che trapelava dalle foto di quelle donne normali (niente a
che vedere con le modelle erotiche) poteva ingannare perfino il voyeur più
consumato.
La pagina ritraeva cinque donne intente a mostrare le loro parti più intime;
una di loro veniva immortalata mentre fra gli alberi faceva un «lavoretto di
mano» a un cliente, su una coperta.
Le donne, oltre a essere indicate con i loro nomi (suppongo si trattasse di
nomi di «battaglia»), venivano tutte identificate all'interno della Casa de
Campo, con frasi del tipo:
«Non è difficile trovarla vicino al lago», «La puoi trovare accanto al Batàn»,
o «Si aggira sempre nei dintorni dello zoo».
Mi sembrò un'idea geniale. Visto che queste donne vendevano il loro corpo a
clienti, perché non offrire anche un servizio ai voyeur che gironzolavano da
quelle parti senza spendere un soldo? Restava da capire se i guadagni
provenienti da questa pagina venivano equamente suddivisi fra le prostitute in
questione. Sì, perché una prostituta è preziosa come un quadro di Miro:
bisognerebbe pagare per poterla contemplare.
La mia curiosità per la Casa de Campo si fermò qui. Ero convinta che oltre al
più grande parco di Madrid ci fossero tanti altri posti, forse anche più
interessanti. E di più facile accesso.
Non mi sbagliavo.
Le minoranze erotiche
Dali72 era ancora seduto di sbieco e guardava verso l'uscita. Non sapevo cosa
fare per convincerlo a rilassarsi. Fu lui a riprendere la conversazione.
«E che cosa credi di ottenere con quest'indagine? La tua è curiosità morbosa o
cos'altro?»
Nelle sue parole avvertii una certa dose di aggressività. Ma la sua domanda mi
fece riflettere. Sì, era inutile negarlo. Sicuramente a spingermi era anche un
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po' di curiosità morbosa, ma non soltanto quello.
«Be', sì e no. Io sono convinta che il voyeurismo non sia affatto una
"deviazione" come sostengono i medici. Semplicemente, credo che sia un modo
particolare, molto diverso, di vedere il sesso. Non molto tempo fa ho letto un
libro che mi ha fatto pensare molto. Si intitola The Erotte Minorùies (Le
minoranze erotiche). L'autore è uno psichiatra svedese, Lars Ullerstam. Il libro
sostiene che le minoranze erotiche potrebbero essere una fonte di arricchimento
per la vita sessuale di ciascuno di noi, e che il rifiuto della società genera
solo disagio e ansia in coloro che prediligono una sessualità alternativa. Anzi,
è proprio questo atteggiamento sociale di "rifiuto" a generare in loro
difficoltà e turbamenti. Personalmente, credo che il vero problema dei
cosiddetti "pervertiti" non sia il tipo di sessualità che praticano, ma la
reazione che gli altri hanno nei loro confronti. Ho trovato affascinante il
punto di vista di quello psichiatra. Sto scrivendo un libro che si intitola
L'altro lato del sesso, in cui parlo del sesso non convenzionale, di tutte
quelle pratiche che vengono condannate perché non coincidono con l'idea di sesso
comunemente accettata. In questo libro cerco di dimostrare che, sebbene in modo
molto sottile, la società sta cercando di imporci un'idea di sesso incentrata
unicamente sul coito. E che ancora oggi, in pieno XXI secolo, noi donne siamo il
primo bersaglio e le prime vittime di quest'idea.»
Dali72 si era appoggiato allo schienale della sedia e mi stava ascoltando
attentamente.
«Sapevi che grazie ai fondi del governo svedese questo psichiatra è riuscito a
creare centri per le minoranze erotiche? Già negli anni Sessanta... ti rendi
conto? Questi centri erano destinati ad accogliere tutte le persone che
privilegiavano delle forme di sessualità alternativa, perché potessero dare
libero sfogo alla loro immaginazione senza venire giudicati o tacciati di
"degenerazione".»
«E in cosa consistono queste "minoranze erotiche"?»
chiese.
«Be', in tutto quello che non ha a che vedere con il sesso "convenzionale".
Pratiche come il sadomasochismo, l'esibizionismo, il voyeurismo e così via.
Quello psichiatra aveva proposto che esibizionisti e voyeuristi, assolutamente
complementari, venissero affiancati in modo da soddisfare le loro necessità
reciproche. Negli anni Sessanta, nel concetto di "minoranze erotiche" rientrava
anche l'omosessualità. E guarda dove sono arrivati oggi i gay. Se vogliono,
possono perfino sposarsi. Chi l'avrebbe detto quarantanni fa?»
«E perché in Spagna non esistono centri così?» chiese. L'avevo già pensato
anch'io. Nonostante gli enormi passi avanti, la Spagna è ancora molto lontana
dal rappresentare un paese evoluto in fatto di sessualità, al contrario
dell'Olanda, per esempio. Il modello svedese dei centri per le minoranze
erotiche ha avuto vita breve. Rispetto al passato, la Svezia sembra avere fatto
un salto. Non in avanti, purtroppo, ma indietro.
«Perché c'è tutto l'interesse a esercitare un controllo sulla gente.
Disciplinare il sesso, soprattutto il desiderio, è un modo per esercitarlo. In
un certo senso, conviene che la gente viva male i propri desideri. Non so, io la
vedo così. Ci sto lavorando su. In ogni caso, sono d'accordo con Ullerstam
quando dice che alcune minoranze smettono di essere viste come tali a seconda
del periodo storico. È solo una questione di tempo. Gli omosessuali hanno
beneficiato di una certa "liberazione". Oggi non vengono più accusati di essere
dei "degenerati". Credo che ora questo processo di "liberazione" dovrebbe
toccare al voyeurismo.»
Dali72 aveva l'aria di non capire. Ma quello che stavo dicendo gli piaceva.
Quello che desideravo spiegargli era che il voyeurismo ha molti nomi, è
dappertutto. Ed è esattamente il contrario di una «minoranza erotica». Se
un'«inclinazione» sessuale è condivisa da molti, significa che è una pratica
«normale». Esiste in strada, dietro l'angolo. La nostra cultura dello spettacolo
lo promuove. Cercavo di trasmettergli che secondo me era giunta l'ora che il
voyeurismo fosse accettato molto più apertamente.
Una pratica con molti nomi
Il termine «voyeurismo» (deriva dal francese voir, «guardare») denota l'attività
di chi prova piacere nell'osservare gente nuda o impegnata nell'atto sessuale. È
conosciuto anche come «scopofilia» o «mixoscopia». In realtà, questa tendenza
erotica assume diverse definizioni cliniche e diverse sfumature a seconda della
situazione in cui si trova il soggetto che la pratica. In generale, il voyeur o
«guardone» si masturba mentre osserva una scena che gli provoca piacere. Di
fronte a una situazione eccitante, pochi si rifiutano di guardare. Secondo gli
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psichiatri, se lo si fa in modo sporadico non c'è nulla di preoccupante. Ma se
diventa indispensabile per provare piacere, significa che esiste un «problema».
E in questo caso si considera una deviazione sessuale o parafilia. In altre
parole, se una persona non pratica l'atto sessuale, ma raggiunge l'orgasmo solo
guardando, vuol dire che «non sta bene». La medicina ragiona così, in modo
semplicistico. Un'ulteriore conferma di quanto dicevamo nei capitoli precedenti:
divertirsi con i preliminari è malvisto. Quello che conta è il coito. Tutto il
resto rientra nell'ambito delle deviazioni, o addirittura delle perversioni,
perché trasgredisce il nostro modello coito-centrico giudaico-cristiano.
Le mie difficoltà per incontrare un voyeur dipendevano dal fatto che queste
persone vogliono passare inosservate. Di solito, praticano le loro attività in
modo anonimo, con gente sconosciuta. Correndo consapevolmente il rischio di
venire scoperte. Ed è anche questo a eccitarle. Immagino che sia perché il
rischio fa salire l'adrenalina.
Esistono diversi studi sul voyeurismo. Si ritiene che il voyeur sia un
individuo eterosessuale di sesso maschile assolutamente innocuo, che non ricorre
quasi mai a un consulto psichiatrico. Se lo fa, di solito, è perché è coinvolto
in qualche problema giudiziario in seguito alla denuncia di una «vittima» o
perché costretto dalla famiglia. Tutti i voyeur che ho incontrato rispondono
allo stesso profilo: sono persone quasi sempre giovani che non si sentono in
colpa per quello che fanno; al limite, la loro preoccupazione è di farlo bene e
di non farsi beccare. La maggior parte ammette di praticare il voyeurismo da
diversi anni e di riuscire a trasformare, grazie a quell'esperienza, la propria
vita quotidiana in un'avventura costante. I posti in cui ficcano più volentieri
il naso sono i parchi, i luoghi in cui si esercita la prostituzione, gli spazi
all'aria aperta, i campi da golf, le spiagge, le macchine e i parcheggi dei
supermercati appena fuori città. I voyeur più spericolati preferiscono spiare
nei cessi pubblici o nei camerini dei negozi di vestiario.
Ci sono poche denunce nei confronti dei guardoni, ma moltissime notizie di
arresti per esibizionismo. Come vedremo in seguito, l'esibizionista è
inevitabilmente l'altra faccia del voyeur.
Che genere di trucchi avete, se si può sapere?
Mi resi conto di aver commesso un grave errore con Dali72. Lo capii dalla sua
faccia, e dall'aria rassegnata con cui mi ascoltava. Avevo parlato troppo, e si
vedeva.
«È per questo che mi hai fatto venire? Per dirmi che il voyeurismo è accettato
da tutti? E allora mi spieghi perché abbiamo così tanti trucchi per non farci
beccare?» Dalì72 iniziava a farsi impaziente.
Decisi di risparmiare parole e di lasciarlo parlare.
«Trucchi?»
«Sì, certo. Cosa credi, che essere voyeur significhi andare in un posto e
guardare? Ci vuole tutta una preparazione, prima. Non è così facile, sai...»
«E che genere di trucchi avete, se si può sapere?»
«Ci sono alcune regole auree che sembrano stupide, ma se le segui, alla lunga,
danno i loro frutti. Il segreto è beccare una persona o una coppia nel momento
clou e goderti tranquillamente lo spettacolo senza essere costretto a correre
come un pazzo perché ti sei fatto beccare tu.»
Abbassò improvvisamente la voce e si guardò intorno. Fece un cenno alla
cameriera e chiese una Coca-Cola. Io, nervosa com'ero, mi ero completamente
dimenticata di offrirgli qualcosa da bere. Un altro errore da parte mia.
Comunque, non mi scusai.
«Con l'esperienza, inizi a distinguere i novellini da quelli più esperti»
disse, prima di bere un sorso. «E quando hai intenzione di pubblicarlo, il tuo
libro?»
Cambiava argomento. Ma forse voleva davvero sapere quando sarebbe uscita
l'intervista che gli stavo facendo.
«Non lo so ancora. Penso verso gli inizi del 2006. Comunque non preoccuparti,
appena esce ti mando una copia...» Nel dire quella frase mi resi conto che per
farlo avrei avuto bisogno del suo indirizzo, e che con ogni probabilità non me
l'avrebbe dato. «Oppure ci rivediamo e te lo do direttamente.»
Non rispose. Cercai di riprendere il discorso di prima, le regole auree del
voyeur navigato cui aveva accennato con un certo entusiasmo.
«E perché devi seguire alcune regole auree per non farti beccare, se puoi
spiare tranquillamente dal tuo computer?»
«Perché io preferisco praticare il voyeurismo dal vivo. Tutto qui. Mi da una
scarica di vitalità, capisci? Al computer non sai mai se quello che vedi è vero
o no. Certo, se non ho nient'altro a disposizione vado su internet, per parlare
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con qualche collega e condividere le nostre esperienze. Ma quando trovo un buon
posto d'osservazione, preferisco andarci di persona, avvicinarmi alle coppie,
spingermi così vicino da riuscire a vedere fin dentro la cosina della tipa. Ah,
ah, ah.»
E nel vedere la mia faccia turbata si abbandonò a una risata nervosa.
Spiare con il mouse
Dali72 era un voyeur autentico. Molti, invece, si accontentano di quel che offre
la rete. Da qualche anno, internet è diventato il più grande veicolo di
diffusione della pornografia, oltre che il luogo ideale per la manifestazione
delle minoranze erotiche. Nel suo eccellente libro El eros electrónico (L'eros
elettronico)3, Romàn Gubern dimostra chiaramente come la realtà virtuale accolga
tutte quelle peculiarità erotiche che finora la società aveva tenuto nascoste.
Se internet diventa «il rifugio delle minoranze erotiche»4 è perché, come dice
Gubern, queste hanno bisogno di manifestarsi.
Tuttavia, la crescente presenza del porno su internet non incrementa queste
tendenze. Credo che sia esattamente il contrario. Le persone che si avvicinano a
certe pratiche per curiosità si stufano presto. E chi invece cerca continuamente
siti dedicati a una particolare tendenza erotica è perché in fondo se ne è
sempre sentito attratto, non certo perché internet l'ha «contagiato». Inoltre,
la nevrosi della parafilia è nascondere la parafilia. È positivo che internet
canalizzi le diverse pratiche: avere una sessualità alternativa fa soffrire, e
molto.
Inconsapevolmente, la gente che usa internet a «scopi sessuali» dimostra che «il
sesso non è tanto fra le gambe, quanto piuttosto nella testa» e che la rete
impedisce il contatto carnale fra le parti. Lascia spazio all'immaginazione, e
permette di avventurarsi in territori sconosciuti senza rischi. Internet
potrebbe essere la versione virtuale dei centri per le minoranze sessuali del
dottor Ullerstam.
Esistono moltissime pagine web che, in teoria, sono specializzate in
voyeurismo ed esibizionismo. In realtà, poche lo sono davvero. Non è stato per
niente facile trovarne qualcuna autentica.
Nel 2003, durante un programma di Canal 9, conobbi i fondatori del sito
www.pillados.com, due ragazzi simpaticissimi di Alleante che spiegarono in
diretta come gli fosse venuta l'idea. Sapevano che c'era una forte domanda di
«servizi» di questo tipo. Si dettero da fare e, con la videocamera in spalla,
iniziarono a filmare coppie impegnate in atti carnali per poi caricare i filmati
su internet. Oggi questo sito è uno dei più visitati. Bisogna ammetterlo, è
davvero ben fatto.
Ce ne sono anche altri, per esempio www.exhibete.com, annunciato come il
miglior sito voyeurista, cento percento amatoriale. I gestori offrono a chiunque
lo desideri la possibilità di diventare socio collaboratore, inviando foto
(minimo dieci) o video per accedere gratuitamente al sito. Per poter continuare,
bisogna collaborare assiduamente. Non accettano immagini o foto scaricate da
internet, e si riservano di chiedere in qualsiasi momento «una prova
dell'autenticità del materiale inviato». Non so se è puro marketing o se invece
il sito sia davvero «cento percento amatoriale» come dicono. In ogni caso, è di
gran qualità.
Di siti di questo tipo internet sarà senza dubbio pieno. Ovviamente, sta a chi
naviga distinguere quelli veri da quelli falsi.
Le regole auree del voyeur navigato
Dali72 era più a suo agio perché cominciò a parlare. Io, con il suo permesso,
iniziai a prendere qualche appunto su un quaderno. Era affascinante, e al tempo
stesso eccitante. Le sue esperienze mi intrigavano a tal punto che per qualche
minuto dimenticai perfino che potessero esserci dei voyeur che se la passavano
male. Dalf72 parlava come un vero soldato pronto a lanciarsi in battaglia.
«Adesso capisci perché preferisco andare nei belvedere? E poi, su internet,
non ci vuole nessuna preparazione. È un gioco da ragazzi. Quando vai in strada,
invece, è molto diverso. Non c'è paragone. Possono succederti cose sempre nuove.
È davvero emozionante. Ti fa provare sensazioni che la vita normale non ti da.»
«Allora, per te, essere voyeur significa dare un po' di avventura alla tua
vita, no?»
«Esatto. A ben guardare, la vita è soltanto routine. È noiosa. Praticare il
voyeurismo, giocarti il tutto e per tutto ogni tanto (senza esagerare troppo,
ovviamente), ti fa sentire vivo.»
«La tua vita è così noiosa?»
Rimase in silenzio a fissarmi. Forse con quella domanda mi ero spinta un po'
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troppo in là.
«Come quella di tutti. Ho una vita normale. La mattina mi alzo, vado a lavorare,
torno a casa la sera. A fine mese prendo lo stipendio. Solo che nei week-end,
invece di sbronzarmi con gli amici, vado a spiare la gente. Credo che sia molto
meglio che chiudersi in una discoteca senza poter parlare, non trovi?»
Non ero nessuno per poterlo giudicare, ma mi sarebbe tanto piaciuto dirgli che
restarsene a casa davanti a un buon libro poteva essere altrettanto stimolante.
Ma il punto non era quello. Era riuscire a entrare nella sua testa.
«Il voyeurismo significa spremersi le meningi. Pensare. Mi segui? Escogitare
sempre nuove strategie, prepararsi bene. Non è facile.»
E iniziò a elencarmi quelle che lui definiva le regole d'oro del voyeur
navigato. Sembravano strategie militari da applicare sul campo di battaglia.
«Quando scopro un posto interessante, il giorno prima mi studio tutte le
diverse angolazioni per riuscire a godermi le scene di sesso senza dovermi
spostare da un punto all'altro. Se ti muovi troppo, rischi di attirare
l'attenzione e di fare andare via le coppie. Per cui bisogna evitarlo a tutti i
costi. La cosa migliore è conoscere bene il territorio, in modo da disturbare il
meno possibile le coppie. Io ne approfitto anche per studiarmi le vie di fuga
possibili, nel caso mi tocchi scappare di corsa.»
A mano a mano che andava avanti nella descrizione delle sue tattiche, Dali72
assumeva un tono sempre più entusiastico.
«Di solito, quando spio una coppia, me ne sto in disparte. A volte si accorgono
della mia presenza ma continuano a farsi i fatti loro. Questo non vuol dire che
mi accettino. All'inizio speravo di partecipare anch'io, ma poi ho capito che
non è per niente facile. Bisogna lavorare di psicologia, fare attenzione alle
loro facce, ai loro gesti. Se sei fortunato, la coppia ti invita ad avvicinarti,
e magari anche a partecipare; in quel caso, devi avere un atteggiamento di
sottomissione totale, non guardarli mai direttamente e ostentare perfino un
pizzico di inquietudine, in modo da convincerli che sono loro ad avere il
controllo assoluto. I gesti non devono mai esprimere nervosismo o violenza. E
non puoi mai metterti le mani in tasca, altrimenti possono pensare che hai
un'arma e stai per tirarla fuori. Io, al loro posto, lo penserei.»
Erano regole dettate dal senso comune. E Dalì72 dimostrava di farne uso in
ogni momento. Mi spiegò che le prime volte si lasciava spesso prendere
dall'eccitazione, e quel modo di fare gli aveva giocato più di un brutto tiro.
Con il passare del tempo, aveva imparato ad agire a sangue freddo.
«Quando mi avvicino a una coppia lo faccio in modo deciso. Se tentenni
richiami troppo l'attenzione. È fondamentale agire con naturalezza. A volte mi
capita perfino di sorridere. Perché far finta di niente? Sarebbe soltanto
peggio. Fischiettare, guardarti intorno come se ti fossi perso, fare finta di
niente... Io non mi comporto mai così. La gente non è stupida. Più naturale sei,
più riesci ad avvicinarti alla scena di sesso senza destare sospetti. A volte
sono anche riuscito a stare appiccicato alla macchina e a godermi lo spettacolo
come in prima fila al cinema.»
«E se ti scoprono? Per quanto preparato tu possa essere, è una cosa che può
capitare...»
«Be', se capita me ne vado. Senza guardarli, ovviamente. E poi, ho sempre un
vantaggio: posso correre via. Il tipo deve vestirsi e uscire dalla macchina. E a
quel punto io sono già lontano...»
Tirò fuori un pacchetto di Carnei tutto sgualcito. Non sapevo che fumasse.
Dopo essersi acceso una sigaretta, continuò:
«Ma non succede quasi mai, perché mi preparo. Alcuni colleghi arrivano perfino
a mimetizzarsi, con rami, sassi, coperte... Qualsiasi cosa va bene. Si mettono
lì, e con un buon binocolo si godono lo spettacolo come se fossero a pochi
centimetri.»
Io continuavo ad ascoltarlo, affascinata dalle sue parole. Quello che stava
snocciolando davanti a me era un manuale di regole minuziose per raggiungere un
obiettivo concreto. E tutto alla ricerca del piacere. Dali72 aveva ragione:
quell'attività gli metteva costantemente in moto i neuroni. E l'immaginazione
non poteva certo mancargli.
«E come li trovi, questi belvedere? Te li dicono gli altri voyeur o li scopri
andando in giro?»
«Chatto con altri colleghi. Alla fine, il passaparola è la cosa migliore. Ma a
volte mi è capitato di prendere qualche cantonata. Ci sono posti che dopo un po'
spariscono perché ci costruiscono qualcosa sopra. Ma ne spuntano sempre di
nuovi. In ogni caso, non tutte le informazioni che trovi sulle chat sono
attendibili. Bisogna stare attenti agli antivoyeur, che si infiltrano nella rete
e diffondono informazioni false solo per il piacere di rompere le palle... Sono
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come dei fottuti virus informatici. Così, a volte, ti capita di andare in un
posto e restarci tutta la notte in attesa, come un cretino.»
Aveva finito la sua Coca-Cola. Gli offrii qualcos'altro da bere, per evitare
che se ne andasse. Le cose che mi stava dicendo erano davvero interessanti.
Accettò e ordinò una birra.
«Io al primo colpo d'occhio so dirti se un posto è bazzicato o no» sentenziò.
Poi approfittò di quel silenzio teatrale per alzarsi e andare a comprare altre
sigarette. Mi passò per la testa che quell'atteggiamento fosse calcolato nei
minimi dettagli, che volesse risvegliare in continuazione il mio interesse
centellinando le informazioni. Controllai un momento i miei appunti per vedere
se avevo dimenticato di scrivere qualcosa. I miei scarabocchi erano molto
telegrafici. Dalì72 diceva un sacco di cose alla velocità della luce, e io
volevo scrivere tutto, senza tralasciare il minimo particolare, per quanto fosse
insignificante. Quando tornò, non ci fu bisogno che facessi domande. Riprese la
conversazione da dove l'aveva lasciata:
«Riconosco immediatamente il territorio. Questione di esperienza. Ti potrei
perfino dire quante seghe si fanno in un determinato posto.» Prese il mio
accendino per accendersi la sua Carnei.
Iniziavo ad avvertire un certo orgoglio nelle sue parole. E mi sembrava
assolutamente giusto. In fondo, se l'era guadagnato. Forse, per essere voyeur,
non bastava volerlo. Bisognava esserne capaci. Ma mi aspettava ancora più di una
sorpresa.
«Fai dei calcoli di probabilità?» chiesi timidamente.
«Più o meno.» Tirò una lunga boccata dalla sigaretta. «Prima di tutto, devi
fare caso alla quantità di spazzatura per terra. Soprattutto ai fazzoletti di
carta. E ai preservativi, ovviamente. Sono indizi infallibili del movimento che
c'è in un posto. Più ce ne sono, più il posto è un "imbosco di prima". E...»
Si interruppe all'improvviso. Gli chiesi se c'era qualcosa che non andava, e
lui mi rispose che non voleva schifarmi, perché quello che stava per dire era un
po' disgustoso. Mi misi a ridere. Non aveva ancora capito con chi stava
parlando? Cercai di rassicurarlo:
«Credo di saperne un po', di condizione umana. Non preoccuparti, ho lo stomaco
a prova di bomba.»
«Be', volevo dire che non basta vedere se ci sono preservativi. Bisogna anche
capire se sono "freschi". Mi segui?»
Lo seguivo perfettamente, io avevo vissuto in un bordello. All'improvviso, mi
ricordai di quel cliente che pagava un sacco di soldi non per andare a letto con
una ragazza, ma per raccogliere tutti i preservativi usati della settimana.
Arrivava il venerdì sera, con un bel po' di banconote, e la responsabile gli
dava un sacchetto di plastica pieno dei preservativi usati che avevamo raccolto
dal sabato prima. Nella nostra società tutto è riciclabile, perfino i
preservativi... A quanto diceva la responsabile, li usava per masturbarsi.
«Se moltiplichi i tuoi risultati per tre, otterrai la quantità di gente che
frequenta quel posto. Sai, non tutti usano il preservativo. In realtà, alcuni
dicono che bisognerebbe moltiplicare per quattro. A me sembra troppo. Comunque
hai capito, cifra più cifra meno.»
E così, il segreto per trovare un posto molto bazzicato si
riassumeva in una banale moltiplicazione... Bevve un altro sorso di birra e lo
lasciai riprendere fiato. Poi, all'improvviso, gli chiesi se a Madrid c'erano
molti posti così.
«Hai voglia! » esclamò, come se si trattasse di una cosa scontata. «Ce ne sono
una marea.»
Subito dopo, riuscii a farmi dire i nomi e gli indirizzi di almeno trentasette
belvedere di Madrid e dintorni. Me li dettò uno per uno, spiegandomi come fare
per arrivarci. E mi confessò che stava pensando di trasferirsi al mare, per
godersi le spiagge nella bella stagione.
«Vieni a Barcellona. Ti ospito io.» La mia proposta era seria. Lui lo capì, e
mi ringraziò.
«Ho un collega a Barna, posso fermarmi anche da lui. Ma mi ha detto che non ci
sono tanti belvedere come qui.»
A quel punto ne approfittai per farmi indicare i belvedere di Barcellona. Mi
diede l'indirizzo di posta elettronica del suo amico, «Il vigilante delle
spiagge», che li conosceva tutti.
«Mandagli un'e-mail da parte mia, magari ti da una mano. Ma non ti assicuro
niente.»
«Un'ultima domanda. Quando riesci ad avvicinarti a una coppia e la osservi,
cosa fai? Dammi pure della morbosa, ma per me è importante saperlo.»
«Be', mi masturbo. Cos'altro vuoi che faccia?» rispose con tutta la sincerità
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del mondo.
«Sempre?»
«Sì, sempre. E quando mi è toccato scappare di corsa, mi sono masturbato a
casa ripensando alla scena.»
«Hai la ragazza?»
«Ora come ora no. Ma ne ho avute. Perché mi fai questa domanda? Una cosa non
esclude l'altra.»
«Sì, ma tu cosa preferisci? Fare l'amore con la tua ragazza o guardare altre
persone che lo fanno?»
«Che ne so? Mi piacciono tutt'e due le cose. Comunque, non rinuncerei a questa
mia passione per una ragazza.»
Cercai di saperne di più e di trattenerlo, ma mi disse che doveva andare. Lo
ringraziai per aver passato con me tutto quel tempo e per avermi dato quelle
informazioni. Da quel giorno, ci tenemmo in contatto via e-mail. Vive ancora a
Madrid e pare che continui a perfezionare la sua pratica sessuale preferita.
L'armamentario indispensabile del voyeur navigato
Nessun guardone che si rispetti dovrebbe mai uscire di casa senza un minimo di
attrezzatura. Qui di seguito elenco alcuni oggetti che ci si può procurare senza
difficoltà:
Un visore notturno a infrarossi (per esempio, quelli russi di tecnologia GÌ.
Quest'indicazione me l'ha data un guardone incontrato su una chat). Si può
trovare su tutti i siti di aste virtuali.
Un buon binocolo.
Un cannocchiale pieghevole.
Un nascondiglio mimetico. Ce lo si può fabbricare artigianalmente, con rami,
cartone, sassi o coperte. Del resto, qual è il colmo per un voyeur, se non
quello di essere guardato?
Chiunque può procurarsi un armamentario come questo. Il visore notturno,
comunque, è indispensabile, visto che solitamente si spia di notte.
Lessico per guardoni alle prime armi
I voyeur che si incontrano sui siti web specializzati hanno il loro gergo. Le
definizioni che seguono possono aiutare a capirlo un po' meglio.
Gli scopandi: la coppia «vittima» del guardone nel pieno di un atto carnale.
Il lancio: l'azione di lanciarsi per avvicinarsi e guardare.
Gli scudi: ostacoli che proteggono il guardone dalla vista della coppia spiata.
I belvedere: luoghi frequentati dalle coppie per fare sesso. Sono i posti dei
voyeur. Sono conosciuti anche come scopodromi.
Imbosco di prima: posto molto frequentato da coppie e guardoni.
I clown: le coppie che si esibiscono davanti ai guardoni senza fare sesso, solo
per attirare l'attenzione. Sono il nemico numero uno dei voyeur, dato che questi
sono interessati solo alle coppie che lo fanno per davvero e in modo spontaneo.
I clown sono facili da riconoscere: di solito ridono molto e si girano per aver
conferma che c'è pubblico. Ma non si fonderanno mai l'uno con l'altro in un atto
appassionato, perché sono solo interessati a vedere cosa capita intorno a loro.
Far ballare il culo: allusione all'ultima fase del coito, quando le coppie
muovono freneticamente il bacino. In altre parole, quando si abbandonano
completamente al partner. In questa fase il guardone può avvicinarsi di più al
suo obiettivo, visto che gli spiati sono troppo presi per notare quello che
succede fuori.
Upskirt: parola inglese che significa, letteralmente, «su per le sottane». È
come dire, guardare sotto le gonne. Alcuni guardoni si servono di microcamere
per vedere se una donna porta o no le mutande, eccetera. Su internet questo
termine è molto usato per indicare le foto o i video di donne «beccate dal di
sotto».
Downblouses: parola inglese che significa, letteralmente, «giù per le camicie».
È come dire, guardare sotto la camicia. Il termine è usato per riferirsi a foto
o video di donne che si spogliano dalla vita in su. È molto usato su internet.
Dogging: parola molto diffusa negli anni Sessanta, in particolare nel Regno
Unito. Deriva da dog (cane). Con la scusa di portare fuori il cane, il voyeur ne
approfitta per andare a spiare le coppie. Oggi il dogging è un misto di
voyeurismo/esibizionismo/scambismo. La gente si contatta via internet e si mette
d'accordo per avere rapporti in pubblico.
Pornoscopia evacuatoria: atto di spiare nei bagni pubblici, apertamente o
attraverso i buchi della serratura.
Ispezionismo uditivo: atto di eccitarsi mentre si ascoltano conversazioni
intime, sospiri, gemiti, eccetera, di una coppia che sta facendo l'amore. Se vi
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eccitate nel sentire il rumore del materasso, rientrate anche voi in questa
categoria. Mi dispiace...
Dove andare a guardare
Confesso di aver avuto la tentazione di scrivere i nomi di tutti i luoghi
frequentati dai guardoni di Madrid e di Barcellona. Alla fine, però, ho deciso
di non farlo. Spero che mi capiate: se non rendo pubblico l'elenco è
semplicemente per evitare che questi posti diventino il bersaglio di retate o
vengano smantellati. In ogni modo, chiunque fosse interessato/a a conoscere i
posti panoramici di queste città può scrivermi un'e-mail all'indirizzo indicato
sull'aletta di copertina ([email protected]). Risponderò anche alle coppie
che hanno l'abitudine di fare l'amore in macchina e, ovviamente, a quelle a cui
non dispiace essere oggetto di sguardi indiscreti. Per i giramondo, poi, ho un
intero fascicolo sui belvedere delle città più importanti. I gay non sono
esclusi.
Ovviamente, per evitare che si infiltri qualche simpaticone interessato a
tutto fuorché al piacere di osservare, è necessario rispondere al seguente
quesito: «Chi erano, secondo Marcel Duchamp, quelli che creavano i quadri?». A
quelli che saranno in grado di rispondere in modo corretto o intelligente, farò
di tutto per fornire le informazioni richieste.
Ma che fine ha fatto l'esibizionista con l'impermeabile?
L'esibizionismo è l'altra faccia del voyeurismo e viene anch'esso considerato
una «parafilia». Ma l'esibizionista per eccellenza, quello che girava nudo con
un impermeabile addosso e mostrava i genitali alle ragazze, è seriamente a
rischio di estinzione.
Nella mia vita, penso di aver incontrato quattro o cinque esibizionisti.
L'ultimo fu otto anni fa, sul metrò di Barcellona, alle nove del mattino. Era in
giacca e cravatta, e la sua faccia mi era familiare. Teneva l'impermeabile
appoggiato sulle gambe, a nascondergli le mani. Però non mi immaginavo cosa
stava facendo. Quando la carrozza si fu svuotata, alzò l'impermeabile e, tutto
rosso in volto, mi mostrò il suo arnese, eretto e trionfante alla luce dei neon.
Repressi una gran risata. Sicuramente non gli davo soddisfazione, perché non mi
scandalizzai. Rimasi seduta al mio posto come se niente fosse, leggendo un
romanzo francese. Frustrato, scese alla fermata dopo.
Quando avevo circa tredici anni, mentre aspettavo l'autobus per andare a scuola,
un camion si fermò al semaforo, proprio davanti a me. Alzando gli occhi, vidi
che il camionista mi guardava e nello stesso tempo si masturbava. Me ne accorsi
perché il suo braccio destro si agitava freneticamente. Poi si tirò su per
mostrarmi, con la generosità tipica dell'esibizionista, la sua mazza grossa e
diritta. Era sublime. Distolsi lo sguardo, non perché la scena mi
scandalizzasse, ma perché stavo ridendo come una pazza. Appena il semaforo
diventò verde, ripartì, con l'uccello all'aria, e scomparve.
Questo episodio non mi traumatizzò. Fu molto peggio lo scompiglio che si creò
intorno a sto fatto, per esempio i commenti dei miei genitori. Quando lo
raccontai a casa, mia madre divenne rossa come un peperone, alzò le braccia al
cielo e ordinò a mio padre di attivarsi per «fare arrestare quell'infame che ha
abusato della mia bambina». Il dramma durò una settimana, e alla fine lo sapeva
tutto il vicinato. Io avevo ripreso la mia vita, senza darci troppo peso. Ma lo
scandalo che avevano fatto scoppiare i miei mi costrinse a fare una descrizione
esatta dell'accaduto in un commissariato di polizia. Credo che per un bambino
sia molto più traumatico rilasciare una dichiarazione in un commissariato che la
vista, fra le gambe di un uomo, di un verme con qualche pelo ribelle intorno.
Essere costretti a descrivere a dei signori in divisa quello che era successo
quel giorno fu autentico eroismo. Un fatto che mi segnò per tutta la vita. Mi
ricordo ancora le facce di quei poliziotti. Della faccia dell'esibizionista,
invece, ho solo una vaga idea.
Cose del genere non è che accadono tutti i giorni. Le notizie di arresti per
esibizionismo sono molto rare. In compenso, però, sono più numerose di quelle
che riguardano i voyeur. Ed è logico, del resto: l'esibizionista da più fastidio
del voyeur, perché il suo scopo è esattamente il contrario di quello dell'altro.
L'esibizionista punta a farsi vedere, ad attirare l'attenzione mentre esibisce
spudoratamente i suoi genitali. Il guardone, invece, cerca di passare
inosservato. Mentre effettuavo le indagini per questo libro, trovai soltanto tre
notizie di arresti per esibizionismo:
«Fermato a Murcia un ragazzo di 19 anni per esibizionismo di fronte a
minorenni» (laverdad.es, 27 settembre 2005).
«Arrestato a Beasain per esibizionismo di fronte a una minore» (el correo
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digital, 30 settembre 2005).
«Provincia di Bajadoz: confermata condanna a nove mesi di prigione per
esibizionismo» (hoydigital, 14 ottobre 2005).
Cos'è successo? La società è riuscita a eliminare questa piaga che un tempo
terrorizzava le madri ogni volta che i figli andavano a scuola? Dove sono finiti
gli esibizionisti di una volta? Le misure poliziesche sono riuscite a reprimere
queste pratiche?
In realtà, gli esibizionisti non sono finiti da nessuna parte. Continuano, più
presenti che mai. Semplicemente, si sono trasformati. L'esibizionista è stato
inglobato dalla società per il divertimento di tutti. Si è perfino
«istituzionalizzato». Ormai non mostra più i genitali. Fa ben di peggio: mostra
tutto. I suoi stati d'animo, le sue miserie. Ha sacrificato i genitali a favore
della propria vita, e viene per di più pagato per farlo. La televisione è lo
scenario di un nuovo tipo di esibizionismo, più pericoloso di quello
dell'impermeabile. Cos'è più osceno, vedere l'uccello molle di un poveraccio o
sopportare per ore una coppia che lava i panni sporchi davanti alle telecamere?
Ritengo più interessante leggere Il sesso dilrène di Aragon, la Storia
dell'occhio di Bataille o il Manuale per l'educazione delle fanciulle di Pierre
Louys, su cui il dottor Joan Romeu, mio amico e collega, ha passato tante
piacevoli notti in bianco. Per quanto insolente possa essere,
l'esibizionista-voyeur letterario non esercita sulle persone un'influenza così
deleteria come i protagonisti della tv spazzatura. Attraverso le immagini,
questo fenomeno sta iniziando a penetrare silenziosamente e impercettibilmente
nell'immaginario collettivo. È come una bomba a scoppio ritardato.
Io non sono affatto esclusa da tutto ciò. Anzi, ne faccio parte. Sono
un'esibizionista che si è reinventata e s'è ritagliata un posto nella società.
Ma, almeno, cerco di argomentare quello che faccio, attraverso i miei libri.
Senza troppo scalpore, cosa molto difficile, visto il branco di idioti che mi
capita di incontrare. E senza perdere mai il sorriso. Al lettore malpensante
voglio dire che, pur essendo un personaggio televisivo, guadagno molto meno di
quando facevo la puttana...
Epilogo
Il proverbio «Non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace» non sembra
valere quando si parla di sessualità. Accettiamo che la gente si vesta come le
pare, pretendiamo di integrare i cosiddetti «diversi», usiamo una parola
politicamente corretta come «tolleranza», ma quando i gusti sessuali di qualcuno
non corrispondono alla «convenzione», li tacciamo di perversione. Che umanesimo
da quattro soldi, il nostro!
«E adesso che cosa facciamo?» mi chiese il mio fidanzato dopo essersi fumato la
trentaquattresima sigaretta della serata.
«Be', niente. Aspettiamo. Cos'altro possiamo fare?» risposi con voce paziente e
con un pizzico di rassegnazione.
«Ma "Il vigilante delle spiagge" non ti aveva detto che c'era sempre il pienone,
nei fine settimana?»
«Sì, aveva detto così. Forse siamo arrivati troppo presto.» E guardai per
l'ennesima volta il foglietto su cui avevo annotato le indicazioni del
«Vigilante delle spiagge».
«Forse ti ha dato un'informazione sbagliata. Non dimenticare quello che ti ha
detto Dali72. Hai fatto la moltiplicazione per tre dei preservativi?» E cominciò
a ridere.
«Mi stai prendendo in giro... Sai benissimo che è la prima volta che vengo qui.
Come posso fare la moltiplicazione per tre? Non mi metto mica a contarli adesso,
al buio... E poi, se non ci comportiamo con naturalezza, ci beccano
all'istante.»
Capì che cosa intendevo dire. Mi strinse fra le braccia e mi baciò
appassionatamente. A me scappava da ridere.
«Certo che se dobbiamo venire in posti come questo per movimentare la nostra
vita sessuale...»
Ma lui mi mise a tacere afferrando con forza le mie labbra con le sue.
Quella sera, non vedemmo nessun voyeur. Perché, di certo, erano di quelli in
gamba...
A letto con i Bodansky L'orgasmo di sessanta minuti (minimo)
«Avevo comprato i libri dei Bodansky, e perfino il loro ed, avventurandomi alla
ricerca di quel fantastico orgasmo che dovremmo provare tutte almeno una volta
nella vita.»
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L'orgasmo imponente e prolungato
Vera e Steve si conobbero all'Università di More, nella California del Nord, e
da quel momento non si sono più lasciati. Lavorarono insieme negli anni
Settanta, e negli Ottanta insegnavano nella stessa università dove avevano
studiato. Vera, nata a Belgrado nel 1935, era sempre stata di «facile orgasmo».
Per lei, quindi, fu più che naturale avviare insieme al marito un'attività
incentrata sul prolungamento del piacere, e ben presto iniziarono a chiamarsi
«dottori in sensualità». In più di un'intervista, Vera confessò che, perfino
durante il parto, aveva avuto, dopo le contrazioni, un orgasmo intensissimo e
assolutamente incredibile. Nel 1987, i Bondansky ebbero l'idea di mostrare in
pubblico gli orgasmi di Vera per insegnare la loro tecnica a tutti i presenti. E
a questo si dedicano oggi, attraverso la formula delle lezioni private o dei
seminari di gruppo. Dicono che Vera sia capace di provare un orgasmo di un'ora il che l'è valso il soprannome «Signora sessanta minuti» - anche se il suo
record è tre ore d'orologio.
Suo marito Steve, originario di New York, è laureato in biologia molecolare,
anche se non esercita. Vivono a Walnut Creek, a est di San Francisco, dove
tengono la maggior parte dei loro corsi. Due volte l'anno, però - di solito in
autunno e in primavera - sono gli ospiti d'onore della School of Womanly Arts di
New York, l'istituto per il piacere femminile fondato dalla guru Marna Gena, una
donna davvero singolare, popolarissima negli Stati Uniti e nota a tutti come la
«Dea dell'Amore». Ma di lei parleremo più avanti.
Steve e Vera Bodansky hanno scritto tre libri che sono stati best seller nel
loro paese. Il primo, pubblicato nel 2000 dalla casa editrice Hunter House, si
intitola Extended Massive Orgasm e offre una serie dettagliata di informazioni e
consigli sui rapporti sessuali e sull'orgasmo femminile. Nel 2002, sempre per
Hunter House, è uscita la loro Illustrated Guide to Extended Massive Orgasm,
«Guida illustrata dell'orgasmo imponente e prolungato», in cui la questione
dell'orgasmo femminile e maschile viene trattata approfonditamente attraverso
una serie di illustrazioni esplicative del testo. Il loro ultimo libro,
pubblicato nel 2006 dalla stessa casa editrice, si intitola To Bed or not to
Bed: What Women Want, How Great Sex Happens.
Al di là dei loro libri, i Bodansky sono diventati famosi per essere riusciti
a dimostrare sulla propria pelle, cioè attraverso il corpo di Vera e la mano di
Steve, che la donna può godere fin dal primo istante in cui viene toccata dal
partner. Vera riesce a raggiungere quello che i Bodansky definiscono un «orgasmo
imponente e prolungato». Di solito, un orgasmo «normale» dura fra i 15 e i 20
secondi ed è formato da 10-12 spasmi. Ovviamente, dipende da ogni donna, ma più
o meno i numeri sono quelli. L'«orgasmo imponente e prolungato» è più intenso e
può durare finché la coppia lo desidera. Steve è capace di provocare a sua
moglie questo tipo di orgasmo, e Vera di raggiungerlo. Riunire queste due
abilità non è per niente facile. Vera si è dovuta allenare moltissimo prima di
riuscire a godere per ore. L'orgasmo femminile è un'arte, e per riuscire a
dominarlo bisogna fare molta pratica. Ma è alla portata di tutti. Qualsiasi uomo
dovrebbe essere in grado di toccare bene una donna, e qualsiasi donna dovrebbe
riuscire a raggiungere orgasmi così soddisfacenti. È solo una questione di
apprendimento e di pratica. L'«orgasmo imponente e prolungato» non ha niente a
che vedere con la genetica, e nemmeno con la fortuna. E questo rassicura più di
uno/a.
Secondo i Bodansky, le donne hanno un vantaggio fisico: dopo un orgasmo, al
contrario dell'uomo, non sono costrette a recuperare prima di averne un altro.
Molti uomini ignorano che la clitoride possiede più di ottomila terminazioni
nervose, il doppio di quelle del glande. Il problema è che spesso non siamo
capaci di comunicare con il partner per esplorare i punti che ci danno maggiore
piacere. La tecnica non è tutto. Bisogna conoscere anche il desiderio
dell'altro.
Orgasmo al primo tocco
Quando i Bodansky tengono un seminario, Vera si spoglia e si sdraia a gambe
aperte su un lettino di fronte a tutti i partecipanti. A Steve occorrono
soltanto lubrificante e tempo per riuscire a stimolare con pazienza e dolcezza
la moglie, di fronte agli sguardi attoniti degli spettatori. Steve non si
spoglia. Gli bastano solo le dita come strumento di piacere. Non c'è
penetrazione. È inutile: lo sappiamo che le donne non hanno orgasmi vaginali. Si
dice che solo due donne su mille arrivino a provarne uno, e anche in questo caso
si tratta soprattutto di orgasmi «psicologici», indotti dalla sensazione di
«pienezza».
Steve si cosparge le dita di lubrificante e lo spalma, prima sulle piccole
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labbra, poi sulle grandi. All'inizio, la clitoride rimane asciutta. In questo
modo se ne riesce ad apprezzare meglio il cambiamento di colore in base alla
quantità di sangue che si concentra nella zona. Vera inizia a reagire alle
carezze del marito fin dal primo istante. Il trucco, secondo i Bodansky,
consiste nell'eliminare dal corpo qualsiasi tensione. L'intensità dell'orgasmo
di Vera sarà in crescendo a mano a mano che il corpo inizierà a liberarsi della
tensione e dello stress. Rilassarsi è fondamentale, altrimenti si rischia di
interrompere il flusso sanguigno che ossigena le terminazioni nervose. La
concentrazione si focalizza sui genitali. Steve insiste continuamente sul
piacere di toccare e accarezzare, che è altrettanto importante della tecnica in
sé. Spesso, infatti, trascuriamo il senso del tatto.
Mentre stimola sua moglie, Steve le infila una mano sotto le natiche. Poi, con
il pollice, inizia a stringere la parte bassa dell'apertura vaginale senza
interrompere la stimolazione della clitoride: i gesti sono sempre gli stessi, ma
variano in quanto a cadenza, intensità e durata. Con questa tecnica, Steve
riesce a indurre in Vera degli alti e dei bassi. Variare il ritmo, secondo lui,
è importantissimo.
Durante la dimostrazione, Vera non si distacca mai dal pubblico, e nemmeno da
suo marito. Al contrario. È molto partecipe, e risponde alle domande che le
vengono rivolte. Secondo i Bodansky, la maggior parte delle coppie non gode nel
fare l'amore perché non riesce a comunicare. Perché non ha il coraggio di
esprimere i propri desideri. E così, alla cieca, è molto difficile raggiungere
l'eccitazione.
Steve ha sempre con sé un cronometro per mostrare agli spettatori i tempi
dell'orgasmo di Vera. La dimostrazione, di solito, dura un'ora, in cui Vera gode
dall'inizio alla fine. Al termine della seduta, Steve invita i partecipanti a
riunirsi in cerchio attorno alla moglie per respirare un po' dell'«atmosfera
orgasmica» emanata dal corpo di Vera. Poi ha inizio la discussione.
Vera e Steve Bodansky impartiscono anche lezioni private, sia di coppia sia
individuali. Durante queste lezioni, le donne imparano a raggiungere l'orgasmo
più intenso che abbiano mai provato in vita loro. E gli uomini apprendono le
tecniche per riuscire a indurre questo tipo di orgasmo. A volte i Bodansky si
intrufolano persino nell'intimità di una stanza per insegnare a un uomo come
stimolare manualmente sua moglie. Lo osservano dal vivo per guidarlo, se
necessario, nelle tecniche di stimolazione.
Ai principianti si consiglia non meno di una ventina di sedute di 10-15 minuti.
Come ho già spiegato, raggiungere questo tipo di orgasmo non è per niente
facile, proprio come non è per niente facile diventare un grande atleta. In
entrambi i casi, ci vuole molto allenamento.
Gli insegnamenti dei Bodansky
La scuola di orgasmi imponenti e prolungati dei Bodansky offre corsi e seminari
di ogni genere, legati tutti al rapporto di coppia, alla comunicazione e alla
sensualità. Qui di seguito offro una panoramica per tutti gli interessati.
Il tveekend sensuale
Sono due giorni dedicati alle tecniche naturali del piacere e ai segreti per
rendere più appagante la propria vita. I Bodansky rivelano i loro metodi per
intensificare e prolungare l'esperienza sensuale. Fra gli argomenti trattati, la
differenza tra sensualità e sessualità, l'apprendimento delle posizioni e delle
tecniche per ottimizzare l'orgasmo, pratiche sessuali sicure, eccetera5.
Il weekend della comunicazione
Sono due giorni dedicati alle forme di comunicazione verbale e non verbale della
coppia, e comprendono lo studio dell'intenzione, dell'attenzione,
dell'intonazione, della trasmissione efficace di informazioni, eccetera.
Il weekend uomo-donna
Sono due giorni in cui si descrivono le differenze tra i sessi, i loro miti e le
realtà. Il corso è vivamente indicato sia per le persone che hanno già un
partner sia per quelle che lo stanno ancora cercando.
Lezioni private
Le lezioni private sono riservate agli studenti di livello avanzato, con o senza
partner.
Corso Tic (Touch and Look Course)
Tradotto sarebbe il corso «tocca e guarda». Dura un intero weekend ed è
suddiviso in sei sedute finalizzate all'applicazione delle tecniche descritte
nel weekend sensuale: come allenare il partner, come imparare a toccare
consapevolmente, l'arte della seduzione, come percepirsi in quanto esseri
sensuali, eccetera. Non è necessaria la presenza del partner, ma è obbligatorio
aver partecipato al weekend sensuale. È possibile spezzare il corso in sei
settimane, con una seduta a settimana.
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Corso Ctc (Come Together Course)
Il corso «venire insieme» si articola in sei sedute serali di tre ore l'una a
frequenza settimanale. Lo scopo delle lezioni è studiare le similitudini tra
uomo e donna per riuscire a stabilire un contatto sempre più intimo. Il Ctc è
molto impegnativo e, al di là della frequenza settimanale, prevede esercitazioni
a casa. Il corso è rivolto esclusivamente a coloro che hanno già frequentato il
Tic e che desiderano arrivare a provare più piacere. Per frequentarlo è
necessario avere un partner.
Le dee del piacere
Due volte l'anno, i Bodansky attraversano tutto il paese per recarsi
all'istituto del piacere femminile, la School of Womanly Arts di New York, in
cui tengono i loro corsi e fanno le loro dimostrazioni dell'«orgasmo imponente e
prolungato».
L'istituto è stato fondato da Regena Thomashauer, nota a tutti con il
soprannome di Marna Gena, la Dea dell'Amore. Questa donna prossima alla
cinquantina, le cui allieve si autodefiniscono «sorelle dee», dirige l'istituto
ormai da diversi anni.
La filosofia del centro consiste nel fare scoprire a tutte le donne cosa amano
veramente e come costruire su questo la loro vita. Muovendosi nel solco della
tradizione statunitense dell'autoaiuto, Marna Gena ricorre a concetti semplici
che tutti conoscono ma che nessuno mette mai in pratica: in sostanza, scoprire
il potere del piacere.
Individuando i propri desideri e familiarizzando con i piaceri sensuali o,
come dice lei, con «tutto quello che ti fa bagnare» - oltre che con il proprio
lato oscuro, le donne possono ottenere tutto quello che vogliono, tra cui, per
esempio, far impazzire d'amore gli uomini.
Per avvicinare le donne al piacere, Marna Gena ha elaborato un piano di studi
di sette settimane scandito da alcune regole rigidissime: si va dal liberarsi
della sindrome della Brava Moglie (a detta di Marna Gena, quella «tendenza al
sacrificio assolutamente contro natura») allo scegliere un look che rispecchi i
propri gusti (quanto più da «zoccola», tanto meglio), passando per i film di Mae
West e per la pratica della «Pussy Appreciation» (l'apprezzamento della fica).
Quando arrivano all'istituto di Marna Gena, i Bodansky hanno il difficile
compito di svelare i segreti del piacere nella zona «in mezzo alle gambe».
La seconda fase consiste nell'insegnare alle donne come addestrare i loro
mariti o partner. La cosa ha talmente successo che Marna Gena tiene perfino
corsi a distanza, via telefono, per le persone che non possono andare a New
York.
Marna Gena dirige un programma televisivo, Mag Rack, nel quale spiega alcuni
trucchi tratti dalle sue lezioni e dai suoi libri con cui le donne possono
raggiungere tutti i loro obiettivi. Proprio come la «sorella dea Nancy Reagan»,
che è riuscita a portare il marito alla Casa Bianca.
Ho tentato per voi l'«orgasmo imponente e prolungato» e... non ci sono riuscita
È tutta una questione di punti: prima il punto G (sarebbe la radice della
clitoride all'interno della vagina. Ma non tutte le donne provano piacere nello
stimolarlo - meno male, iniziavo a pensare di essere un animale strano!), poi il
punto P (finora attribuito agli uomini per via della P di prostata). Il punto P,
nella donna, corrisponderebbe alla P di piacere. E abbastanza facile da trovare:
si trova nella parte superiore sinistra della clitoride (dal punto di vista
della donna), una volta che questa venga scoperchiata dal suo «cappuccio».
Con queste nozioni in testa, comprai i libri dei Bodansky, e perfino il loro
ed, avventurandomi alla ricerca di quel fantastico orgasmo che dovremmo provare
tutte almeno una volta nella vita.
Le illustrazioni non sono molto complicate. E nemmeno il materiale necessario:
bastano un paio di mani. I Bodansky consigliano di usare la mano destra. Prima
fanno vedere come scoperchiare il cappuccio della clitoride e come afferrarlo
con il pollice destro, una delle tecniche in cui gli uomini hanno più
difficoltà. A me sembrò elementare. Ma andiamo avanti. Il pollice destro deve
essere premuto sulla parte superiore sinistra della clitoride (dalla prospettiva
della donna). La pressione deve essere costante ma non troppo intensa,
altrimenti si rischia di farsi male (non dimentichiamo che si tratta di una zona
estremamente sensibile). In questo modo, tra le altre cose, si riesce a tenere
scoperchiato il cappuccio. Una volta che si è imparato il trucchetto, diventa
più facile toccare la clitoride in qualsiasi punto e con una sola mano.
I Bodansky dicono che i mancini hanno un piccolo vantaggio: quando
«scoperchiano» il cappuccio della clitoride con il pollice, l'indice e il medio
si trovano nell'inclinazione perfetta per raggiungere il punto P. Ma il mio
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fidanzato e io, da bravi destri, non potemmo approfittare di questo vantaggio.
Seguendo questo metodo si può raggiungere l'orgasmo, ma per me fu una sensazione
molto lontana dal famoso «orgasmo imponente e prolungato».
Confesso di essermi sentita davvero frustrata. All'inizio, pensavo che fosse
molto più semplice, anche se i Bodansky non si stancano mai di ripetere che per
raggiungerlo bisogna allenarsi moltissimo. E liberare il corpo dallo stress...
Io mi ero fatta qualche bagno. Fino a quasi finire addormentata. Allora,
cos'era che non aveva funzionato? Io? Il mio fidanzato? A furia di pormi tutte
quelle domande, diventai più stressata di quanto lo fossi prima di entrare nella
vasca.
L'esperimento si concluse con una masturbazione «tradizionale». Chiusi i libri
incazzata e mi misi a dormire.
Gli orgasmi femminili del futuro: basterà un apparecchio?
Se il metodo basato sull'«orgasmatrón» - ribattezzato così in onore del film
Barbatella (1968) - funziona davvero, può anche darsi che i Bodansky e Marna
Gena abbiano i giorni contati. E gli uomini anche.
L'orgasmatrón è un dispositivo di elettrodi che viene impiantato nella spina
dorsale della donna ed è collegato a uno stimolatore sottocutaneo simile a un
pace-maker. Azionando un telecomando, i segnali elettrici inviati sono in grado
di attivare le terminazioni nervose e di provocare un orgasmo. Attualmente
l'apparecchio è ancora in fase sperimentale, ma la sua efficacia è già stata
testata da una donna che aveva difficoltà a raggiungere l'orgasmo. Il suo
inventore, Stuart Meloy, afferma che questo sistema potrebbe funzionare anche
sugli uomini.
Meloy è un medico che lavora in un centro della Carolina del Nord specializzato
in medicina del dolore. L'idea dell'orgasmatrón gli è venuta in sala operatoria,
quando si è accorto che una paziente, cui stava praticando un intervento mirato
all'eliminazione di un dolore specifico, reagiva con un orgasmo. L'intervento
consisteva nell'impiantarle nella spina dorsale due elettrodi destinati ad agire
sulla zona interessata, attraverso una scarica di impulsi elettrici. In seguito
a questo episodio, il dottor Meloy non ha esitato a brevettare la sua
invenzione.
Se fosse messo in commercio, questo aggeggio costerebbe intorno ai 13mila
dollari, esclusi i costi dell'operazione. La gente, però, sembra abbastanza
restia all'idea di sottoporsi a un'azione così invasiva, anche se per una buona
causa come la cura di problemi sessuali femminili legati, per esempio,
all'anorgasmia. Un intervento del genere suscita parecchio timore, sebbene, a
dar retta a Meloy, abbia «la stessa pericolosita' di un'iniezione epidurale».
Altre norme alla «normativa sessuale»
Almeno per il momento, agli orgasmatrón e trovate simili continuo a preferire il
metodo dei Bodansky, anche se comporta ore di pratica e di allenamento. Il loro
modo ingenuo e quasi altruistico di servirsi dei propri corpi per aiutare gli
altri nella ricerca del loro piacere, mi fa molta tenerezza. I Bodansky si
distinguono perché sono convinti di quello che fanno, e lo fanno con amore. Mi
ricordano un po' Masters e Johnson, la coppia statunitense che ha dato tanto
alla sessuologia contemporanea. Solo che, in questo caso, le «cavie» sono loro
stessi. Si espongono in prima persona. E secondo me è una cosa ammirevole.
Bisogna ammettere, comunque, che il carattere eccentrico di questi
«specialisti in sensualità» può suscitare qualche dubbio sulla loro
attendibilità. I Bodansky hanno ricevuto diverse critiche, anche se io ne ho
trovate poche. Gli si potrebbe contestare l'atmosfera da setta che si viene a
creare quando i partecipanti si raccolgono in cerchio, attorno al corpo di Vera,
per godere del climax di quella comunione orgasmica. Ma in tutto ciò, sebbene vi
sia un che di ridicolo, non c'è niente di male. Vera mostra la propria nudità
con estrema naturalezza, ed è già tanto. Li si potrebbe accusare di eccitarsi
guardando gli altri, con la scusa di volerli guidare. Ma neanche nel fatto di
prendere parte ai rapporti sessuali degli altri c'è niente di male, se questi
sono d'accordo. In ogni caso, riuscire a rilassarti di fronte a uno sconosciuto
che dice a tuo marito come toccarti... Be', sinceramente la vedo un po' dura.
Ai Bodansky si può rimproverare che non dicono nulla di nuovo. È vero. Ma
possono essere di grande aiuto agli amanti mediocri che non hanno la più pallida
idea dell'anatomia femminile, e anche a quelli che vogliono avvicinarsi un po'
di più all'amatore ideale che compare sulle riviste e sui libri. Non credo ci
sia niente di male nel ripetere cose che si sanno già. In realtà, è proprio
questo lo scopo dei libri di autoaiuto (tra l'altro, uno dei generi letterari
più venduti al mondo). Rinfrescare un po' la memoria fa sempre bene, e in fatto
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di sesso ancora di più, visto che molti di quelli che si vantano di essere vere
bombe del sesso, una volta a letto, finiscono per rivelarsi tutt'altro.
Ma la vera domanda è: che senso ha avere «orgasmi imponenti e prolungati» che
vanno avanti per ore? Il concetto di orgasmo presuppone per l'appunto la sua
finitezza. Un orgasmo di tre ore è come un cortocircuito dal parrucchiere
proprio nel momento in cui ti stanno facendo la piega. Un orgasmo di tre ore fa
aborrire gli orgasmi, perché il piacere è tale proprio per la sua condizione
effimera.
Il metodo dei Bodansky è un modo per imporre dei limiti, sia temporali (il
fattore tempo è sempre molto presente) sia fisici (per raggiungere l'«orgasmo
imponente e prolungato» bisogna concentrarsi soltanto sulla clitoride). Presi
dalla smania di aiutare gli altri, i Bodansky sembrano dimenticare che il sesso
è un gioco che va molto al di là dei genitali, un gioco che coinvolge il corpo
nella sua interezza e tutto ciò che lo circonda. Il metodo dell'«orgasmo
imponente e prolungato» corre il rischio di trasformarsi in una nuova norma. Se
una donna prova a raggiungere un «orgasmo imponente e prolungato» e non ci
riesce, gli orgasmi che prova di solito potrebbero finire per diventare una
perenne fonte di frustrazione (come è capitato a me). La nozione di «orgasmo
imponente e prolungato» sa tanto di competizione. Personalmente, credo che il
sesso sia fantastico quando non ha nulla di programmato, quando ci si lascia
cogliere dall'effetto sorpresa, quando gli amanti agiscono in tutta spontaneità.
E ora ditemi: cosa c'è di naturale, di spontaneo e di sorprendente nel
restarsene a gambe aperte a farsi toccare per ore?
Credo che per prima cosa dovremmo prendere un po' più di confidenza con la
nostra idea di piacere, che spesso viviamo in modo poco disinvolto. A quel
punto, che gli orgasmi siano «imponenti» o no non è così importante. Quello che
dobbiamo cercare di fare è vivere bene la nostra sfera erotica, la nostra idea
di piacere.
Attraverso i loro insegnamenti, i Bodansky non fanno che alimentare i soliti
miti: l'idea che l'esperienza erotica possa essere «misurabile» e quella secondo
cui la sessualità femminile sarebbe molto più straordinaria di quella maschile.
I Bodansky fomentano la falsa credenza che le donne abbiano orgasmi multipli e
gli uomini no. In fondo, gli uomini e le donne non sono poi così diversi. La
pluriorgasmia (termine già di per sé poco chiaro) non è un fenomeno esclusivo
del genere femminile. E anche sul fatto che la donna goda più dell'uomo si
potrebbe discutere a lungo.
In cosa consiste l'orgasmo? Nell'awicinarsi alle stesse sensazioni che gli altri
dicono di provare? Se è un'esplosione così intensa come dicono e io non la
sento, significa per forza che ho qualcosa che non va? Non sarà invece un
problema semantico? Io credo che il segreto stia tutto nell'intensificare e nel
prolungare i momenti che precedono l'orgasmo, altrettanto gratificanti
dell'orgasmo in sé. Ma per fare questo ci vogliono una buona dose di
intelligenza, un buon livello di comunicazione e una buona conoscenza di come
funziona il nostro corpo; non solo i nostri genitali, ma anche la nostra
testa... Ci vuole un po' di creatività nella vita di tutti i giorni. Ci vuole un
po' di curiosità nei confronti dell'altro e di noi stessi. Per tutto questo, ci
vogliono più di sessanta minuti. Ci vogliono anni di apprendimento, di errori,
di insuccessi, di frustrazioni. Ci vuole tutta una vita. Qualcosa di più di un
semplice manuale di istruzioni e di un tubetto di vaselina.
No sex please il culto dell'astinenza sessuale
...il dipartimento della Salute, nell'illustrare le sovvenzioni concesse ai
progetti educativi sull'astinenza, chiarisce che i progetti selezionati
«concordano tutti nel non offrire all'adolescente alcuna educazione che abbia a
che vedere con altri tipi di condotta sessuale diversi dall'astinenza».
Pagina ufficiale della Casa Bianca.
Paragrafo «Sprans Community-Based Abstinence Education Projects Grants».
Astinenza forzata
Fu un lunedì d'inverno, di mattina, quando ricevetti la telefonata. Ero ancora a
letto. Il mio fidanzato rispose direttamente e dalla sua faccia capii che era
importante. Mi passò la cornetta e si sedette sulla sponda del letto, attento
alla mia reazione.
«È per te» sussurrò, come se parlare piano potesse cambiare qualcosa.
Era la mia ginecologa.
«Ho preferito chiamarti di persona... Nell'esame citologico che hai fatto
l'ultima volta, è venuto fuori un piccolo problema» disse, cercando di sembrare
tranquilla.
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«Un problema? Che tipo di problema?» chiesi sorpresa.
«Be'...» capii che qualcosa non andava. «Hanno trovato una lesione al collo
dell'utero. Non preoccuparti, sono forme che ogni tanto si manifestano in alcune
donne. È per questo che si fanno gli esami citologici, per individuare questo
tipo di imprevisti. Se non curiamo la lesione, più avanti possono esserci
complicazioni più serie. Ti ho chiamata per questo, per dirti di venire da me.
Ti prescriverò una cura e ti spiegherò tutto.»
«Una lesione? Ma di cosa? Provocata da cosa?» Volevo che mi spiegasse tutto
subito, non potevo aspettare il giorno dell'appuntamento.
«È una lesione provocata dal papilloma umano, un virus conosciuto anche come
Hpv. È molto frequente nelle donne. Se è presente in forma leggera, basta
sottoporsi a un trattamento. Nei casi più gravi, invece, c'è bisogno di
un'operazione. La tua lesione è classificabile come Cin ili, un livello
abbastanza alto, ma prima di confermarlo dobbiamo fare una biopsia. Comunque
sia, intendo prescriverti una cura omeopatica. Ti spiegherò tutto durante la
visita. Ti ripeto, non hai niente di cui preoccuparti. Lesioni di questo tipo
contengono cellule precancerogene. Queste cellule possono mutare, ma possono
anche non mutare mai. Si tratta solo di asportare la lesione. Non è
urgentissimo. Ma ti aspetto.»
Io ero un po' stordita, non riuscivo a capire esattamente di cosa stesse
parlando. Rimanemmo d'accordo di vederci dopo due settimane. Per qualche giorno
fui abbastanza in pensiero: quella storia della «lesione con cellule
precangerogene» non mi piaceva per niente. E così aspettai con impazienza il
giorno della visita.
Fu inevitabile andare su internet a cercare un po' di informazioni. Ma dopo
stavo decisamente peggio. Il papilloma umano (Hpv) è un virus che può
determinare l'insorgere di un tumore, se non ci si sottopone a quella che i
medici chiamano «conizzazione», cioè l'estrazione della parte lesa del collo
dell'utero. Scoprii anche che l'Hpv si contrae per via sessuale, e che ne
soffrono moltissime donne. In una chat specializzata, lessi qualche commento di
donne terrorizzate in attesa di sottoporsi a una conizzazione. E la cosa non mi
confortò per niente. Molti siti parlavano del virus del papilloma umano in
termini decisamente allarmistici. E così, dopo aver consultato centinaia di
siti, decisi di lasciar perdere perché finivo soltanto per buttarmi ancora più
giù. Prima di abbandonarmi al delirio, dovevo vedere il mio medico.
Arrivai all'appuntamento nervosa come non mai, e credo che la mia ginecologa
se ne accorse subito. Mi prescrisse alcune medicine omeopatiche, compilò una
scheda infilandola in una busta e mi diede il numero di telefono di un luminare
del settore. Si conoscevano personalmente, avevano lavorato insieme.
«Di interventi così ne fa diversi al giorno. Vai da lui, ti farà una
colposcopia e una biopsia per capire se è necessario fare la conizzazione. Stai
tranquilla, sei in buone mani.»
Io volevo sapere come avevo fatto a prendere il famoso Hpv.
«Nella maggior parte dei casi, si trasmette tramite rapporti sessuali. A volte
è ereditario. Le lesioni di questo tipo colpiscono le donne fra i diciotto e i
quarant'anni. Ma sono sempre più giovani le donne che ne soffrono.»
Un rapporto sessuale non protetto con un uomo infetto da Hpv implicava una
possibilità di contagio. Io avevo sempre preso precauzioni.... bè, quasi sempre.
Mi preoccupai per il mio fidanzato, volevo sapere se potevo contagiarlo. Lei mi
rispose con un sì categorico, aggiungendo però che le conseguenze erano molto
meno gravi che nelle donne. Di ritorno a casa, chiamai subito il medico
consigliatomi dalla ginecologa, e la sua segretaria mi fissò un appuntamento di
lì a qualche giorno.
Il mio fidanzato e io andammo all'appuntamento non senza prima aver consultato
altri siti internet sull'argomento. Era una specie di ossessione. Ogni giorno
trovavo nuove informazioni, davvero poco confortanti. Quando il medico ci
ricevette e lesse la diagnosi della mia ginecologa, il suo sorriso mi rassicurò
subito. Si prese il disturbo di farmi un disegno dei genitali, dell'utero e del
collo dell'utero, e quando mi disse che il trenta percento delle donne spagnole
soffriva dello stesso male, mi sentii meno abbandonata al mio destino.
«Se ti faccio una conizzazione, cioè, se ti tolgo la parte lesa, hai tra il
novantacinque e il novantanove percento di possibilità di guarire. In vent'anni
di esperienza, non ho mai avuto nessun problema. Per cui stai tranquilla.
Prenota subito una colposcopia e una biopsia all'ospedale che ti dico io, e
appena avremo l'esito sapremo se fare o no una conizzazione. Così a occhio direi
di sì, perché hai un Cin in, ma prima di confermarlo devo vedere i risultati
delle analisi.»
Finii in sala operatoria per la conizzazione. Pregai uno studente che
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assisteva lo specialista e che mi riconobbe dalla televisione, di non chiedermi
nessun autografo. Gli stavo già dando abbastanza, aprendo le gambe davanti a
lui. Alla fine, tra una cosa e l'altra, mi tolsero 1,3 centimetri di collo
dell'utero. E oggi sono in perfetta forma. Fu molto più nociva la miriade di
informazioni che trovai sull'Hpv che il virus in sé, ovviamente senza nulla
togliere alla gravita di quello che mi successe. Lessi di tutto, dal fatto che
l'Hpv era incurabile al fatto che rappresentava la causa principale di morte
femminile, più dell'Aids. Tutti questi siti erano americani e predicavano
l'astinenza come l'unico modo per lottare contro le malattie da trasmissione
sessuale, tra cui anche l'Hpv.
Il medico mi avvertì che dopo l'operazione non avrei potuto avere rapporti
sessuali per un mese.
«Immagino che si riferisca ai rapporti sessuali con penetrazione vaginale»,
puntualizzai con un pizzico di malizia.
«Sì, certo.» sorrise.
«Ma tutto il resto lo posso fare, vero?»
A quel punto scoppiò a ridere.
«Non crede che tutte le informazioni che ho trovato su internet siano un modo
per dissuadere le donne dall'avere rapporti sessuali? Per farle sentire
colpevoli se scopano?»
Non mi rispose. Si limitò a sorridere. Ma di fronte alla mia sfrontata
insistenza sull'argomento, si sentì in obbligo di dirmi una cosa.
«Su internet si trova di tutto. E non tutto è vero. Per cui ti consiglio di
non leggere più questo genere di cose.»
Ci stringemmo la mano e desiderai con tutte le mie forze di non rivederlo mai
più. Non per altro. Lui era adorabile. Solo, non volevo avere ancora bisogno di
lui.
Capita a tutti, prima o poi, di avere periodi più o meno lunghi di astinenza
sessuale. La maggior parte delle volte, non per propria volontà. Per quanta
voglia si possa avere, dubito fortemente che si sia davvero disposti a fare
sesso con chiunque e in qualsiasi momento. Perfino a me è capitato di rinunciare
forzatamente al sesso, e non solo per via dell'operazione, ma perché c'è stato
un periodo della mia vita in cui non battevo chiodo. Mi riferisco a quando uscì
Diario di una ninfomane. Per quello che raccontavo, molti uomini provavano un
rifiuto inconscio nei miei confronti, per il fatto di aver osato dare in pasto
la mia vita sessuale all'opinione pubblica. Erano tutti riluttanti all'idea di
fare sesso con me, anche quelli che morivano dalla voglia di farlo. Il «cosa
diranno» era più forte del desiderio. Per di più, avevano paura di non essere
all'altezza, perché erano tutti convinti (erroneamente) di trovarsi di fronte a
un'esperta che dai suoi amanti pretendeva la perfezione assoluta. Quel periodo
non fu affatto divertente. Ma visto che si impara sempre qualcosa,
quell'esperienza mi servì a migliorare la mia esperienza con l'onanismo, che,
detto en passant, spesso è molto meglio di un rapporto sessuale con un amante
mediocre. Insomma, ragazze, pensateci due volte prima di pubblicare la vostra
vita privata. Che stragi può fare un libro! La società dice di essere preparata
a queste cose, ma non sempre è vero. Mi chiedo come sarebbe andata se fossi
stata un uomo. Sicuramente a quest'ora sarei un dongiovanni molto ambito. Basta
guardare i calciatori: più corna fanno alle loro donne, più sono quotati nel
mercato sentimentale.
Come ho detto, mentre cercavo su internet informazioni sull'Hpv trovai diversi
articoli che parlavano del grande successo dei programmi abstinence only (solo
astinenza) come unico modo per lottare contro le malattie da trasmissione
sessuale e le gravidanze indesiderate. Negli Stati Uniti, alcune associazioni
cercano di inserire questo tipo di iniziative nei programmi scolastici. I corsi
di astinenza sessuale sono sempre più diffusi, e la cosa più sconvolgente è che
a finanziarli è proprio il governo federale.
Il sesso da fastidio
Nel 1981, il Congresso americano approvò la famosa «Legge della Castità»,
concepita per finanziare progetti educativi con il preciso scopo di promuovere
l'autodisciplina sessuale e la castità. All'epoca non si parlava ancora di
programmi di «solo astinenza», ma iniziava già a profilarsi quello che sarebbe
successo in seguito. Molti gruppi religiosi si impossessarono di questi
programmi e, una decina di anni dopo, la Corte suprema degli Stati Uniti chiese
espressamente che quelli finanziati dal governo federale venissero privati della
loro esplicita connotazione religiosa. Come si poteva lasciare che le tasse dei
cittadini fossero utilizzate per sovvenzionare programmi a sfondo religioso,
visto che la Chiesa e lo Stato sono due entità separate? In realtà, diciamolo
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pure senza paura, gli Stati Uniti sono una teocrazia. A spiegarcelo in modo
eccellente è un interessantissimo articolo di Tomàs Eloy Martinez, intitolato
«La creazione secondo Bush» e apparso sul quotidiano ElPais il 15 ottobre 2005.
L'intervento della Corte suprema non servì granché, perché gli enti più
importanti che beneficiavano di questi fondi, tutti a chiara connotazione
religiosa e per la maggior parte veri e propri gruppi fondamentalisti cristiani,
erano economicamente molto potenti. E le cose stanno così ancora oggi.
I
programmi di abstinence only consistono nello spiegare, nelle scuole
pubbliche e in quelle private, che l'unico modo per non restare incinte o per
non contrarre una malattia venerea è astenersi da qualsiasi attività sessuale
fino al matrimonio. Questi programmi sono diretti agli adolescenti tra i dodici
e i diciannove anni. Fin qui, tutto bene. Non si può dire che affermino il
falso. Il problema comincia quando si rifiutano di informare i giovani
sull'esistenza degli anticoncezionali. È un po' come dire che l'unico modo per
non morire in un incidente automobilistico è non guidare. Tuttavia, per
combattere il problema degli incidenti, il governo può al massimo indire una
campagna di sensibilizzazione nei confronti di chi guida, promuovendo l'uso
delle cinture di sicurezza. I sostenitori di questi programmi dicono di essere
preoccupati per la salute dei giovani. Ma sono altrettanto preoccupati quando i
giovani escono in moto? Non ne dubito. E cosa fanno per evitare gli incidenti in
moto? Proibiscono forse la guida? Assolutamente no. Semplicemente, promuovono
l'uso del casco. E allora perché con il sesso non fanno la stessa cosa? La
risposta è molto semplice. Non lo fanno perché il sesso da fastidio.
Il
problema dei programmi di abstinence only è che tacciono deliberatamente
qualsiasi tipo di informazione sulla gravidanza, sulle malattie a trasmissione
sessuale, sugli anticoncezionali in generale e sull'uso del preservativo in
particolare. Ma non è finita qui: questi gruppi, che ricevono finanziamenti dal
governo, hanno il preciso divieto di fornire informazioni in merito. La ragione
a cui si appellano per giustificare questa inciviltà è che parlare di questi
temi potrebbe fomentare l'attività sessuale. Secondo loro è sufficiente
predicare l'astinenza agli adolescenti.
Questi gruppi sono stati oggetto di feroci critiche. La maggior parte degli
americani è contraria a questo tipo di politica e chiede per i propri figli
programmi di educazione sessuale «comprensiva» (comprehensive sexual education),
che consistono nel ricordare l'astinenza come strumento di lotta contro le
gravidanze e le malattie veneree, ma nell'offrire anche una serie più ampia di
proposte agli adolescenti che decidono di essere sessualmente attivi.
Templi dell'astinenza
Sex Respect
Una delle organizzazioni che predica esclusivamente l'astinenza è Sex Respect,
il cui sito internet può essere consultato da qualsiasi cittadino. I messaggi
che compaiono lì non potrebbero essere più espliciti e sconvolgenti. La
fondatrice di questa organizzazione è Coleen Kay Mast, autrice del best seller
Sex Respect.
Sex Respect è un'associazione che promuove alcuni dei più importanti programmi
educativi sull'astinenza, nonché una delle maggiori beneficiarie delle
sovvenzioni federali. Per difendersi dalle frequenti accuse di manipolazione e
distorsione delle informazioni, Sex Respect ha inserito sulla propria pagina web
un paragrafo destinato a chiarire una serie di punti controversi. Per esempio,
spiega che il denaro utilizzato per finanziare i programmi di abstinence only
non proviene da nessun altro fondo federale, come per esempio quello destinato
alla lotta contro l'Aids o alle campagne a favore del preservativo.
L'istituzione nega di avere sottratto fondi a quelle campagne per devolverli ai
programmi pro-astinenza. Una cosa di cui molti dei suoi detrattori dubitano
fortemente.
Sul sito si legge inoltre che i programmi di educazione sessuale «comprensiva»
sono dannosi per gli adolescenti, perché gli anticoncezionali e i preservativi
non sono metodi sicuri al cento percento. Se i preservativi non sono sicuri,
spiegano quelli di Sex Respect, è perché gli adolescenti non se li sanno
mettere. Il 15 percento delle adolescenti che fanno uso di profilattici,
aggiungono, restano incinte entro un anno (!).
Il sito chiarisce inoltre che, sebbene indossati correttamente, i condom non
proteggono dal virus del papilloma umano (Hpv), e nemmeno da quello della
clamidia. E prosegue: l'Hpv è incurabile e non prevede alcun trattamento. L'Hpv
è il virus responsabile dei tumori all'apparato genitale, che mietono più
vittime dell'Aids. Allarmante per qualsiasi donna che non abbia conoscenze
sull'argomento! A quanto pare, una volta contratto il virus, non ti resta che
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tasso - LAltroLatoDelSesso.txt
aspettare la morte.
Conosco bene il problema, per averlo vissuto sulla mia pelle. Ma conosco anche
altri casi. Ho un'amica che è arrivata vergine al matrimonio. Nonostante abbia
avuto rapporti sessuali soltanto con il marito, qualche anno fa le hanno
diagnosticato una lesione al collo dell'utero provocata dall'Hpv. La lesione è
stata curata tramite una conizzazione, come nel mio caso. E ora la mia amica sta
benissimo. Se le donne si sottopongono regolarmente a esami citologici, l'Hpv
può essere facilmente scoperto e curato. Ci sono perfino donne che hanno lesioni
a uno stadio molto precoce e che riescono a curarsi con una normale terapia
antibiotica.
Perché Sex Respect non dice che l'Hpv può essere contratto anche all'interno
del matrimonio? Perché la loro idea di matrimonio come istituzione inviolabile
si sgretolerebbe. Perché Sex Respect non spiega che l'Hpv può essere facilmente
individuato con un esame citologico e può essere curato? Perché il suo discorso
allarmistico finirebbe per sgonfiarsi e non avrebbe lo stesso effetto
terrificante sulle donne.
Quando viene accusata di adottare una politica basata sul terrore, questa
organizzazione non fa nulla per negarlo e, molto semplicemente, risponde: «Il
terrore è una reazione di sano rispetto di fronte alle conseguenze di scelte
sbagliate».
Sex Respect respinge tassativamente l'accusa di possedere una forte
connotazione religiosa e spiega che questi programmi si basano più sul senso
comune che non sulla morale di una religione specifica. Ma se sono dettati
davvero dal senso comune, perché non parlano degli anticoncezionali? Se Sex
Respect non appartiene a nessuna organizzazione religiosa, perché Coleen Kay
Mast, la fondatrice, non si fa problemi a pubblicare sul sito le foto dei suoi
viaggi in Vaticano?
Andiamo avanti, perché ne vale davvero la pena. In una comunicazione
indirizzata agli studenti e agli insegnanti, a domande del tipo: «Come si può
pretendere che gli adolescenti aspettino di arrivare al matrimonio per avere
rapporti sessuali, se ormai non si sposano più?», Coleen Kelly risponde, dando
prova di raffinata abilità dialettica nonché di grande acume: «Di astinenza
sessuale non è mai morto nessuno». In poche parole, la signora scansa la
risposta. Evita qualsiasi argomentazione. Riempire un sito di messaggi così
equivale, molto semplicemente, a trattare gli esseri umani come perfetti idioti.
In un messaggio finale, chiaramente mirato a risvegliare il senso di colpa dei
genitori, Coleen Kelly raccomanda, anziché il controllo delle nascite,
l'autocontrollo, sostenendo quanto segue:
I figli non sono animali. Possono controllare i loro istinti sessuali.
Potete insegnargli a dire di no. Le statistiche dimostrano che gli adolescenti
non cedono alle loro pulsioni sessuali per due ragioni: per paura della
gravidanza o per paura di deludere i loro genitori.
I genitori che offrono anticoncezionali ai figli hanno distrutto queste due
ragioni.
La prima volta che ho letto queste frasi non potevo crederci. È un messaggio
davvero violento. In pratica, chiede ai genitori di non aiutare i propri figli
davanti alle loro paure. E l'unico effetto che ottiene è mettere in pericolo la
vita di molti adolescenti. Una cosa, infatti, è certa: quasi la metà degli
adolescenti americani è sessualmente attiva. È un fatto ampiamente dimostrato.
Se questi ragazzi non ricevono le giuste informazioni, è molto probabile che
metteranno in pericolo le loro vite. Il messaggio è anche un modo per emarginare
gli adolescenti che non vogliono astenersi dal sesso. Per non parlare dei
giovani omosessuali, per i quali il matrimonio è impossibile: per loro, molto
semplicemente, non c'è posto.
Teen Aid
Teen Aid, l'associazione diretta da LeAnna L. Benn, offre gli stessi programmi
di Sex Respect dissimulando meglio le proprie connotazioni religiose. Anziché le
foto dei viaggi in Vaticano, il sito pubblica un testo in cui si lodano il
carattere e la personalità del presidente Bush. In un passaggio si critica
aspramente l'ex presidente Clinton, sostenendo che, quando era a capo del paese,
sull'Air Force One guardava film violenti e a contenuto esplicitamente sessuale.
L'autore del testo conclude che l'ufficio di Clinton era stipato di materiale
pornografico. Bush, invece, è un presidente che non sopporta neppure alcune
scene dei film espressamente inviati alla Casa Bianca per dare qualche momento
di svago alla famiglia più importante del mondo. Bush sostiene che per lui sono
troppo volgari. La domanda è: quale sarà la svergognata casa di produzione che
osa inviare al presidente film così «volgari»? Per dimostrare quanto le cose
siano cambiate con Bush (in bene, ovviamente), l'autore della lettera spiega che
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il presidente non permette a nessuno di partecipare a una riunione se non è in
giacca e cravatta. E che esige che le scarpe del giovane militare che accompagna
gli invitati in giro per la Casa Bianca siano perfettamente in ordine. Sono
assolutamente sconvolta dai criteri con cui in questo paese si giudica il valore
di un presidente. Non si parla minimamente della formazione di Bush, né delle
sue abilità in politica estera, e nemmeno della sua capacità di consenso. No. Si
fa attenzione alla lucentezza delle scarpe di un soldato. L'idea che ci siano
giovani che seguono i consigli di siti internet come questo, fa semplicemente
rabbrividire.
La moda di essere vergini
Per fare lezioni sull'astinenza, i professori o gli educatori hanno a
disposizione i manuali messi in commercio da associazioni come quelle che
abbiamo appena citato. I manuali in questione hanno sollevato parecchie
polemiche, e molti gruppi ne hanno denunciato il contenuto. Alcuni distorcono
palesemente la realtà, sostenendo per esempio che, delle donne che hanno subito
un aborto, il 5/10 percento non sarà mai più in grado di avere figli, e che in
generale queste donne rivelano una maggiore tendenza al suicidio per
depressione. Le percentuali citate, altissime, non corrispondono assolutamente
alla realtà.
Secondo alcuni testimoni, in certe scuole si è arrivati perfino a strappare
dai libri interi capitoli, in cui si parlava di alcuni aspetti delle Mts o
dell'Aids o dove apparivano disegni o fotografie di alcune parti del corpo
umano.
Con il preciso scopo di aumentare le vendite, i manuali di oggi non esitano a
trattare la gioventù in modo assolutamente stereotipato. In realtà, due
associazioni di educazione sessuale «comprensiva», Advocates for Youth e
Sexuality Information and Education of thè us, hanno chiesto al dipartimento
della Salute di rettificare le informazioni fornite dai programmi di astinenza
sessuale finanziati dal governo federale in quanto inesatte e pericolose per le
persone. Questa richiesta si avvale di una legge poco utilizzata, che permette a
chiunque si sia visto personalmente compromesso da un'informazione inesatta
diffusa dalle agenzie federali di chiedere che essa venga modificata. Queste due
associazioni sono intervenute in quanto ritenevano che le informazioni diffuse
sul preservativo nella lotta contro l'Aids fossero, oltre che inesatte, molto
controproducenti. Si era infatti insinuato che il preservativo non proteggesse,
e perfino che il virus dell'Aids «trapassasse» il lattice. Non è necessario
andare negli Stati Uniti per sentire discorsi così assurdi e pericolosi. Una
volta, a Valencia, ricordo di aver conosciuto un medico spagnolo, famoso più per
le sue apparizioni televisive che non per le sue prodezze professionali, che a
conclusione di un dibattito trasmesso da Canal 9 su sesso e libertà, dopo
essersi bevuto mezza bottiglia di whisky, mi disse che l'Aids si trasmetteva
anche con il preservativo. Io, ovviamente, non mi risparmiai in commenti. In
seguito scoprii che quel medico era legato all'Opus Dei. Spero di tutto cuore
che non eserciti, perché è un vero pericolo pubblico, e non solo per la sua
passione per il whisky scadente.
Stando ai risultati di un'indagine, il novanta percento degli insegnanti di
educazione sessuale è convinto che gli adolescenti abbiano bisogno di
un'informazione completa sugli anticoncezionali e su alcune malattie da
trasmissione sessuale. Però si sente costretto e obbligato a concentrare i
propri insegnamenti sull'astinenza sessuale per via della proliferazione di
questi programmi finanziati dal governo degli Stati Uniti.
Dal 1998 il governo degli Stati Uniti ha speso più di mille milioni di dollari
per promuovere nelle scuole i programmi abstinence only, senza tuttavia riuscire
mai a produrre un'informazione definitiva sui benefici dell'astinenza. È logico,
del resto: gli adolescenti che hanno seguito questo tipo di programmi e che a un
certo punto hanno deciso di avere un rapporto sessuale, non hanno fatto uso di
anticoncezionali. Al contrario, è dimostrato che gli adolescenti che ricevono
un'educazione sessuale «comprensiva» non solo ritardano il loro approccio alla
sfera sessuale, ma si avvicinano a essa in modo molto più responsabile. Le
sovvenzioni ai programmi abstinence only non fanno che aumentare: nel 2005
l'amministrazione Bush ha previsto in bilancio una spesa pari a 273 milioni di
dollari, annunciando per l'anno successivo la pubblicazione del dossier
sull'efficacia di questo tipo di iniziative.
Il fatto che questi programmi siano diretti a un numero altissimo di persone,
gli da grande credibilità. Molte famiglie americane non si preoccupano di
conoscerne il contenuto: essendo finanziati dallo Stato, credono che siano per
forza buoni. Alcune persone ragionano così. Altre danno perfino per scontato
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che, al di là del tema dell'astinenza, questi programmi prevedano un'educazione
sessuale «comprensiva». Ma quando ne scoprono i reali contenuti (che oserei
definire pari a zero, a parte l'insegnamento di tattiche precise per rifiutare
una proposta sessuale), si allarmano e chiedono espressamente che ai propri
figli vengano offerte informazioni complete sulle Mts, sull'aborto e via
dicendo, e non soltanto sull'astinenza.
Devo ammetterlo, quando ho letto la documentazione che mi è passata fra le mani
sui programmi di abstinence only non ho potuto fare a meno di rabbrividire. Non
si trattava di documenti isolati, privi di fonti, frutto della mente di qualche
invasato. Tutto il contrario. Perfino nella pagina ufficiale della Casa Bianca
ho trovato informazioni che farebbero rizzare i capelli a chiunque. Per esempio,
nel paragrafo «Sprans Community-Based Abstinence Education Project Grants», il
dipartimento della Salute, nell'illustrare le sovvenzioni concesse ai progetti
educativi sull'astinenza, chiarisce che i progetti selezionati «concordano tutti
nel non offrire all'adolescente alcuna educazione che abbia a che vedere con
altri tipi di condotta sessuale diversi dall'astinenza». Il che significa, in
poche parole, che questi programmi non parleranno d'altro che di astinenza
sessuale. Una dichiarazione del genere compare sulla pagina ufficiale della Casa
Bianca.
Il vero pericolo di ciò che sta succedendo negli Stati Uniti è che si estenda ad
altri paesi. È il caso del Venezuela, dove la Federazione delle famiglie per la
pace mondiale in Venezuela ha dato vita all'associazione Club di intelligenti
nel sesso e nell'amore (Club Isa). Il sito internet di questa associazione è la
fotocopia esatta di quelli americani, e si rifa unicamente a fonti statunitensi.
Vi si trovano le stesse argomentazioni sul papilloma umano, sull'inefficacia
degli anticoncezionali e sui difetti del preservativo, sulla gravidanza nelle
adolescenti, eccetera. E si raccomanda l'astinenza sessuale fino al matrimonio
come l'unico metodo per far fronte ai «pericoli» del sesso.
Il Venezuela è ben lungi dall'essere un'eccezione. Ma è possibile che oggi, in
un momento in cui i mezzi di comunicazione affrontano molto più spesso il tema
della sessualità, non esista una tendenza opposta all'astensione da ogni
attività sessuale? La televisione, che è sempre la prima a far venire a galla le
cose, è paradossalmente il mezzo che rispecchia di più questa nuova corrente.
Nel settembre del 2004, mentre ero in Portogallo a promuovere il mio primo
libro, vidi un programma televisivo francese, condotto da un presentatore
famosissimo; l'ospite d'onore era la celebre pornostar Brigitte Lahaie,
abbigliata di tutto punto con il classico tailleur giacca e pantalone. Il tema
della discussione era se fosse giusto o meno restare casti fino al matrimonio.
Diverse coppie erano state invitate a esprimere il loro punto di vista; una
raccomandava lunghi periodi di astinenza sessuale all'interno del matrimonio,
allo scopo di rafforzare l'amore. Altre coppie di giovani fidanzati avevano
deciso di non avere rapporti sessuali fino alla prima notte di nozze. Brigitte
Lahaie, che ovviamente difendeva i benefici del sesso, era sostenuta da uno
psichiatra che cercava in tutti i modi di spiegare che privarsi dell'attività
sessuale quando esisteva il desiderio, poteva essere molto dannoso. Ma i loro
discorsi non sortivano alcun effetto. Sfoderando un sorriso beato, tipico di chi
gode della «grazia di Dio», quelle coppie continuavano a parlare del sesso come
di un «diavolo» che inganna e uccide l'amore.
Dal 6 settembre 2005, l'emittente televisiva statale britannica Bbc2 trasmette
un reality show intitolato No sex please, we're teenagers («Niente sesso, per
favore, siamo adolescenti»), una specie di Grande Fratello in cui dodici ragazzi
tra i quindici e i diciassette anni, con profili culturali molto diversi,
accettano la sfida di restare casti per cinque mesi. Per riuscirci, entrano a
far parte della Romance Academy, dove due educatori cristiani, Rachel Gardner e
Dan Burke, le vere menti del programma, cercano in tutti i modi di convincerli
che tornare ai tempi in cui i ragazzi corteggiavano le ragazze in vista di una
relazione seria e duratura, è la cosa migliore per loro. Di quei dodici ragazzi,
alcuni sono vergini e altri hanno già una vita sessuale, alcuni sono cristiani e
altri non appartengono a nessuna religione.
Alla Romance Academy le regole sono molto chiare: sono rigorosamente vietati
alcol e droghe, perché il loro effetto disinibitorio potrebbe fomentare il
contatto sessuale. I ragazzi possono abbracciarsi e sdraiarsi sullo stesso
letto, ma hanno un'area proibita che è vietato oltrepassare: quella che va dal
collo alle cosce. I ragazzi e le ragazze dormono in camere separate e non
possono per nessun motivo scambiarsi visite. Il programma dispone di un sito
ufficiale, ancora incompleto nel momento in cui scrivo, che permette di seguire
da vicino i ragazzi che hanno fatto voto di castità e di capire lo spirito del
programma, oltre che di fare domanda per entrare nella Romance Academy, come
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partecipanti o come leader, tenendo delle lezioni. È qualcosa di simile al
network marketing, che ha conosciuto un vero e proprio boom negli anni Ottanta e
Novanta e che consisteva nel convincere il maggior numero possibile di persone a
entrare a far parte di un'impresa, nell'istruirle sul prodotto da vendere e nel
lanciarle sul mercato come venditori. Dal sito si capisce inoltre che
l'associazione cerca costantemente il supporto di genitori e insegnanti nonché,
ovviamente, di finanziatori. Gli adolescenti che seguono il reality da casa
hanno anche loro la possibilità di fare voto di castità compilando un formulario
da inviare al team organizzativo del programma. Nel momento in cui scrivo,
l'esperimento viene effettuato su un gruppo di adolescenti di Harrow, un
sobborgo a nord-est di Londra. A quanto ho capito, l'idea è quella di creare
accademie di questo tipo in tutto il paese.
Non è affatto strano che il Regno Unito abbia accettato di trasmettere un
programma come questo. Il suo obiettivo, infatti, è quello di ricorrere
all'astinenza per posticipare l'inizio dell'attività sessuale al momento del
matrimonio, riuscendo così ad arrestare il fenomeno delle ragazze madri e la
diffusione di malattie da trasmissione sessuale. Già agli inizi del 2003, il
Regno Unito aveva imposto che più della metà degli adolescenti dell'Irlanda del
Nord arrivasse vergine ai sedici anni. Personalmente, non credo che la politica
britannica in materia sessuale possa avere lunga vita. In ogni caso, somiglia
sempre di più a quella del suo alleato statunitense, anche se forse è meno
aggressiva, perché diffonde più informazioni.
Stando agli articoli che sono riuscita a leggere, l'astinenza sessuale sembra
essere un fenomeno destinato a svilupparsi per via della crescente diffusione
delle chiese evangeliche e dell'islam.
Oltre a insegnare alcune tattiche per rifiutare i rapporti sessuali, il
programma No sex please, we're teenagers pubblicizza anche un viaggio negli
Stati Uniti, più precisamente in Florida, per conoscere da vicino
un'associazione evangelica chiamata Silver Ring Thing («La Cosa dell'Anello
d'Argento»).
Questa associazione incoraggia l'astinenza sessuale tra gli adolescenti
americani, e quelli che fanno voto di castità fino al matrimonio ricevono una
Bibbia e indossano un anello d'argento come simbolo del loro voto.
Le stragi della politica di Bush
Gli Stati Uniti sono il maggior stanziatore di fondi a paesi del Terzo Mondo per
la lotta contro l'Aids. I contributi americani ai programmi di prevenzione e
controllo della pandemia superano il totale della cifra devoluta da tutti gli
altri paesi coinvolti negli aiuti. Il progetto Pepfar (acronimo di «President's
Emergency Plan for Aids Relief») è riuscito a raccogliere, previa accettazione
del Congresso americano, 15mila milioni di dollari per i prossimi cinque anni
(la notizia, data nel 2005, si riferiva all'anno precedente, e riguarda dunque
il periodo fra il 2004 e il 2009). Questi aiuti, che vengono quasi tutti
stanziati (oltre il 93 percento) direttamente dal Congresso degli Stati Uniti, e
non dall'Onu, sono strettamente legati al programma ideologico di astinenza
sessuale (esportato con la sigla Abc, che sta per «Abstinence, Be faithtful,
Condoms», Astinenza Fedeltà e Preservativo, rigorosamente in ordine di
preferenza). Tra i paesi destinatari di questo sinistro pacchetto «aiuti più
ideologia» potremmo citare tre casi. L'Uganda, che soltanto nel 2005 ha ricevuto
137 milioni di dollari, sembra aver accettato la sacra legge nordamericana
dell'astinenza, con risultati che a livello pratico, almeno finora, si rivelano
degni di nota. Il Brasile, che nel 2004 si è visto offrire 40 milioni di
dollari, ha rifiutato la generosa offerta, in quanto accettarli presupponeva la
stigmatizzazione delle prostitute. Il Senegal, territorio da lungo tempo
devastato dall'Aids, è stato semplicemente scartato dalle autorità statunitensi
perché riconosce legalmente la prostituzione.
Stando alle cifre rivelate dalla sua stessa amministrazione, l'Uganda è
riuscita a diminuire notevolmente l'impatto della malattia fra i suoi cittadini
grazie al sapiente mix di pressioni moralistiche e diffusione dei preservativi.
Ma le cose stanno cambiando. Dei 120-150 milioni di profilattici di cui gli
ugandesi hanno bisogno ogni anno, nel 2005 è stato distribuito soltanto il venti
percento, al punto che in questa popolazione neoevangelizzata, terrorizzata
dalla malattia e bombardata da continui messaggi che predicano il dovere morale
della continenza, i sacchetti della spazzatura iniziano a servire a ben altri
scopi. Il sempre più accentuato blocco ideologico nei confronti dei preservativi
all'interno del continente africano ha indotto l'Onu ad aspri richiami. Fondare
la lotta contro l'Aids in Africa sul ricorso dogmatico ed estremistico
all'astinenza è considerato un grave errore che fa, cito letteralmente, «molto
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male» al continente. «Non ho alcun dubbio che la cosiddetta crisi dei
preservativi sia dovuta a un'applicazione esasperata del Pepfar e alle politiche
estreme degli Stati Uniti, che hanno come unico effetto un numero spropositato
di nuove infezioni» ha dichiarato Stephen Lewis, il massimo responsabile Onu in
Africa in questo campo.
Africa senza sesso? Io l'ho conosciuta senza pane, senz'acqua e senza speranza,
ma senza sesso no.
Una nuova ondata di puritanesimo
I programmi di astinenza sessuale si inseriscono nel contesto del nuovo
puritanesimo che sta caratterizzando gli Stati Uniti. Quest'ondata, per molti
versi simile a quella degli anni Ottanta, non solo contribuisce a diffondere il
panico, ma rappresenta a tutti gli effetti un beneficio economico per molti. È
il caso dell'azienda americana Trilogy Studios che, cogliendo la palla al balzo,
ha ideato un software di nome MovieMask in grado di eliminare dai film tutte le
immagini e le parole violente, volgari o sessualmente esplicite. Questo
software, che costa intorno ai 35 dollari, ha suscitato lo scandalo e la
reazione dei registi, in quanto modifica e danneggia in modo irrimediabile la
loro opera. I responsabili di Trilogy si difendono sostenendo di agire
unicamente a tutela del consumatore. Per il momento, MovieMask funziona soltanto
per i film statunitensi.
Il software è stato oggetto di pesanti critiche perché, se è vero che censura
completamente le scene di sesso, non è in grado di riconoscere quelle di
violenza. Inoltre, manipolando direttamente il metraggio, incide sulla resa e
sulla qualità del film, facendolo sembrare «ritoccato» al computer. Senza
contare che in tutto ciò il regista non viene minimamente interpellato.
Negli Stati Uniti, alcuni videoclub vendono film in versioni «ripulite» sanitized, come dicono lì - da contenuti sessuali. Il livello di censura varia a
seconda dell'età del pubblico a cui è destinato il film.
Hollywood ha deciso di sporgere denuncia contro l'azienda in questione. Decisa a
procurarmi altre informazioni sul software, sono andata sul sito ufficiale di
MovieMask. E ho scoperto una cosa molto interessante. Digitando l'indirizzo
www.moviemask.com si viene accolti da un messaggio del direttore, David Skooby
Clayton, il quale spiega che per questioni di licenze il software non è
attualmente in vendita e ringrazia tutti coloro che hanno creduto nel prodotto.
Immagino che i registi abbiano vinto la battaglia contro Trilogy Studios, almeno
per il momento. Ma per quanto ancora?
La situazione in Spagna
Ancora molto lontana dall'istituzionalizzare l'astinenza come sta avvenendo
negli Stati Uniti (anche se non sappiamo per quanto), in materia sessuale la
Spagna si distingue per l'adozione di politiche di natura più educativa
(variabili a seconda della bandiera di partito che le propone), con una
particolare insistenza sul preservativo.
Le organizzazioni e le istituzioni che predicano l'astinenza come formula morale
di sottomissione, celandosi dietro l'insegna della «salute pubblica» o della
«salute spirituale», sono quelle di sempre. Qui in Spagna le conosciamo tutte.
Incitano esplicitamente all'astinenza e attaccano violentemente l'uso del
condom. Ci riferiamo alla Chiesa cattolica e alle organizzazioni affini che,
attraverso i loro portavoce, si scatenano in un'accanita battaglia contro la
libertà personale in materia sessuale. La Conferenza episcopale, l'Opus Dei e il
centro educativo a esso subordinato, l'Università di Navarra, sono i soggetti
più attivi. Ma ci sono anche altre associazioni ed enti, come HazteOir.org,
Hayalternativa.org o il Comitato indipendente antiaids, che si scagliano
violentemente contro la politica di utilizzo del preservativo ricorrendo sempre
alla stessa argomentazione a contrario: la sua presunta inefficacia nel
contenere malattie e gravidanze. Una barriera troppo sottile? Forse sarebbe
meglio un bel «tiralo fuori»?
Il desiderio sessuale è unico
Al giorno d'oggi, qualsiasi argomento diviene inevitabilmente fonte di
discussioni e dibattiti. Perfino quelli che riguardano la vita privata delle
persone. Ma è davvero legittimo? Personalmente, credo di no. La vita sessuale di
ciascuno di noi appartiene esclusivamente alla sfera privata, e non c'è motivo
che venga diffusa pubblicamente. Il problema è che le persone sono davvero
convinte che le questioni sessuali appartengano alla sfera collettiva. Errore
madornale. Come spiega Efigenio Amezùa, direttore dell'Incisex (Istituto di
scienze sessuologiche) di Madrid, nella sua unità didattica intitolata
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Equilibrios y desequilibrios. El continuo de los sexos a debate, una cosa è il
desiderio e un'altra cosa è il diritto, anche se spesso i due concetti finiscono
per sovrapporsi, creando così confusioni e problemi. Ma come si fa a spacciare
l'astinenza per l'unico metodo in grado di combattere la gravidanza e le Mts,
quando ogni persona vive la propria sessualità in modo diverso? Rendendo il
desiderio una questione pubblica, non facciamo che annullarlo e dimenticare che
esso è una cosa assolutamente personale.
Le associazioni che predicano l'astinenza si rifanno a slogan del tipo «hai
diritto a dire di no». Ma non educano affatto. La cosa più importante, per
quanto mi riguarda, è che gli adolescenti siano in grado di chiedersi: «Qual è
il mio desiderio?». E di darsi una risposta. Stabilire programmi abstinence only
equivale a pensare che tutti gli adolescenti siano uguali, mentre in realtà
esistono tante sessualità quanti sono gli esseri sessuati, con le loro
complessità e i loro desideri. Equivale a limitare il sesso a un atto
esclusivamente pericoloso.
Sono sempre stata convinta che più si evita di parlare di un argomento, più si
contribuisce ad avvolgerlo di mistero e di sacralità.
Gli adolescenti fra i dodici e i diciottenni sono estremamente influenzabili.
Parlargli soltanto dell'astinenza significa fare di loro dei potenziali adulti
intimoriti dalla propria sessualità e con una visione distorta del sesso.
L'educazione non si fonda sui problemi, ma sui valori. Questi programmi
abstinence only sono tutto fuorché educativi. Che razza di educazione è quella
che fomenta il terrore, inibisce il libero pensiero e l'esercizio della critica
e impone l'obbedienza a scapito della messa in discussione e della soluzione dei
problemi? Un tipo di educazione così si basa soltanto su quello che dicono due o
tre religiosi invasati e non permette nemmeno che si parli di qualcos'altro al
di là dell'astinenza.
D'altra parte non è un caso che in Spagna l'adolescenza sia più comunemente
conosciuta come «l'età dei polli». Quest'espressione un po' brutale si riferisce
ai conflitti che vivono gli adolescenti in questa particolare fase della loro
vita. Lo sanno tutti: proibirgli una cosa è il modo migliore per risvegliare la
loro curiosità.
Imporre agli adolescenti i programmi abstinence only è impedirgli di pensare,
di decidere e di scegliere. In una parola, di assumersi le loro responsabilità.
Perché allora non proporre direttamente la castrazione? Sarebbe sicuramente
molto meno traumatica dell'astinenza sessuale. Per lo meno, in questo caso, i
ragazzi non sarebbero in conflitto con se stessi.
L'astinenza è una scelta personale assolutamente legittima, e in quanto tale
merita rispetto. È una scelta che si fa a partire dalle proprie convinzioni, non
da quelle degli altri. Come Josema, un ragazzo che ho conosciuto un giorno in
una sala d'aspetto. Il suo è un caso di astinenza sessuale non indotto da
vincoli di ordine sociale o morale. A influire sulla sua scelta non erano state
né le politiche istituzionali né le condanne della Chiesa. Josema soffriva di
quella che potremmo definire una forma di astinenza per saturazione da
informazioni erotiche. «C'è troppa offerta sessuale, il sesso è troppo
commercializzato; non so, è troppo esplicito, troppo accessibile, troppo
facile... troppo, insomma.» Questa convinzione lo spingeva a non praticare
attivamente il sesso. «Non so, preferisco starmene un po' in disparte, prendermi
un po' di tempo per capire cosa voglio davvero.» Quello di Josema non è un caso
isolato. Ci sono giovani che a un certo punto diventano incredibilmente
selettivi nei loro interessi, in attesa di capire di cos'hanno davvero voglia e
di cosa no. Chiudono gli occhi, stringono le mani e pensano. Finora non mi
risulta che la psicologia clinica abbia catalogato questa forma di saturazione
percettiva da surplus erotico, ma prima o poi ci si arriverà. Il fenomeno
ricorda da vicino quello già classificato fra le alterazioni percettive con il
nome di «sindrome di Stendhal», e sebbene i suoi effetti psicosomatici risultino
meno altisonanti (a quanto mi risulta, Josema non soffriva di vertigini o di
nausea di fronte a situazioni erotiche), non sono comunque meno degni di nota.
Con Josema preferisco coprire la mia generosa scollatura, accavallare
candidamente le gambe e aspettare che si rilassi...
Astenersi sessualmente per paura, perché si da ascolto a qualche programma
allarmista mirato a demonizzare il sesso, significa non realizzarsi in quanto
persona. Ed è davvero un'atrocità, visto che siamo tutti esseri sessuati che
provano desideri.
Una cosa è certa: come ho già detto, quasi la metà degli adolescenti americani è
sessualmente attiva. Alcune indagini hanno dimostrato che parlare apertamente di
sesso non aumenta, come invece vorrebbero i sostenitori dell'astinenza sessuale,
la promiscuità o i rapporti sessuali tra i giovani. Anzi, è esattamente il
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contrario. Di fatto, nessuno è ancora riuscito a dimostrare che i corsi di
astinenza riducano l'attività sessuale tra gli adolescenti. Peggio ancora: la
mancanza di informazione fa sì che questi ragazzi non facciano uso di
anticoncezionali e si espongano a più rischi.
D'altronde, cosa intendono i puritani per «sesso»? Ovviamente, soltanto il
coito. Tuttavia, esistono moltissimi altri modi di giocare senza mettere in
pericolo la propria vita. Perché non si parla mai di questo, perché non ci si
apre un po' di più e non si promuovono altri tipi di pratiche?
Comunque sia, non dimentichiamolo, la maggiore causa di morte continua a
essere la vita. Vivere pregiudica seriamente la salute. Vivere è rischiare di
morire un po' ogni giorno. Lo sappiamo tutti. Da quando compriamo l'ultimo
modello di microonde a quando saliamo sull'aereo di una compagnia low cost. Il
sesso non ha niente a che vedere con tutto ciò. Certo, c'è sempre la possibilità
di non rischiare, ma francamente la vedo un po' dura. E anche così, mi dispiace
dirvelo, si corre il rischio di morire... di noia!
Io ho deciso di vivere. E finora questa scelta mi è costata 1,3 centimetri.
Vagine su misura La chirurgia estetica del sesso femminile
«Avevo passato la notte seduta sul water a guardarmela con uno specchietto.
Ricordo di aver pensato: "No, non c'è niente da fare. La mia vagina non
corrisponde neanche lontanamente ai criteri di bellezza di Penthouse, Playboy e
compagnia bella. Anzi, se posassi nuda per una rivista, me la ritoccherebbero in
Photoshop. Sicuro".»
Le dimensioni della vagina contano?
Vidi per la prima volta la sua faccia al ritorno da un viaggio a New York. Fu
nell'inverno del 2003. Mi trovavo appena fuori Milano, nella lussuosissima
stanza di un albergo a cinque stelle che aveva prenotato Giovanni, il mio ex.
All'epoca, avevo l'abitudine di andare a letto molto più tardi di quanto faccia
ora (gli anni passano per tutti...). Quella sera stavo guardando la televisione,
cosa che non faccio mai a parte quando c'è un programma che mi interessa. Era da
un po' che facevo zapping; Giovanni era appena andato a dormire e, come sempre,
avevo passato un'ora a maledirlo per la facilità con cui riusciva a prendere
sonno. Io, a quei tempi, avevo ancora bisogno dei sonniferi per riuscire a
conciliarlo. C'eravamo fatti portare la cena in camera a tarda ora e, ancora in
piena digestione, non riuscivo a chiudere occhio.
Mentre mi accendevo una sigaretta e aprivo un po' la finestra per far uscire
il fumo, un canale italiano iniziò a trasmettere il servizio. Doveva essere
l'una di notte, e mi domando perché non l'avessero trasmesso in prima serata.
C'era un uomo in camice bianco con le mani coperte da guanti di lattice. Aveva
uno sguardo incisivo, come se conoscesse i segreti più inconfessati delle donne
ed era intento a spiegare con una siringa in mano che, da quando aveva scoperto
quel sistema, le donne erano molto più appagate dai loro rapporti sessuali. Il
suo modo di fare emanava l'assoluta certezza che grazie a lui molte coppie
avevano superato la loro crisi. «Devono tutto a me» sussurravano i suoi grandi
occhi. In effetti, le immagini si alternavano a quelle di donne entusiaste.
Donne che non avevano paura di mostrare il proprio volto. Sembravano vere
fanatiche.
«È davvero incredibile!» diceva una. «Non avete idea di quanto sia cambiata la
mia vita sessuale. E tutto grazie al dottor Matlock.»
«Ora non devo più inventarmi scuse per non farlo» dichiarava un'altra, con un
sorriso degno di una réclame di dentifrici. «Me lo ha consigliato un'amica, e da
quel giorno torno ogni quattro mesi per farmelo rimettere.»
Capii di trovarmi di fronte a una di quelle televendite americane che mandano
in onda la notte, durano un'ora e ti vendono qualsiasi cosa. Da un momento
all'altro sarebbe comparso il tanto atteso prodotto, con un numero verde in
sovrimpressione, il prezzo e i costi di spedizione. Alzai il volume.
«Il sistema si chiama G-Shot» spiegava il medico. «È un'iniezione di collagene
che si effettua nel punto G e che permette di avere dei rapporti più
soddisfacenti.»
Poi la telecamera inquadrò il medico mentre si avvicinava a una donna a gambe
aperte, felice di farsi riprendere i genitali.
«Basta una piccola dose, fino a quando non compare un lieve rigonfiamento»
proseguì Matlock. «L'effetto dura circa quattro mesi. E assolutamente innocua,
perché il collagene viene riassorbito dall'organismo. Grazie a questo
rigonfiamento, durante il rapporto sessuale, il punto G viene molto più
stimolato.»
Infilò la siringa nella vagina della signora, che continuava a sorridere come
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un'idiota e, in meno di un secondo aveva portato a termine l'operazione.
«Ecco fatto. Tutto bene?» chiese Matlock alla paziente.
«Da favola.» rispose la donna.
«Perfetto. Allora ci rivediamo tra qualche mese, d'accordo?»
«Benissimo.»
La telecamera seguì Matlock fino alla poltrona del suo studio, dove si
proseguiva con l'intervista.
«È un sistema rivoluzionario. Ha cambiato la vita a moltissime donne.»
Non potevo crederci. E le donne che non avevano ancora scoperto il loro punto
G? Ci pensava il dottor Matlock a trovarglielo? E se sì, era incluso
nell'onorario?
«Io non l'ho detto a mio marito» rideva l'amica della paziente che compariva
nel servizio. «Non per altro, ma preferisco che non sappia di questo
trucchetto.»
Matlock propinava sorrisi complici alle due donne. Poi spiegò che per lui era
fondamentale che fossero le donne a prendere questo tipo di decisione, senza
farsi influenzare dai partner.
«Se una donna viene da me e mi dice che la manda il suo compagno, ho il dovere
di capire se vuole farlo davvero o se lo fa solo per far contento il fidanzato o
il marito» diceva, con arie da psicologo. «Non è la stessa cosa se a prendere la
decisione è lei o lui. Ma con il G-Shot non ci sono problemi. L'iniezione di
collagene la faccio a tutte le donne che vengono. Le operazioni più rischiose
sono un'altra storia.»
A mano a mano che il servizio andava avanti, venni a scoprire che Matlock era
uno specialista in ricostruzione vaginale.
«Opero donne che arrivano da tutto il mondo. Comprese le mogli di presidenti di
diversi paesi» diceva con sguardo furbo, e, come se avesse intuito la domanda
successiva del giornalista, rispose, anticipandolo: «Ah! Segreto professionale».
Sembrava una via di mezzo tra un predicatore e uno scultore. Non a caso si
autodefiniva un artista, vantandosi della quantità di donne che erano andate da
lui per un consulto.
Passai la notte seduta sul water a guardarmela qon uno specchietto. Ricordo di
aver pensato: «No, non c'è niente da fare. La mia vagina non corrisponde neanche
lontanamente ai criteri di bellezza di Penthouse, Playboy e compagnia bella.
Anzi, se posassi nuda per una rivista, me la ritoccherebbero in Photoshop.
Sicuro!».
Il giorno dopo, Giovanni non mi mandò al diavolo solo perché era un vero
signore. Non facevo altro che chiedergli: «Ti piace la mia vagina?» «Certo che
mi piace. La adoro.»
«E la mia vulva? Perché una cosa è la vagina, cioè quello che c'è dentro, e
un'altra la vulva, i genitali visti da fuori... Perché non rispondi? C'è
qualcosa che non va?»
«Ma che problemi hai con la tua vagina e la tua vulva?» «Voglio solo sapere se
ti piacciono. Non ti sembra che abbia le labbra un poco lunghe?»
«Che palle... Le tue labbra sono perfette. Mi dici dove vuoi arrivare con
queste domande? Che strane idee ti passano per la testa?»
Andammo avanti così tutto il giorno. Quel reportage aveva risvegliato in me un
dubbio inquietante. Una cosa di cui fino a quel momento non mi ero mai
preoccupata: le dimensioni contavano? Questa domanda, più tipica di un uomo, mi
ossessionava. Mi ricordai perfino di quello che mi diceva Isabel Pisano ogni
volta che le consigliavo di trovarsi un fidanzato.
«Un fidanzato? Sei pazza! Sono anni che dalla mia fìga non passa nemmeno un
ago...»
Be', si sbagliava. Poteva approfittarne per fare colpo, perché adesso andava
di moda.
Una domenica, mentre sfogliavo il Magatine del Mundo, mi cadde per caso
l'occhio su un articolo, «Ricostruzione genitale: il chirurgo plastico del sesso
femminile», firmato da Ferràn Viladevall (n. 268 del 14 ottobre 2004). Le stesse
identiche cose che avevo visto sul canale della tv italiana venivano presentate
sotto forma di reportage giornalistico. L'articolo si apriva con una fotografia
gigantesca del dottor David Matlock in sala operatoria; nell'angolo destro della
pagina c'era una piccola foto del medico circondato da tre pazienti a
dimostrazione di quanto fosse amato a Beverly Hills. Con un tono velatamente
ironico, l'articolo forniva, tra le altre cose, informazioni dettagliate sulle
tecniche di ricostruzione della vagina, delle labbra e dell'imene, oltre che sul
celebre sistema G-Shot. Fu così che riuscii a scoprire i prezzi, che riproduco
di seguito per chiunque fosse interessato:
Il ringiovanimento vaginale tramite laser (concepito appositamente per
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aumentare la soddisfazione sessuale) consiste nel rafforzare il tono muscolare e
il controllo della vagina. Diminuisce il diametro interno ed esterno
dell'organo, rimuove l'eccesso di liquido vaginale e irrobustisce il perineo.
L'intervento dura un'ora e si effettua in day hospital. Il costo oscilla tra i
5.100 e i 6.300 euro.
L'imenoplastica (cioè la ricostruzione dell'imene per tornare a sentirsi
vergini) si aggira intorno ai 3.000 euro.
La perineoplastica (detta anche «lifting intimo») consiste nel ringiovanire
la vulva e l'apertura vaginale. I prezzi oscillano tra i 5.300 e i 6.300 euro.
Per una labioplastica (aumento delle grandi labbra o riduzione delle piccole
labbra) ci vogliono circa 3.100 euro.
La liposcultura (riduzione del monte di Venere) si aggira fra i 3.000 e i
5.500 euro.
L'articolo spiegava che, nel caso di donne estremamente esigenti, gli onorari
potevano salire fino a 13mila euro.
È probabile che queste tariffe siano già obsolete. Come si suol dire, comunque,
alla portata di tutti! Nell'intervista, il dottor Matlock, originario della
Louisiana, annunciava la sua intenzione di ritirarsi nel 2005; in effetti, a
quanto pare, ha brevettato le sue tecniche di ringiovanimento vaginale - la
cosiddetta «vagina Matlock», come la chiama lui - istituendo una specie di
franchising. Professionisti di tutto il mondo si fanno insegnare i suoi segreti
e, in cambio di un sostanzioso compenso economico, si vedono concedere il
diritto di utilizzare l'Lvr (Laser Vaginal Rejuvenation, «Ringiovanimento
vaginale tramite laser»). Nel momento in cui scrivo ignoro se il dottor Matlock
abbia realizzato il suo sogno, ma dopo aver visitato il suo sito internet posso
dire che continua a esercitare tuttora la professione e annuncia l'imminente
uscita di un libro contenente le sue tecniche6. Comunque sia, con le cifre che
intasca, non credo gli sarà difficile ritirarsi prima del previsto. Stando
all'intervista pubblicata da ElMundo, riusciva a tirare su una decina di milioni
di dollari l'anno. Ha assistito più di cinquantamila donne, tra cui diverse
attrici di Hollywood. Spiacente per i curiosi, ma l'articolo non faceva nomi.
Al suo istituto, il Laser Vaginal Rejuvenation Institute, si sono associati
medici provenienti dai quattro angoli del pianeta; nel fitto elenco spiccano
soprattutto medici coreani. Ho scoperto da poco che tre o quattro cliniche
spagnole praticano la ricostruzione dell'imene, ma nessuna sembra essere
affiliata all'istituto del dottor Matlock.
Nell'articolo, come sul suo sito, del resto, il medico afferma che le donne
che vanno da lui per un consulto hanno le idee molto chiare su quello che
vogliono (io direi, piuttosto, su quello che vogliono gli uomini). Molte di loro
arrivano perfino con fotografie tratte da riviste come Playboy, in cui donne
nude esibiscono in primo piano genitali degni di una bambina alle soglie della
pubertà. Molte clienti vogliono avere una vulva con queste caratteristiche.
La sua specialità è la costruzione di imeni finti. Ci si fa ricostruire l'imene
per puro capriccio o per ragioni culturali. In molti casi si tratta di donne che
hanno perso la verginità ma che vogliono recuperarla perché stanno per sposarsi:
se non «perdono sangue», potrebbero avere seri problemi e, qualche volta,
rischiare perfino la vita. Matlock si vanta di riuscire a ingannare non solo il
marito di queste donne, ma anche il loro ginecologo. Ora, la mia domanda è: ma
si sanguina sempre, anche avendo l'imene intatto? Sinceramente credo di no. In
molti casi si può perdere la verginità senza nessun tipo di ripercussione
fisica; diversi sessuologi insistono sul fatto che non perdere sangue non
significa necessariamente non essere più vergini. Il dottor Matlock avverte le
sue pazienti di questo piccolo particolare? Posso anche capire che per alcune
culture sia difficile da accettare. Ma in quei casi cosa fa il dottor Matlock?
Ha forse progettato un imene che sanguina sempre quando si rompe? Credo che
questi dubbi andrebbero chiariti al più presto...
Nella sua intervista, il giornalista di ElMundo mette in discussione più di una
volta l'immagine del dottor Matlock, affermando che «se il luogo del nostro
incontro fosse un bar alla moda, lo si potrebbe tranquillamente scambiare per un
ciarlatano o un seduttore». Sicuramente si tratta di un medico molto sui
generis. Che, più avanti, afferma: «Sono stato contattato perfino da alcuni
transessuali [in realtà, dovrebbe dire «alcune»] per ritoccare le loro parti
intime. Ma io preferisco di no». Una dichiarazione del genere, già di per sé, mi
fa rizzare i capelli. A quanto pare, questo medico che si proclama «un artista»
e non fa che vantarsi di aiutare le donne, si rifiuta di ritoccare le vulve
delle transessuali. Ma anche loro sono donne a tutti gli effetti. Forse per lui
non è cosi'. Perché invece, se una donna ha un problema, la opera? Perché queste
differenze? Forse ci sono donne superiori e donne inferiori? Devo ammetterlo,
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alla fine dell'intervista ero abbastanza incazzata. Ma anche abbastanza curiosa
per continuare a indagare sui metodi del dottor Matlock.
La fantasia di essere una lolita
Molte donne ricorrono a questo tipo di chirurgia perché, figli o non figli,
hanno un problema fisico reale che impedisce loro di condurre una vita normale.
Mi riferisco, per esempio, a donne che sono diventate incontinenti perché la
loro vescica si è spostata dalla posizione iniziale, o a quelle che hanno avuto
un problema simile con l'utero o con il retto in seguito a complicazioni durante
il parto. Trovo semplicemente fantastico che esista la possibilità di sottoporsi
a un'operazione di ricostruzione. Perfino a fini estetici. Ogni donna è libera
di fare ciò che le pare. Quello che mi piace meno, però, è che il dottor
Matlock, già a partire dal suo sito internet, dichiari che il ringiovanimento
vaginale tramite laser accresca la soddisfazione sessuale. Personalmente, penso
che della riduzione della vagina o della ricostruzione dell'imene possa
beneficiare soltanto l'uomo. Nell'articolo di El Mundo, il dottore si vantava di
riuscire a stringerla a piacimento, in base alle richieste della paziente. Anche
questo mi sembra fantastico. Ma a quel punto la penetrazione non diventa un po'
dolorosa per la donna? Sicuramente, una donna scontenta dei suoi genitali si
gode meno il sesso, perché ha dei complessi; è anche molto probabile che
un'operazione di ringiovanimento possa aiutarla a sentirsi meglio, più sicura di
sé, e le faccia avvertire un netto miglioramento nella sua vita sessuale. Non
dico di no. Ma dove sono finiti i limiti al fatto che l'uomo goda di più? È
quantomeno strano, visto che non facciamo che mobilitarci contro alcune pratiche
ancestrali che penalizzano fortemente le donne, come l'ablazione della
clitoride, l'infibulazione di tradizione egizia, eccetera. Il ringiovanimento
vaginale, ovviamente, non ha niente a che vedere con queste pratiche, ma in
entrambi i casi si interviene sui genitali della donna perché l'uomo possa
goderne. Ripeto, non sono contraria a un'operazione in grado di restituire a una
donna la fiducia in se stessa, ma disapprovo il modo in cui viene pubblicizzato
questo tipo di interventi.
Un ennesimo aspetto dell'ipocrisia della nostra società: quello che vogliamo
sono i genitali di un'adolescente che non ha mai avuto rapporti sessuali. Il
fatto che questo fenomeno nasca proprio negli Stati Uniti è ancora più ironico.
Condanniamo i rapporti fra bambini e adulti, anche nel caso in cui siano
consenzienti entrambe le parti, e poi vogliamo tornare a essere bambine per
migliorare la nostra vita sessuale. Qualcuno mi spieghi a che gioco stiamo
giocando, perché io ormai mi sono persa.
Alla ricerca dell'inafferrabile punto G
Resta da commentare un altro dei servizi offerti dal dottor Matlock, quello che
lui stesso, sulle pagine di El Mundo, definiva la «vera rivoluzione». Si tratta
del sistema G-Shot, l'iniezione di collagene nel punto G per accrescere la
soddisfazione e il piacere della donna durante i rapporti sessuali. Il dottor
Matlock afferma che «il punto G si trova a metà strada fra Tosso pubico e la
cervice, a 6/10 centimetri circa dall'apertura della vagina». Io non credo nel
punto G, tra le altre cose perché l'ho trovato e mi fa provare soltanto una
sensazione sgradevole, come se avessi voglia di fare pipì. Si presume che
occorra continuare a stimolarlo per provare piacere. Ma per quanto stimoli,
l'unica cosa che sento è il forte bisogno di picchiare qualcuno. Si dice spesso
che non tutte le donne ce l'hanno. E allora perché Matlock enuncia con tono
perentorio dove si trova, senza dire che non tutte le donne lo trovano o provano
piacere in quel punto?
Domande al vento. Siccome volevo sapere se continuava a praticare quella
tecnica, contattai l'istituto per avere più informazioni. Nella pagina di
presentazione del centro di Los Angeles si legge che gli operatori rispondono a
qualsiasi richiesta di informazioni entro ventiquattr'ore al massimo. Questo,
posso testimoniarlo, è vero.
Inviai un'e-mail all'indirizzo indicato, facendomi passare per una certa
Sophie Barthe.
Gentili signori,
mi chiamo Sophie Barthe, sono una cittadina francese che da molti anni vive a
Barcellona. Qualche mese fa, su una rivista spagnola, ho letto un articolo sul
dottor Matlock in cui si accennava a una tecnica rivoluzionaria per aumentare la
soddisfazione sessuale delle donne attraverso un'iniezione di collagene nel
punto G. Il metodo si chiama G-Shot. Mi piacerebbe avere più informazioni in
merito. Sono andata sul sito del dottor Matlock ma non ho trovato da nessuna
parte una descrizione dettagliata di questa tecnica. Potreste dirmi se viene
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ancora applicata, come funziona, quanto tempo dura e quanto potrebbe costarmi?
Devo confessarvi, inoltre, che la «linea» dei miei genitali mi causa parecchie
frustrazioni. Mi piacerebbe fare una specie di «lifting» alla vulva; so che il
dottor Matlock è uno specialista in questo campo. Quanto costerebbe
un'operazione del genere? Per l'intervento dovrei per forza venire negli Stati
Uniti? Non esiste in Spagna un centro che utilizza gli stessi metodi e a cui
potrei rivolgermi? Ringraziandovi in anticipo per la vostra risposta, vi porgo i
miei più cordiali saluti.
Sophie Barthe
Mentre scrivevo questa e-mail cercavo di immaginarmi che faccia avrebbe fatto lo
specialista leggendola. Sorrisi. Ero così convinta che il sistema G-Shot ormai
non esistesse più... Non so perché. Credo che dipendesse dal fatto che non gli
davo nessuna credibilità. Vi assicuro che se avessi trovato un posto in Spagna
in cui sottopormi a questo tipo di tecnica, l'avrei provato (fui anche sul punto
di chiedere al mio editore un piccolo finanziamento per andare negli Stati
Uniti... ma poi, pensando all'espressione di terrore che si sarebbe dipinta sul
suo volto, non osai).
Dopo poche ore ricevetti una cordialissima risposta da parte del Laser Vaginal
Rejuvenation Institute di Los Angeles. Era firmata dal dottor Matlock in persona
(dunque continuava a esercitare!), anche se dubito fortemente che si fosse
disturbato personalmente a rispondermi per iscritto. In ogni caso, rispondeva
punto per punto alle mie domande:
Cara signorina Barthe,
non abbiamo nessun medico associato in Spagna. Per informazioni dettagliate sul
G-Shot (amplificazione del punto G) può consultare il nostro sito
(www.thegshot.com). Il mio onorario per questo intervento è di 1.800 $ (1.300
euro circa). Riguardo alla laservaginoplastica, avremmo bisogno di farci un'idea
più precisa del suo caso, per cui la preghiamo di tornare sul sito e di
scegliere la tecnica più adatta alle sue esigenze.
Tutte le tecniche utilizzate nei nostri istituti sono molto sicure. I rischi,
inferiori all'1 %, riguardano le normali complicazioni di ogni intervento
(emorragia o infezione). Finora, comunque, non si sono mai verificate.
Abbiamo assistito pazienti di cinquanta stati e di trenta paesi diversi.
Inoltre, c'è un fantastico gruppo di pazienti disposte a condividere la loro
esperienza con lei. Se fosse interessata a mettersi in contatto con loro, non ha
che da dircelo.
Per una conversazione telefonica, non esiti a contattarci allo [...]. Cordiali
saluti,
David Matlock, MD, MBA, FACOG President & CEO
Così, andai sul sito dedicato al punto G. Era tutto sui toni sfumati del rosa,
cosparso di slogan tipo «i miei orgasmi sono più intensi», «i miei orgasmi
durano incredibilmente di più», «il G-Shot funziona su donne di tutte le età»,
eccetera. Ero riuscita a scoprire che l'iniezione richiedeva in tutto cinque
secondi, e che gli effetti duravano fino a quattro mesi. L'intervento era
assolutamente innocuo, tanto che potevano farlo anche le donne incinte. Inoltre,
c'era un ginecologo che assisteva ogni paziente per aiutarla a trovare il suo
punto G. Scoprii pure che, nello stimolare il punto G, alcune donne potevano
secernere un fluido (una specie di eiaculazione). Non si faceva che insinuare
che tutte le donne hanno un punto G. Il quale, però, andava rigorosamente
stimolato a vescica vuota. Allora doveva essere stato quello a farmi avvertire
sempre una sensazione spiacevole. E così, quella sera, vuotai la vescica e
iniziai a masturbarmi. Ma non sentii niente, a parte un po' di solletico e una
voglia pazzesca di andare in bagno. Ancora. Stufa di fare l'idiota, decisi di
dormire.
Il mattino dopo, tanto per rompere un po' le scatole, scrissi un'altra e-mail
spiegando il mio problema: sapevo dove si trovava il mio punto G, ma quando lo
stimolavo non sentivo niente. Forse qualche medico del centro avrebbe potuto
darmi qualche indicazione su come fare. Nel messaggio chiedevo anche un
appuntamento da loro, in California.
Passò una settimana, senza che ricevessi notizie dal dottor Matlock. Rispedii
l'e-mail, ma non ebbi risposta. Aveva forse fiutato le mie intenzioni? La cosa
più probabile è che si limitassero a inviare un'e-mail al primo approccio e poi,
per assicurarsi che ci fosse un vero interesse dall'altra parte, aspettassero
una telefonata.
Come adattare il corpo della donna alla sessualità maschile
Il corpo della donna è un mistero.
In primo luogo, per noi donne: in molte raggiungiamo un vero orgasmo solo dopo
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avere sondato e scoperto gli angoli più remoti del nostro corpo. E questo non
avviene così in fretta come crediamo. Non è come per i ragazzi, che hanno
l'organo sessuale molto a portata di mano e che, per questo motivo, provano
immediatamente piacere nel masturbarsi. Noi ragazze non abbiamo il coraggio di
masturbarci come fanno i ragazzi. E anche quando lo facciamo, raramente
riusciamo a centrare il colpo. Alcune amiche mi hanno confessato che solo dopo i
trenta avevano iniziato a conoscere davvero il proprio corpo e a vivere
serenamente la propria sessualità, senza pressioni, senza sentirsi costrette a
provare un orgasmo «vaginale» dietro le spinte del fidanzato o del marito (sia
in senso letterale sia figurato!). In molte abbiamo dovuto fingere uno stupido
«sto venendo» quando l'abbiamo ritenuto opportuno.
In secondo luogo, per gli uomini: non sanno come funziona, perché
l'eccitazione della donna non è palpabile, e i suoi orgasmi non sono visibili.
Questo, ovviamente genera confusione. E un corpo che non si capisce va
inevitabilmente domato. Come? Attribuendogli analogie con il corpo maschile:
Se l'uomo prova piacere nella penetrazione, deve provare piacere anche la
donna.
Per giustificare la penetrazione, bisogna che all'interno della vagina ci sia
un punto molto più sensibile degli altri (che non contano niente, visto che sono
completamente insensibili). Questo punto è quello che tutti conosciamo come
punto G.
Vista l'ostinazione di alcune donne, bisogna inventarsi due tipi di orgasmi,
quello « vaginale» e quello «clitorideo», pur tenendo presente che il primo è
«superiore» al secondo. In pratica, la donna che prova l'orgasmo vaginale non ha
problemi, ha raggiunto la meta. È una donna «completa». L'orgasmo clitorideo,
anche se non si dice, è un orgasmo «immaturo». Questa concezione ricorda molto
da vicino quello che diceva Freud sull'orgasmo femminile. Freud definiva
«mature» le donne che riuscivano a raggiungere l'orgasmo vaginale. Oggi, sebbene
circolino molte più informazioni a riguardo, le cose non sono poi molto
cambiate. Ma perché la gente non vuole mettersi in testa una volta per tutte che
le donne non provano orgasmi «vaginali»?
La riproduzione è sempre stata vista come una finalità primaria rispetto al
piacere in se stesso. E cosa c'è di meno riproduttivo della clitoride? Niente.
Assolutamente niente. È per questo che lo si è negato così tante volte. Uno dei
miei professori ricorre sempre a una metafora riuscitissima e molto
interessante. Dice che in fatto di sesso gli uomini sono turisti e le donne
viaggiatrici. Riguardo al piacere sessuale, noi donne siamo infinite. Gli uomini
sono tutto il contrario: quanto prima raggiungono la fine (l'orgasmo), tanto
meglio. Noi donne non abbiamo un corpo da turiste, ma da viaggiatrici. E allora,
perché non alleniamo il nostro corpo? Per noi sarebbe molto più gratificante.
Sicuramente avremmo tutto da guadagnarci. E il «sesso» smetterebbe di essere
così condannabile.
L'abuso del cesareo
Si dice che il dottor Matlock non sia una persona competente, ma non è vero. I
ginecologi che assistono ai parti ricorrono esattamente alle sue stesse
argomentazioni per convincere le donne a dare alla luce il figlio tramite il
taglio cesareo, il che è semplicemente un abominio. Al dottor Matlock la cosa
non deve andare molto a genio, visto che una donna che partorisce col cesareo
rappresenta una cliente in meno. Nelle cliniche private della California, più
dell'ottanta percento delle nascite avviene tramite cesareo. Perché? È
semplicissimo. Perché le cliniche in questione lanciano messaggi di questo tipo:
«Mantenga la sua vagina intatta, come il giorno in cui si è sposata: faccia un
cesareo».
È quanto si legge su un articolo di El Periàdico Digital che ho trovato su
internet alla fine del 2004. Ramón Carreras, dell'Hospital del Mar, spiegava che
le cliniche riescono a dispensare cesarei a volontà perché, affermano, «senza
dilatazione vaginale non ci sono alterazioni al perineo e i rapporti sessuali
restano inalterati. È tutto falso. Non è mai stato dimostrato, infatti, che
un'alterazione del perineo peggiori i rapporti sessuali». Interessante, vero? Il
dottor Matlock riesce a vendere i suoi interventi alle donne sostenendo che le
alterazioni al perineo impediscono rapporti sessuali soddisfacenti.
Io non sono un medico, ma un po' di buon senso ce l'ho. E affermare una cosa del
genere significa ridurre la sessualità alla componente genitale.
Altri articoli dello stesso tenore non fanno che lanciare lo stesso allarme. I
parti cesarei sono aumentati in modo vertiginoso; in Colombia ci sono sempre più
donne che richiedono questo tipo di intervento per evitare il rilassamento della
vagina, nonostante siano perfettamente in grado di partorire naturalmente. Io la
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trovo una cosa tremenda. La cosa peggiore è che, in questo paese, i medici
cedono simili richieste. In questo, il Brasile si avvicina molto alla Colombia:
anche qui il cesareo viene visto come un modo per non deturpare la vagina e,
quindi, per accontentare il fidanzato o il marito dai gusti particolarmente
«ristretti».
In realtà, non ci sarebbe nemmeno bisogno di scomodare l'America Latina. Un
articolo apparso sul Pais del 24 aprile 2005, intitolato «Cesarei: superflui?»,
spiega che in Spagna il 25 percento dei parti avviene mediante taglio cesareo,
nonostante le cifre raccomandate dall'Oms non debbano superare il 15 percento.
Agli inizi degli anni Novanta, la quantità di parti cesarei si limitava al 13,6
percento, quasi la metà di quelli praticati oggi.
Inutile ricordare che un parto cesareo è doppiamente pericoloso e doppiamente
caro rispetto a un parto vaginale. Non solo per il costo dell'intervento, ma
anche per i giorni di ricovero. Forse è proprio per quest'ultima ragione che il
quaranta percento dei parti effettuati nelle cliniche private spagnole avviene
tramite cesareo. Come fanno notare gli articoli già citati, una donna che
partorisce naturalmente può tornare a casa dopo due giorni. Nel caso di un parto
cesareo, invece, è necessario un ricovero di una settimana.
Di questo passo, viste le nuove «tecniche» di ricostruzione della vagina, ho
paura che, se continuiamo a rivendicare che i nostri orgasmi sono tutto fuorché
vaginali, qualche furbetto si senta legittimato a trascurare la nostra clitoride
e a escogitare un modo per «impiantarci» in vagina chissà quale terminazione
nervosa pur di indurci a un orgasmo. Può sembrare fantascienza, ma io non lo
vedo così impossibile. Se le cose non cambiano, è probabile che un giorno si
arrivi anche a questo.
Farci stringere la vagina significa accettare che il nostro corpo abbandoni la
condizione di viaggiatore per diventare turista, significa continuare a pensare
che il sesso sia sinonimo di penetrazione. Significa sopportare passivamente
l'idea che la sessualità sia in sostanza genitale e maschile. Non condanno la
trovata del dottor Matlock: in alcuni casi, se c'è un problema o un disagio, può
anche avere la sua utilità. Ma se è finalizzata solo a migliorare i rapporti
sessuali, non riesco a togliermi dalla testa un'idea. Cioè che accettare una
cosa del genere sia come affermare che la sessualità ha dei limiti, delle
frontiere e delle restrizioni ben precisi.
Quanto al punto G, continuo a pensarla allo stesso modo. Quando avrò finito di
scrivere questo libro, può darsi che non abbia niente di meglio da fare che
grattarmi le p... Forse andrò in California a provare il G-Shot. Se funziona,
prometto che vi terrò informati.
Infermiere sessuali La prostituzione come terapia
«Dobbiamo essere indulgenti con le prostitute, smettere di stigmatizzarle e
prendere spunto dal loro mestiere per inventare nuovi modi di amare. Perché non
trasformiamo le professioniste che lo desiderano in "terapeute sessuali"?»
Il linguaggio come fonte di problemi
Sono sempre stata convinta che la maggior parte dei nostri problemi derivi
essenzialmente dal linguaggio, dal vocabolario, dalla semantica. Una parola,
un'espressione usata male o con connotazioni peggiorative può dare adito a
grandi fraintendimenti. In fin dei conti, l'origine di un problema risiede
proprio nel fatto di considerarlo come un problema.
Un'altra caratteristica degli occidentali è il pensiero dualista e manicheo,
consistente nel vedere tutto bianco o tutto nero. Siamo sempre contro o a favore
di qualcosa, e spesso dimentichiamo che esistono i livelli intermedi, le
«sfumature» (il luogo in cui, secondo Wilde, risiedeva l'intelligenza). Di un
determinato argomento vediamo quasi sempre i prò e i contro, ma sfortunatamente
non contempliamo mai l'idea che possano essere entrambi fonte di ricchezza, a
seconda delle circostanze.
Quando parliamo di prostituzione, la prima cosa che ci viene in mente è lo
stereotipo della donna vittima, che vive in condizioni assolutamente disumane.
Di donne così ce ne sono, e molte. E quelle che si ribellano e chiedono che
venga loro riconosciuto il diritto di esercitare regolarmente il loro mestiere
vengono caldamente esortate e a dedicarsi ad attività più «convenzionali». Non
abbiamo mai pensato che guardando da un'altra prospettiva quello che la società
considera un problema, riusciremmo a ricavarne molte cose positive. L'uso del
corpo come terapia potrebbe essere una di queste prospettive, che solo pochi
eletti hanno capito e che cercherò di spiegare in questo capitolo.
Terapie erotiche
Quando ci parlano della Danimarca, oltre che alla Sirenetta di Andersen,
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pensiamo automaticamente a un luogo in cui le libertà individuali vengono
rispettate. Nulla di ciò che riguarda la sessualità è mal visto. Anzi: la
pornografìa ha smesso di essere considerata un reato a metà degli anni Settanta,
e gli omosessuali possono sposarsi dal 1989. Probabilmente alla nonna di
Andersen sarebbe piaciuto vivere nella nostra epoca, visto che, a quanto si
dice, di mestiere faceva la prostituta. In Danimarca, infatti, la prostituzione
è assolutamente legale, e si contano circa seimila professioniste.
Ai miei esordi come prostituta, prima di iniziare a lavorare a Barcellona, lessi
un po' di annunci su alcuni quotidiani spagnoli. Era la primavera del 1999. Uno
di quegli annunci cercava ragazze disposte ad andare a Copenaghen per offrire i
loro servizi sessuali in un'agenzia di incontri. Chiamai il numero di telefono
indicato. Sandra, la ragazza che mi rispose, aveva un soave accento colombiano.
Mi disse che a giugno, a Copenaghen, ci sarebbe stato il Festival di Musica,
un'ottima occasione per fare molti soldi. L'idea era quella di lavorare due mesi
al massimo, per dare ad altre ragazze la possibilità di guadagnare. Ma dovevo
decidere in due giorni, perché Sandra aveva messo insieme un gruppo di ragazze
spagnole che erano già d'accordo di trovarsi all'aeroporto per recarsi là tutte
insieme. Non accettai l'offerta. In quel periodo la mia vita personale era
incasinata, e non me la sentivo di lasciare la Spagna. Rimasi d'accordo con
Sandra che ci sarei andata un'altra volta. Lei mi lasciò il numero dell'agenzia
a Copenaghen, dicendomi che la persona che mi avrebbe risposto parlava uno
spagnolo perfetto. Sembrava molto interessata all'idea di lavorare con ragazze
che non avessero un fisico «nordico». Troppo banale per i danesi. Era per questo
che aveva pubblicato un annuncio sui giornali spagnoli.
Questa politica di estrema libertà sessuale fa sì che molti degli alberghi di
Copenaghen che si trovano nel quartiere a luci rosse o in zone vicine, come la
Stazione centrale o la via Colbjornsensgade, si facciano pubblicità puntando
proprio sulla loro posizione. In molti depliant turistici si legge: «Hotel C.E.,
a due passi dalla Stazione centrale, nel quartiere a luci rosse». O anche:
«Hotel C.H.E., in pieno centro città, di fianco a Vesterbrogade, a meno di
cinque minuti a piedi dal quartiere a luci rosse...». Qualcuno di voi conosce un
albergo spagnolo che si vanti di trovarsi nella zona del commercio sessuale? Io,
personalmente, no. La Danimarca non ha paura del sesso, non cerca di «ripulire»
le città dalle prostitute. Il suo livello di progresso dovrebbe farci invidia.
Con queste premesse, non è difficile capire perché il ricorso alla sessualità
come metodo terapeutico si sia potuto sviluppare, come vedremo più avanti,
proprio in questo paese.
A teorizzare il concetto di «infermiera sessuale», comunque, è stato uno
psichiatra originario di un paese vicino, la Svezia. Nel suo saggio The Erotte
Mmorities,7 Lars Ullerstam sostituiva alla parola «parafilia» l'espressione
«minoranza erotica», proponendo la creazione di centri specifici per soggetti
con gusti sessuali particolari, in cui questi avrebbero potuto realizzare tutti
i loro desideri senza sentirsi a disagio. Perche' questo servizio funzionasse,
era necessario ricorrere a terapeute in grado di soddisfare una domanda per cui
nessuna «infermiera tradizionale» era preparata. E così, lo psichiatra aveva
deciso di rivolgersi a prostitute. Non ho la più pallida idea di cosa sia
successo dopo, ma di certo questi centri hanno avuto vita brevissima. Molto
probabilmente, le pressioni dell'opinione pubblica hanno costretto il governo ad
arrendersi all'evidenza: la società svedese non aveva nessuna intenzione che il
proprio paese diventasse il «rifugio» di tutte le perversioni possibili e
immaginabili.
Nonostante il loro scarso successo, questi centri hanno posto le basi per
tutti i progetti futuri fondati sull'accettazione della terapia sessuale.
Approfitto di questo paragrafo per dirvi che attualmente, in Svezia, la
prostituzione è proibita. Il governo, che sta prendendo tutte le misure
necessarie per evitare che questa attività continui a svilupparsi, condanna però
soltanto i clienti, e non le donne che la esercitano, in quanto le considera
«vittime». In questo paese tira un'aria così ostile che gli svedesi, ovviamente,
fanno di tutto per fregare il sistema. Forse le autorità credono di aver
«sconfitto» la prostituzione, ma la realtà è ben diversa. Semplicemente, i
protagonisti del commercio sessuale si sono fatti più furbi: le prostitute
continuano a esistere, solo che non stanno più sul marciapiede. Da parte sua, il
governo stima che le donne che si dedicano a questa attività si aggirino
soltanto fra le duecento e le cinquecento. Quanto ai clienti, molti di loro
hanno scoperto che esistono altri modi per contattarle. E quelli che non li
hanno scoperti, vanno all'estero, soprattutto nel paese vicino, la Finlandia,
che conta su un numero oscillante fra le seimila e le diecimila professioniste.
Alla fine, con questa politica, la Svezia non fa altro che rendere più
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vulnerabili le sue meretrici (la stima ufficiale è ovviamente erronea), invece
di decidersi ad aiutarle. E tutto ciò per «ripulire» il paese, anche se si
tratta soltanto della facciata.
La notizia è esplosa agli inizi del 2005: gli istituti geriatrici danesi
avevano escogitato un metodo innovativo per migliorare la vita degli anziani, un
metodo che non aveva niente a che vedere con i medicinali o con l'attività
fìsica. La nuova terapia consisteva nel proiettare film pornografici e nel
ricorrere a vere professioniste, che, oltre ad offrire le loro prestazioni
sessuali agli anziani, li avrebbero spogliati, lavati e rivestiti dopo
l'incontro erotico.
La cosiddetta pornoterapia ha spianato la strada alla sessoterapia, ovvero il
ricorso al sesso a scopi terapeutici. Questo innovativo sistema è stato avviato
per la prima volta nell'istituto geriatrico di Thorupgarden, a Copenaghen, su
proposta del Consiglio degli anziani. La direzione, anziché spaventarsi, ha
accolto immediatamente la petizione. A quanto pare, i risultati sono
sorprendenti. Gli anziani che si affidano a questa terapia rivelano un tasso di
violenza molto più basso di quelli che non la seguono e riducono notevolmente il
consumo di medicinali. Un dato che di sicuro non piace per niente alle case
farmaceutiche.
Negli ultimi mesi, la pornoterapia si è diffusa in molti altri ospedali
geriatrici e in diverse case di riposo sparsi in tutto il paese. Ovviamente non
si tratta di una terapia obbligatoria. Tuttavia, stando ai medici danesi, sono
sempre di più gli anziani che la richiedono. Attualmente, a beneficiare di
queste terapie erotiche sono soltanto gli uomini, ma si prevede che presto
verranno estese anche alle donne.
Le professioniste che vengono ingaggiate dagli ospedali geriatrici sono
perfettamente all'altezza della situazione perché ricevono una formazione
apposita per riuscire a soddisfare le necessità fondamentali di un signore
anziano. Il che equivale a dire che il loro ruolo va molto al di là di un
semplice rapporto sessuale.
Questo tipo di trattamento è stato accolto così bene all'interno del paese che
lo stesso ministero della Salute e degli Affari sociali danese ha redatto un
dossier completo contenente un elenco di suggerimenti e consigli per permettere
ai cittadini della terza età di avere rapporti più soddisfacenti: in sintesi, un
manuale di istruzioni su come fare sesso in età avanzata.
Sesso al di là dell'handicap
Qualche tempo fa, la Svizzera si è prestata con successo a un esperimento:
formare un gruppo di lavoratori sessuali (sei donne e quattro uomini), fornendo
loro le basi terapeutiche necessarie a soddisfare i bisogni sessuali di persone
affette da handicap mentale. Dopo l'adozione della pornoterapia e della
sessoterapia negli istituti geriatrici, la Danimarca ha deciso di riprodurre il
modello elvetico con un programma specifico destinato a sollevare parecchie
polemiche: il programma «Sesso al di là dell'handicap». Attraverso
quest'iniziativa, il governo finanzia un determinato numero di prostitute
affinchè, una volta al mese, abbiano un rapporto sessuale con disabili mentali.
La filosofia su cui si fonda l'intero progetto è che la sessualità rappresenti
un aspetto molto importante nella vita delle persone, anche di quelle portatrici
di handicap. Per sottoporsi al programma, queste persone devono essere
accompagnate da chi solitamente si prende cura di loro, in modo che la
professionista riesca a capirne chiaramente le aspettative e i desideri.
Come accennavamo, il programma è stato oggetto di accese critiche, soprattutto
da parte dei partiti danesi all'opposizione. I quali ritengono che finanziare
programmi di questo tipo con i soldi dei contribuenti sia assolutamente
immorale.
Proprio in questi termini si è espressa la portavoce del Partito
socialdemocratico, Kristen Brsosbol. Ma perché i politici reagiscono in modo
così violento all'idea che la prostituzione venga messa al servizio delle
persone affette da handicap? Forse queste persone non hanno il diritto, come gli
anziani degli istituti geriatrici, di usufruire della sessoterapia? Perché,
anziché parlare in termini di «immoralità», non pensiamo in termini di
benessere, e non la smettiamo di emarginare i più svantaggiati? Nelle
dichiarazioni della Brsosbol si avverte una netta differenziazione tra il
diritto al benessere di una persona sana e quello di una persona affetta da
handicap. La sessualità di quest'ultima sembra semplicemente non esistere. Forse
i disabili sono cittadini di seconda classe?
Il presidente dell'Associazione danese dei disabili, Stig Langvad, ha
replicato alle affermazioni di Kristen Brsosbol sostenendo che «noi disabili
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dobbiamo avere le stesse possibilità delle altre persone. I politici dovrebbero
chiedersi se la prostituzione sia giusta o meno in generale, non se sia giusto o
no che i disabili vi abbiano accesso».
In effetti, se si critica un programma specifico, perché non si fa la stessa
cosa con quelli già in corso? La risposta, benché non venga detta a voce alta, è
davvero deplorevole: perché sesso e handicap non possono andare d'accordo.
La mia esperienza come infermiera sessuale
Nel periodo in cui lavoravo per la casa di appuntamenti di Barcellona, mi
capitò, senza saperlo, di fare da infermiera sessuale in quattro occasioni. Di
trovarmi, in sostanza, non tanto a offrire servizi sessuali veri e propri,
quanto piuttosto ad aiutare alcune persone a vincere le loro paure nei confronti
dell'atto sessuale o a scoprire nuove zone erogene di clienti affetti da qualche
malattia di origine fisica o psicologica. In tutti questi casi, che fra poco
racconterò in dettaglio, l'esperienza si rivelò molto gratificante, sia per il
cliente sia per me: una volta superati alcuni ostacoli, si vennero a creare
legami emotivi così belli e intensi che difficilmente potrebbero essere
ripetuti. Se queste persone avessero avuto un incontro «sessuale» (anche se ne
dubito fortemente, visto il loro sistematico rifiuto) con una donna non
professionista, l'eventuale insuccesso si sarebbe potuto rivelare davvero
traumatico per loro.
Inigo, 26 anni, tetraplegico
Dovevano essere più o meno le undici di sera. Dopo aver risposto alla chiamata
di Inigo, la responsabile della casa d'appuntamenti per cui lavoravo mi disse di
prepararmi in fretta perché c'era un cliente della parte alta di Barcellona che
richiedeva i servizi sessuali di una ragazza particolarmente «affettuosa». Non
aggiunse altro. Tutto quel mistero non mi incuriosì particolarmente.
Il portone elettrico, aprendosi, risuonò clamorosamente nella notte. Io ero
assolutamente tranquilla e di buon umore. Ormai, era qualche mese che facevo
quel lavoro, e lo padroneggiavo completamente. Suonai il campanello molto sicura
di me, senza sospettare neanche lontanamente quello che avrei scoperto di lì a
poco. Inigo mi aprì, seduto su una sedia a rotelle, e mi sorrise. Immagino che
si fosse esercitato parecchio a sorridere, per paura che mi spaventassi e me la
dessi a gambe. A essere sinceri, se non mi avesse sorriso, forse mi sarei
rifiutata di entrare. Non per altro, ma avrei anche potuto pensare di non essere
preparata a quel tipo di incontro. Ma il suo sorriso e l'allegria che gli si
leggeva in volto bastarono a farmi entrare. A spingermi non fu la compassione.
Era successo tutto troppo in fretta. Semplicemente, il senso di umanità ebbe la
meglio sui pregiudizi e sull'idea dell'atto sessuale convenzionale, che, come mi
anticipò lui, non avrebbe avuto luogo.
Guidava quella sedia a rotelle meglio di chiunque altro. Neppure io mi reggevo
così bene sulle mie gambe. Mi fece entrare subito in salotto, visto che, a suo
dire, la camera da letto «non serviva a niente». Inigo dette prova di un
grandioso senso dell'umorismo. Era imprigionato su quella sedia da quando aveva
diciassette anni, per via di un incidente in moto. Aveva perso la sensibilità in
tutto il corpo, salvo che nelle mani e nel collo.
La cosa più difficile fu prenderlo in braccio e togliergli i vestiti. Io facevo
moltissima attenzione, sebbene lui continuasse a ripetermi di non avere paura.
Non potevo fargli male, visto che non sentiva assolutamente nulla. Ma io provavo
un profondo rispetto per quel corpo atrofizzato da un terribile incidente, per
quel corpo che non parlava come gli altri.
Mi confessò di rivolgersi spesso a servizi di prostituzione per avere qualche
contatto fisico, visto che nessuna ragazza gli dava retta. Trascorsi un'ora ad
accarezzargli le mani e a dargli bacini sul collo. Quella sera imparai molto,
più di lui. Capii che il sesso è nella nostra testa, non nei nostri genitali. E
lo sperimentai in prima persona.
Stefan, 24 anni, ipocondriaco
Stefan avrebbe potuto essere il ragazzo più invidiato del mondo. Giovane, bello,
ricco, con una fortuna alle spalle che due o tre generazioni non avrebbero fatto
in tempo a dilapidare. Il suo unico problema era l'ossessione per i virus e i
batteri. Non aveva mai avuto una fidanzata, visto il suo terrore morboso di
contrarre una malattia venerea. Stefan aveva un nonno davvero speciale, che
sapeva del problema del nipote ed era convinto che, più che consultare tutti gli
psichiatri della città, il modo migliore per risolverlo fosse metterlo di fronte
alle sue fobie. Per questo, due volte alla settimana, contattava prostitute
perché passassero qualche ora con lui nella magnifica casa che gli avevano
regalato i genitori.
Sebbene fossi stata messa in guardia, il mio primo incontro con Stefan fu un
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po' movimentato. Il nonno mi aveva avvertita che sulle prime reagiva sempre
abbastanza male, ma che poi finiva regolarmente per far entrare la prostituta e,
in alcuni casi, per averci un rapporto. Il nonno pagava in anticipo. Così,
Stefan non aveva l'impressione di trovarsi di fronte a una professionista, visto
che non c'erano scambi di denaro.
La prima volta che mi aprì la porta, la sua reazione non fu per niente simile
a quella di Inigo. Mi fece entrare nell'enorme disimpegno di casa sua con un
atteggiamento un po' sprezzante. L'accordo era che, una volta entrata, non avrei
dovuto forzare le cose. Prima avremmo dovuto parlare. Se poi fossimo finiti a
letto, tanto di guadagnato. Ma non era indispensabile. Stefan non era una
cattiva persona, e tanto meno violenta, ma opponeva resistenza ogni volta che un
«corpo estraneo» entrava nella sua vita. Stabiliva sempre una distanza minima
(tre metri circa) tra lui e le donne. Anche con me fece così. Mi offrì qualcosa
da bere e poi iniziammo a chiacchierare. Il nonno era stato chiaro: se c'era
feeling, avanti senza problemi. Ma Stefan doveva lanciare un segnale esplicito.
Io mi ero portata preservativi e guanti di lattice; nel caso in cui fossimo
passati all'atto carnale, me li sarei dovuta infilare prima di toccarlo. Se mi
avesse proposto di avere un rapporto, mi sarei dovuta anche fare una doccia con
un sapone speciale, uno di quei disinfettanti che usano i chirurghi prima di
entrare in sala operatoria.
Stefan non fu un caso facile. Dopo aver rotto il ghiaccio, gli chiesi di
potermi lavare, proprio come mi era stato detto di fare. Lui mi portò in un
bagno che non usava nessuno e mi chiese, una volta finito, di gettare gli
asciugamani usati in un cesto perché la donna delle pulizie li lavasse. Uscita
dalla doccia, mi infilai quegli scomodi guanti di lattice. Il minimo errore da
parte mia avrebbe potuto provocargli una crisi d'ansia. In quel caso avrei
dovuto chiamare un numero di emergenza che mi avevano dato ma che, mi avevano
assicurato, serviva solo in casi rarissimi. Il contatto erotico fu rapido, un
po' tormentato (non voleva che lo si toccasse in alcune parti del corpo), ma
alla fine andò tutto bene.
Il nonno mi fece tornare altre tre volte a casa di Stefan, non perché fossi la
migliore, ma perché parlavo la sua stessa lingua. Più che il sesso in sé, fu
fondamentale la comunicazione perché il ragazzo riuscisse momentaneamente a
superare la sua paura del contatto fisico.
Alberto, 90 anni, anziano
Alberto non era di Barcellona, ma della Galizia. A novant'anni, continuava a
viaggiare più che poteva. Quella notte si fermò al Princesa Sofìa, in una delle
suite più lussuose. Per passare una nottata piacevole, dopo aver cenato con
alcuni amici, chiese la compagnia di una ragazza. Arrivai avvolta in un cappotto
di cachemire color pistacchio che nascondeva un vestito cinese sbarazzino. A lui
piacque molto, e mi fece entrare immediatamente, con un luccichio furbetto negli
occhi. Si vedeva che aveva vissuto molto, e anche che ne sapeva parecchio in
fatto di donne. Prima di incontrarlo, non avevo idea di quanti anni avesse. Lo
trovai un uomo dolcissimo e meraviglioso, perché, anziché saltarmi addosso come
fanno quasi tutti per approfittare al massimo del tempo a disposizione, chiamò
il servizio in camera per chiedere qualcosa da mangiare e una buona bottiglia di
vino rosso. Forse pensava che non avessi cenato. Appena sentì il mio accento
francese, dette per scontato che amavo il vino rosso. Alberto voleva piacere e
sedurre come quando aveva vent'anni.
Sebbene non avessi paura di andare a letto con un signore anziano, devo
riconoscere che nutrivo moltissimo rispetto per la sua età. Non ho mai pensato
che la sessualità muoia con gli anni. Credo che invecchiando, in realtà, ci si
goda tutto molto di più, perché si ha molta più esperienza e si è meno
stressati. Quando si arriva a una certa età, si lascia da parte l'ansia da
prestazione e si lascia affiorare il vero erotismo. L'unico problema è di tipo
«corporeo». In una società in cui impera il culto della giovinezza, un corpo
flaccido e pieno di rughe non è per nulla attraente. E poi bisogna fare molta
attenzione ai problemi di salute. Con gli infarti non si scherza.
Il rapporto che ebbi con Alberto fu molto tenero, privo di volgarità, a
malapena genitale. Il suo corpo non reagiva più come a vent'anni. Ma importava
poi molto, in fondo? Lo sanno tutti: quello che conta di più, per noi donne,
sono le carezze; per i momenti più «fallici» si può sempre ricorrere a un
vibratore. Vidi Alberto solo una volta, e spero che gli restino ancora molti
anni da vivere per riuscire a godersi altri momenti di piacere, come quella
notte.
Miguel, 45 anni, vergine e misogino
Miguel era un imprenditore di successo. Era a capo di un'importante azienda del
paese e viaggiava spesso per lavoro. Non essendo sposato, e non avendo
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responsabilità familiari di nessun tipo, spendeva tutti i soldi che guadagnava
dallo psichiatra e con le prostitute. Miguel non amava granché le donne, ed era
vergine proprio per questo motivo (ma non aveva neanche tendenze omosessuali).
Tuttavia, era consapevole di avere un problema e di doverlo risolvere. La sua
era più che altro mancanza di fiducia in se stesso, una sorta di paura nei
confronti del corpo femminile e delle donne in generale.
Fu il suo psichiatra a consigliargli di avere rapporti con prostitute. Così,
ogni volta che poteva, si faceva raggiungere in albergo da una professionista.
Quando fissammo il nostro primo appuntamento, pensavo che si trattasse di una
persona sgradevole. Ma mi sbagliavo. Scartò subito l'idea di andare a letto con
me (l'atto sessuale gli faceva abbastanza ribrezzo), ma mi confidò di avere
fatto enormi passi avanti nei suoi rapporti con le donne. Ora accettava di
vederle nude, mentre qualche anno prima sarebbe stato semplicemente impensabile.
Mi chiese di togliermi i vestiti e di sdraiarmi sul letto a gambe aperte. Voleva
assicurarsi che il sesso delle donne non fosse pericoloso. E così gli dovetti
mostrare gli angoli più nascosti della mia vulva perché si rendesse conto che,
per quanto diversi, gli organi femminili erano comunque innocui. Senza saperlo,
gli tenni una lezione di anatomia femminile, per cui mi ringraziò calorosamente.
Se avesse fatto così con una conquista di una notte, sarebbe stato deriso da lei
e mandato a quel paese, e questo avrebbe aumentato le sue paure nei confronti
del sesso femminile. Non so che fine abbia fatto, ma una cosa è certa: se ha
continuato a chiamare le agenzie di ragazze, potrebbe anche avere risolto il suo
problema e magari, perché no, avere perfino una relazione stabile.
Sessuologhe «sessuali»
Quella dell'«infermiera sessuale» è una professione abbastanza recente, che fa
parecchio discutere. Tuttavia, c'è anche un'altra figura, molto meno nota ma che
esiste da più tempo: quella della sessuologa «sessuale». Mi riferisco alle donne
che si servono della loro esperienza nel campo del sesso, e a volte perfino del
loro corpo, per aiutare le persone che ne hanno bisogno. Qui esporrò il caso di
due donne che si dedicano a questa attività e che possono contare entrambe su
una rigorosa formazione accademica. Ho avuto il piacere di conoscerne una, per
caso, durante un convegno. Di solito, la professione del sessuologo è vincolata
alla medicina, e in particolare alle specializzazioni in psicologia e
psichiatria. Le due donne di cui vi parlerò ora si muovono completamente al di
fuori di questo schema tradizionale.
Annie Sprinkle: ex prostituta, pornostar, regista
e soprattutto sessuologa
Conobbi Annie Sprinkle a Oporto, in Portogallo, durante il
convegno «Sesso, arte e terapia» organizzato da Espac,o T. Ero
stata invitata a tenere un intervento ed eravamo sedute allo stesso tavolo dei
relatori, in un auditorium improvvisato all'interno di una chiesa modernista.
Era uno scenario surreale e un po' morboso, con un enorme Cristo appeso alla
parete che minacciava costantemente di cadérci in testa. Quell'immagine mi aveva
fatto sorridere, perché in fondo era una metafora di ciò che tutti temiamo: la
morale e il suo guardiano, la Chiesa.
Durante il mio intervento, Annie, che si trovava proprio di fianco a me, non
faceva altro che annuire. Dopo aver risposto ad alcune domande ed essermi
sentita dire che se avessi pubblicato i miei libri in Portogallo sarei stata
espulsa dal paese, a prendere la parola fu proprio lei, Annie Sprinkle. Il
curriculum di questa donna era davvero impressionante. Americana, originaria di
Philadelphia, fra i diciotto e i trentotto anni aveva lavorato ciclicamente come
prostituta, riprendendo l'attività ogni volta che ne aveva voglia. Nel 1978 era
finita in prigione dopo essere apparsa su una rivista oscena. Aveva recitato in
diversi film porno, prima di iniziare a girare i suoi. Quello che aveva fatto
più discutere era Deep inside Annie Sprinkle (In fondo ad Annie Sprinkle), del
1982.
A un certo punto, Annie si era stufata di recitare in film porno che la
obbligavano a sottostare a ordini maschili e a messaggi maschilisti. In quelli
realizzati da lei, l'«aggressore sessuale» era sempre la donna, non l'uomo. Nei
film porno tradizionali, gli uomini non lasciano alle attrici il tempo di
raggiungere un vero orgasmo, perché non lo giudicano una cosa importante. Annie
l'aveva fatta finita anche con questa consuetudine. E aveva organizzato degli
spettacoli dal vivo, come il Public Cervix Announcement (una sorta di
«condivisione pubblica della cervice»), in cui, con l'aiuto di uno specolo e di
una lampada, mostrava al pubblico la sua vagina. Le ragioni per farlo, secondo
Annie, erano queste:
La maggior parte delle persone non ne ha mai visto una da vicino, sebbene la
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vagina sia la porta che conduce alla vita e tutti gli esseri umani ci siano
passati.
La vagina non ha i denti e non morde, ed è giusto che la gente lo sappia.
Guardare una vagina è divertente, e divertirsi è importante.
Oltre ad avere pubblicato diversi libri, Annie aveva iniziato a lavorare come
sessuologa, dopo essersi laureata nel 2002 all'Università di San Francisco.
Questa donna straordinaria, tenacemente impegnata nella lotta contro la
stigmatizzazione sociale delle prostitute, dirige tuttora una fondazione
dedicata alle lavoratrici del sesso, l'Iswface (acronimo di International Sex
Worker Foundation for Art, Culture and Education), ed è una delle più note
portavoce dei diritti delle prostitute.
A Oporto mi consegnò l'Aphrodite Award, il diploma della sua fondazione, per i
servizi sessuali resi alla comunità. Inutile dire che conservo quel diploma con
molto affetto. Non appena troverò una bella cornice, lo appenderò con grande
orgoglio nel mio studio.
La dottoressa Susan Block: filosofa, show-woman e soprattutto sessuologa
Sebbene la conosca meno, la dottoressa Susan Block è una figura altrettanto
importante nel mondo della sessuologia. Laureata in filosofia all'Università di
Yale e sessuologa da più di dodici anni, partecipa a numerosi programmi
televisivi e, tramite la sua linea «sessuologica», offre un sostegno psicologico
via telefono a chiunque desideri trasformare in realtà le proprie fantasie
erotiche. Oltre a queste attività, la dottoressa Block tiene in diverse città
corsi e seminari di educazione sessuale. A Los Angeles, dirige un istituto che
lei stessa definisce «centro di esplorazione sessuale». Tra le sue specialità,
il trattamento delle cosiddette «vittime della repressione religiosa o di
un'educazione troppo rigida». E visto che lavora negli Stati Uniti, non dubito
che si stia letteralmente coprendo d'oro.
Al di là della sua innegabile componente «americana» un tantino spettacolare,
trovo che la fruttuosa trovata della dottoressa Block, molto simile ai nostri
telefoni erotici, sia di grande utilità in un paese come gli Stati Uniti, dove
la prostituzione è proibita in quasi tutti gli stati e la pornografia è
ufficialmente condannata, nonostante la domanda sessuale sia molto elevata.
Malgrado la sua stravaganza, la dottoressa Susan Block è la prova fatta persona
di cosa significhi vivere liberamente la propria sessualità. Oltre a condurre un
programma televisivo sul canale Hbo, partecipa normalmente a video porno insieme
ai suoi ospiti d'onore.
Alcune buone ragioni per diventare prostitute
Questo paragrafo farebbe da ottimo contrappunto a uno dei capitoli del libro di
Pascal Bruckner e Alain Finkielkraut, Il nuovo disordine amoroso, intitolato
«Mille e tre ragioni di essere clienti»8. Con tono spigliato, ironico, e con
argomentazioni profonde e brillanti, i due autori elencano i vantaggi
dell'essere clienti di un postribolo. Annie Sprinkle ha pensato di fare la
stessa cosa al contrario; io ho dato il mio piccolo contributo con alcune
precisazioni che ritengo fondamentali. Ecco l'elenco di ragioni elaborato da
Annie:
Le prostitute hanno la virtù di condividere con estranei le loro parti più
intime.
Le prostitute sfidano le consuetudini sessuali.
Le prostitute sono spiritose.
Le nrostitute fondano la loro attività sul dare piacere agli altri.
Le prostitute sono creative.
Le prostitute sono intraprendenti e hanno il coraggio di vivere
spericolatamente.
Le prostitute insegnano a diventare amanti migliori.
Le prostitute sono multietniche e multigender.
Le prostitute danno consigli fenomenali e aiutano gli altri a risolvere i loro
problemi personali.
Le prostitute si vestono in modo sexy.
Le prostitute sono pazienti e accettano le persone che gli altri rifiutano.
Le prostitute alleviano la solitudine.
Le prostitute sono indipendenti.
Le prostitute hanno un grande senso dell'umorismo.
Le prostitute allontanano lo stress e le tensioni.
Le prostitute sopportano i pregiudizi e le stigmatizzazioni sociali.
Le prostitute hanno talento che non tutti possiedono: non tutte le donne possono
essere prostitute.
Le prostitute che lavorano in proprio hanno a loro disposizione tutto il tempo
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che vogliono.
Le prostitute sono persone interessantissime e hanno vite appassionanti.
Le prostitute aiutano gli altri a esplorare i propri desideri.
Le prostitute esplorano i propri desideri.
Le prostitute non hanno paura del sesso.
Le prostitute sono divertenti.
Le prostitute sanno portare tacchi altissimi.
Le prostitute non hanno paura di mostrare la loro nudità.
Le prostitute aiutano i disabili.
Le prostitute aiutano la gente a guarire.
Le prostitute insegnano a praticare il sesso sicuro.
Le prostitute sono le portabandiera della lotta contro l'Aids.
Le prostitute aiutano gli uomini a sentirsi unici.
Le prostitute aiutano gli uomini ad accettarsi per quello che sono.
Le prostitute danno colore a una vita grigia e monotona.
Le prostitute permettono di pensare solo al piacere dell'uomo.
Le prostitute aiutano le persone a non sentirsi «sporche» per le loro fantasie
erotiche.
Le prostitute non costringono gli uomini a fingere per ottenere quello che
vogliono.
Le prostitute aiutano i matrimoni a funzionare, offrendo momenti di respiro sia
all'uomo che alla donna.
E, più di ogni altra cosa, le prostitute capiscono LA CONDIZIONE UMANA.
L'elenco potrebbe andare avanti all'infinito, ma mi fermerò qui. L'obiettivo era
quello di associare a precisi valori un termine spregiativo come quello di
«prostituta». Quando parlo di prostitute, ovviamente, mi riferisco a persone che
hanno deciso liberamente di esercitare quest'attività.
A quelli che criticano le prostitute perché non cercano di cambiare
professione, bisognerebbe rispondere che le prostitute sono donne realiste e
sanno perfettamente che il loro mestiere non smetterà mai di esistere: meglio
lottare per migliorare le proprie condizioni, quindi, che non illudersi su
un'improbabile sparizione del mestiere più antico del mondo. A chi le condanna a
ridurre l'atto sessuale alla più assurda forma di genitalità, poi, bisognerebbe
ricordare che questo modello corrisponde alla nostra cultura coitocentrica e
fallocentrica. Se siamo pronti a esplorare altri modelli di sessualità, sono
sicura che le prostitute, che sono donne intelligenti, saranno le prime a
impegnarsi e a offrire un esempio alla società.
Dobbiamo essere indulgenti con le prostitute, smettere di stigmatizzarle e
ripartire dal loro mestiere per inventare nuovi modi di amare. Perché non
trasformiamo le professioniste che lo desiderano in «terapeute sessuali»?
Le custodi dell'umanità perduta
Quando il modello danese delle infermiere sessuali è diventato di dominio
pubblico, tutti i quotidiani spagnoli hanno riportato la notizia. Senza
eccezioni. Tuttavia, sono stati davvero in pochi ad approfondire l'argomento. In
articoli più o meno corti, si diceva che la Danimarca aveva iniziato a
sperimentare un nuovo tipo di terapia all'interno degli istituti geriatrici,
iniziativa che la Spagna era ancora molto lontana dall'adottare. Tutto qui. Gli
articoli dicevano sempre le stesse cose, sembravano tante fotocopie di uno
stesso pezzo. Perché non ce n'è stato uno che si sia spinto al di là delle
informazioni diffuse dalle agenzie di stampa?
A meno di non sapere il danese, se si cercano informazioni sull'argomento,
internet serve a poco o a niente. Io ritengo che non gli sia stata data
l'importanza che merita. Il fatto è che, quando si tratta di dare delle idee,
nessuno sembra essere interessato. Maledetta condizione umana! La prostituta,
che è la persona che più ne sa in assoluto, è ritenuta pericolosa. Proprio
perché possiede questo tipo di informazioni.
Questo capitolo vuole essere un omaggio a tutte le prostitute che desiderano
esercitare liberamente la loro attività. Un omaggio alla loro generosità, al
loro coraggio e alla loro condizione di infermiere perennemente in lotta contro
i mali sociali. In questo mondo malato siamo tutti disabili, chi più chi meno.
Siamo disabili amorosi, e non sappiamo vedere nella generosità quel «di più» in
grado di arricchire le nostre vite. Non è il caso delle prostitute. Loro sono il
simbolo di una qualità umana che scarseggia, e che di solito non siamo nemmeno
in grado di riconoscere. Una qualità che tendiamo a rifiutare perché, in un
mondo sempre più individualista ed egoista, il contatto fisico è passato in
secondo piano. Per me, e sono assolutamente convinta di ciò che sto per
dichiarare, dire «prostituta» è sempre, in fondo, dire «qualità umana».
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note:
1 Tropea Editore 2005 (n.d.t.).
2 Tigresse bianche. Au service secret du Grand Timonier fa parte della serie di
fumetti francesi scritti e illustrati da Yann e Conrad e pubblicati dall'editore
Dargaud. [N.d.T]
3 Taurus, Madrid 2000.
4 Ivi,p. 183.
5 Informazioni tratte dal sito di Vera e Steve Bodansky
(www.extendedmassiveorgasm.com).
6 David L. Matlock, Sexby Design, DemiurgusPublications, LLC 2004; Dr. Spot,
Demiurgus Publications, LLC 2004. [N.d.T.]
7 Grove Press, New York 1966.
8 Garzanti, Milano 1979.
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