LA DEMOCRISTIANA DEL GRUPPO di Giuliana Colzi Io, invece, ho
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LA DEMOCRISTIANA DEL GRUPPO di Giuliana Colzi Io, invece, ho
LA DEMOCRISTIANA DEL GRUPPO di Giuliana Colzi Io, invece, ho incontrato prima Ugo e dopo l’Arca azzurra perché andai a vedere un suo spettacolo e mi entusiasmai. Allora mi divertivo in una filodrammatica alla Romola, mi sono avvicinata così al teatro. Un mio amico, il Dottor Paoletti ci disse che c’era uno spettacolo interessante a Empoli, di Ugo Chiti, se volete andare a vederlo vi potrebbe far comodo. Il Dottor Paoletti era della Romola ed è quello che mi ha avvicinata al teatro, era un medico, noi lo chiamavamo sempre dottore, ci teneva molto, era un grande amante del teatro, anche se il testo più moderno che proponesse era Augusto Novelli. Io ho debuttato con l’Acqua cheta, cose così, anche se fu proprio lui che mi consigliò di andare allo Shalom di Empoli, dove rimasi completamente abbagliata da questo spettacolo, cioè il Carmina vini. Abbagliata per due cose: una perché parlavano toscano e non era Novelli e non era l’Acqua cheta, lo capii subito, e poi rimasi colpita da una parola “s’eramo” che, siccome io ero contadina, di famiglia contadina, la parola s’eramo per me era una cosa normale, e la mia amica la Carmen che si recitava insieme, la mi riprendeva sempre, dicendomi che non la dovevo dire, perché non si può dire, è una cosa dialettale, siccome tu ora fai teatro, non la devi dire! E invece a me mi scappava e lei mi faceva la maestrina. Vado a vedere questo spettacolo e sento “s’eramo”. Uscii e dissi: – Madonna, hai visto, Carmen, allora? Non è italiano, però se serve per uno spettacolo!, perché io sono una un po’ attaccabrighe. Decisi che volevo parlare, volevo sentire chi era il regista. Andai a bussare ai camerini, venne una ragazza che ora non c’è più, e che io poi avrei sostituito, sono entrata grazie a lei. Venne li, mi aprì e chiesi del regista. Mi disse che non c’era. Chiesi se faceva qualche laboratorio, mi piacerebbe... Ma lei mi disse un “no”, secchissimo. No!!! – con la porta mezza aperta – è a numero chiuso. Chiuse la porta e si venne via. Però questa cosa mi era rimasta. Ne parlai molto con il Paoletti, mi era rimasta proprio dentro, fino a che, un giorno apro il giornale, dove c’era scritto che Ugo Chiti faceva un laboratorio all’Istituto dei ciechi. Io vado, lo dico a queste due mie amiche, loro meno convinte di me, io sentii un grande trasporto per questo testo, prima di tutto perché era in toscano, la parte finale della cena, che era una cosa strepitosa, che mi ricordava la mia mamma perché, ancora oggi ho la mia mamma, ha più di novant’anni, ed è il capostipite, e la patriarca. È lì, con tutti i capelli bianchi, non cammina ma è ancora molto forte. Insomma andai a questo laboratorio, era l’84. Solo nell’86, sarei entrata ufficialmente nell’Arca azzurra, ai tempi di Allegretto, anche se in realtà c’ero entrata già da prima, mi ricordo che Salvianti diceva: – Ma chi è questa cavallona? Sì, da prima, perché quasi subito feci un altro laboratorio ed era buffo perché ebbi una immediata e grande intesa con Ugo. Nel laboratorio c’erano anche tante ragazze, più giovani di me, io sono del ’51, per cui, non ho un amore adolescenziale per il teatro, ero già grande. Diciamo che è stata la scappatoia dalla mia vita, del matrimonio avevo una specie di smania e non capivo, allora trovai questa vena e cercai di buttarmi di brutto. Vedevo Ugo nel laboratorio, lo vedevo quando parlava, perché Ugo è un timido tutto sommato, mi guardava sempre come se volesse da me qualcosa, ma non come donna, come se volesse un’approvazione. Naturalmente la trovava sempre! Siccome io ero maestra di taglio, facevo collezioni, il mio lavoro era quello, nel laboratorio mi disse che doveva fare un progetto per “Firenze capitale della cultura”, e mi chiese di occuparmi dei costumi. Da lì incominciai a fare dei campioni. Lui univa diversi laboratori per fare tutto uno spettacolo, fu a quel punto che incontrai l’Arca azzurra, così di straforo, loro mi vedevano come “la cavallona”, e io feci una scivolata incredibile sul brecciolino, a casa di Patrizia Corti, me lo ricorderò sempre. Io, scattante, mi alzo, i ginocchi tutti rossi, ma mi alzo e via. Poi di “Firenze, capitale della cultura” non se ne fece niente, non andò in porto. Ricevetti una telefonata da Ugo. A Ugo gli era dispiaciuto molto il fatto che, io mi ero molto impegnata in questa cosa dei costumi, avevo fatto dei campioni, però soldi niente. Era già un segno, comunque. Ugo mi telefonò: – Ciao Giuliana, sono Ugo Chiti –. Io ero molto imbarazzata, non gli feci capire che ero contenta. – Sai – continua lui – si sta provando una cosa, uno spettacolo che si chiama Allegretto. Un’attrice mi va via, io avrei pensato a te perché mi sembri proprio giusta, e poi sai, la compagnia esce, ci saranno da fare delle recite, non so come sei messa. – Ugo vengo – dico io – e vediamo... Pensa che lui mi rinfaccia sempre che non fui granché entusiasta di questa cosa, ma era l’imbarazzo, talmente grande! Andai a prenderlo e feci veramente l’incontro con l’Arca azzurra e fu tosto, tosto. L’unica persona che mi si avvicinò un po’ a me fu la Manola – la moglie di Salvianti – ma il resto fu tutto difficile. Mi guardavano un po’ storto, forse perché venivo da Firenze. Loro erano tutti giovani, l’unico era Massimo un po’ più grande, ma le donne erano tutte molte timide, l’unica fu appunto la Manola che mi venne incontro con un po’ più di sorriso, di trasporto, poi, credo, un po’ forse per paura: – Chi è questa, chi non è questa? Poi quando Ugo mi fece fare la prova, credo che sia andato bene, Massimo che era il capo e capiva sempre tutto, capì che non ero una che poteva e voleva prendere il posto di altre, capirono che potevo fare la mia figura e che insomma non gli avrei dato una gran noia. Loro stavano provando lo spettacolo almeno da un anno, io arrivavo ed entravo, così! Ma dovevo sostituire un’attrice, che poi seppi era proprio quella che mi aveva aperto la porta allo Shalom. Io all’inizio ho avuto più contatto con Ugo e lui mi diceva sempre che lui mi aveva presa anche perché io facevo i costumi, diciamolo chiaramente, lui non mi ha mai illusa, mi ha sempre buttata uno scalino più in basso. Ma aveva ragione e questo penso mi abbia aiutata a crescere piano piano. Quando feci ad esempio Il Vangelo dei buffi, ero la mamma di Pietro, Ugo venne dietro a Fiesole nel camerino, per la prima volta mi abbracciò e mi disse: – Forse, potresti essere anche un’attrice, non ancora, ma... Mi abbracciò, io rimasi anche lì impietrita, perché non sapevo se mi diceva la verità o se era l’entusiasmo della prima. Questo per dire del contatto, sempre molto forte, che ho avuto con Ugo. E poi tutta l’Arca azzurra, la conoscenza, sono stati anni stupendi. La conoscenza dello stare insieme, delle parole, il ritrovarmi in tutte le cosa che vivevo, grande emozioni per tanti anni. Poi, almeno da un decina d’anni, certe emozioni non ci sono più, ce ne sono altre, belle quanto vuoi, ma anche diverse. Abbiamo un’altra consapevolezza, altri tempi. Prima si provava il sabato e la domenica, ora siamo persone “impegnate”. Del resto ho lasciato sempre di più il mio lavoro, perché prima, tutti noi si facevano almeno due lavori. Ho continuato comunque sempre, anche per sopravvivere un pochino meglio, perché fare le attrici non è questa grande cosa. La mia mamma mi dice: – Ma come, tu hai le mani d’oro, una sottanina al giorno e..., me l’ha detto anche dieci giorni fa: – Fai una vita, ma chi te lo fa fare!. Tutto il mondo del teatro mi ha affascinata molto, io stavo molto zitta quando Ugo leggeva i testi, per esempio La provincia di Jimmy, si lesse a casa della Patrizia Corti, e loro: – Madonna, Ugo, che bel- lezza!, io zitta, mi sentivo un’ignorante, mi sembrava di non capire nulla, perché mi parevano cose così vissute, che non erano da farci uno spettacolo! C’è da dire che culturalmente non ero preparata, tante cose non le sapevo, per me è stata una conoscenza di tutto. Sentivo quelle cose così vicine, che delle volte mi potevano essere estranee, non so come spiegarmi. Quando Ugo mi vestì per la prima volta da contadina, che io mi guardai allo specchio e sembravo la mia mamma, ebbi un attimo di panico. Il mio babbo, proprio perché era contadino, non voleva assolutamente che i suoi figli andassero nel campo, perché erano gli anni che chi faceva il contadino era una cosa quasi penosa. E questo delle volte ti crea almeno paura, stai facendo uno spettacolo, ma da questo mondo da cui comunque ti hanno voluto portar fuori, sei voluta star fuori tu, ecco che ci ricaschi dentro, in qualche maniera. Alle volte mi sembrava di trovare delle parole, facendo gli spettacoli, dei modi di dire che io nella vita non avevo mai usati e che non mi ricordavo di aver sentiti. Era come se appartenessero a un DNA, a una cosa di questo genere. Ovviamente non è così, tu hai sentito una certa cosa, ti è piaciuta una volta e poi te ne sei scordato, ma nel cervello è rimasta. E succedeva esattamente questo, era proprio un ribollire, un venire su di cose, non era rivivere il passato, era vivere un presente dentro al quale queste cose potevano ancora vivere. Ad Ugo facevo sempre racconti un po’ fuori dal tempo, perché ero quella che lo accompagnava in macchina. – Tu mi sembri vissuta negli anni ’40, anzi negli anni ’30. Ma come fai ad essere del 1951? Io gli facevo dei racconti di quando avevo 14 anni, il ’68, che era per me il ’68? Eppure a Badia a Settimo siamo vicini alla città, forse perché non ho studiato, facendo solo la terza media e non andando a scuola, non lo sapevo questo. Io non sapevo niente. La mia famiglia era una famiglia patriarcale, con tanti fratelli e la mia mamma. Erano democristiani, per tutto un periodo io ero la democristiana del gruppo. Ma ho anche sempre rotto parecchio le scatole, anche ora le discussioni, persino con Ugo, perché io sono testarda, mi ci picco nelle cose: – A te ti hanno fatto la lobotomia! Quando Ugo descriveva i personaggi con la corona da rosario: io avevo questa mia zia, che diceva le sue preghiere, io facevo tutti questi racconti a Ugo, anche ora, non era memoria, io andavo da questa mia zia e la trovavo con il banchino che diceva le preghiere, non era memoria. Insomma è stato un vivere di tante emozioni, delle volte belle delle volte brutte. Però con Ugo c’è stata sempre una grande intesa. Anche per i costumi mi sono arrabbiata tanto, perché avrei voluto che lui credesse più in me, poi gliel’ho detto, ma lì per lì abbiamo fatto delle litigate incredibili, però per me è stata una grande scoperta. Anche con gli altri, quando siamo rimasti da soli, ci siam dovuti rimboccar le maniche, eravamo lì che si sfasciava tutto. Avevamo perso Patrizia Corti, avevamo perso il punto di riferimento dell’Arca azzurra, dove ci si trovava? Si giocava a carte. Quante chiacchierate con Ugo quando si veniva via, che loro non lo sanno nemmeno, ma mi diceva: – No, no tanto l’Arca azzurra è finita! Quante volte lo accompagnavo a casa e si stava lì delle mezz’ore: – Ma perché dici così, Ugo, ma ci siamo noi. Le persone si rifanno, tu hai la tua scrittura. Ugo veramente pensava che finisse. Poi ebbe come un cambio di orgoglio, di reagire, per dignità. Non credo che abbia ascoltato me, però è servito molto parlare di questo, mentre ora credo che ci voglia bene a tutti in un modo strepitoso, anche se siamo tutti più scoperti di allora. Ci conosciamo tanto, troppo. Ugo legge un testo, ci si guarda. – Ho visto come tu guardavi, ho visto come tu pensavi, ho capito. Ormai siamo scoperti anche negli sguardi, negli atteggiamenti, sono 25 anni che si vive insieme. Mi ricordo quando feci Allegretto, la prima volta, l’emozione, non credo che ci sia uno spettacolo a cui uno è legato, un personaggio ti può aver dato più o meno soddisfazione, ma il lavoro è sempre stato di grande energia, di grande amore sempre, anche quando, per esempio, io in Paesaggio con figure, dicevo poco più che “il pranzo è servito”, eppure l’ho fatto con entusiasmo, con sacrificio. Non so se ce la siamo dati noi come gruppo, o magari la scrittura, questa forza di credere fermamente in quello che si faceva, sempre. Io ho sempre fatto tutto con grande entusiasmo, questo lo devo dire. Sono legata più o meno ai personaggi, ma non a uno spettacolo più che ad un altro. Ora sto facendo questa Magliana, mi sta dando veramente tante soddisfazioni, però so che è un frutto di tanti anni, di una scrittura straordinaria di Ugo. Ugo non ti fa mai credere che è merito tuo e questo forse è un pregio anche se qualche volta si dice: – Ma guarda come è stronzo!, forse è un pregio, tutto sommato penso sia un pregio. Poi ho lavorato con Isa Danieli in Luparella e questo mi è servito molto. Vedere una donna, lei è veramente una prima donna, che controlla tutto, ho capito che anche noi, un vero professionista, deve far così. Mi ha insegnato molto, non ci si deve mai, mai, mai fidare degli altri. Mi ha insegnato a riportare, perché, alla volte, ti perdi. Quando tu duri tanta fatica come noi, si fanno spesso dei debutti e per cercare di risparmiare si torna la notte, anche da molto lontano. Questo mi ha aiutata anche a ricredermi, a non sentirmi proprio l’ultima: questo è il teatro, la fatica. Questo credo ci tenga anche insieme ed è per questo che ci credo ancora. Mi metto completamente a disposizione, con le cose che so fare, costruisco un costume molto complesso per Visita a Kafka e poi quello stesso costume viene totalmente ristrutturato per Amleto, perché avviene in una compagnia, è normale. Comunque con Ugo, per i costumi, ci siamo sempre molto presi, perché io pensavo di poter creare in prima persona, ma con Ugo non è così, è sempre lui che decide, anche se alla fine, se le cose poi non funzionano, può anche darti ragione. Lui ha le idee fin troppo chiare. Ho litigato di brutto quando abbiamo fatto Emma, ad Asti. Lui aveva preso un altro costumista e io mi sentii molto offesa. Io vengo da una scuola di taglio, non ho fatto l’istituto d’arte, per lui la cultura è essere andati a scuola, aver studiato per quella cosa. Allora mi disse che lui voleva delle cose diverse: – Se ti dico il Pontorno, tu non capisci. Io mi offesi tantissimo di questo e gli risposi che avevo la capacità di documentarmi immediatamente, me la presi molto, litigai per tanti motivi. Dopo ho accettato anche questo, è stata dura, ma l’ho accettato, perché per me ha contato sempre il pro- getto, comunque e sempre il progetto, anche se ho avuto un po’ di schiaffi. Veramente, ci ho sempre creduto e credo che, alla fine, Ugo l’abbia apprezzato; anche tra noi, mica son sempre state rose e fiori. Io credo che sia anche un miracolo che noi siamo ancora qui dopo 25 anni, con la voglia di fare e di credere in quello che si fa.