1 NON DIMENTICARE IL DESERTO Dt 8, 1-20 1. La

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1 NON DIMENTICARE IL DESERTO Dt 8, 1-20 1. La
Lectio divina 2007/2008
- Decanto di Rho
3 incontro
NON DIMENTICARE IL DESERTO
Dt 8, 1-20
1. La struttura e il contenuto
Il capitolo 8 del Deuteronomio è uno degli esempi dell’attività incessante di rilettura e di commento
dei testi biblici più antichi perché possano illuminare situazione nuove. Questo testo riprende Dt 6 che già è
un commento ai primi e fondamentali comandamenti formulati nelle “dieci parole” in Dt 5, 6-9. In
particolare Dt 8, 7-20 riprende e rilegge Dt 6, 10-14.
La struttura letteraria di questo capitolo si presenta elaborata con arte in una forma concentrica
evidenziata da alcuni termini chiave che ricorrono nelle parti che si corrispondono:
- 8, 2-6 e 8, 14-17 narrano l’esperienza di Israele nel deserto;
- 8, 7-10 e 8, 12-13 presentano la vita di Israele nella Terra promessa
- 8, 1 e 8, 11 e 8, 18-20 sono testi esortativi: in essi ricorre sempre il termine chiave “oggi”.
Si deve notare che i testi esortativi sono posti all’inizio, nel mezzo e alla fine. Essi richiamano la
situazione di Israele in ogni generazione: l’Israele che vive nella terra in una situazione di prosperità e
l’Israele che deve ancora entrare a prendere possesso della terra. La terra non è qualcosa di scontato, ma è un
dono da accogliere continuamente, un dono che si può perdere.
JHWH ha educato Israele nel deserto. Una volta arrivato nella terra promessa, il popolo non deve
dimenticare la lezione del deserto e dell’esodo. Se la dimentica rischia di perire: è ciò che JHWH annuncia
negli ultimi versetti del capitolo (vv. 19-20).
Questo invito sembra rivolgersi anzitutto a un popolo che vive nella prosperità ed è tentato di
dimenticare le esperienze del deserto. È assai probabile però che i destinatari di Dt 8 siano anche coloro che
si trovano in una situazione simile a quella del deserto, cioè in esilio, e debbano vivere un nuovo tempo di
prova e di educazione. Le lezioni dell’esilio, come quelle della errante permanenza nel deserto, non devono
essere dimenticate nel futuro se Israele vuole evitare altre sciagure. Non è forse la situazione dell’esilio in
Babilonia, che comporta la perdita della la terra, il contesto in cui nasce, almeno nella sua redazione
definitiva, il libro del Deuteronomio?
2. L’esperienza del deserto tra l’uscire e l’entrare
La storia delle origini di Israele è riassunta dalla stessa Scrittura mediante due verbi di movimento
usati, in genere, nella forma verbale causativa: JHWH ha fatto-uscire il suo popolo dall’Egitto, dalla casa di
schiavitù (Dt 8,14), e lo ha fatto-entrare nella terra promessa ai padri (Dt 8, 7). Tra questi due momenti si
inserisce un periodo assai lungo, il tempo del cammino nel deserto. Anche in questo caso la Scrittura usa un
verbo di movimento, sempre nella forma causativa: JHWH ha fatto-andare Israele nel deserto.
Perché JHWH ha voluto condurre Israele nel deserto “grande e spaventoso, ….terra assetata e
senz’acqua”? I redattori del Deuteronomio hanno presente la situazione di un popolo che vive senza la terra.
L’esilio viene letto alla luce dell’esperienza delle origini nel deserto. Da qui l’insistenza sul deserto (vv. 2-5.
15-16) come esperienza da ricordare o non dimenticare (vv. 2.11.14.18.19). Si tratta di custodire questo
evento nella memoria perché se ne capisca il significato e ad esso si acconsenta.
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Lectio divina 2007/2008
- Decanto di Rho
3 incontro
3. Il deserto come umiliazione e prova
In Dt 8, 2-3. 16 l’esperienza del deserto viene chiamata umiliazione e prova. Nel linguaggio biblico
un’esperienza difficile e rischiosa è presentata come una “prova”: essa consiste nel porre qualcuno in una
situazione che, proprio per la sua difficoltà, gli richiede una decisione che rivela chi realmente è. Una nuova
conoscenza sia da parte di Dio che da parte dell’uomo costituirà il frutto di questa esperienza educativa.
JHWH vuole conoscere “ciò che è nel tuo cuore, se tu avessi osservato i suoi precetti o no” (v. 2). Ma dalla
stessa “prova” Israele deve apprendere che “non di solo pane vive l'uomo, ma di tutto ciò che esce dalla
bocca di JHWH” (v. 3). È un tema sapienziale che troviamo in altri testi (cf Gen 22,1; Gb 1-2; Tb 2,10; Sap
3,5-6; Sal 119,75). Anche l’esperienza dell’esilio è letta in questa chiave: cf Sal 66,10-12.
Si tratta anzitutto della umiliazione della fame e della manna, ossia di una situazione di debolezza e di
miseria impotente, di una situazione in cui una persona adulta diventa come un bambino, il quale deve essere
nutrito dai genitori perché non è in grado di provvedere da solo alla propria sussistenza. Nel deserto la mano
dell’uomo, simbolo della sua capacità e del suo desiderio di agire, di essere autosufficiente, è ridotta ad
essere inoperosa. L’uomo non può fare altro che aprire la bocca per ricevere il dono dalla mano di Dio: “apri
la tua bocca, la voglio riempire” (Sal 81,11). Privato dei mezzi umani, l’uomo potrà forse capire che ciò che
fa vivere non è il pane, ma l’accettazione della sua parola, potrà imparare a vivere in un atteggiamento di
dipendenza da Dio. Il verbo “umiliare” può voler dire “far sentire ad uno la sua dipendenza”.
La manna stessa contiene in sé un interrogativo:“Man hu: che cos’è? (Es 16,14-15). È un cibo
sconosciuto, offerto ogni giorno nella giusta razione, come lo è l’acqua che disseta dalla roccia. Il cibo, il
vestito che non si consuma, i piedi che non si gonfiano durante il cammino faticoso, sono tutti segni di una
presenza, quella di Dio, che si fa vicina con segni modesti, discreti, ma efficaci. Come avvenne per Elia (1
Re 19, 6-8). È la spiritualità dei poveri del Signore (cf Sof 3,11-12), dei poveri in spirito, un’espressione che
compare più volte nei documenti di Qumran e che troviamo all’inizio delle beatitudini nel vangelo di Matteo
(5, 3). È l’atteggiamento spirituale di chi non pone la propria fiducia nelle ricchezze (così si comporta
l’empio), ma pone solo in Dio la sua fiducia e la sua speranza.
4. Il deserto come esperienza educativa
Se JHWH conduce nel deserto Israele, lo fa per insegnare, per educare: “Riconosci dunque nel tuo
cuore che, come un uomo educa suo figlio, così JHWH tuo Dio educa te” (v. 5). La stessa esperienza è
espressa con il verbo “portare” in Dt 1, 31: “Riconosci dunque che nel deserto JHWH tuo Dio ti ha portato
come un uomo porta il proprio figlio”. L’itinerario educativo è tracciato da quattro verbi: ricordare (vv.
2.18), non dimenticare (vv. 6.11.14.19), riconoscere / confessare (vv. 2.3), custodire / osservare (vv. 6.11).
La terra, in cui il popolo sta per entrare, è luogo di abbondanza, che richiama l’Eden (Gen 2,10-14):
abbondanza di acque sorgive, abbondanza di frutti e di pane, di ferro e di rame che garantiscono i mezzi di
difesa, belle case, molto bestiame, oro e argento. In questa situazione di fantastico benessere si può
dimenticare che tutto parla il linguaggio del dono, si può dimenticare JHWH, cadendo nel peccato
dell’orgoglio, il grande peccato secondo il salmo 19, per cui il cuore nella situazione di benessere è tentato di
attribuire alla propria intelligenza e alla propria forza ciò che può dare consistenza e senso alla vita. (v. 17; cf
Os 4,6: “perisce il mio popolo per mancanza di conoscenza”). Il ricordare di essere stati schiavi e di essere
stati liberati dalla mano di JHWH (v. 14), così come il ricordare la prova umiliante del deserto con la vittoria
operata da JHWH sulle potenze di morte (vv. 15-16), ha la finalità essenziale di porre come fondamento
dell’esistenza la presenza amorosa di Colui che desidera la vita e la felicità di Israele (v. 16).
La dimenticanza si manifesta concretamente nel non ascoltare la sua voce, nel non custodire i suoi
comandamenti (vv. 6.11.20).
Poiché JHWH tuo Dio “ ti ha fatto uscire dalla terra d'Egitto, dalla casa di schiavitù” (v. 14), tu non
“seguirai altri dèi e li servirai prostrandoti innanzi a loro” (v. 19).
Don Luigi Nason
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