EXPAT Storie di italiani nel mondo
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EXPAT Storie di italiani nel mondo
EXPAT Storie di italiani nel mondo Collana dedicata al dar voce a storie nuove di italiani che contribuiscono, con le loro rinascenti esperienze di “diaspora” ai quattro angoli del pianeta, a ravvivare la vera partecipazione dell’Italia alla vita del mondo: storie non di “emigrazione” ma di cosmopolitismo, un ingrediente che da almeno vent’anni sembra essere scomparso dal patrimonio culturale e dalla prospettiva di visione del nostro Paese, soffocato in una impoverita e asincrona visione autocentrica della propria identità. Prefazione dell’Editore L’incontro con il blog “Mamme nel Deserto” è la storia di una fulminazione, e una intuizione, immediate: è bastato poco più del titolo, accompagnato da una rapida scorsa dei primi post, a farci innamorare di queste due blogger in esportazione, due italianissime ex “donne in carriera”, giovani e brave, che sull’onda dell’amore e del senso di famiglia, lasciano i loro lavori in Italia e seguono i mariti (membri di quella genìa di valenti tecnici italiani che da decenni il nostro paese “esporta” nel mondo) dedicandosi anima e corpo al più difficile dei mestieri: quello di madri, oltre che di mogli. Gli elementi di originalità, nella loro storia di vita, sono infatti proprio questi: ambedue avevano un valido e affermato lavoro in Italia; ma ambedue hanno compiuto la scelta, apparentemente antitetica rispetto alle tendenze e aspirazioni del mondo femminile italiano post-femminista, di lasciarlo, quel lavoro, per seguire coi figli i propri mariti e dedicarsi completamente a loro. Non è dunque una delle ricorrenti vicende paradigmatiche di giovani italiani cui il proprio paese non offre adeguate opportunità lavorative, anche a fronte di studi qualificati, e che quindi se ne vanno all’estero a cercare miglior sorte e affermazione; non è una delle tante storie di nuova emigrazione. È un fattore discriminante fondamentale, questo, perché si è trattato di una scelta, e non di una necessità; una scelta, inoltre, compiuta da due donne moderne, laiche, progressiste, autonome, pienamente emancipate, e non maturata nel quadro di una “ideologia della famiglia” derivante da una visione “tradizionale” della vita. Una scelta in piena controtendenza ideologica rispetto alle loro stesse matrici culturali, ma che non viene motivata, praticata e sostenuta psicologicamente come esperienza di reflusso, di regresso ad una condizione femminile di soggiacente dipendenza maritale e familiare: è invece espressione della voglia nuova e rinascente di far famiglia in una società, quella contemporanea, sempre più frammentata e sofferente; di far famiglia per avere l’opportunità sempre più rara di crescere ed educare in prima persona i propri i figli, invece di demandarne la formazione evolutiva di base a nidi, asili e baby-sitter; di far famiglia per arginare la trasformazione sempre più profonda dei lavoratori – anche nelle fasce tecniche e dirigenziali più alte – in pedine depersonalizzate, da muovere come semplici beni strumentali sullo scacchiere occupazionale planetario… Insomma, due donne forti, simpatiche, piene di grinta e buona volontà, decise a viversi pienamente le scelte familiari anche lottando contro i fattori ambientali, lanciandosi nel mondo e planando in un deserto di petrodollari dove tutto, della loro nuova vita, dev’essere riprogettato, riconfigurato e rifatto a propria misura. In perfetta sintesi definizionale, due mamme nel deserto. La decisione di trarne un libro-testimonianza di cosmopolitismo, che a partire dai post del loro seguitissimo blog ne rielaborasse un prodotto editoriale organico, un originale primo contributo a questa nuova Collana “EXPAT - Storie di italiani nel mondo”, è stata dunque immediata. Il loro raccontare, in una sorta di diario che della quotidianità rende conto come se chattassero con gli amici e gli ex colleghi in Italia, non ha pretese letterarie: non c’è l’aspirazione a fare letteratura di viaggio alla maniera anglosassone; non ha Chatwin come riferimento; certamente questo libro non è un romanzo. Non ha neppure esplicite ambizioni sociologiche: non propone riflessioni che attraverso il vissuto personale e familiare giunga a delineare criticamente un rapporto fra culture e mondi molto diversi; non compie analisi comparative. “Mamme nel deserto” è un diario a due voci, che racconta con freschezza, con semplicità, con un entusiasmo e un candore spesso disarmanti, commoventi, talvolta ironici, talaltre esilaranti, come due giovani nuclei familiari, e soprattutto la componente materna e filiale di questi nuclei, guadagnino pian piano, giorno per giorno, attraverso uno sciame di piccoli accadimenti del tutto quotidiani, privi di ogni crisma di eccezionalità, una dimensione di partecipazione cosmopolita al vivere. I bimbi che crescono nel bilinguismo, cui sommano il trasferimento l’un l’altro degli idiomi dei rispettivi paesi d’origine, in una sorta di deliziosa micro-babele infantile; la rapida trasformazione della iniziale solitudine di chi è per la prima volta all’estero, in una rete di rapporti fatto di lingue, nazionalità, razze, storie individuali tutte diverse, scoprendo che sono tutte interessanti, tutte accessibili, tutte in fondo prossime; le difficoltà, ma anche le opportunità umane, nei rapporti col difficile mondo musulmano degli Emirati, nel quale vanno riconsiderati o visti sotto una luce diversa tutti gli aspetti, anche quelli divenuti più automatici e ormai inconsapevoli, dei nostri comportamenti occidentali; il diverso uso del tempo quotidiano, quando esso diviene di colpo la risorsa più abbondante della vita, e si pone la necessità di amministrarlo non in termini di intensità, ma di contenuti (compresa la produzione stessa di quei contenuti)… Mamme nel Deserto ci racconta di tutto questo, facendoci entrare pian piano nelle loro vite: prima un po' imbarazzantemente come estranei, poi come curiosi, poi come conoscenti che presto divengono amici, infine come parte di quel loro mondo e di quel loro progetto di vita, come se lo stessimo davvero vivendo anche noi. La forza e la leggerezza di questo coinvolgimento sono funzioni direttamente proporzionali della sua verità: tutto è vero, tutto è narrato con la semplice gaia confidenza degli amici che si raccontano l’un l’altro le cose; c’è una condivisione di codici di quotidianità così sincera, così soggettivamente identificante, che la loro esperienza riesce a trasferirsi nelle nostre coscienze in modo totalmente spontaneo e naturale; e alla fine Drusilla e Mimma sono davvero le nostre care amiche in Kuwait, i loro bimbi sono compagni di giochi dei nostri, e una volta finito il libro, pensiamo “la prima volta che tornano in Italia, vado a trovarle! Non vedo l’ora di rivederle…”. Giovanni Tavano