la_tarda_profezia_e_l_apocalittica

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LA TARDA PROFEZIA E L’APOCALITTICA
Bibliografia
P. Sacchi, L’apocalittica giudaica e la sua storia, Paideia, Brescia 1990
J. Maier, Il giudaismo del Secondo Tempio, Paideia, 1991
J.J. Collins, The apocalyptic imagination. An Introduction to jewish apocalyptic
literature, Eerdmans, Grand Rapids 1998 (2^ ed.).
Introduzione
Il corso ha lo scopo di analizzare e comprendere l’epoca che va dal V-IV sec. a.C. in
poi, perché essa sembra costituire una svolta significativa nella storia dell’antico Israele.
Vi si registra innanzi tutto il passaggio dal periodo persiano a quello ellenistico con
conseguenze non solo sul piano socio-politico e culturale, ma anche su quello letterario.
Da tempo erano iniziate le grandi redazioni deuteronomistica (=dtr) e sacerdotale (=
P), che avevano sistemato l’autocomprensione d’Israele, o almeno di alcune élites che
avevano prevalso. Le redazioni, specialmente quella dtr, avevano toccato, oltre
all’ambito storiografico anche quello profetico e certamente il milieu culturale aveva
animato anche la composizione di altri scritti. La letteratura di questo periodo è tesa alla
conciliazione di antiche tradizioni con gl’influssi che promanavano dalla situazione
politico-culturale contemporanea, determinata dall’impero persiano prima e dai re
ellenistici dopo.
Noi concentreremo la nostra ricerca attorno alla sola area della letteratura profetica
tardiva: testi coevi di Isaia, di Ezechiele, di Sofonia, di Gioele, di Zaccaria e di Daniele.
Attraverso la formulazione letteraria saremo portati a gettare luce sull’orientamento che
andavano via via prendendo le traiettorie di pensiero della comunità israelitica, espressa
quasi esclusivamente dalla comunità giudaica.
Tali traiettorie concettuali, pur proseguendo un’eredità ideologica proveniente dal
passato, acquisivano però sempre più una fisionomia che dava corpo ad un nuovo modo
di concepire il mondo e la storia. Deuteronomismo, profezia e pensiero sapienzale
convergevano verso la creazione di quella che gli studiosi chiamano l’apocalittica.
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In realtà, siamo di fronte a una sindrome epocale che partiva innanzi tutto dallo spirito e
si esprimeva poi anche in scritti che solo in minima parte sono stati recepiti nel canone;
non per questo, le opere non canoniche o apocrife o intertestamentarie sono meno
importanti e meno degne di essere studiate, come del resto mostrano le attuali ricerche
di studio.
Sono queste concezioni, specialmente quelle profetiche, o concepite come tali dagli
scrittori apocalittici, che preparano il terreno a quel milieu d’immagini e di pensiero che
nutrirà il cristianesimo nascente stesso.
1. Panorama storico, sociale e culturale
a) Periodo persiano
(Maier, Il giudaismo, 53-73; W.D. Davies-L. Finkelstein (eds.), The Cambridge History
of Judaism, vol. 1, CUP, Cambridge 1984)
Il 587 a.C., data della caduta di Gerusalemme, aveva già costituito un punto di svolta
nella storia d’Israele. La nazione giudaita, cioè quella che in pratica aveva rappresentato
fino ad allora il resto d’Israele, aveva ricevuto un colpo terribile da cui sarebbe stato
molto difficile risollevarsi. In concreto, si sono formati due corpi etnico-culturali, quello
degli esiliati a Babilonia (golah) e quello dei rimasti in patria. Il primo ha continuato a
mantenere le sue caratteristiche di rigidità religiosa e giuridica allorché è tornato in
patria, il secondo ha cercato di conservare invece lo stato sociale che era riuscito a
costituire sulle rovine del regno meridionale. Il primo “partito” ha avuto però dalla sua
parte il governo persiano centrale, come dimostrano i libri di Esdra e Neemia. Anche se
poco ancora sappiamo di quel periodo, si può comunque asserire con una certa sicurezza
che la Golah ha avuto il sopravvento nell’insediarsi sia socialmente sia politicamente e
sia anche ideologicamente. Certo l’instaurarsi di una specie di teocrazia, cioè di un
fronte sacerdotale, ha tenuto conto anche delle persone esistenti e delle loro tradizioni e
convinzioni, con le quali ha cercato di venire a compromesso, sia pure per motivi
economici (più persone e gruppi significava anche più entrate per la giurisdizione del
tempio gerosolimitano). Fatto sta che, grazie anche alla politica del laico Neemia, il
territorio di Giuda e di Gerusalemme / tempio, ha acquisito uno statuto autonomo,
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decisamente senza più legami (se ve ne fossero stati) con Samaria come parte
preponderante dell’antica provincia babilonese al di qua dell’Eufrate.
Se Neemia ha provveduto allo statuto politico e amministrativo, il sacerdote Esdra si è
occupato dell’aspetto giuridico e religioso (oggi si direbbe anche ideologico). Anche se
non si sa ancora in che cosa consistesse la “legge di Esdra”, che alcuni studiosi
vorrebbero identificare col pentateuco, ma che è più prudente non definire troppo, come
raccomanda il Maier (Il giudaismo, 65s), dato che in quel tempo le tradizioni giuridiche
fluttuavano ed erano lontane dalla successiva lontana canonizzazione. Certo possiamo
pensare ad una raccolta legislativa che in buona parte si copriva con materiale
pentateucale e in parte con qualcosa d’altro, come testimoniano in maniera più o meno
diretta i documenti di Qumran (vedi ad es. la lettera halachica 4QMMT) (si veda per lo
status quaestionis dei testi pre-scritturali lo stesso J. Maier, Le Scritture prima della
Bibbia, Paideia, Brescia 2003).
Quel che comunque preme a noi sottolineare è che questo panorama politico ci presenta
una realtà nuova ben precisa: l’etichetta “Israele” è in pratica applicabile alla comunità
giudaica incentrata su Gerusalemme e sul suo santuario. La politica e la geografia sono
anche la base delle traiettorie ideologiche e / o teologiche.
b) Periodo ellenistico
(Maier, Il giudaismo, 176-237; W.D. Davies-L. Finkelstein (eds.), The Cambridge
History of Judaism, vol. 2, CUP, Cambridge 1989)
Questo periodo vede apparire all’orizzonte e insediarsi una nuova potenza mondiale che
avrebbe avuto ancora maggiori influssi sui destini del popolo giudaico. Sì, perché
Alessandro Magno prima e i suoi successori (i diadochi) dopo, non hanno solo
conquistato il territorio, ma sono stati forieri di una nuova civiltà, quella greca, che
amalgamandosi con la cultura locale, ha originato quel fenomeno epocale originale che
è stato l’ellenismo. Dal punto di vista politico, la nazione giudaica, dopo la conquista di
Alessandro Magno (332 a.C.), pur rimanendo ormai sempre soggetta, ha però dovuto
fare i conti alternativamente con i Tolemei (successori di Tolemeo) e con i Seleucidi,
subendo prima il dominio dei Tolemei (301-200 a.C.), poi quello dei Seleucidi (200163). Un colpo duro è stato inferto ai Seleucidi dall’avvento dei Maccabei, con i quali
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s’instaura il periodo di regno delle dinastia asmonea (163-63 a.C.). In tutto questo lungo
periodo, d’importanza centrale rimangono le figure sommo-sacerdotali, con le quali
dovevano fare i conti i dominatori e le stesse fazioni interne al giudaismo, compresi i re
asmonei.
2. Panorama letterario
a) Periodo persiano
La storia della nazione giudaica sotto l’impero persiano è anche storia di idee e di scritti.
Si è già parlato delle prime grandi sistemazioni giuridiche che avrebbero dovuto
legittimare la nazione giudaica dinanzi al governo centrale persiano. Dietro tali
operazioni vi erano senza dubbio degli orientamenti ideologici, in particolare quelli
prevalenti dei rimpatriati dall’esilio. Sono essi che hanno dato vita e formulazione a
tradizioni che erano il frutto di scelte ben precise, talvolta in ossequio al passato, ma
soprattutto conciliando il presente col passato o addirittura trasfigurando il passato,
riportandolo al presente e premendolo verso una restaurazione futura. È da questo
magma intellettuale che provengono anche rielaborazioni profetiche, che sono l’unico
linguaggio idoneo ad esprimere la restaurazione ideale del passato. Testi tardivi di Isaia
e di Ezechiele sono indicativi a questo scopo.
b) Periodo ellenistico
Non si possono certo operare delle cesure nel continuum della storia, ma senza dubbio
la nuova atmosfera culturale ha influito moltissimo sui trends ideologici del popolo
giudaico. Del resto, quell’ellenismo frutto dell’incontro tra grecità e oriente, aveva
introiettato anche alcuni aspetti figurativi e di contenuto della religione iranica
zoroastriana, la quale aveva un versante non secondario di natura escatologicoapocalittica. Questi fermenti culturali e religiosi, uniti al contesto socio-politico, hanno
prodotto un forte impatto sull’immaginario e sullo spirito giudaico. Una particolare
traccia di ciò si ha nei testi profetici più tardivi, nei quali gli studiosi rinvengono le idee
e appunto l’immaginario di una sensibilità nuova e radicale.
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3. L’apocalittica
3.1 La problematica
(Maier, 154-157; Sacchi, 34-48.79-98.99-130; Collins, 1-42)
«L’”apocalittica” è il sintomo letterario di una crisi della visione escatologica della
storia, sviluppatasi sulla base della concezione deuteronomica e in prosecuzione
dell’interpretazione dei messaggi profetici» (Maier, 157). Questa descrizione che ci dà il
Maier dell’apocalittica è una base sufficiente per sviluppare la trattazione di un tema
fondamentale non solo per la storia del giudaismo tardo-veterotestamentario e intertestamentario, ma anche per quella dello stesso cristianesimo, che all’origine è un
giudaismo della vasta galassia storico-culturale e religiosa inquadrabile nel periodo a
cavallo tra il III sec. a.C. e il I d.C.
L’apocalittica è un nome escogitato dagli studiosi per indicare un fenomeno le cui
espressioni letterarie evocano l’atmosfera e la struttura dell’Apocalisse del NT. In realtà,
l’apocalittica è un fenomeno complesso che abbraccia più livelli e che da molto tempo
tiene occupati gli studiosi attorno a una sua comprensione e definizione. Certo, non si
può più circoscrivere l’apocalittica al discorso circa il genere letterario: essa è di più.
Come affermano il Milik e il Sacchi, e in certo qual modo anche il Maier, benché questi
annacqui l’originalità dell’apocalittica giudaica facendone un fenomeno ricorrente nella
storia giudaica, l’apocalittica è un sintomo epocale, uno Zeitgeist, cioè un modo di
sentire di un’epoca pervasa dalla crisi. In questo senso avrebbe ragione il Maier nel
farne un fenomeno ricorrente anche in altri periodi, ma questo vale anche per la storia di
altri popoli (si pensi all’apocalittica medievale europea) e addirittura per la nostra
società contemporanea affetta da sindrome “apocalittica”. Solo che l’apocalittica
giudaica, così come si è sviluppata, ha una forte connotazione di originalità che è stata
produttrice di storia. Ed è ancora qui che torna utile la riflessione del Maier, quando
correttamente cita gli estremi sviluppi delle tradizioni deuteronomico-dtr che
s’intrecciano con l’evoluzione dei messaggi profetici (non bisogna dimenticare che la
stessa letteratura dtr è fortemente impregnata di carica profetica). Le riflessioni della
comunità giudaica, almeno in alcuni suoi gruppi elitari, a contatto con lo svolgersi degli
eventi, hanno proseguito con coerenza il loro movimento verso un estremo traguardo: la
storia ha un orientamento escatologico, anzi la storia va verso la sua fine. È il sintomo
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della crisi. Il tutto animato da pessimismo e severità di giudizio sulla storia e sugli
uomini; da qui anche il taglio netto tra due fronti, quello del bene e quello del male,
quello dei giusti e quello degli empi. Sotto questo aspetto, ha fondamento l’ipotesi del
Sacchi che fa del problema del male, quindi un problema di teodicea, l’origine
dell’apocalittica. L’apocalittica è allora la sensibilità di una comunità, acuita da una crisi
epocale; è il modo di sentire e vivere il proprio tempo, che attraversa il campo dello
spirito, si fa visione del mondo e preme verso un’espressione letteraria. La quale ultima
non è riducibile a un semplice genere letterario. Ciò che accomuna gli scritti apocalittici
è piuttosto il fatto che siano scritti di rivelazione (apokálypsis). In tal modo la
complessità e la varietà delle forme dell’apocalittica letteraria è riconducibile ad una
serie di elementi costituenti il denominatore comune. La struttura comune di uno scritto
apocalittico è data dai seguenti elementi:
1) un personaggio famoso del passato (un patriarca, un profeta, ecc)
2) riceve una visione divina
3) accompagnata da una rivelazione
4) riguardante il senso della storia umana e dell’avvicendarsi delle potenze
politiche
5) e/o la conoscenza del cosmo (relazione degli autori anche con le tradizioni
sapienziali).
3.2 Origine e sviluppi storico-letterari dell’apocalittica
(Collins, 25-42)
L’origine e gli sviluppi storici e letterari dell’apocalittica sono da molto tempo oggetto
di vivo dibattito tra gli studiosi. Anche se non si può stabilire un punto preciso della
storia, possiamo dire che grosso modo si è abbastanza d’accordo nel porne gl’inizi
attorno al IV sec. a.C. Vi è invece disparità di opinioni riguardo alle modalità e agli
sviluppi del dispiegarsi dell’apocalittica. Vi è chi ha parlato di un movimento
apocalittico (K. Koch e in certo qual modo P. Sacchi, che si rifà al cosiddetto
movimento enochiano che sarebbe dietro 1 Enoc e in particolare nella parte più antica:
Il libro dei Vigilanti); vi è chi invece ha concentrato i suoi studi sulla matrice biblica,
che viene identificata soprattutto in quella profetica; vi è chi come G. von Rad fa
dell’apocalittica l’erede del mondo della sapienza israelitica. Un motivo che accomuna
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molte posizioni circa l’apocalittica è la sua relazione stretta con l’escatologia, solo che
non si è d’accordo su come intendere quest’ultima: tradizionalmente si lega il concetto a
una concezione della storia, per cui l’escatologia viene identificata con il pensiero
riguardante il fine ultimo della storia, ma anche la sua fine; tuttavia, vi può essere, come
sottolinea il Collins, un’opera apocalittica che senza riguardo alla storia nutra però delle
idee concernenti il destino ultimo degli uomini: la sorte dei morti, quella dei giusti e
quella degli empi. Il Maier, con una sua acuta osservazione, propende invece per la
miscelazione della concezione deuteronomistica della storia, del pensiero profetico e di
quello sapienziale. Il Collins, accogliendo un’istanza emersa, è del parere che però tutto
sommato, bisognerebbe rinunciare al discorso sulle “radici” dell’apocalittica e vedervi
invece una concezione conclusa e coerente in se stessa e, in questo quadro, considerare
le varie opere apocalittiche. Non possiamo però rinunciare totalmente alle premesse
storico-letterarie e ideologico-teologiche dell’apocalittica, rintracciabili nei testi biblici:
la storia è un continuum, anche se poi improvvisamente, ma anche questo per una legge
della storia, possono esservi un’estrapolazione ideologica e una produzione letteraria
totalmente nuove.
Un altro argomento che occupa gli studiosi è quello degl’influssi esterni (vedi il
Maier,pp. 36-52, e il Collins, pp. 26-37). Si è propensi a considerare con attenzione
gl’inevitabili influssi culturali che hanno potuto esercitare sul popolo giudaico le idee e i
costumi dei vari imperi sotto il cui dominio esso si è trovato: l’influenza babilonese,
quella iranica-persiana e soprattutto quella ellenistica. Tuttavia, si giunge al risultato
che, pur essendovi stati degl’influssi che hanno permesso l’emergenza del fenomeno
apocalittico, questo è di chiara e originale marca ebraica. Noi saremmo del parere, però,
che non bisogna sottovalutare tali influssi, specialmente quelli iranici e soprattutto
quelli ellenistici, che hanno introiettato essi stessi elementi iranici, dal momento che
spesso tali elementi hanno fatto da catalizzatore di sviluppo di germi concettuali già
presenti nel pensiero giudaico, ma che hanno avuto il bisogno storico di essere stimolati
per venir fuori con la loro fisionomia originale, come vedremo più avanti, ad es. con Ez
37,1-14.
Rimane, come pensa il Collins, che compito precipuo negli studi sull’apocalittica debba
essere l’esame dei testi, di opere cioè che vanno indagate soprattutto con l’ausilio delle
scienze letterarie, data la loro natura che è di tal fatta che il discorso metodologico circa
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la critica tradizionale delle forme e dei generi di gunkeliana memoria è un vestito troppo
stretto per le opere apocalittiche. Quel che si può infine dedurre finora è che esse siano
un fenomeno scribale (Collins, p. 39), come attesta Qumran e che sembrano adoperare
l’espediente stilistico di esortare e consolare nei quadri storici e ideologici più
differenziati, per i quali sono validi la lotta o il pacifismo, l’esperienza mistica o la
visione mitologica, la narrazione o la descrizione.
4. Una selezione di testi letterari
Dato che noi annettiamo importanza sia al principio del continuum storico-letterario sia
a quello dello studio diretto dei testi nella loro autonomia e identità (il principio di
Colllins), è opportuno che lo studioso, prima di indagare in opere compiute e
chiaramente distinte come “opere apocalittiche”, veda se l’ambito di tale letteratura
possa ampliarsi a brani letterari biblici che presentino un orizzonte apocalittico. In
realtà, questi brani o addirittura libri sono molteplici e si trovano sia nella sezione
profetica che in quella sapienziale. Per quanto riguarda quest’ultima, che non sarà
oggetto della nostra investigazione, basti ricordare che il libro della Sapienza o la
Sapienza di Salomone è un’opera fortemente connotata da elementi apocalittici (vedi M.
Nobile, La thématique eschatologique dans le Livre de la Sapesse en relation avec
l’apocalyptique, in N. Calduch-Benages and J. Vermeylen (edd.), Treasures of Wisdom,
Festschrift M. Gilbert, Peeters, Leuven 1999, 303-312). Il libro del Qohelet è
attraversato da uno “spleen” malinconico che soffonde l’atmosfera di tutta la
composizione e richiama quel pessimismo e la domanda sulle cose ultime che
caratterizzano la concezione apocalittica.
Noi però vogliamo occuparci ex-professo di campioni della letteratura profetica più
tarda. I testi che saranno oggetto d’indagine possono essere considerati “apocalittici” in
due sensi: 1) esistono dei brani o delle sezioni apocalittiche, come Ez 37,1-14; 38-39; Is
24-27; Zac 14; 2) la presenza di brani apocalittici indica una rilettura globale dei libri
profetici in chiave apocalittica: questo vale per Ezechiele, Isaia, Sofonia, Gioele,
Malachia. Infine, bisogna ricordare che vi è un’opera più direttamente e organicamente
apocalittica: Daniele, anche se quest’opera è complessa.
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4.1 Le pericopi
4.1.1
Ez 37,1-14
Bibl. : M. Nobile, Ez 37,1-14 come costitutivo di uno schema cultuale, in Biblica 65
(1984) 476-489; Idem, Influssi iranici nel libro di Ezechiele? , in Antonianum 63 (1988)
449-457; L.C. Allen, Ezekiel 20-48, (WBC 29), Word Books, Dallas TX 1990, 181-188.
a) Strutturazione - La pericope si articola nel modo seguente:
-
vv.1-2: formula di rivelazione e presentazione della visione
-
v. 3: impostazione della questione
-
vv.4-8: primo tempo operazione profetica
-
vv. 9-10: secondo tempo operazione profetica
-
v. 11: spiegazione
-
vv. 12-14: sviluppo della spiegazione
b) Analisi
–
vv. 1-2. La pericope è una delle grandi visioni del libro di Ezechiele, anche se
una mano redazionale al v. 1 ha impedito di dare ad essa lo stesso ruolo delle tre
grandi visioni che si dislocano in 1,1-3,15, in 8-11 e in 40-48. Scopriremo più
avanti il motivo. Dio mostra al profeta un grande campo disseminato di ossa di
cadaveri che si suppone fossero soldati (cf. v.10: ‫) חיל‬.
–
v. 3: Dio domanda se i cadaveri possono rivivere: questione inaudita, tanto che il
profeta, smarrito, ripassa la palla della questione a Dio. Questo semplice versetto
marca una svolta importante nella storia del pensiero teologico d’Israele: l’idea
di risurrezione. Anche se essa è usata in senso metaforico, tuttavia, in quanto
idea, è una novità nella fede tradizionale dell’AT.
–
Vv. 4-8: l’operazione comandata da Dio è “profetizza”, ma tale operazione
avviene in due tempi, tanti quante sono le parti di cui si compone l’idea
antropologica di uomo: adesso la materia bio-fisiologica, nei prossimi versetti
l’animazione tramite ‫ רוח‬.
–
Vv. 9-10: secondo tempo dell’operazione: lo “spirito” entra nei corpi e dà loro la
vita, sono dei corpi resuscitati.
–
V. 11: Dio spiega la visione avuta da Ezechiele: si tratta della “casa d’Israele”.
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–
Vv. 12-14: la spiegazione viene ampliata ulteriormente con una nuova immagine
sconvolgente. Dio stesso aprirà i sepolcri degl’Israeliti e li farà tornare nella
terra d’Israele.
c) Commento – La presente pericope è un oracolo salvifico sotto forma di visione
per rivelazione divina. Essa intende rivelare il destino futuro di un Israele abbattuto
e vinto (morto), il destino di risorgere dalla morte socio-politica e religiosa. Questa
realtà a venire è rivelata ancora, sotto forma di un ulteriore oracolo, nei vv. 15-28, a
conferma delucidativa dei vv. 1-14. Il brano della resurrezione delle ossa aride, nel
quadro dello schema cultuale di fondazione di cui si parla più sotto, fa parte della
sezione degli oracoli di salvezza (terza sezione del libro), che seguono agli oracoli di
giudizio (seconda sezione del libro) e alla teofania iniziale con vocazione (prima
sezione del libro). Ez 37,1-14 apparterrebbe quindi alla“pars construens” che segue
alla “pars destruens” secondo il succitato schema cultuale di fondazione in tre
tempi nei quali si articola l’attuale libro di Ezechiele: 1) teofania-vocazione (1,13,15); 2) oracoli di giudizio contro il popolo eletto (4-24) e contro i popoli stranieri
(25-32); 3) oracoli salvifici e fondazione del tempio (33-39+40-48). Lo schema si
richiama ad una concezione antropologica per la quale ogni uomo, come individuo e
come gruppo sociale, ha bisogno di stabilità e di certezza di poterla raggiungere. Le
modalità per ottenere la stabilità costituiscono il rituale di “fondazione” di se stessi e
di tutta la realtà che ci circonda: il proprio gruppo sociale, la propria nazione, la
capitale, le proprie istituzioni, il tempio come santuario centrale della fede, e infine
il cosmo intero. Il “rituale” di fondazione dev’essere però eseguito in ottemperanza
ad una legittimazione da parte della divinità che si rivela e dà il via alla fondazione.
La comprensione completa di Ez 37,1-14 si raggiunge a livello redazionale, cioè nel
quadro contestuale creato dal redattore ultimo, a tendenza apocalittizzante.
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4.1.2
Ez 38-39
Bibl.: M. Nobile, Beziehung zwischen Ez 32,17-32 und der Gog-Perikope (Ez 38-39) im
Lichte der Endredaktion, in J. Lust (ed. ), Ezekiel and his book. Textual and literary
criticism and their interrelation, University Press-Peeters, Leuven 1986, 255-259; Idem,
Ez 38-39 ed Ez 40-48: I due aspetti complementari del culmine di uno schema cultuale
di fondazione, in Antonianum 62 (1987) 141-171; L.C. Allen, Ezekiel 20-48, 197-211.
a) Strutturazione
- 38,1-2: evento della parola di Dio
- vv. 3-9: prima unità segnata dall’iniziale: “così dice il Signore JHWH” = ‫כה אמר אדני‬
‫יהוה‬
Nei vv. 3-6 Dio minaccia di affrontare Gog (cf. il similare 29,1-4) e le sue schiere.
Nei vv. 7-9 predice l’evento futuro.
- vv. 10-13: seconda unità (“così dice…”, al v. 10): disegni di Gog.
- vv. 14-16: terza unità. Realizzazione del progetto di Gog .
- vv. 17-23: quarta unità. Giudizio su Gog.
- 39,1-7: quinta unità; si rinnova il giudizio su Gog, sempre segnalato dalla formula
“così dice…”.
- vv. 8-10: saccheggio e incendio.
- vv. 11-16: sepoltura
- vv. 17-20: banchetto giudiziale escatologico
- vv. 21-23.24-29: manifestazione della gloria di Dio dinanzi alla casa d’Israele e alle
genti.
b) Analisi
Ez 38-39 costituisce una grande pericope nella quale Dio rivela al profeta Ezechiele di
voler eseguire il giudizio escatologico su Gog.
-
38,1-2 : Dio si rivolge nel solito modo formale al profeta.
-
vv. 3-9: dal v. 3 comincia ad articolarsi una serie di sottounità introdotte dalla
formula di messaggio “così dice il signore JHWH”. Il messaggio è rivolto contro
Gog, un personaggio fantastico, almeno nelle sue connotazioni redazionali che
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lo assimilano al faraone di 29,1-4 e al mostro primordiale rappresentante il caos.
Innumerevoli sono le schiere al seguito di Gog; la loro denominazione di
provenienza geografica e la descrizione delle loro armi creano uno scenario
possente da giudizio finale. Paradossalmente, è Dio stesso che si crea questo
antagonista da abbattere: la spiegazione sta nell’intento di evitare il dualismo
Bene vs Male: così, è Dio che dà ordini e scadenze al nemico. Destinazione di
Gog è la terra d’Israele, dove la popolazione vive tranquilla, come verrà ripetuto
nell’unità seguente: quindi il tempo dell’evento si situa alla fine, è cioè un target
escatologico-apocalittico., come connotano vari dettagli testuali della pericope
(indicazioni cronologiche tipiche, come al v. 8, il tema del giorno al v. 10 e più
avanti e l’”ombelico della terra” al v. 12).
-
vv. 10-13: Dio svela i progetti malvagi dell’Avversario. Egli vuole raggiungere
la terra d’Israele ove è il “tabbur ha’ares”, l’ombelico del mondo, secondo la
concezione mitica del tempo, comune a vari popoli.
-
vv. 14-16: questa sottounità, insieme alla seguente, presenta la vittoria di Dio su
Gog, finalizzata alla manifestazione della sua santità (vv. 16.23). La differenza
tra le due sottounità sta nel fatto che la prima, 14-16, è una vittoria al negativo,
l’altra, 17-23, è una vittoria al positivo: in altri termini, la stessa realizzazione
dei progetti malvagi di Gog è finalizzata alla vittoria di Dio, perché ne
permetterà l’intervento giudiziale!
-
vv. 17-23: giudizio su Gog, nel quale sono coinvolti gli elementi cosmici
(terremoto, tutte le specie animali prese da terrore): la battaglia suprema
condotta da Dio è disastrosa per l’Avversario.
-
39,1-7: in questa sottounità si ha una ripresa sintetica di tutti i motivi dell’intera
pericope. L’arroganza di Gog sarà spezzata come un arco. Nei versetti seguenti
vi sono ampie descrizioni di quel che segue alla disfatta: distruzione, morte e
sepoltura.
-
vv. 8-10: le armi sono prese e incendiate e i nemici saccheggiati.
-
vv. 11-16: grandiosa sepoltura di Gog e delle sue schiere nella Valle degli
‘Overim (= le Ombre dei trapassati?).
-
vv. 17-23: scenario da “dies irae”, in cui il banchetto festivo escatologico si
trasforma in una catastrofe di nemici che vengono divorati.
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c) Commento
Ez 38-39 costituisce una sezione significativa della redazione finale del libro di
Ezechiele. Essa viene a costituire con 37,1-14 una serie di segmenti testuali della pars
construens (oracoli salvifici) dello schema di fondazione cultuale, che ne spiegano e
confermano il senso. Nella teofania iniziale (primo atto dello schema), il Dio d’Israele si
mostra al profeta e lo chiama per una grande missione: l’annuncio del giudizio (secondo
atto), per dar luogo ad una nuova fondazione del tempio (terzo atto). Il giudizio si
dispiega nei cc. 4-24 (contro il popolo) e nei cc. 25-32 (contro i popoli stranieri). La
nuova fondazione è data dapprima da una serie di oracoli salvifici (33-39) ai quali segue
subito dopo la presentazione del tempio-città futuro (40-48). Nel quadro di questa
cornice redazionale finale, i vari brani, le varie sezioni e le molte immagini, mitiche e
non, acquistano una connessione di senso. Per raggiungere la sua vittoria, cioè fondare
una nuova realtà, istituzionale e cosmica, Dio deve abbattere i suoi nemici, deve
ributtarli negl’inferi (la sepoltura di Gog): è l’immagine negativa la cui controparte
positiva è l’instaurazione del nuovo tempio e della sua Torà. Il grande unico evento di
fondazione è inoltre inquadrato in una celebrazione di Capodanno (cf. 40,1), che spiega
anche il motivo della resurrezione dei morti (37,1-14), ricorrente nelle celebrazioni
similari di molti popoli e culture. Un apporto significativo potrebbe essere stato dato
dalla religione iranica (vedi oltre all’articolo citato di Nobile, Influssi iranici, anche
dello stesso La resurrezione dei morti nell’AT, in A. Panimolle (ed.), MorteRisurrezione nella Bibbia (Dizionario di Spiritualità Biblico-Patristica 44), Borla, Roma
2006, 79-129).
Circa la collocazione attuale dei cc. 38-39 nell’ordine del TM, bisogna ricordare che
essa non è l’unica, dato che nel testo greco preesaplare contenuto nel Pap 967, anteriore
al TM, dopo il c. 36 (ne manca una buona parte: i vv. 23b-38) seguono 38-39.37.40-48.
La sequenza testuale greca sembra corrispondere ad una visione più nettamente
apocalittica. Ad ogni modo, i due capitoli in questione sono un sostanziale apporto della
fase finale dell’ultima redazione del libro, quella a tinte più decisamente apocalittiche
(Pohlmann, Nobile). La redazione finale del libro di Ezechiele ha avuto una sua
evoluzione rapida e coerente che da un’accentuazione escatologica dei testi è passata
alla fine ad una rifinitura apocalittica del libro. I caratteri apocalittici sono dati appunto
13
dalla radicalità visionaria di 38-39 e dal senso della fine ultima, nella quale vi è lo
scontro finale tra il Dio creatore-redentore e il Gog-Caos primordiale: una nuova lotta
cosmica dalla quale nasce la nuova creazione focalizzata sul tempio dei cc. 40-48.
4.1.3 Is 26; 65,8-16a.16b-25
Bibl.: P. Auvray, Isaïe 1-39, Gabalda, Paris 1973, 233-238; M.A. Sweeney, Isaiah 1-39
(FOTL 16), Eerdmans, Grand Rapids 1996, 337-344; O. Steck, Tritojesaja im
Jesajabuch, in J. Vermeylen (ed.), The book of Isaiah. Le livre d’Isaïe. Les oracles et
leurs relectures, unite et complexité de l’ouvrage, University Press-Peeters, Leuven
1989, 361-406 ; L. Alonso Schökel – J.L. Sicre Diaz, I Profeti, Borla, Roma 1996, 234238.438-444.
a) Strutturazione
- 26,1-6: inno di ringraziamento
- vv. 7-13: salmo sapienziale
- vv. 14-19: salmo di fiducia
- vv. 20-21: il giorno del giudizio, l’avvento di Dio
- 65,8-12: indagine di Dio sulla condotta umana
- vv. 13-16a: giudizio finale
- vv. 16b-25: la nuova creazione e la nuova storia
b) Analisi
- 26,1-6. L’inno si apre con l’espressione escatologica bayyôm hahû’ = “in quel giorno”
(v. 1). Il primo motivo del canto è la rifondazione di Gerusalemme; la nuova città è in
stretto rapporto con un popolo giusto e fedele, quindi essa ha una forte valenza
simbolico-teologica. Con il motivo della nuova fondazione si connette quale risvolto
l’abbattimento degli avversari: Moab, secondo Auvray, ma forse i nemici hanno
anch’essi una valenza simbolica e indicano l’arroganza e l’ingiustizia; questa città
negativa sarà abbattuta e i poveri ne schiacceranno la polvere nella quale è stata ridotta.
14
- 7-13: in questa sottounità si ha un salmo di meditazione sapienziale del tipo di Sal 1.
Nei vv. 7-9 si fanno delle affermazioni sul giusto (zaddîq); nel v. 10 si parla invece
dell’empio (raša’). I vv. 11-13 cominciano ciascuno con un’invocazione anaforica a
JHWH e costituiscono insieme l’orazione conseguente alla riflessione.
- 14-19: ancora un salmo nella forma del salmo di fiducia. I vv. 14 e 19 formano
inclusione, disegnando un paralleismo antitetico: mentre in 14 vi è la convinzione
umana che dalla morte non viene la risurrezione e i vv. 15-18 la commentano, nel v. 19
invece si proclama che dal Signore viene la risurrezione. Nei vv. 14 e 19 i morti (mētîm)
hanno come parallelo sinonimico la parola refā’îm = “Refaim, trapassati, defunti”. I
Refaim rimandano a una concezione religiosa diffusa nel territorio siro-cananeo, dove
troviamo anche il termine rapi’uma ad indicare le ombre degli antenati illustri morti e
sacralizzati, quasi divinizzati. L’espressione tal ‘ôrōt = “rugiada di luci” del v. 19,
potrebbe anch’essa rimandare ad un motivo mitologico cananeo. Ad ogni modo, al v.
19b abbiamo un parallelismo tra “rugiada di luce è la tua rugiada” e “la terra partorirà
(lett.: cadrà, nel senso di partorire, dare alla luce) i Refaim”. Il brano si connette a 25,8,
dove viene dichiarato che Dio eliminerà la morte per sempre.
- 20-21: questi due versetti appartengono alla stessa atmosfera giudiziale apocalittica.
Dio arriva, lasciando la sua dimora (cf. Ez 8-11); è bene chiudersi al riparo come
avvenne ai tempi di Noè di fronte al diluvio o all’epoca dell’esodo, al passaggio
dell’angelo sterminatore (Es 12,21-23). Come allora, l’avvento di Dio sarà giudizio
spaventoso per gli empi, ma anche salvezza per gli eletti: mentre i secondi saranno
risparmiati, dei primi saranno scoperti i delitti; il sangue da loro sparso e i cadaveri
nascosti sotto terra verranno allo scoperto, invocando vendetta dal cielo come ai tempi
di Caino (cf. Gn 4,10).
65,8-12: con questa sottounità, si entra in una nuova sezione del libro, quella delle
raffigurazioni escatologiche del Tritoisaia, che però hanno una similarità non solo
immaginativa, bensì anche redazionale con i testi isaiani più sopra esaminati. Difatti,
anche in questi versetti, si parla del giudizio di Dio annunciato dal kōh ‘āmar YHWH
del v. 8. Nei vv. 8-10 si parla della salvezza di un resto, usando al v. 8 la metafora del
mosto (tîrôš). Il popolo unito, Giacobbe e Giuda, abiterà finalmente nella Terra santa (v.
9), ove si avrà un nuovo Eden: i pascoli con greggi e bestiame grosso nella valle di
15
Akor, a nord-ovest del Mar Morto, un territorio che tradizionalmente era arido e
stepposo. Nei vv. 11-12 si dice, invece, che il giudizio divino sarà severo contro coloro
che hanno abbandonato JHWH, dimenticando il santo monte, cioè il Sion; sono quindi
intesi coloro che non hanno esercitato il culto dovuto, come si comprende anche dal
rinfaccio che Dio fa contro l’idolatria del suo popolo a favore di Gad e Menì (v. 11),
due divinità del destino o della fortuna: la prima, che si ritrova anche nella Bibbia come
Baal-Gad (Gs 11,17) e Migdal-Gad (Gs 15,37), era una divinità siriaca; la seconda,
invece, corrispondente a Manat, era una divinità arabo-palmirena (C. Westermann, Das
Buch Jesaja. Kapitel 40-66, Göttingen 1966, 322). La punizione divina sarà terribile
(v. 12).
- vv. 13-16a: la presente sottounità è correlata alla precedente dalla congiunzione lakēn
= “perciò”, la quale negli oracoli profetici introduce il verdetto divino: in questo caso
esso è la benedizione dei buoni e la maledizione dei malvagi (v. 16a), secondo lo
schema dell’alleanza (berît), in base al quale vengono distribuite l’una o l’altra a
seconda del proprio operato nei confronti della Torà. Notare come anche qui ritornino
delle immagini che abbiamo già trovato in Ez: oltre al nuovo Eden di 65,10 (cf. Ez 47,112), anche la benedizione e la maledizione sotto forma di partecipazione o meno ad un
banchetto escatologico (cf. Ez 39,17ss).
- 16b-25: il v. 16b opera la transizione dalla sottounità precedente: Dio dimentica il
passato (v. 16b), poiché (kî) opera una nuova creazione (bōrē’ : v. 17). La nuova realtà
è dipinta con immagini in parte già usate (cf. 11,6-8), la situazione escatologica viene a
combaciare con quella protologica di pace e di benessere, nella natura e nella storia.
d) Commento
I brani isaiani che abbiamo analizzato appartengono all’ultima fase redazionale del
libro. Antichi motivi, quali il re-messia (nel c. 65 il “servo di JHWH” s’identifica con “i
miei servi” : vv. 13-14, così come in 49,3; ma in 61,1-3 torna ancora l’immagine
individuale del “Servo”), Gerusalemme, il culto sul Sion, vengono ripresi e rielaborati
in modo radicale. Ormai la fase ultima della storia è il Kairòs decisivo: premio o
condanna, benedizione o maledizione, Eden o annientamento. Si tratta dell’universo
dell’immaginario apocalittico. Le caratteristiche che emergono da tale immaginario
sono la radicalità, la decisività del tempo e dello spazio, del giudizio e della novità
16
talora storica talaltra mitica. Fattori presenti e operanti dell’immaginario erano ancora
antiche categorie istituzionali, che certamente permettevano alle attese giudaiche un
aggancio con la storia politica e con la realtà religiosa, ma tali categorie erano state in
parte trasfigurate dalla lontananza cronologica, dalla fantasia del bisogno e da quello
“Zeitgeist” epocale che animava le generazioni giudaiche degli ultimi secoli prima di
Cristo.
4.1.4 Gl 3-4
Bibl.: L. Alonso – J.L. Sicre Diaz, I Profeti, 1071-1078.
a) Strutturazione
-
3,1-2: effusione dello Spirito divino
-
vv. 3-4: prodigi (môfetîm)
-
v. 5: invocazione per la salvezza
-
4,1-3: giudizio delle nazioni nella valle di Giosafat
-
vv. 4-8: oracolo contro le nazioni
-
vv. 9-11: invito alla guerra santa
-
vv. 12-14: raduno nella valle di Giosafat (inclusione con 4,1-3)
-
vv. 15-17: prodigi (inclusione con 3,3-4)
-
vv. 18-21: la nuova era
b) Analisi
-
3,1-2: Dio promette l’effusione del suo Spirito: un motivo che si ritrova in Nm
11,24-30, come antecedente profetico che nelle parole di Gioele si fa realtà; ma
il motivo è comune alla letteratura profetica tardiva: Ez 36,27; Zac 12,10. Il
contenuto di tale promessa è simile a quello dello stesso Ez 36,26-27 e di Ger
31,31-34.
-
vv. 3-4: il giorno di JHWH sarà giorno di prodigi, un nuovo esodo portato agli
estremi della rivelazione.
-
v. 5: quel giorno sarà anche il giorno della rifondazione del culto sul Sion e a
Gerusalemme, dove si potrà invocare a propria salvezza il nome del Signore.
17
-
4,1-3: il motivo del ritorno o del cambio della sorte del popolo di Dio si connette
al momento (‘et) escatologico della chiamata a giudizio dei gôîm = nazioni,
perché rendano conto nella “valle di Giosafat” (nome che vuol dire “JHWH
giudica”).
-
vv. 4-8: la convocazione è seguita da un oracolo contro ciascuna delle nazioni
(vengono chiamate per nome: Tiro, Sidone, Filistea, Greci o figli di Yawan; i
Sabei sono tribù arabe sud-orientali) che hanno maltrattato il popolo di Dio
(Giuda e Gerusalemme). Si tratta della rivalsa che Dio si prende sui provocatori
d’ingiustizia.
-
vv. 9-11: chiamata divina alla “guerra santa”, un motivo che si richiama ad un
antico costume tribale, ma che qui viene usato come metafora della battaglia
finale che Dio conduce insieme ai suoi, i quali non sono uomini di guerra (sono
contadini o uomini deboli), bensì persone trasformate in guerrieri dalla potenza
stessa di Dio.
-
vv. 12-14: ancora una metafora, quella della valle di Giosafat, spiega l’insieme
delle metafore di questi due capitoli del libretto di Gioele: viene annunciato il
giorno escatologico della resa dei conti, un motivo che sarà ampiamente
sviluppato nella letteratura apocalittica fino all’Apocalisse neotestamentaria.
Interessante notare che la valle di Giosafat fa da inclusione con 4,1-3; all’interno
di questi due limiti strutturali è racchiusa la serie di parole di giudizio contro le
nazioni.
-
vv. 15-17: a loro volta, questi versetti fanno da inclusione con 3,3-5, conferendo
unitarietà alla sezione dei cc. 3-4 di Gioele: prodigi dal cielo e culto sul Sion. Da
rilevare la similarità del v. 16 con Am 1.2: ciò è spiegabile in base ad
un’autorialità comune esistente dietro questi testi.
-
vv. 18-21: come in altri testi consimili, anche qui viene descritta la nuova era
come un tempo di pace e benessere e come un nuovo Eden (Ez 47,1-12; Am
9,13; Zac 14,8). La conferma della positività della nuova era viene mostrata con
quanto di contrario capiterà ai nemici del popolo di Dio.
18
c) Commento
Anche nei testi di Gioele troviamo dei motivi che richiamano il riferimento ad
un’aspettativa comune, quella del “giorno di JHWH”. Il codice lessematico e semantico
usato dal redattore di questi testi è lo stesso di altri libri profetici: il che dimostra non
solo l’unitarietà redazionale di questo libretto, bensì anche l’unitarietà composizionale
dell’attuale redazione della letteratura profetica, un’unitarietà che è stata conferita in
epoca tardiva. Questo spiega sia la diversità dei libri (materiale letterario previo) sia
l’apparenza di un codice semantico comune. Questo codice parla di un tempo specifico
= il giorno di JHWH o anche ‘et , e di un luogo determinato = la valle di Giosafat, il
Sion e Gerusalemme, di segni premonitori che annunciano il giudizio finale, e di
immagini edeniche che promettono la vittoria finale di Dio. La tensione apocalittica si
fa strada e diviene messaggio diffusivo di scritti biblici e più tardi di scritti extra-biblici.
4.1.5 Ab 3
a) Strutturazione
-
v. 1: titolo (tefillâ = preghiera) con indicazione tecnica
-
v. 2: invocazione
-
vv. 3-15: teofania
-
vv. 16-19: passaggio dall’angoscia alla fiducia e alla lode
b) Analisi
-
v. 1: viene dato il genere della composizione a mo’ di titolo, insieme
all’indicazione tecnica dell’esecuzione (‘al šigyōnôt , pl. di šiggāyôn).
-
V. 2: la composizione salmica inizia con l’invocazione timorosa a Dio. La
versione dei LXX ha un colorito fortemente apocalittico:
κύριε εἰσακήκοα τὴν ἀκοήν σου καὶ ἐφοβήθην κατενόησα τὰ ἔργα σου καὶ ἐξέστην ἐν μέσῳ δύο ζῴων γνωσθήσῃ ἐν τῷ ἐγγίζειν τὰ ἔτη ἐπιγνωσθήσῃ ἐν τῷ παρεῖναι τὸν καιρὸν ἀναδειχθήσῃ ἐν τῷ ταραχθῆναι τὴν ψυχήν μου ἐν ὀργῇ ἐλέους μνησθήσῃ
19
“O Signore, ho udito notizia di te e ho temuto; ho considerato le tue opere e ho
trasecolato: tu devi essere conosciuto in mezzo alle due creature (la vocalizzazione
diversa dell’ebraico ha prodotto questo tipo di traduzione, che, insieme a Is 1,3 è
all’origine della tradizione dei due animali della grotta di Betlemme), all’avvento degli
anni tu devi essere riconosciuto, ti devi manifestare al sopraggiungere del tempo
dovuto; nell’angoscia della mia anima, nell’ira ricordati della misericordia”.
-
vv. 3-15: sviluppo del motivo teofanico, presente anche in altri luoghi (Dt 33,2;
Gdc 5,4). Teman e Paran indicano il sud, a contatto con la regione edomita, ma
in un senso molto più lato, perché il testo vuole indicare l’arrivo del Dio del
Sinai o dell’esodo. La descrizione dell’aspetto divino evoca le rappresentazioni
glittiche assiro-babilonesi, dove la divinità è avvolta di luce e con folgori e altre
armi come la peste (vv. 3b-5). Nei vv. 6-9 l’azione del Dio, che è creatore, in
quanto ha a che fare con elementi della natura, è anche azione salvifica, perché
rimanda o almeno sembra evocare episodi della storia passata e del confrontoscontro tra il popolo guidato da Dio e i nemici storici: i madianiti (Madian e
Kušan: forse indicano lo stesso territorio ubicato in Arabia) al tempo di Gedeone
(Gdc 6-8) o i babilonesi (il popolo della terra dei due fiumi = Mesopotamia). I
vv. 10-12 danno una coloritura apocalittica al testo e così anche il v. 13, che però
ha un contenuto più direttamente positivo e salvifico nei riguardi del popolo e
del “messia” di Dio. Tale versetto viene ampliato nei vv. 14-15, che
compongono un richiamo del motivo dell’esodo come metafora della futura
salvezza.
-
vv. 16-19: in questi versetti vi è un processo psicologico di grande rilievo
letterario. La voce dell’orante parte da una situazione di angoscia e di timore
(vv. 16-17) per giungere a un grido di giubilo di fronte all’arrivo vittorioso del
Signore.
c) Commento
Abc 3 è una composizione salmica ben fatta letterariamente e teologicamente; si tratta
di una preghiera nella quale l’autore si rivolge al Dio d’Israele, che è il Dio dell’esodo,
come a colui che da sempre interviene per salvare il suo popolo: un motivo dominante
del pensiero teologico ebraico. Certo, l’avvento di Dio è giudizio e quindi paura e
20
angoscia in attesa di colui che crea, distrugge e ri-crea o salva. Le immagini usate sono
quelle della natura e della storia e lo spirito che le anima è quello che animerà sempre
più le generazioni apocalittiche.
4.1.6 Sof 1
Bibl.: B. Renaud, Michée, Sophonie, Nahum, (SB), Gabalda, Paris 1987, 177-259 (in
part. 194-216); A. Spreafico, Sofonia, (CSANT 38), Marietti, Genova 1991.
a) Strutturazione
- v. 1: incipit storico redazionale
- vv. 2-3: oracolo introduttivo (v. 3b: ne’um JHWH)
- vv. 4-6: minaccia di giudizio contro Giuda/Gerusalemme
- v. 7: transizione alla sottounità seguente e preannuncio del motivo del “giorno di
JHWH”.
- vv. 8-9: giudizio contro i dignitari di corte
- vv. 10-11: contro i commercianti (cananei)
- vv. 12-13: contro i miscredenti
- vv. 14-18: svolgimento del tema del “giorno di JHWH”
b) Analisi
- v. 1: il redattore fa del profeta Sofonia un parente della famiglia reale.
- vv. 2-3: il capitolo si apre con un oracolo (ne’um) dalla portata cosmica, che annuncia
l’avvento del Dio creatore in qualità di Dio distruttore (le due qualità sono le due facce
di un’unica realtà). Sembra di sentir evocato l’annuncio del diluvio dei tempi di Noé (cf.
Gn 6,11-13): un nuovo disastro universale. L’universalità e la cosmicità dell’evento
ricreano un’atmosfera apocalittica.
- vv. 4-6: un’invettiva giudiziale contro Giuda e Gerusalemme, di cui denuncia il culto
idolatrico. Tale culto appare improntato al sincretismo: con i sacerdoti inservienti
(kemarîm, pl. di kōmer = sacerdote dei culti idolatrici), ai quali si aggiungono i kōhanîm
(= sacerdoti) veri e propri, troviamo collegati il culto a Baal, alla milizia del cielo
(tzeva’ ha-šāmāyim) e a Milkom, dio degli ammoniti (in v. 5b va corretto “per il loro
21
re” in “per Milkom”), ma anche a JHWH (v. 5bα). In realtà, il popolo di Dio non
s’interessa a lui, nel senso che non esercita il culto dovuto, quello monoteistico.
- v. 7: si preannuncia il tema del “giorno” e si opera la transizione alla sottounità seg.
Mediante il motivo del zebach = sacrificio.
- vv. 8-9: il giorno della visita del Signore e del suo sacrificio ricorda Ez 39,17-20. La
visita giudiziale verrà fatta ai notabili e ai dignitari di corte, di cui si criticano la moda e
l’ipocrisia. Con l’espressione wehāyāh, etc. del v. 8, s’inizia una serie di ripetizioni di
sapore litanico: vedi i vv. 10.12.13.
- vv. 10-11: il giudizio è ora contro coloro che sono dediti al commercio e che vengono
chiamati kōl ‘am kena’an = tutta la gente di Canaan (v. 11bα); difatti, la parola
“cananeo” significa anche “commerciante” (cf. Zc 14,21b), quindi è possibile con essa
abbinare la condanna dell’idolatria (Canaan, terra d’idolatria) con il significato in uso,
cioè appunto “commerciante”. L’annientamento dei “cananei” è rappresentato con voci
di lamento, grida e fracasso da un capo all’altro della città di Gerusalemme: dalla Porta
dei Pesci ai quartieri nuovi hammišneh (= “il Doppio”) e hammaktēš (= “il luogo del
Mortaio” ( v. 10).
- vv. 12-13: segue un ulteriore categoria di persone da giudicare, i crapuloni e
gl’increduli. La loro distruzione assieme alle loro ricchezze è il castigo che essi
riceveranno (v. 13).
- vv. 14-18: questi versetti letterariamente rilevanti e impressionanti, descrivono il
terribile “giorno di JHWH” (cf. Am 5,18-20; Is 2,6-22; Gl 2,1-11); è un poemetto in sé
concluso che esprime poeticamente la verità teologica della giustizia del Dio d’Israele.
A questo testo s’ispira l’autore medievale del Dies irae. Al v. 15 è adoperata la parola
šō’â = “devastazione”, nella nostra era contemporanea divenuta tristemente famosa
come termine indicante l’olocausto degli ebrei nella seconda guerra mondiale. In certo
qual modo, tali versetti fanno da inclusione ai vv. 2-3.
c) Commento
Il presente testo si aggiunge a quelli che abbiamo precedentemente esaminato ed attesta
anch’esso la similarità di sfondo storico-ideologico che vi è dietro. Ormai le espressioni
sono comuni: “il giorno di JHWH”, “il giorno arriva, è vicino”, “JHWH viene a visitare
(pqd)”; vi saranno sommovimenti cosmici e giudizio distruttivo sui peccatori. È la
22
sindrome della resa dei conti finale. La storia, vista come una serie di ribellioni a Dio e
alla sua legge e come una sequenza di ingiustizie le più varie, volge al termine
(escatologia). Forse il pio apocalittico spera che da questo nuovo diluvio che coprirà la
terra e l’umanità, possa nascere una nuova era (“nuovi cieli e nuova terra”, cf. Is 65,17 e
i vv. 2-3 del presente testo).
4.1.7 Zac 14
Bibl.: Th. Chary, Aggée-Zacharie, Malachie (SB), Gabalda, Paris 1969, 208-221 ; M.
Nobile, Ez 37,1-14 come costitutivo di uno schema cultuale, Biblica 65 (1984) 476-489.
a) Strutturazione
- v. 1: annuncio del “giorno di JHWH”
- vv. 2-3: giudizio di Dio contro Gerusalemme e contro i gôyim = i “popoli”
- vv. 4-5: spettacolare effetto topografico dell’arrivo del Signore
- vv. 6-8: effetti edenici del “giorno”
- v. 9: esaltazione della regalità di Dio
- vv. 10-11: nuova situazione topografica
- vv. 12-15: la grande piaga (maggēfâ)
- vv. 16-19: salita e culto a Gerusalemme di tutti i popoli, costretti a tale operazione
nella festa di Sukkot, pena la maggēfâ.
- vv. 20-21: consacrazione degli oggetti sacri e purificazione-santificazione del tempio
b) Analisi
- v. 1: viene annunciato il motivo che percorre tutto il capitolo, come già abbiamo
riscontrato nei testi precedenti. Chary propende per la “regalità di Dio” come tema della
pericope, ma, a parte la relatività di ogni scelta tematica di fronte alla complessità di
questo testo, il motivo del “giorno” sembra percorrere con evidenza come un filo rosso
tutto quanto il capitolo.
- vv. 2-3: il giorno dell’avvento giudiziale divino assume l’aspetto della (storicamente
sperimentata) devastazione di Gerusalemme, ma anche dei popoli chiamati a giudizio.
Un resto (yeter) però si salverà (v. Is 6,13; Ez 9).
23
- vv- 4-5: questi due vv., che richiamano l’idea generale e i dettagli di Ez 38-39 (vedi
art. di Nobile), descrivono gli effetti di valore teofanico dell’arrivo di Dio sul territorio
della Palestina. Dio poggia i suoi piedi ad oriente sul Monte degli Ulivi ed esso si
spacca in due da oriente a occidente, creando un’ampio avvallamento le cui sponde si
spostano rispettivamente verso nord e verso sud. Lo sconvolgimento è di chiara marca
apocalittica, data anche la cornice del “giorno”. Il testo è di difficile interpretazione e
con ogni probabilità incerto o corrotto; la valle (gê’ hārîm) del v. 5 va secondo BHS
emendato in gê’ hinnōm, cioè l’avvallamento più profondo ad est di Gerusalemme. Tali
effetti sconvolgenti vengono paragonati al terremoto avvenuto al tempo di Ozia, re di
Giuda (cf. Am 1,1). L’evento vede giungere Dio in tutta la sua regalità con la schiera
dei suoi qedōšîm (= “santi”), cioè le schiere celesti (cf. l’interessante uso che ne fa Paolo
in 1Tess 3,13).
- vv. 6-8: l’atmosfera escatologica viene confermata dalla descrizione della nuova
realtà, che evoca ancora l’immaginario di Ez 47,1-12, e che disegna una Palestina con
fisionomia edenica. Vi sarà solo e sempre luce (perfino la notte scomparirà) e le acque
vive (mayim chayyîm) (v. 8) scorreranno sempre (vedi Ez 47).
- v. 9: il wehāyāh (= “e avverrà”, forma weqatal, in uso come frase dipendente dalla
principale al v. 1a, a cui si agganciano le frasi seguenti compresa quella presente) già
adoperato ai vv. 6 e 8, si ritrova in forma litanica anche qui e si ritroverà anche al v. 13.
La formulazione del versetto è solenne e idonea a rappresentare la regalità di Dio, nella
sua unicità (monoteismo) (v. 9b).
- vv. 10-11: ancora una descrizione topo-geografica felice: tutto sarà spianato e
tranquillo, dal nord della Palestina al sud (da Gheba a Rimmon nel Neghev), mentre
Gerusalemme sarà sopraelevata (rā’amâ), in senso fisico e in senso spirituale, da un
capo all’altro della città, in direzione nord-sud ed est-ovest.
- vv. 12-15: il rovescio della medaglia del “giorno” è la punizione dei nemici di
Gerusalemme con una grande piaga (maggēfâ), come ai tempi dell’esodo contro il
faraone, e, come a quei tempi, il popolo di Dio verrà fuori dalla catastrofe ricolmo di
ricchezze.
- vv. 16-19: l’evocazione dell’antico esodo viene confermata in questi vv., dove la
vittoria di Dio viene celebrata dalla processione annuale a Sukkot non solo di tutte le
genti, ma anche in particolare della “famiglia d’Egitto” (v. 18), verso il santuario; e guai
24
a chi non parteciperà (vv. 18s). La festa delle Capanne (chag hassukkôt) richiama
l’antica festa autunnale dell’intronizzazione di JHWH e del Capodanno (vedi art. di
Nobile).
- vv. 20-21: questi ultimi vv. suggellano l’immagine di una nuova realtà in chiave
cultuale e liturgica; in quel giorno vi sarà una grande purificazione delle suppellettili del
tempio e non sarà presente alcun “cananeo”, cioè mercante (cf. Sof 1,11b; notare il
riferimento presente nei racconti evangelici della scacciata dei mercanti dal tempio).
d) Commento
Con l’analisi di Zac 14 riusciamo a venir confermati riguardo alla similarità dei testi
biblici che abbiamo selezionato, ma otteniamo anche l’integrazione di una poderosa
concezione fatta d’immagini e d’idee che costellano la mentalità apocalittica. I motivi
tradizionali, specialmente l’esodo, ma anche altri presi da quella sequenza storica che
diverrà canonica (Genesi – 2Re), in questo testo in realtà meno presente, mostrano la
base su cui si esercitava la speculazione degli animi di quelle generazioni, le quali
davano valore spettacolare e significato simbolico alle istituzioni, particolarmente quelle
liturgiche, che le identificavano. La novità storica, escatologica, istituzionale veniva
alimentata nella mente e nella esecuzione dei rituali; una rete di cui noi oggi
intravediamo solo degli stralci, connetteva invece l’identità giudaica dell’epoca, fondata
soprattutto e innanzi tutto sul pilastro di un ormai maturo monoteismo etico (cf. v. 9).
4.1.8 Malachia
a) Strutturazione
- 1,1: introduzione
- vv. 2-5: amore di Dio per Israele
- 1,6-2,9: requisitoria contro i sacerdoti
- vv. 10-16: il matrimonio
- 2,17-3,5: il giorno di JHWH
- vv. 6-12: le decime
- vv. 13-21: il trionfo dei giusti
- vv. 22-24: ammonimento legato a Mosè e ad Elia.
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b) Analisi
- 1,1: s’introduce l’oracolo (massā’), che è “parola di JHWH” indirizzata ad Israele per
il tramite di Malachia (in greco “del suo messaggero”: difatti, Malachia potrebbe essere
anche la comprensione di mal’ākî = “il mio messaggero” di 3,1 come nome proprio).
- vv. 2-5: l’amore esclusivo di Dio è stato sempre per Israele, a fronte dell’”odio per
Esaù-Edom” (cf. Ez 35), un motivo con ogni probabilità simbolico.
- 1,6-2,9: dura requisitoria contro la rilassatezza dei sacerdoti e la sciatteria nel culto:
una preoccupazione tutta sacerdotale (cf. Lv 22,18-25). Rilevante la menzione della
berît = “patto” (2,4s), in questo caso fatta da Dio con Levi, il patriarca; il motivo del
patto si ritrova anche in 2,10.14; 3,1: il concetto, ampliato a diverse situazioni, ha un
forte carattere teologico. Ad ogni modo, il tema del sacerdozio è importante per tutto il
libretto, perché conferisce un particolare colorito al testo: in 2,7 è il sacerdote il mal’ak
JHWH; inoltre, 3,1ss. presenta una o due figure misteriose (“il messaggero e/o il
messaggero della Berit”), la seconda delle quali ha una connotazione sacerdotale oltre
che profetica e regale.
- vv. 10-16: fedeltà all’unico matrimonio
- 2,17-3,5: il giorno di JHWH è il giorno dell’avvento dell’angelo dell’alleanza (3,1), un
tempo nel quale si renderà il culto dovuto a cui appartiene anche la giustizia sociale.
- vv. 6-12: ancora un invito al rispetto del culto con un retto pagamento delle decime e
delle primizie.
- vv. 13-21: il trionfo dei giusti sugli empi sarà uno degli aspetti del “giorno”.
- vv. 22-24: fedeltà alla Torà nell’attesa del ritorno di Elia.
c) Commento
Il messaggio che avevamo ricevuto nei testi precedenti aveva una certa uniformità di
motivazioni, salvo qualche tema specifico; ora, l’atmosfera non cambia e alcuni temi di
fondo ritornano, specialmente quello del “giorno di JHWH”, tuttavia, si riceve anche
uno spaccato di un certo tipo di società concreta che è quella degli ultimi due tre secoli
prima di Cristo. La preoccupazione per il culto è indice di una mentalità teocratica, una
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visione cioè che esprime in termini di culto ogni aspetto dell’esistenza, anche quello del
vivere sociale ed economico, sublimato dalla interpretazione teologica; ma è il modo
ormai unico nel quale il giudaismo conserva la sua fedeltà alle leggi dei padri: fedeltà
nel presente in attesa della palingenesi.
4.1.9 Daniele 2
a) Strutturazione
-
v. 1: introduzione: il sogno di Nabucodonosor
-
vv. 2-11: triplice richiesta del re agl’indovini di corte di rivelargli il sogno e
triplice autogiustificazione di essi
-
vv. 12s: decreto di condanna ed entrata in scena di Daniele
-
vv. 14-26: Daniele ferma la strage mediante la preghiera che gli ottiene la
rivelazione del sogno; Arioch, capo delle guardie, introduce Daniele davanti al
re
-
vv. 27-45: il sogno
-
vv. 46-49: esaltazione di Daniele.
b) Analisi
-
v.1: l’episodio è datato al secondo anno del regno di Nabucodonosor; in realtà, è
un anacronismo (il secondo anno sarebbe il 603 a.C., precedente quindi all’esilio
di Daniele e compagni) che vuole introdurre un racconto leggendario a carattere
storico.
-
vv. 2-11: curiosamente il re convoca indovini e maghi per conoscere la
spiegazione del sogno che lo ha turbato, ma di cui non rivela il contenuto; tre
volte ne chiede l’interpretazione e per altrettante tre volte, essi fanno presente la
difficoltà. Al v. 4 il testo passa dall’ebraico all’aramaico.
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-
vv. 12s: Nabucodonosor, sdegnato, emana un decreto di strage di tutti
gl’indovini, compresi Daniele c compagni che evidentemente sono considerati
tali
-
vv. 14-26: intermezzo narrativo. Daniele, forte della confidenza con Arioch,
capitano delle guardie reali, chiede spiegazioni. Arioch le dà e Daniele, insieme
ai suoi saggi compagni d’esilio, Anania, Misaele e Azaria, prega Dio perché
riveli il sogno. Il sogno viene rivelato e Daniele ringrazia Dio con una preghiera
di forte spiritualità. La preghiera è evidentemente il tratto emergente di questa
sotto-unità. Daniele si fa accompagnare da Arioch alla presenza del re.
-
vv. 27-45: presentazione e spiegazione del sogno. Il re aveva visto, dice Daniele,
una grande statua costituita di quattro metalli, oro, argento, bronzo e ferro. I
quattro metalli rappresentavano quattro regni: Babilonia (oro), Media (argento),
Persia (bronzo) e Grecia (ferro); quest’ultimo si prolungava nel degrado di piedi
commisti di ferro e argilla (unioni matrimoniali dinastiche dei successori di
Alessandro Magno, che avevano dato origine ai regni ellenistici). L’idea della
successione dei quattro regni non è originale di Daniele, ma evoca da un lato il
succedersi per degrado delle quattro ere esiodee (età dell’oro, dell’argento, ecc.),
peraltro riflesso in certo qual modo anche nel racconto di Genesi 1-11, e
dall’altro fonti coeve al libro di Daniele (III-II sec. a.C.). Ad un certo punto, una
grossa pietra si era staccata da una montagna e, rotolando era andata a
schiantarsi sulla statua riducendola in polvere. È evidente nel testo una teologia
della storia in chiave antiellenistica, anche se tale teologia può avere una valenza
storico-geografica più vasta. A tutta prima il messaggio di Daniele appare in
certo senso rivoluzionario, perché decreta il declino di qualsiasi potenza politica
terrena, che alla fine dovrà lasciare il posto all’insediarsi del regno di Dio. Si
tratta però di una visione del futuro e dei misteri che lo riguardano (v. 29). Al
presente, la posizione ideologica dell’autore di Daniele è quella attendista e
pacifista di chi si affida solo al futuro di Dio, lasciando che le potenze terrene si
alternino, con ogni probabilità secondo il disegno dello stesso Dio.
-
vv. 46-49: la reazione di Nabucodonosor, immediata e problematica, indica con
chiarezza il proposito dell’autore, quello cioè sopra evidenziato di esaltare il Dio
unico degli ebrei, reggitore della storia, che agisce secondo i suoi progetti che
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talvolta rivela ai suoi eletti, dotati di sapienza. Il trattamento poi di Daniele
voluto dal re, cioè gli alti onori, ricordano la lezione di 2Re 25,27-30, la
liberazione del re Ioiachin. Tra le fonti a disposizione dell’autore doveva esservi
anche la storia di Genesi-Re o perlomeno essa era stata ormai introiettata nelle
generazioni tardive d’Israele.
c) Commento
Con questo testo di Daniele siamo scesi al margine dell’età che precede
immediatamente l’era neotestamentaria. I motivi che abbiamo riscontrati nei testi
profetici precedenti sono in gran parte presenti (il piano segreto di Dio relativo alla
storia e al suo compimento), ma presente è soprattutto quell’estremo affidarsi della fede
a un Dio che tutto può e che solo può realizzare quello che gli uomini comuni non
vedono e non sanno, ma che invariabilmente si realizzerà come regno definitivo del Dio
d’Israele. Altri elementi elaborati in modo esplicito dal presente testo sono a) la
rivelazione di Dio a un personaggio importante del passato (Daniele viene fatto risalire
all’esilio babilonese; altri libri, quelli intertestamentari, proporranno lo stesso
teologumeno); b) il rapporto della rivelazione trascendente con la sapienza.
Quest’ultima diviene nella speculazione ebraica di fine era sempre più un teologumeno
di grande futuro, come denotano Sir 24; Sap 6-9.
5. Note di teologia biblica e conclusione
L’esame dei testi profetici che abbiamo selezionato conduce a delle conclusioni di
rilevante valore teologico, oltre che storico. Per quanto riguarda il valore storico, si è già
ampiamente parlato nella prima parte di questo corso: l’epoca da noi considerata ha
un’importanza strategica nel costituirsi definitivo della religione del giudaismo. Germi
ideologico-teologici presenti nelle concezioni di fede tradizionali d’Israele, miscelate e
catalizzate da influssi culturali esterni, hanno prodotto una rete in certo qual modo
sistematica di pensiero religioso di forte impatto, anche in riferimento al futuro ramo del
cristianesimo. È tale rete che riveste un particolare interesse alla fine del nostro lavoro,
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perché dà in qualche modo quelle coordinate ideologiche lungo le quali si muovono e si
muoveranno le traiettorie di sviluppo della fede giudaica prima e giudaico-cristiana
dopo.
1) Concezione della storia – Il tempo degli uomini viene inquadrato in uno
svolgersi ordinato e periodico. La radicalizzazione apocalittica conduce
ad un’idea nella quale il tempo tutto quanto è inquadrabile in una visione
complessiva e definitiva che ne stabilisce la consumazione finale.
2) Concezione del cosmo – Gl’influssi iranici prima ed ellenistici poi hanno
contribuito a definire nel pensiero di quest’epoca anche una concezione
cosmologica. Il cosmo, opera di Dio, è teatro ampio e concluso della
storia di uomini ribelli a Dio, ai quali fanno da contrasto i “giusti” fedeli
all’unico Dio, il Dio d’Israele. Il cosmo è protagonista con gli uomini
della loro storia e si fa ora tramite di rivelazione divina, ora testimone
delle azioni umane, ora strumento di giudizio e alternativamente vittima
coinvolta dall’agire empio dell’umanità.
3) Concezione antropologica - In quest’epoca di dualismi si accentua il
dualismo antropologico che vede l’uomo stesso come campo di battaglia
di due forze contrapposte, il bene e il male. Questa concezione dualistica
permette l’impianto e lo sviluppo del concetto di risurrezione.
4) Le tradizioni d’Israele - I testi esaminati citano di frequente dei “tópoi”
della storia d’Israele: l’epoca dei patriarchi, l’Esodo, talvolta altri eventi
della storia nella sequenza offerta dall’opera “canonica” di Genesi – 2Re.
La letteratura apocalittica extra-biblica conferma abbondantemente
questo trend.
5) Le concezioni dell’epoca in questione sono fortemente segnate
dall’elemento liturgico-rituale (calendario, azioni cultuali). Il fenomeno
non si spiega semplicemente come effetto della caratterizzazione
religiosa di esse; bisogna forse vedervi come specifico l’apporto di élites
sacerdotali che proiettano le loro “deformazioni professionali”
nell’interpretazione del mondo. Presente è però pure, anche se
minoritaria una componente messianica “laica”.
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6) Il denominatore comune di tutti questi aspetti è una visione grandiosa
della realtà, frutto di un grande potere di trasfigurazione immaginativa
che s’immerge nel mistero della storia e degli uomini e ne fuoriesce con
delle affermazioni che mescolano filosofia e mitologia. La realtà è
bipolare e si stende tra i due elementi in relazione, Dio e l’uomo. Il loro
linguaggio è l’inveramento storico che però ha bisogno di un
approfondimento mitico-speculativo a causa della misteriosità del suo
nucleo. La storia d’Israele diviene così il codice semantico che esprime
gli eterni dilemmi dell’uomo e ad essi dà una risposta in chiave di una
robusta fede speculativa.
Marco Nobile
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