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IL BERSAGLIO
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FUNERALE A BERLINO
Il 9 giugno 1942, il corpo dell’Obergruppenführer SS Reinhard Heydrich, capo dei servizi di sicurezza nazisti, fu sepolto
nel corso della più spettacolare cerimonia funebre mai allestita
nel Terzo Reich. La sua bara giaceva nella Sala del Mosaico della
nuova Cancelleria, circondata da una lunga teoria di mazzi di
fiori e vegliata da una guardia d’onore con i tradizionali elmetti
di ferro. Le strade di Berlino erano un trionfo di bandiere tedesche a mezz’asta. Alle tre del pomeriggio, la marcia funebre
del wagneriano Crepuscolo degli Dei, eseguita dall’Orchestra
Filarmonica della città, diede il via alla fase finale delle esequie. Alla presenza di Hitler e del vertice nazionalsocialista,
il comandante in capo delle SS, Heinrich Himmler, esaltò con
un lungo discorso la vita e l’instancabile attività di Heydrich al
servizio del Terzo Reich, descrivendolo come un martire del
nazismo, «un eroe degno di emulazione perenne, anche se forse la sua levatura rimarrà per sempre irraggiungibile».1 Nelle
parole di Himmler, Heydrich apparteneva «a quelle schiere di
SS che, pur cadute sul campo, continuano a lottare per i nostri
ideali. È nostro sacro dovere vendicarlo e annientare i nemici
della nostra madrepatria».2 Dopo il discorso di Himmler, fu la
volta di un breve intervento di Hitler. Il Führer, visibilmente
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emozionato, elogiò le straordinarie virtù nazionalsocialiste di
Heydrich: «L’Obergruppenführer Heydrich è stato uno dei più
strenui difensori della nostra nuova Germania… uno dei più
irriducibili avversari di tutti i nemici del Reich». Detto questo,
Hitler depose una corona di fiori sulla bara e appuntò sul cuscino di velluto nero, che esibiva le medaglie del defunto, la decorazione più alta dell’Ordine della Germania, un’ onorificenza
riservata a coloro che avevano reso servizi eccezionali al partito
e alla nazione. Dopodiché accarezzò distrattamente le guance
dei bambini di Heydrich, borbottò: «Heydrich… un uomo con
un cuore di acciaio» e si ritirò dalla cerimonia. La bara, coperta
da una bandiera con la svastica, fu posata su un affusto di cannone trainato da sei cavalli neri. Preceduta da una compagnia di
Waffen SS e seguita da un corteo funebre di rappresentanti del
partito nazista e dello stato maggiore, la salma fu trasportata a
lento passo di marcia al cimitero degli Invalidi, dove fu sepolta
con tutti gli onori militari accanto alla lapide commemorativa
del generale Scharnhorst.3
Questo imponente funerale4 era stato attentamente preparato
e gestito da una commissione ad hoc, alle dirette dipendenze del
ministro della Propaganda, Joseph Goebbels. Lo scopo, naturalmente, era quello di celebrare Heydrich come il «nazista perfetto», un eroico martire le cui qualità dovevano essere d’esempio
per tutti i tedeschi. Il culto di Heydrich fu particolarmente forte
nelle SS, e deliberatamente incoraggiato da Himmler. Una maschera mortuaria di bronzo fu spedita alla scuola ufficiali delle
SS a Bad Tölz, accompagnata da un album fotografico delle
esequie e dal testo del discorso funebre di Himmler, il tutto per
«ispirare» debitamente i cadetti. Come ricorderà più tardi uno
di loro, Heydrich era venerato a Bad Tölz come «un dio biondo… quasi una figura mistica. In pratica, non c’era aula della
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scuola ufficiali che non esibisse un suo ritratto». Un’altra copia
della maschera mortuaria di Heydrich faceva bella mostra di sé
nell’ufficio di Himmler, lo stesso Reichsführer avrebbe trascorso
intere settimane sui dettagli estetici del monumento funebre
per l’illustre defunto. In realtà, la retorica roboante dei discorsi
commemorativi e lo splendore scenografico dei funerali di stato
assolvevano anche a un’altra funzione: nascondere il fatto che
ben pochi nel Terzo Reich si rammaricavano per la dipartita di
Heydrich. Perfino Himmler manteneva un atteggiamento ambiguo nei riguardi di un personaggio che si era distaccato dalla
sua ala protettrice per guadagnarsi poco a poco una minacciosa
autonomia. Del resto, i dirigenti dei servizi segreti hanno sempre avuto la brutta abitudine di acquisire il maggior numero di
informazioni sui loro colleghi, e in questo Heydrich non faceva
eccezione: «Per lui era essenziale sapere più degli altri, conoscere
tutto di tutti. Carriere professionali, convinzioni politiche, vita
privata: ogni dettaglio era significativo… A Heydrich piaceva
rimanere nell’ombra a tessere i suoi intrighi».5 Quando era vivo, la sua sola presenza, bastava a raggelare gli interlocutori. Si
mormorava che la sua incolumità personale fosse garantita da
una serie di dossier «imbarazzanti» su camerati e colleghi. Alla
morte di Heydrich, non a caso, Himmler si affrettò a mettere le
mani su quei dossier ad alto contenuto ricattatorio, per sfruttarli
a fini personali.
Tutti quelli che incontravano Heydrich restavano colpiti dalla
sua ambizione, ferocia e doppiezza. Eugen Dollmann, che fu
al suo fianco come interprete durante un viaggio in Italia nel
1938, ebbe a ricordare: «Di tutti i “grandi” uomini che ho avuto
occasione di conoscere, era l’unico che mi faceva davvero paura». Al giudizio di Dollmann si aggiunge quello del capo del
servizio segreto italiano: «Al posto di Himmler, non avrei mai
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tollerato di avere vicino un individuo simile». Persino nell’opaco
universo dei servizi di sicurezza nazisti Heydrich era più temuto
che amato. Il suo pupillo, Walther Schellenberg, destinato in
seguito a diventare capo dell’intelligence tedesca, trovava che
l’aspetto di Heydrich fosse a dir poco sinistro: «Era un uomo di
statura notevole, una figura imponente con una fronte ampia,
insolitamente alta, gli occhi piccoli e irrequieti da animale, ma
provvisti di un fascino minaccioso, una bocca larga con labbra
carnose. Le sue mani erano sottili, ma troppo lunghe, facevano
pensare alle zampe di un ragno. La sua splendida corporatura
era però rovinata da fianchi esageratamente larghi, un inquietante dettaglio femminile che lo faceva apparire ancora più sinistro. La sua voce era troppo acuta per un uomo così robusto,
e il suo eloquio era nervoso, a scatti».
Schellenberg descriveva il suo capo come un intrigante nato,
con «una percezione incredibilmente affinata delle debolezze
morali, umane, professionali e politiche degli altri… La sua intelligenza fuori del comune andava di pari passo con l’istinto sempre
vigile del predatore… Era enormemente ambizioso. Era come
se, in un branco di lupi feroci, dovesse sempre dimostrare a se
stesso di essere il più forte, il più adatto ad assumere il comando».
Wilhelm Hoettl, un altro membro dei servizi di sicurezza
nazisti, ricordava Heydrich come un uomo del tutto privo di un
codice morale: «La verità e la bontà non avevano alcun valore
intrinseco per lui, erano semplici strumenti per guadagnare
sempre più potere… Anche la politica… era solo un trampolino
di lancio per la conquista e la gestione della propria supremazia personale. Gli sembrava futile discutere con se stesso della
correttezza delle sue azioni, perciò, non lo faceva mai». La sua
intelligenza era «crudele, temeraria, fredda» e la sua vita «una
catena ininterrotta di omicidi».
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Nelle parole di Pierre Huss, un giornalista americano che lo
conosceva bene, Heydrich «aveva un cervello e una mentalità
che ricordavano una macchina calcolatrice, senza l’ombra di
alcun sentimento… Non faceva mai sconti a nessuno, e per
nessuno aveva pietà». Non gradiva le critiche, e reagiva molto
male alle domande della stampa straniera: «Una sola serata con
lui, anche quando si comportava in modo educato, era sufficiente per convincere ciascuno di noi che sarebbe stato un gran
brutto affare contrastarlo, se ti fossi trovato dalla parte sbagliata
della barricata». Questi tratti caratteriali furono molto utili a
Heydrich nella giungla della Germania nazionalsocialista, dove
i più deboli finivano male e i politici senza scrupoli facevano
carriera. Quando morì, a soli trentotto anni, si era già reso responsabile di migliaia di morti violente, ma un bilancio del
genere era considerato un successo, nel gioco assassino della
politica nazista. All’interno dei servizi di sicurezza si dava per
scontato che fosse destinato al vertice del potere, al punto che,
con ogni probabilità, sarebbe succeduto a Hitler come Führer
del Reich millenario.6
Questo individuo amorale e spietato aveva visto la luce in
una famiglia cattolica a Halle an der Saale, città di provincia, il
7 marzo 1904. Era il secondo di tre figli, con una sorella maggiore, Maria, e un fratello minore, Heinz Siegfried. Suo padre,
Bruno Heydrich, era un uomo che si era fatto da solo, cantante
e compositore di modesto valore, si era innalzato alla classe
media lavorando sodo e, soprattutto, sposando Elizabeth Kranz,
la figlia di un’agiata famiglia di musicisti proveniente da Dresda.
Nel 1899, gli Heydrich avevano aperto ad Halle un conservatorio, con lo scopo di fornire un’ educazione musicale ai figli
della piccola borghesia. Non è certo che la famiglia progettasse
una carriera musicale per il primogenito, a ogni modo, ancora
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prima di concludere il ciclo scolastico di base, Reinhard aveva
dimostrato un ottimo talento per il violino. Del resto, l’amore
per la musica rimase una costante di tutta la sua breve esistenza. Malgrado gli Heydrich godessero di un buon tenore di vita grazie ai proventi del conservatorio, sulla famiglia gravava
un’atmosfera di scontento causata da ambizioni mai realizzate. A
Elizabeth la cittadina di Halle andava stretta, e aveva programmato il loro trasferimento presso il prestigioso conservatorio
di Dresda, di proprietà dei suoi genitori. I fratelli di Elizabeth,
tuttavia, si erano opposti, così alla donna non era rimasto altro
che rassegnarsi alla vita di provincia. Quanto a Bruno, anche
lui era un uomo profondamente frustrato. La sua carriera giovanile di cantante lirico era stata un fallimento e la sua attività
di compositore non era stata premiata dal successo. Certo, le
sue interpretazioni wagneriane avevano ricevuto qualche elogio
a Colonia e a Lipsia, ma non avevano mai raggiunto il Teatro
dell’Opera di Berlino. Come se non bastasse, Bruno non poteva
neppure fregiarsi del prestigioso titolo di professore d’orchestra,
nonostante avesse fatto di tutto per ottenerlo.
Le frustrazioni professionali di Bruno riflettevano ben più
di una semplice mancanza di talento. Era come se sullo status
degli Heydrich gravasse un punto interrogativo; quanto bastava
per non farli mai accettare pienamente dalla “buona società”
di Halle.
Le umili origini di Bruno certamente giocavano a suo sfavore
nella Germania del Kaiser, dove il classismo era forte e c’era
l’abitudine di «non accordare alcun riconoscimento sociale a
coloro che pure erano riusciti ad acquisire un tenore di vita
sufficiente a penetrare le classi più elevate».7 Tantomeno aiutava il fatto di appartenere a una famiglia cattolica in un paese
per lo più protestante. Infine, a frustrare in qualche misura le
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ambizioni di Bruno, c’era pure la voce che fosse di discendenza
ebraica. Come un cittadino di Halle ebbe in seguito a ricordare,
«la maggior parte degli abitanti… non aveva il minimo dubbio
sulla sua origine ebrea».8 A dispetto di simili affermazioni, si
trattava di una diceria del tutto infondata. Il secondo marito
della madre di Bruno era un fabbro ferraio di nome Gustav Süss;
di conseguenza, il cognome della famiglia era stato registrato
qualche volta come Heydrich-Süss. Lo stesso Bruno appariva
con questo cognome nell’Indice musicale del 1916, e fu soltanto
nelle edizioni successive, per insistenza dello stesso interessato,
che il cognome tornò a essere semplicemente Heydrich. Süss
non era ebreo, e non aveva alcun legame biologico con Bruno,
ma la circostanza che molte famiglie ebree si chiamassero Süss
incoraggiava i pettegolezzi. Per quanto Bruno ci scherzasse sopra, queste voci lo ostacolavano seriamente nei suoi tentativi
di emergere. L’antisemitismo era molto diffuso nella Germania
imperiale, soprattutto tra alcuni segmenti delle classi medie
che si sentivano minacciati dall’industrializzazione crescente
e dalla mobilità sociale. Questi segmenti piccolo borghesi si
opponevano al modello capitalista del tardo diciannovesimo
secolo e invocavano il ripristino di una mitica Volksgemeinschaft, una comunità di popolo basata sullo «stesso sangue e la
stessa cultura», in cui i conflitti di classe non avrebbero avuto
ragion d’essere e l’armonia sociale avrebbe poggiato sull’identità di razza. Simili idee si accompagnavano a un nazionalismo
radicale che esaltava il glorioso destino del popolo tedesco, ed
erano moneta corrente tra quei gruppi, come la Lega Pangermanica, che sostenevano una politica estera di stampo imperialista.
Nell’ideologia völkisch, l’ebreo era il simbolo dell’odiato mondo
moderno, l’agente del cambiamento sociale che aveva prodotto
i sindacati, il socialismo e i grandi complessi industriali. Questa
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visione delle cose era influenzata in egual misura dalla nostalgia
romantica del passato tedesco espressa da Wagner e da un’interpretazione estrema del darwinismo, tendente a individuare
nel «conflitto tra razze» la legge costitutiva della storia. Tali
correnti di pensiero erano state poi sintetizzate e rese popolari
da scrittori come Houston Stewart Chamberlain, con il suo I
fondamenti del XIX secolo, un classico dell’antropologia razzista
che divenne di gran moda dopo la sua pubblicazione nel 1899, e
che nel 1914 avrebbe contato ben otto edizioni e centomila copie
vendute. Dal punto di vista politico, l’antisemitismo raggiunse il
suo apice durante la depressione economica dell’ultima decade
del diciannovesimo secolo, per poi sembrare perdere terreno
con il ritorno alla prosperità nei primi anni del Novecento. Dal
punto di vista sociale, tuttavia, l’ideologia völkisch aveva ormai
permeato di sé larghi settori delle classi medie tedesche.
Fu una vera sfortuna per Bruno Heydrich vivere in una regione in cui l’antisemitismo era saldamente radicato, ed è ironico
constatare come lui per primo fosse vittima del pregiudizio, visto
che era un fiero sostenitore del pensiero völkisch e attraverso un
acceso nazionalismo e un’ obbedienza incondizionata al Kaiser
compensava le sue frustrazioni sociali. Malgrado la moglie fosse
una cattolica praticante, non sembra che Bruno abbia mai preso
sul serio la religione, preferendole di gran lunga una filosofia
secolare intrisa di razzismo e aggressività. Il pettegolezzo esasperante sulle sue presunte origini ebraiche non contribuì a fargli
rigettare quella filosofia. Al contrario, la abbracciò ancora più
strettamente, come un mezzo per smentire qualunque sgradevole diceria sul suo passato e guadagnarsi l’accettazione sociale.
Bruno Heydrich era un appassionato ammiratore di Wagner, al
punto che ne copiava lo stile nelle sue composizioni, e ricordava
con nostalgia un breve periodo di studi con la vedova del Mae-
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stro, Cosima, a Bayreuth nell’estate del 1890. Al pari di Wagner,
era un convinto antisemita che considerava gli ebrei un pericolo
per la Germania, né nascondeva di aver tratto ispirazione dalle
opere di Houston Stewart Chamberlain, a sua volta influenzato
da Wagner, di cui aveva sposato la figlia Eva nel 1908. Secondo
Chamberlain, niente era più importante della razza. La storia
era stata modellata dalla lotta tra razze, che sanciva la vita o la
morte delle nazioni. In un simile sistema darwiniano, i tedeschi
emergevano come il popolo più adatto per l’egemonia. È questa
la filosofia che Bruno Heydrich inculcò ai figli, in particolare
al suo favorito, Reinhard, i cui capelli biondi e gli occhi blu
sembravano inverare lo stereotipo dell’eroe nordico. A dispetto
della reputazione di Bruno come risoluto nazionalista, i pettegolezzi sulla sua origine ebraica continuavano a imbarazzare
la famiglia Heydrich. Ne facevano le spese anche i figli, spesso
derisi a scuola, e forse si nasconde qui la radice del complesso
di inferiorità che avrebbe accompagnato Reinhard per il resto
della sua vita. È possibile infatti che non sia mai stato del tutto
convinto dell’infondatezza di quelle dicerie, e che sia rimasto
costantemente incerto sulla sua effettiva identità «razziale». Anni dopo, un suo conoscente ricordava come il giovane Reinhard raccontasse un mucchio di storie inverosimili sulla sua
origine: «Non si capiva se avesse paura di essere scambiato per
un ebreo, o se temesse di esserlo davvero».9 Mentre il fratello
minore Heinz ricorreva alla violenza, sfoderando il coltello nel
cortile della scuola e minacciando i suoi tormentatori, Reinhard
evitava ogni confronto diretto: solitario e introverso, cercava di
dimostrare la sua superiorità eccellendo nelle materie scolastiche e sul campo sportivo. Già da scolaro, dispiegava quella feroce
energia e quella volontà di emergere che più tardi lo avrebbero
condotto ai vertici della gerarchia nazista.
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Reinhard Heydrich aveva dieci anni quando scoppiò la Prima guerra mondiale, un evento che segnò indelebilmente la
sua prima adolescenza. Il giovane accettò senza riserve la fede
del padre nella vittoria finale, malgrado lo stallo sul fronte occidentale e la carenza di beni di consumo causata dal blocco
navale britannico. L’abdicazione del Kaiser e l’armistizio del 1918
furono un colpo terribile. Mentre la Germania veniva umiliata
dalla pace di Versailles e scossa all’interno da disordini sociali, il
mondo crollò addosso a Reinhard. Come molti tedeschi, anche
gli Heydrich negavano che la loro patria fosse stata sconfitta sul
campo di battaglia e incolpavano del disastro il «nemico interno», l’ebreo, che aveva congiurato con gli Alleati per sabotare il
fronte domestico. Nell’anarchia che seguì l’armistizio, la famiglia
Heydrich simpatizzò con le formazioni paramilitari della destra,
i Freikorps, ex soldati che si dedicavano a stroncare qualunque
tentativo rivoluzionario e a proteggere l’ordine costituito. All’età
di quindici anni, Reinhard si unì a uno dei più famosi di questi
gruppi, il Märacker Freikorps, impegnato nella primavera del
1919 in una sanguinosissima campagna contro la sinistra radicale ad Halle, Magdeburgo e Dresda. Più tardi avrebbe sostenuto
di aver prestato servizio nel Märacker come semplice staffetta,
ma è probabile che la sua attività avesse riguardato anche la
denuncia dei comunisti locali: un vero e proprio esordio nel
lavoro di intelligence. Quando i Freikorps lasciarono la zona,
Reinhard e suo padre si arruolarono in una milizia di difesa
territoriale, i cosiddetti Volontari di Halle, armati e addestrati
da truppe del Märacker. Non pago, Reinhard aderì anche al
Deutscher Schutz und Trutzbund, un’organizzazione fortemente
nazionalista e antisemita. La bandiera di questo gruppo (con
un fiordaliso blu e una svastica) campeggiava sulla parete della
sua camera da letto con lo slogan «Noi siamo i signori della
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Terra». Secondo alcune testimonianze, Reinhard disse che si
era iscritto al Deutscher Schutz und Trutzbund per far sparire
gli scheletri dagli armadi di famiglia: «Il vecchio Heydrich non
può essere un ebreo, se suo figlio è un tale antisemita!».10 Allo
stesso tempo, tuttavia, l’adesione all’organizzazione era più di
una misura di autodifesa, si trattava di una scelta naturale per
un giovane tedesco come Heydrich, cresciuto nell’ideologia völkisch. Non c’ è alcuna prova, non a caso, che si sia mai ribellato
alle idee nazionaliste e razziste di suo padre. Al contrario, fu la
fede religiosa di sua madre che volle abbandonare, rifiutandosi
di diventare un cattolico praticante. Le esperienze della sconfitta
della Germania e dei sussulti rivoluzionari post-armistizio non
fecero altro che confermare i pregiudizi che si portava dietro
fin da bambino.
Malgrado la minaccia della rivoluzione comunista fosse stata
sventata, gli Heydrich, come tutte le formazioni di destra, non
amavano affatto la repubblica di Weimar succeduta al Kaiser. Il
nuovo regime, infatti, democratico e liberale, in perfetta antitesi
a qualunque idea di «comunità» völkisch, era considerato una
creatura degli ebrei e dei socialisti, i «traditori di novembre» che
avevano pugnalato l’esercito alle spalle. Oltretutto, la repubblica
aveva sottoscritto l’odiato trattato di Versailles, accettando di cedere ampie distese di territorio tedesco a «razze inferiori» come i
polacchi. Per gli Heydrich, i pregiudizi antiweimariani erano altresì rafforzati dalle conseguenze pratiche del cambiamento istituzionale. L’ascesa della classe operaia minacciava la posizione
sociale della famiglia, mentre l’inflazione del primo dopoguerra
distruggeva i suoi risparmi. Bruno si ridusse a mendicare un
sussidio comunale, sottolineando il ruolo del suo conservatorio
nella vita culturale di Halle e negando a gran voce di essere un
ebreo in cerca di arricchimento personale. La sua richiesta di
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sussidio fu però respinta, il colpo finale di un establishment
cittadino che non lo aveva mai accettato. L’instabilità politica e le
difficoltà economiche finirono inevitabilmente per influenzare
Reinhard Heydrich nella scelta del suo futuro professionale. Il
conservatorio del padre era andato in bancarotta, e lo studio
della chimica, che aveva considerato, richiedeva una formazione
universitaria che i suoi genitori non potevano più garantirgli.
Il 30 marzo 1922, all’età di diciotto anni, si presentò ai cancelli
della base navale di Kiel come allievo ufficiale.11
Questa scelta era meno strana di quanto potesse apparire. La
Marina aveva sempre esercitato un grande fascino sulle classi
medie della Germania imperiale; era una forza genuina della
nazione, l’espressione più autentica dell’unità tedesca e della
sua volontà imperialistica. Inoltre offriva opportunità di lavoro qualificato sotto il profilo tecnico, e assicurava una buona
carriera ai giovani istruiti della piccola borghesia che desideravano servire il loro paese. La costituzione della «flotta d’alto
mare» (Hochseeflotte), voluta dall’ammiraglio Tirpitz all’inizio
del secolo, aveva suscitato un grande entusiasmo popolare, accortamente incoraggiato dagli alti comandi della Marina. Da
bambino, Reinhard Heydrich era rimasto impressionato dalla
vista di alcune navi da guerra durante una delle sue rare vacanze
a Swinemünde, e nel corso della Prima guerra mondiale le pareti della sua camera da letto erano tappezzate di foto di mezzi
navali ed eroi della Marina. Dopo l’armistizio, il conte Felix
von Luckner, un famoso «corsaro» di convogli commerciali,
era stato ospite frequente della famiglia Heydrich, e incantava
i ragazzi con i racconti delle sue gesta spettacolari. Il prestigio
della Marina era stato però messo in crisi dal «grande ammutinamento» del 1918; episodio che aveva annunciato il collasso
interno della Germania. Tuttavia, il suo onore fu riscattato il
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21 giugno 1919, quando la Hochseeflotte, sotto sequestro britannico, si autoaffondò nella baia scozzese di Scapa Flow: un
atto di sfida accolto entusiasticamente dalla destra tedesca. Gli
equipaggi della Hochseeflotte divennero eroi popolari e, al loro
rientro in patria, furono accolti trionfalmente. Non sorprende,
quindi, che la Marina attraesse il giovane Heydrich, con la sua
promessa di assicurargli una solida identità di ufficiale e gentiluomo, prospettiva ben più seducente di un futuro incerto da
civile a Halle. Del resto, la Marina era fortemente nazionalista
e fieramente selettiva: non accettava, ad esempio, cadetti di origine ebraica o proletaria. Come ebbe a ricordare più tardi un
compagno di corso di Reinhard, «il complesso che provava per
le sue possibili origini ebraiche… esercitava un forte peso su
di lui. Voleva sempre essere più “nordico” di chiunque altro.
Nasceva da qui la sua attrazione per la Marina “nordica”».12
A ben vedere, c’erano anche altri motivi che attiravano verso
la carriera navale un individuo con le esperienze e le convinzioni ideologiche di Heydrich. Benché fosse stata grandemente
ridimensionata dal trattato di Versailles, la Marina tedesca degli
anni venti, nella visione del suo comandante, l’ammiraglio Erich
Raeder, avrebbe comunque costituito il nucleo di una nuova
«flotta d’alto mare», e il corpo ufficiali avrebbe giocato un ruolo
chiave in questo progetto. Gli ufficiali di Raeder erano un’ élite
consapevole, con norme di comportamento che li differenziavano nettamente dalla società civile e dal sistema weimariano.
Lo scopo dell’ammiraglio era quello di dare vita a un precipuo
«stile navale»: «L’adozione di questo stile, che rifletteva il passato patriarcale e conservatore di Raeder, riguardava qualunque
aspetto della vita di un ufficiale di Marina: il suo abbigliamento,
la sua religione, la sua famiglia, persino sua moglie… ogni cosa
doveva rispondere ai codici di condotta di Raeder. L’ammiraglio
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si aspettava che i suoi ufficiali fornissero un esempio a tutta la
Germania, e specialmente alla gioventù».13 In un’epoca di umiliazione nazionale, gli uomini di Raeder dovevano esprimere
la visione di un paese di nuovo in piedi, con una potente flotta
che sarebbe tornata ad assicurarsi l’ammirazione e il rispetto
del mondo. Questo «stile navale» veniva mantenuto ricorrendo
alle corti marziali, che spesso si attenevano a regole non scritte
e non concedevano sconti ai trasgressori. La Marina si vantava
di produrre non solo ottimi ufficiali, ma anche perfetti gentiluomini. Malgrado un’apoliticità di facciata, non faceva nulla
per nascondere il suo scarso rispetto nei confronti della repubblica di Weimar. Molti dei suoi ufficiali erano stati membri dei
Freikorps dopo l’armistizio, e ora agognavano il ripristino di un
regime autoritario, unico modo per restituire alla Germania la
sua potenza militare e il legittimo posto al sole che le competeva.
Fu dunque alla Marina che il giovane Heydrich, già nazionalista
estremo, si rivolse per lasciarsi alle spalle un mondo civile che
non aveva mai amato né capito. La Marina lo plasmò e modellò
per gli otto anni successivi, insegnandogli numerose lezioni che
gli sarebbero tornate utili più tardi, nella sua nuova e assai più
sinistra carriera.
Il goffo e dinoccolato adolescente, che era arrivato a Kiel con
un violino donatogli dal padre, divenne presto la figura più anomala del suo corso. Heydrich aveva ben poco in comune con i
compagni d’accademia, che guardavano con sospetto i suoi sfoggi di cultura. Il tono acuto della voce gli procurò il soprannome
di «caprone», e spesso fu preso di mira dagli istruttori, ruvidi
sottufficiali che non vedevano l’ora di rendere la vita difficile ai
loro futuri superiori. Uno di loro lo trascinava sovente fuori del
suo alloggio per fargli suonare al violino la serenata di Toselli,
una ricorrente umiliazione che lo portò a detestare quella com-
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posizione per il resto della sua vita. La diceria sulle sue origini
ebraiche, che già lo aveva tormentato negli anni scolastici, tornò
a perseguitarlo in Marina. Come ebbe a ricordare un suo compagno di corso, «tutti noi lo consideravamo più o meno un ebreo,
perché un altro cadetto di Halle ci aveva detto che la famiglia
di Reinhard in realtà si chiamava Süss». Non passò molto tempo prima che gli appioppassero un altro soprannome, «Mosè
biondo». Malgrado avesse superato a pieni voti il primo periodo
di addestramento e fosse stato rapidamente promosso, rimase
solitario e introverso. Si sforzava di eccellere nel dovere come
mezzo per superare le sue inadeguatezze sociali, dimostrando
una forte attitudine per gli aspetti tecnici della marineria. Nel
1926 divenne ufficiale segnalatore, e tale rimase per il resto della
sua carriera nella flotta. Sviluppò anche un discreto talento per
le lingue moderne, superando gli esami di inglese, francese e
russo, pur continuando a disprezzare le culture straniere. Da
giovane ufficiale, sognava il rovesciamento della repubblica di
Weimar e la sua sostituzione con un regime che sfruttasse la potenza economica e l’ingegno tecnologico della Germania come
strumenti per raggiungere l’egemonia mondiale. Era un fanatico
della disciplina, assai poco amato dai sottoposti che trattava
con durezza, così da prepararli adeguatamente ai conflitti che
il futuro avrebbe riservato.
Le qualità professionali di Heydrich furono notate molto
presto dai suoi superiori, che gli riconobbero ottime schede di
valutazione. Cercava di distinguersi anche nelle attività sportive, e in breve tempo diventò un eccellente canoista, nuotatore,
schermidore e cavallerizzo. Fu scelto per la squadra navale di
pentathlon e frequentò la scuola militare di sport a Wunstorf,
dove si ruppe due volte il naso cadendo da cavallo. Piuttosto
che un mero passatempo, per Heydrich le discipline atletiche
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erano un mezzo per dimostrare la sua superiorità, un modo
per ribadire la «fede nella lotta» con la quale era stato cresciuto. Si gettava ferocemente nelle competizioni, giocava sempre
per vincere. Detestava perdere e, quando capitava, indulgeva
in comportamenti vittimistici e villani. Quando a Dresda fu
eliminato dal torneo militare di scherma, scagliò con rabbia la
sua sciabola sul tappeto di gara, meritandosi il rimprovero degli
arbitri. Più tardi si è detto che gli unici veri svaghi di Reinhard,
durante il suo servizio in Marina, fossero la musica e i romanzi
di spionaggio che leggeva avidamente. È falso, comunque, che si
sforzasse di nascondere i propri orientamenti politici. I romanzi
di spionaggio si limitavano a confermare il suo sospetto che la
Germania fosse infestata da agenti stranieri, con il compito di
tenere ben salde le «catene di Versailles», un’ipotesi cospirazionista piuttosto comune nelle mense della flotta di Raeder.
Accanto ai thriller spionistici, Heydrich si interessava a testi
di natura politologica, convinto com’era che solo l’estrema destra avrebbe potuto far risorgere la Germania. Anche in questa
fase iniziale, non ignorava l’esistenza del movimento nazista.
Il suo padrino, il conte Ernst von Eberstein, aveva un figlio,
Friedrich Karl, che aveva dieci anni più di lui e si era trasferito
dai Freikorps al quartier generale di Hitler, a Monaco. I due intrattennero un fitto scambio epistolare mentre Heydrich era in
Marina, con importanti ripercussioni sulla sua futura carriera.
Risale a questo periodo, inoltre, il primo incontro di Heydrich
con Wilhelm Canaris, primo ufficiale dell’incrociatore Berlin,
la stessa nave sulla quale Reinhard prestò servizio nel 192324. Canaris era un eroe di guerra e un uomo politicamente
schierato. Era stato sospettato di complicità nell’assassinio dei
leader comunisti Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg (1919) e
di aver spalleggiato il Putsch di Kapp del 1920, teso a rovesciare
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il regime repubblicano. Naturalmente Heydrich lo ammirava,
e Canaris ricambiò presto la stima di quel giovane e solitario
guardiamarina prendendolo sotto la sua ala protettrice. Canaris condivideva con il problematico allievo il disprezzo per il
sistema weimariano e l’amore per la musica. In breve tempo
Heydrich si ritrovò ospite regolare a casa del suo superiore,
dove accompagnava con il violino la moglie Erika, a sua volta
eccellente violoncellista. L’amicizia di un alto grado dalle ferree
convinzioni nazionaliste come Canaris, lusingò non poco il giovane ufficiale, socialmente insicuro. Come in seguito ricorderà
lo stesso Heydrich, era la prima volta che si sentiva davvero
accettato dalla Marina. Anni dopo, le strade dei due uomini si
sarebbero incrociate di nuovo, ma in circostanze assai diverse.
Dopo sei anni a bordo della flotta, Heydrich fu promosso
tenente di vascello e assegnato alla sezione comunicazioni del
comando navale di Kiel. Era un importante passo in avanti,
che dimostrava la fiducia degli alti gradi nella sua affidabilità
politica e nelle sue capacità tecniche. Nulla si sa delle attività
di Heydrich di questo periodo, anche se è improbabile che si
limitasse a prestare servizio come ufficiale segnalatore. Secondo la versione ufficiale nazista, tra il 1928 e il 1931 Heydrich
fu assegnato all’intelligence della Marina. Malgrado non esista
alcuna prova documentale a sostegno, non sembra un’ipotesi campata in aria. La supersegreta «Sezione B» era ospitata
nella base navale di Kiel nello stesso periodo in cui Heydrich
vi prestava servizio. Si trattava di un’unità di intercettazione
e decrittazione che si era particolarmente distinta durante la
Prima guerra mondiale, e che aveva continuato a operare clandestinamente dopo la fine del conflitto, in spregio al trattato
di Versailles. La sua missione era quella di raccogliere informazioni sui nemici (veri o presunti) della Germania attra-
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verso il monitoraggio e la decifrazione del loro traffico radio;
un compito che la «Sezione B» svolgeva sotto la copertura
dell’Ispettorato degli ordigni esplosivi e siluri. Il bagaglio
tecnico di Heydrich e la sua conoscenza delle lingue straniere
lo rendevano un candidato ideale per quella unità. Inoltre il suo
mentore, Canaris, aveva collaborato a lungo con l’intelligence
della Marina, e non è da escludere che abbia raccomandato
Heydrich per qualche impiego segreto. Qualunque fosse la reale
natura del suo ruolo di servizio, Heydrich non poteva ignorare
che dopo il «grande ammutinamento» del 1918 la Marina
aveva rafforzato il suo sistema di sorveglianza sulle attività
sovversive e l’antimilitarismo, e che Canaris si era dato parecchio
da fare per tenere sotto controllo i «rossi». A ogni modo, nel
1931 sembrava che Heydrich fosse destinato a compiere la sua
carriera all’interno della flotta, promozione dopo promozione.
Da giovane tenente di vascello, sognava di salire tutta la scala
gerarchica e di diventare prima o poi ammiraglio. Aveva pochi
dubbi che la sua carriera avrebbe raggiunto il vertice nel corso
di una guerra. La crisi economica del 1929 aveva scosso fin dalle
fondamenta la repubblica di Weimar. Nelle elezioni del 1930, il
partito nazista aveva fatto il suo esplosivo ingresso sulla scena
politica con sei milioni e mezzo di voti e 107 seggi al Reichstag,
un risultato che aveva stupito gli osservatori. Heydrich aveva
sperato che la repubblica fosse agli sgoccioli, e che presto
sarebbe stata sostituita da un regime autoritario, in grado
di sfruttare le risorse economiche del paese per conquistare
l’egemonia mondiale. Una rivoluzione nazionalista avrebbe
schiacciato i nemici interni della Germania – gli ebrei e i loro
alleati marxisti – e spezzato le catene del trattato di Versailles.
Come ebbe a ricordare un suo conoscente, quando Heydrich
apprese i risultati elettorali del 1930, li commentò così: «Adesso
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il presidente Hindenburg non ha scelta, deve nominare Hitler
cancelliere. La nostra ora è arrivata».14 In realtà, nel suo ottimismo, aveva anticipato una svolta che sarebbe avvenuta solo
tre anni più tardi. E nel 1933, Heydrich non sarebbe più stato
ufficiale di Marina da un pezzo.
Il giovane e ambizioso tenente di vascello soffriva di una
debolezza che prima o poi lo avrebbe portato in rotta di collisione con i superiori: un insaziabile appetito sessuale. Nelle sue
relazioni con le donne, esattamente come sui campi sportivi,
non brillava certo per correttezza e pudore, in aperta trasgressione ai codici morali della Marina. Nel 1928, il goffo adolescente Reinhard si era ormai trasformato in un bel giovanotto
di ventiquattro anni, la cui nordica avvenenza era sciupata solo
dalle conseguenze delle fratture al naso e dalla voce stridula.
Heydrich sfruttava la propria bellezza e il prestigio dell’uniforme per fare colpo sull’altro sesso. Questo aspetto del suo
carattere aveva molti punti di contatto con la sua ossessione per
lo sport: in entrambi i casi, si trattava di conquistare il primo
premio, vincere, dominare, dimostrare al mondo la sua indiscutibile superiorità. Anche con le donne, non sopportava di
essere sconfitto, un’insofferenza che minacciò di cacciarlo nei
guai durante una crociera d’addestramento nel Mediterraneo.
In proposito, ecco la testimonianza di un suo collega: «Eravamo
ospiti del German Club di Barcellona. La comunità tedesca era
presente al gran completo… Heydrich fece la conoscenza di una
signorina di ottima famiglia e la invitò a fare una passeggiata nei
giardini del club… Qui si comportò molto male, al punto che
la ragazza lo prese a schiaffi. Rosso di rabbia, Heydrich venne
da me a lamentarsi. Io gli risposi che se lo era meritato, e lui lasciò la festa… La signorina in questione presentò una denuncia
formale, e il giorno dopo Heydrich fu costretto a scusarsi».15 In
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quell’occasione Reinhard sfuggì alla corte marziale, ma alla fine
la fortuna gli voltò le spalle. Nel dicembre del 1930, durante
un ballo a Kiel, incontrò Lina von Osten, una ragazza ospite di
un convitto cittadino per allieve insegnanti. Dopo solo quattro
appuntamenti, le chiese di sposarlo. Heydrich era attratto da
Lina per le sue fattezze nordiche, un modo come un altro per
ribadire a se stesso la propria identità razziale e l’infondatezza
delle dicerie sulla sua origine ebraica. Anche la provenienza
della famiglia di Lina aveva la sua importanza. Certo, il padre
della ragazza era un semplice maestro di scuola elementare su
un’isoletta del Baltico, Fehmarn, eppure i von Osten vantavano
un retaggio aristocratico, particolare non trascurabile per un
uomo afflitto da complessi di inferiorità come Heydrich. Quanto
a Lina, un ufficiale della flotta era senza dubbio un buon partito,
in termini di rispettabilità e prestigio sociale; oltretutto, non era
preoccupata di dover condividere, da moglie di un tenente di
vascello, le posizioni politiche autoritarie del marito: gli stessi
von Osten erano nazionalisti radicali e antisemiti. Lina e suo
fratello erano stati addirittura tra i primi a iscriversi al partito
nazista, e consideravano Hitler l’unico uomo in grado di salvare
la Germania e restituirle la sua grandezza.
Nel Natale del 1930, a Fehmarn, Heydrich chiese e ottenne
dal padre di Lina il consenso al matrimonio, dopodiché tornò
ai suoi doveri di servizio, mentre la ragazza trascorreva nella
casa di famiglia il resto delle feste natalizie. L’annuncio del fidanzamento con Lina, nel gennaio del 1931, segnò però la brusca
interruzione della carriera navale di Heydrich. Quando Lina
tornò a Kiel per riprendere i suoi studi, fu accolta alla stazione
da un agitatissimo Reinhard, latore di una notizia terribile. Una
sua precedente ragazza lo aveva denunciato alla corte marziale
della flotta per «rottura della promessa matrimoniale». Heydrich
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disse che l’aveva incontrata a un ballo, dopo una regata a Kiel. In
seguito, una sera, lei si era presentata nei suoi alloggi, chiedendogli ospitalità per la notte. Non era successo niente tra loro, ma
il padre della ragazza aveva preteso che Heydrich ne tutelasse
il buon nome sposandola. Non senza qualche difficoltà, Lina si
convinse della buona fede di Heydrich, tuttavia gli chiese se una
simile banale accadimento bastasse a ipotizzare un fidanzamento tra lui e quella ragazza. Heydrich le rispose in tono amaro:
«Tu non conosci la Marina». La corte marziale aveva raccolto
al riguardo testimonianze ben diverse e, contrariamente a Lina,
non credeva alla versione di Heydrich. Le prove testimoniali
indicavano come fosse stato lo stesso Reinhard a invitare la
ragazza a Kiel, e come fosse stato sempre lui a suggerirle di passare la notte nei suoi alloggi, visto che gli alberghi erano troppo
costosi: «Facendo di necessità virtù, lei aveva accettato. Tuttavia
aveva fermamente respinto le avance di Heydrich». Come se non
bastasse, il caso era aggravato dalla parentela della ragazza. Il
padre era il sovrintendente del cantiere navale di Kiel, nonché
buon amico dell’ammiraglio Raeder. Dato che l’inflessibilità di
Raeder in materia disciplinare era ben nota, Heydrich aveva
ottimi motivi per temere il verdetto della corte. Il suo atteggiamento durante le udienze non migliorò la situazione. Si difese
in maniera piuttosto goffa, e, cosa ancora più grave, non nascose il suo disprezzo per il codice morale della flotta. Se voleva
mettersi contro i giudici, ci riuscì benissimo. La corte concluse
che il comportamento di Heydrich metteva in serio dubbio «la
possibilità che potesse proseguire il suo servizio in Marina», e
Raeder fu d’accordo. Nell’aprile del 1931, il tenente di vascello
Reinhard Heydrich fu costretto a congedarsi dalla Marina tedesca. Eravamo al culmine della Grande Depressione, e Heydrich
si ritrovò in mezzo a una strada: non più ufficiale né gentiluomo,
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era solo uno dei cinque milioni di disoccupati tedeschi.
Heydrich tornò nella casa dei genitori ad Halle; si chiuse
nella sua stanza e cominciò a piangere. Come più tardi ricorderà
Lina, «per lui fu un colpo durissimo; la peggior disgrazia della
sua vita… Non era solo il fatto di aver perso lo stipendio, c’era
dell’altro. Reinhard si era letteralmente aggrappato alla carriera
in Marina».16 Sua madre addossò alla fidanzata la colpa del disastro, e i loro rapporti rimasero sempre piuttosto freddi. Quanto
ai von Osten, decisero che Heydrich non era più un buon partito. Un ex ufficiale di Marina disoccupato non era la stessa cosa
di un tenente di vascello in servizio permanente effettivo. Anche
se Lina si rifiutava di rompere il fidanzamento, non si sarebbe
parlato di matrimonio finché Heydrich non avesse trovato un
impiego. In un primo momento Reinhard sperò di poter essere
riammesso nei ranghi della flotta, ma il suo ricorso contro il
verdetto della corte marziale fu respinto. Che gli piacesse o no,
il suo futuro era in abiti civili. Dapprima pensò di arruolarsi
nella Marina mercantile, ma gli ingaggi scarseggiavano a causa
della crisi economica, senza contare il fatto che il suo allontanamento forzato dalla flotta non costituiva un buon precedente.
La scuola anseatica di vela si mostrò disponibile ad assumerlo come istruttore, con un salario decente, ma Heydrich non
era per nulla interessato, e lasciò cadere la proposta. In realtà
continuava a rimpiangere il suo status di ufficiale della flotta, e
detestava l’idea di diventare un semplice impiegato, retribuito
per insegnare tecniche di navigazione ai figli dei ricchi. Infine,
la nostalgia per la vita militare trovò sfogo nei ranghi del partito nazista, tanto più potente quanto più la crisi economica
corrodeva dall’interno la repubblica di Weimar. Non fu solo
l’influenza di Lina e del fratello, nazionalsocialisti entusiasti; ma
anche quella di Karl von Eberstein, con cui aveva intrattenuto
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una fitta corrispondenza epistolare durante il servizio in Marina. La «filosofia della lotta» e il feroce antisemitismo di Hitler
riecheggiavano i pregiudizi nei quali Heydrich era cresciuto, del
resto, già nel 1930 aveva espresso il suo plauso per il capo del
nazismo. Così, fu a Hitler che si rivolse, non solo per «salvare
la Germania», ma anche per raddrizzare la sua carriera e per
questo chiese all’amico von Eberstein di raccomandarlo presso
il quartier generale del partito nazista a Monaco.
All’epoca in cui Heydrich lavorava alla base navale di Kiel,
von Eberstein era stato uno dei comandanti degli Sturmabteilung (le famigerate SA naziste) a Monaco e nell’Alta Baviera.
Le SA avevano irrobustito il movimento hitleriano con una
massiccia iniezione di forza bruta, i suoi teppisti in camicia
bruna, sulla falsariga dei primi Freikorps, eccellevano negli
scontri di strada e nell’intimidazione violenta degli avversari
politici. Nel 1931, tuttavia, von Eberstein si era unito a una
nuova organizzazione, le Schutzstaffel, o SS. Nonostante fossero
subordinate alle SA, le SS – costituite nel 1925 come guardie del
corpo di Hitler – già si consideravano una formazione d’élite. Le
loro regole di condotta erano state definite in larga misura da
Heinrich Himmler, il figlio ventinovenne di un insegnante di
Monaco. Diventato Reichsführer nel gennaio del 1929, Himmler aveva dato inizio a un processo di rapida espansione delle
Schutzstaffel. Le sue maniere gentili e il tozzo volto occhialuto
nascondevano un’ambizione spietata e una feroce brama di
potere. Il Reichsführer sognava di trasformare le SS in un’aristocrazia teutonica, una razza di superuomini nordici che avrebbe
governato una Germania rigenerata e razzialmente pura, non
più contaminata dalle influenze ebraiche e marxiste. Himmler
vedeva nelle SS un vero e proprio «Ordine Ariano», posto su
un piano superiore quanto a integrità razziale, norme di com-
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portamento, disciplina e spirito di sacrificio. Nella concezione himmleriana, le Schutzstaffel sarebbero dovute diventare la
«guardia imperiale» della nuova Germania nazionalsocialista.
Per questo motivo, la condotta di ogni singola SS era regolata
da una serie di norme che riguardavano sia i doveri di servizio
sia la vita privata. Le SS non erano neppure libere di scegliersi
le proprie mogli in totale autonomia: la purezza morale e razziale delle future consorti era controllata personalmente dal
Reichsführer. Grazie alla raccomandazione di von Eberstein, che
lavorava nell’organico di Himmler, Heydrich divenne membro
del partito nazista (tessera numero 544.916) nel giugno del
1931. Reinhard si era già unito alle SA di Amburgo, e aveva
partecipato a sanguinosi scontri di strada con comunisti e altri
oppositori del nazismo. Se si era deciso a compiere quel passo,
era anche per la consapevolezza che la sua militanza tra quei
picchiatori da birreria sarebbe stata assai breve, visto che von
Eberstein avrebbe usato la sua influenza per favorirgli un rapido trasferimento alle SS. Non è difficile spiegare perché le
Schutzstaffel calamitassero l’attenzione di Heydrich, un «fallito»
agli occhi della propria classe di appartenenza. L’«Ordine Nero» di Himmler gli offriva sia la possibilità di acquisire potere,
sia gli strumenti per vendicarsi di una società che lo aveva
respinto, come aveva fatto con suo padre. Attraverso le SS sarebbe diventato membro di una nuova aristocrazia, e questo
lo avrebbe ricompensato del suo traumatico allontanamento
dalla Marina. Oltretutto, le SS si battevano per la creazione
di una Germania razzialmente pura: quale miglior modo per
seppellire definitivamente il fantasma di Gustav Süss, e per
mettere in pratica l’ideologia völkisch di cui Reinhard si era
nutrito fin dai giorni della scuola? Per il resto della sua vita,
Heydrich verrà identificato con la spietata lotta delle SS per
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il potere, prima in Germania e poi nei paesi occupati. C’era
una perfetta coincidenza di vedute tra l’ex tenente di vascello
e l’organizzazione di Himmler.
La crescita delle SS sotto Himmler fu incoraggiata da Hitler,
che le considerava uno strumento affidabile per tenere sotto
controllo i suoi rivali all’interno del partito. Fedeli alle consegne
himmleriane, le SS riferivano anche sulle attività dei gruppi
antinazisti di sinistra. Fino al 1931 quest’opera di spionaggio
politico era stata dilettantesca, confusa e scarsamente coordinata, ma Himmler intendeva porvi rimedio. Stava già guardando
a un futuro in cui Hitler sarebbe stato il dittatore assoluto della
Germania. Le informazioni erano una fonte di potere, e se le SS
volevano radicarsi saldamente non solo all’interno del partito
nazista, ma anche nei gangli dello stato tedesco, avevano bisogno
di un servizio segreto che si rivelasse all’altezza. Di conseguenza,
Himmler si dedicò a cercare qualcuno che fosse in grado di
organizzare l’intelligence SS su basi professionali e, fu così che,
attraverso von Eberstein, venne a conoscenza del curriculum di
Heydrich. Il Reichsführer fu molto colpito dall’aspetto nordico di
Reinhard, che dal suo punto di vista rispondeva perfettamente
all’SS ideale, come pure dai suoi trascorsi in Marina. Inserì quindi Heydrich nella rosa dei candidati, accanto a un ex capitano
dell’esercito di nome Horninger. Heydrich fu informato di essere
stato preso in considerazione per un incarico di rilievo nelle
SS, e gli fu ordinato di presentarsi a rapporto presso il quartier
generale nazista di Monaco. All’ultimo minuto, tuttavia, mentre
Lina gli stava preparando i bagagli, un telegramma di von Eberstein lo informò che Himmler si era preso un brutto raffreddore,
e che il «colloquio di lavoro» era rinviato a data da destinarsi.
Queste notizie gettarono Reinhard nel panico, ma Lina insistette
perché andasse avanti lo stesso e forzasse la situazione. Dopo
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aver avvisato von Eberstein con un telegramma, Heydrich salì
sull’espresso della notte da Amburgo. Il suo amico non fu molto
contento di vederlo su una banchina della stazione di Monaco il
mattino successivo, ciononostante accettò di telefonare a Himmler, che si trovava nel suo allevamento di polli fuori città, per
chiedergli un appuntamento. Sebbene fosse visibilmente irritato
di trovarsi Heydrich sulla porta di casa, il Reichsführer lo ricevette. Quando lo ebbe di fronte, non perse tempo in convenevoli.
In modo brusco, gli disse che aveva venti minuti per esporre i
suoi piani sui futuri servizi segreti delle SS. Heydrich, che non
era a conoscenza dello scopo del colloquio, sulle prime fu colto
alla sprovvista, ma riguadagnò rapidamente terreno. Che avesse lavorato o meno per l’intelligence della Marina – Himmler,
almeno in apparenza, era convinto di sì – la sua conoscenza
del mondo militare gli diede una grossa mano. Scribacchiò su
due piedi un breve memorandum che impressionò talmente
il Reichsführer, del tutto inesperto in materia, da spingerlo ad
assumerlo seduta stante. Gli appunti frettolosi di Heydrich costituirono le basi del Sicherheitsdienst (SD), destinato a diventare
in breve tempo «il più potente servizio di sicurezza del nazionalsocialismo». Senza rendersene conto, Himmler aveva scelto
l’uomo giusto. Il candidato rivale di Heydrich, Horninger, era
un agente della polizia politica della Baviera.
Nell’agosto del 1931, Heydrich iniziò il suo nuovo lavoro a
Monaco. Era risoluto a servire le SS al meglio delle sue capacità e a offrire a Himmler una fedeltà incrollabile, a dispetto
della propensione alla doppiezza tipica del suo carattere.17 Del
resto, senza il Reichsführer e le Schutzstaffel, Heydrich sarebbe
rimasto uno dei tanti disoccupati della repubblica di Weimar,
un ex ufficiale senza futuro. Dato che la sua espulsione dalla
Marina continuava a imbarazzarlo, nel tentativo di ingraziarsi
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la simpatia dei «vecchi combattenti» del partito fece circolare la storiella di un congedo forzato a causa delle sue attività
filonaziste. Il suo dossier presso le SS ometteva i dettagli più
squallidi, limitandosi a segnalare che era stato congedato dalla
flotta «per motivi non connessi al servizio» e contro il parere dei suoi «diretti superiori». L’ascesa di Heydrich nei ranghi
delle Schutzstaffel fu molto rapida, e già nel luglio del 1932 fu
promosso al grado di Standartenführer, cioè colonnello. Nonostante il suo stipendio fosse modesto e spesso erogato in ritardo,
fu economicamente in grado di sposare Lina von Osten nel
Natale del 1931, con una cerimonia protestante celebrata da
un pastore con simpatie naziste. La chiesa era stata addobbata
con una svastica, mentre l’organo suonava l’Horst Wessel Lied,18
l’inno antisemita delle SA. Heydrich aveva perso da tempo la
sua fede, e il fatto che fosse stato battezzato nel cattolicesimo
non fu d’ostacolo a una celebrazione protestante. Lina si accasò
con Reinhard a Monaco, calandosi nei panni di un’ esemplare
moglie e madre nazionalsocialista. Come «nuovo arrivato» nel
movimento hitleriano, Heydrich era ansioso di ottenere il plauso
dei suoi superiori. In privato disprezzava Himmler, che si era
convinto di essere la reincarnazione di un re medievale, Enrico l’Uccellatore, e spesso scherzava con Lina sul «misticismo
demente» del suo capo, tuttavia i loro rapporti pubblici furono
sempre corretti e formali. Heydrich si rivolgeva a Himmler nel
modo più ossequioso possibile, così da accattivarsene la benevolenza e rendersi indispensabile ai suoi occhi, applicando
quello che aveva imparato in Marina sull’arte di compiacere
superiori difficili. Quanto al Reichsführer SS, era molto colpito
dalla professionalità del suo nuovo subordinato, e si era ormai
persuaso di aver scelto l’uomo giusto per il posto giusto. Secondo
Himmler, Heydrich era nato per il lavoro di intelligence; era
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«uno schedario vivente, un cervello in grado di raccogliere tutti
i fili e di tesserli assieme». Le informazioni che procurava erano
utilissime agli intrighi del Reichsführer e costituirono le basi
di un’alleanza che li avrebbe proiettati entrambi ai vertici della
gerarchia nazista. Più tardi Lina sostenne che era suo marito la
vera forza trainante dietro il mediocre Himmler, la mano che lo
spingeva inesorabilmente avanti. In realtà, è più probabile che
uno sfruttasse l’altro. Le conoscenze e il talento organizzativo
di Heydrich si integravano perfettamente con le ambizioni personali di Himmler e lo aiutavano a rafforzare la sua posizione
nel partito. Heydrich ebbe rapporti amichevoli anche con Ernst
Röhm, il capo delle SA, che si prestò, insieme a Himmler, a fare
da padrino al suo primo figlio, Klaus, nel luglio del 1933. A dire
il vero, Reinhard nutriva molte riserve nei riguardi di Röhm,
omosessuale risaputo, ma pensava che godere dei suoi favori lo
avrebbe aiutato nella carriera. Röhm era l’amico più intimo di
Hitler, nonché il capo di un’organizzazione alla quale le SS erano
ancora subordinate. La sua amicizia poteva rivelarsi decisiva per
un uomo che molti nazisti della vecchia guardia consideravano
un parvenu. Quando la situazione politica cambiò, dopo l’ascesa
al potere di Hitler, Reinhard non ebbe scrupoli a collaborare
all’omicidio di Röhm.
La minaccia principale alla carriera di Heydrich in quei primi
anni restava la vecchia maldicenza sulle origini della sua famiglia, che era tornata a tormentarlo per l’ennesima volta. Secondo
la testimonianza di Lina, «nel febbraio del 1932, un paio di
mesi dopo il nostro matrimonio, alcuni ex colleghi ufficiali di
Reinhard, avendo saputo che era entrato nelle SS, testimoniarono davanti al Gauleiter di Halle che Heydrich non si chiamava realmente Heydrich, bensì Süss, e che era ebreo».19 Questa
denuncia era la prova della sua persistente impopolarità presso
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i vecchi compagni di bordo, un sentimento di antipatia che si
era creato fin dai suoi primi giorni alla base navale di Kiel. Il
Gauleiter riferì immediatamente la notizia al quartier generale
del partito a Monaco, che avviò un’inchiesta approfondita sulle
radici razziali della famiglia Heydrich. Le conclusioni ufficiali
furono che Reinhard e suo padre erano «privi di qualunque
traccia di sangue ebraico o di colore». Ciononostante, la diceria
non venne meno e continuò a circolare sia nell’establishment nazista sia tra i giornalisti stranieri accreditati a Berlino. Nel 1935
e nel 1937, Heydrich promosse addirittura delle cause legali per
smentire le sue origini ebraiche. Ancora nel 1940, un cittadino
di Halle finì in galera per aver detto in pubblico che «Heydrich
e suo padre non erano di discendenza ariana». Senza dubbio,
bisognava essere molto coraggiosi, o totalmente folli, per sfidare
l’ira di Heydrich rivangando ad alta voce il suo passato. I pochi
che osavano farlo, rischiavano seriamente di sparire nel nulla,
inghiottiti dall’apparato totalitario della polizia nazista.
Heydrich trascorse i due anni precedenti l’ascesa al potere
di Hitler organizzando l’SD, tenendo a bada le spie del partito
ed eludendo le attenzioni sgradite della polizia politica bavarese. Fu un periodo incerto e pericoloso. Gli scontri di strada
tra nazisti e antinazisti, con il loro corollario di morti, erano
pressoché quotidiani, e molti tedeschi parlavano apertamente
di guerra civile. Quando le SA e le SS furono messe fuori legge,
Heydrich si ritrovò a lavorare clandestinamente. Lo stipendio
continuava a essergli versato a singhiozzo, e lui e i suoi collaboratori dovevano spesso accontentarsi, per placare i morsi
della fame, di una minestra cucinata da Lina. Queste difficoltà,
tuttavia, non lo scoraggiarono. Era pronto a lavorare senza sosta per la vittoria del nazismo, avendo legato inestricabilmente
la propria salvezza e quella della Germania al trionfo di Adolf
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Hitler. Fin dall’inizio, Heydrich dimostrò un talento naturale
per il lavoro di intelligence: mise in piedi un archivio di tutti
gli oppositori politici (veri o presunti) e cominciò a percorrere
la Germania per reclutare agenti a tempo pieno, tra i quali il
fratello Heinz, all’epoca giornalista a Berlino. Il suo scopo era
quello di creare un efficiente servizio di spionaggio come élite
separata all’interno delle SS.20 Fidandosi notevolmente delle sue
capacità di controllo, non aveva alcun problema a circondarsi
di giovani molto intelligenti e brillanti, il che non significava
che non li spiasse da vicino o permettesse loro un accesso indiscriminato a tutte le informazioni, o agli alti gradi del potere
nazista. Heydrich costituì la sua rete di agenti reclutandoli dalle
unità locali delle SS e piazzò la sua struttura di comando in
un edificio appartato alla periferia di Monaco, ben lontano dal
quartier generale nazista, dove fin troppa gente avrebbe potuto
ficcare il naso nel suo lavoro. L’SD doveva restare un corpo separato dalle SS, e, soprattutto, doveva rispondere soltanto a lui.
Era altresì necessario che il nuovo servizio di sicurezza avesse
una propria «mistica» e un suo stile precipuo, sulla falsariga di
quello della Marina, che pure lo aveva buttato fuori. Il modello
di Heydrich fu il servizio segreto inglese (SIS), che peraltro
conosceva solo dalle pagine dei romanzi di spionaggio. Come
molti nazisti, era affascinato dall’impero britannico e pensava
che il segreto delle sue fortune si nascondesse nell’astuzia della
sua intelligence. Inoltre, credeva che gli inglesi avessero trasformato lo spionaggio in una professione onorevole, una vera
e propria chiamata alle armi per patrioti e gentiluomini. Nelle
sue stesse parole, ciascun cittadino britannico degno di questo
nome era «pronto ad aiutare il suo servizio segreto come se
fosse un ovvio dovere civico… La potenza inglese deve tutto
alla propria intelligence, perché chi è bene informato ha sempre
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un grande vantaggio su chi ne sa di meno. Questo è vero sia
nella competizione commerciale che in quella politica, che in
Inghilterra sono quasi la stessa cosa. Le SS hanno fatta propria
l’idea inglese dell’intelligence come lavoro per gentiluomini».21
Gli agenti inglesi provenivano dalla crema dell’establishment,
un’aristocrazia dentro l’aristocrazia. Heydrich si propose di copiare questo modello e reclutò preferibilmente giovani della
classe media con un’istruzione universitaria, come il suo futuro
protégé Walther Schellenberg, un avvocato che sarebbe entrato
nelle SS nel 1934 perché «accoglievano solo i migliori». Secondo
Heydrich, gli agenti dell’SD dovevano essere «persone affidabili che agiscono esclusivamente sulla base delle motivazioni
più nobili, e che godono del rispetto della comunità per i loro
successi, la loro perizia professionale, i loro giudizi obiettivi
e imparziali».22 Si racconta anche che Heydrich avesse scelto
come nome in codice la lettera «C», perché era la tradizionale
sigla identificativa del capo del SIS. In realtà, c’ è da dubitare
che conoscesse questo dettaglio nei primi giorni dell’SD; più
probabile, invece, che l’ispirazione gli fosse venuta da assai più
vicino. Heydrich non poteva non sapere che tra i nazisti della
prima ora, Hitler era soprannominato Der Chef («il Capo»),
ovvero «C». L’adozione dello stesso nomignolo era un segno sia
del suo desiderio di identificarsi con il Führer, sia della brama
di potere che permeava la sua personalità.
Nonostante affermasse di ispirarsi al modello inglese,
Heydrich creò un’ organizzazione a sua immagine e somiglianza. L’SD fu costituito dai figli delle classi medie tedesche che
condividevano il suo odio per la repubblica di Weimar, giovani
«spiritualmente privi di radici che non si curavano del rispetto
delle norme di condotta generalmente accettate».23 Sarebbe un
errore, tuttavia, considerare Heydrich un mero tecnico dello
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spionaggio, un opportunista amorale che aveva offerto i suoi
servizi alle SS solo per rifarsi una carriera dopo il congedo obbligato dalla Marina. La sua freddezza esteriore nascondeva
forti pulsioni ideologiche ed emotive, e queste stesse pulsioni lo
rendevano un uomo pericoloso. Aveva consapevolmente creato
l’SD come strumento perfetto per la rivoluzione nazionalista di
Hitler. Quando i nazisti avrebbero preso il potere, non ci sarebbe stato più scampo per ebrei e marxisti. La liquidazione dei
nemici interni avrebbe costituito solo il primo passo, il prologo
necessario a una guerra di conquista che avrebbe stracciato il
trattato di Versailles e instaurato il Reich millenario. In questa
apocalittica lotta all’ultimo sangue per lo «spazio vitale» della
Germania, non ci sarebbe stata alcuna pugnalata alle spalle,
come era accaduto nel 1918. Peraltro, gli ebrei e i marxisti non
erano gli unici bersagli. In Heydrich, la spinta verso il potere
era alimentata da una feroce sete di vendetta, non soltanto nei
riguardi dei «traditori di novembre», ma anche nei confronti
dei simboli della vecchia Germania imperiale. Il suo disprezzo per gli emblemi di quella Germania – il corpo ufficiali, la
burocrazia, le chiese – era totale, e avrebbe consacrato tutte le
sue energie a individuarli e distruggerli. L’accentramento del
potere nel nome della sicurezza gli avrebbe permesso di punire
la classe conservatrice che aveva umiliato la sua famiglia e lo
aveva espulso dalla Marina. Se non poteva essere accettato da
quell’establishment, lo avrebbe spazzato via per sostituirlo con
una nuova aristocrazia ariana, le SS. Questo rimase un obiettivo
lontano durante i primi tempi a Monaco. Prima dell’ascesa di
Hitler al potere, l’SD era una piccola organizzazione con appena
sette dirigenti e quaranta agenti a tempo pieno distribuiti sul territorio tedesco. Non era neppure l’unica agenzia di intelligence
del partito nazista. Heydrich, tuttavia, già sognava di diventa-
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re il poliziotto segreto di Hitler. Aveva plasmato l’SD come il
nucleo di un sistema di sicurezza nazista sotto il suo esclusivo
controllo, un mezzo per realizzare le sue sfrenate ambizioni.
Egli era abbastanza scaltro da comprendere che «in un regime
totalitario moderno, il principio della sicurezza dello stato non
conosce limiti, e chi se ne occupa è nella posizione migliore per
conquistarsi un potere quasi illimitato».24
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