La Nuova Europa - Regione Molise
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La Nuova Europa - Regione Molise
La Nuova Europa Il nuovo confine dell’Europa Se si vuole irritare uno sloveno, un polacco, un estone, insomma un cittadino di uno dei dieci Paesi che da sabato prossimo entrano, a far parte dell’Ue, un metodo infallibile è menzionare la sua appartenenza all'Europa Orientale". “Centrale”, ribatterà fra i denti, “io vengo da1l'Europa Centrale”. La geografia gli dà ragione; e anche la storia, in parte. Solo che per le generazioni cresciute dopo la guerra è difficile sradicare la cartina mentale a cui hanno fatto riferimento per tanti decenni. Smettere di pensare che c'è, un 'Europa al di qua e una al di là: del muro di Berlino, della cortina di ferro, o semplicemente del reticolato che taglia in due i sobborghi di Gorizia. Con la cerimonia del l° maggio al castello di Dublino, il confine al di qua e il di là si sposta molto più a est. Ma, inevitabilmente, un'Europa a Oriente di questa rimane; e ignorarla è impossibile. Tanto più quando, fra tre o quattro anni, l'ingresso della Romania ( assieme alla Bulgaria) ripristinerà un "confine" ininterrotto, dal Mar Nero al Baltico. Sulla natura e le caratteristiche che dovrà assumere quel confine, i nuovi Paesi membri hanno idee molto diverse. Estonia e Lettonia lo vorrebbero arcigno e impenetrabile. Riflesso di una paura atavica più che comprensibile, visto che fino a tre lustri fa erano incorporate nel1'Unione Sovietica, che oggi confinano con la Russia, e che ospitano tuttora consistenti minoranze russe. Altri, a cominciare dalla Polonia" preferirebbero uno sbarramento più permeabile che consenta di mantenere in vita il piccolo commercio transfrontaliero con la Bielorussia e l'Ucraina, utile a tenere in piedi la debole economia dei villaggi da una parte e dall’altra del confine. E invece, hanno dovuto adattarsi a un'Unione Europea preoccupata, se non ossessionata, dall’immigrazione clandestina. Rinforzando i ranghi e le attrezzature delle polizie di frontiera, soprattutto istituendo un regime di visti, complicati e costosi da ottenere, che separa il di qua e il di là più di qualunque barriera fisica. Il primo Paese a imporre il visto ai viaggiatori provenienti dall’Est è stato, ne1 2001, la Slovacchia. Per un permesso valido sei mesi chiede cento dollari, l'equivalente di un mese di salario nella regione ucraina confinante, la Transcarpazia. L’ultima ad adeguarsi, il 1° ottobre scorso, è stata la Polonia. Alla minaccia dell’isolamento economico, l'Europa al di là ha reagito istituendo, nel settembre scorso, un suo mercato comune, che include la Russia, il Kazakhstan, la Bielorussia e l'Ucraina e per il momento funziona più che altro sulla carta. A contrastare ben più efficacemente le conseguenze dell'allargamento dell'Unione sono le leggi della concorrenza. Già oggi, per esempio, le retribuzioni nel settore manifatturiero in Polonia sono fino a sei volte superiori a quelle ucraine. Le aziende se ne sono accorte da un pezzo, e hanno iniziato ad aprire stabilimenti a est della frontiera. Sono scompensi e contrasti che solo il tempo potrà aggiustare, probabilmente annacquando i confini una volta che la nuova mappa d'Europa si sarà consolidata. Così come solo col tempo - e forse con ulteriori allargamenti dell'Unione - troveranno una soluzione i problemi delle residue zone d'attrito, i punti caldi. Come l' enclave russa di Kaliningrad, incastrata sul Baltico fra Polonia e Lituania. Come la spaccatura fra la porzione greca e quella turca di Cipro. Come la demarcazione fra la Slovenia, un altro dei Paesi che entreranno fra pochi giorni nell'Unione, e la Croazia che resta fuori. Portando una parte degli italiani d'Istria nell' Europa al di qua, e lasciandone una parte nell'Europa al là. Un passaggio storico con qualche incognita Fra pochi giorni i Quindici Paesi dell'Unione europea diventeranno Venticinque. Un passaggio storico per il Vecchio continente, anche se non mancano dei problemi residui. Dopo il fallimento del vertice di Bruxelles per la nuova Costituzione nello scorso dicembre è ritornata la volontà di procedere più velocemente, ma i tempi sono molto stretti per raggiungere un accordo entro la presidenza irlandese che scade a fine giugno, proprio a ridosso delle elezioni per il Parlamento europeo di metà mese. L'Europa a Quindici nacque ne11995, quando agli allora dodici Paesi comunitari si unirono Austria, Finlandia e Svezia. L'Unione che prenderà vita il primo maggio sarà molto più spostata verso l'Est, ma anche verso il Mediterraneo. Dopo negoziati e preparativi cominciati fra il 1998 e il 2000 si uniranno ai quindici attuali membri Cipro (solo la parte greca), Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia Slovenia, Ungheria. La corsa per riunificare tutta l'Europa, dal Baltico al Mediterraneo, non finirà con l'ingresso dei Dieci. Sono infatti in dirittura d'arrivo i trattati di adesione di Romania e Bulgaria, che salvo imprevisti dovrebbero accedere agli inizi del 2007. Discorso più lungo e anche più complesso per la Turchia, che ha già messo in cantiere riforme economiche e politiche nella speranza di ottenere già entro quest'anno almeno l'indicazione di una data per avvio del negoziato di adesione. Ma al di là della prospettiva di un ingresso a pieno titolo nell'Unione della Turchia, l'allargamento a dieci nuovi Paesi, il più consistente da un punto di vista numerico nella storia dell'Unione, pone già molti quesiti su quale Europa ci aspetta dopo il 1 ° maggio. Un'Europa che, con 455 milioni di abitanti, diventerà la terza potenza mondiale per popolazione, dopo Cina e India, e anche un formidabile mercato. Un gigante che però al suo interno avrà una serie di disparità, prima fra tutte quelle economiche, in particolare nei confronti dei Paesi che provengono dall'ex Europa socialista. Secondo i dati della Commissione di Bruxelles infatti la ricchezza totale dei nuovi arrivi rappresenta solo il 4,6% di quella complessiva dell'Unione. L'Europa da Lisbona a Tallinn, anche quella della libera circolazione sancita dal Trattato di Schengen, dovrà darsi qualche tempo per diventare effettivamente omogenea. Per farlo avrà bisogno di nuove regole che consentano processi decisionali efficaci e al tempo stesso trasparenti. Tutti dicono di volerli, ma come dimostra l'esperienza della Conferenza intergovernativa sulla Costituzione europea, sulle regole per il futuro si gioca la vera partita far i Paesi che non vogliono perdere status e quelli che, invece, proprio attraverso i nuovi criteri cercano di consolidare il proprio peso negoziale. Indagine del Messaggero 26/04/04 Sono numeri che devono far riflettere Non si fosse a meno di due mesi dalle elezioni europee, il dato potrebbe essere preso un po’ più alla leggera. Non essendo così, vale la pena di riflettere con attenzione sui dati del sondaggio Ipsos-Grandangolo che ci mettono sotto il naso come gli italiani stiano perdendo quel primato di “euroentusiasti” di cui i nostri politici si erano vantati. Appena il 42% è convinto che le cose che uniscono i paesi europei siano più di quelle che li dividono e le risposte positive alla domanda se fra dieci anni ci sentiremo soprattutto cittadini europei arrivano al 53%, si registra, però, una netta flessione rispetto alle stesse domande poste un anno fa (addirittura il 12% sulla prima questione citata e pur sempre un 4% sulla seconda). Peggio ancora in tema di "allargamento", cioè di quello che, nell'intenzione degli strateghi di Bruxelles doveva rappresentare una svolta storica: appena il 30% afferma di essere informato in maniera accettabile anche se poi, quando si va nello specifico, solo il 23% sa che ad entrare sarà la Polonia, mentre per gli altri paesi si oscilla attorno al 10% del campione scendendo addirittura al 7% nel caso della Slovenia e al 5% in quello di Cipro e Malta. A ritenere poi che questo evento (peraltro così "misterioso", come s'è appena visto) porterà dei vantaggi non è più del 43% dei nostri concittadini. Probabilmente anche in questo, come in altri casi, 1a gente avverte, anche più e prima dei politici, che i tempi stanno cambiando. L'Europa di cui si parla oggi non è quella dell'ultimo quarantennio del secolo appena concluso, quando essa era identificata col "benessere" crescente, con una generosa distribuzione di risorse, ed anche è bene non dimenticarlo, con un futuro radioso che avrebbe cancellato per sempre le guerre, almeno per quanto riguardava il coinvolgimento del Vecchio Continente. Tutte queste cose sono ancora i pilastri dei vari accordi da Maastricht alla carta dei diritti di Nizza. Nella realtà la gente ha sperimentato cambi di orizzonte. Il benessere può richiedere “sacrifici “. Le risorse da distribuire saranno minori, e già con gli allargamenti precedenti alcuni benefici italiani se ne erano andati (si veda la concorrenza "mediterranea" di Spagna e Grecia), mentre qualche rigore in più ha fatto capire che non tutto era semplice come si riteneva (le quote latte). In tema di."pace", troviamo il cambiamento più grande. Quando si partì con l'avventura europea la questione sullo sfondo era ancora il possibile risorgere delle rivalità europee che avevano portato a due guerre mondiali. Poi il mito venne tenuto vivo dal timore di una guerra tra l'Ovest e l'Est dell'Europa. Oggi queste paure appaiono inattuali, ma la guerra torna ad essere un protagonista internazionale e l'Europa non solo non può farci nulla, anzi non riesce neppure a gestire una presenza unitaria ed efficace. Cambia infine l'orizzonte geografico entro cui si collocava, per il nostro sentimento medio, questa "unificazione". Non siamo più fra i "grandi stati" che, bene o male, avevano fatto la storia del Novecento (Germania, Francia, Gran Bretagna, Italia) e qualche loro comprimario (il Belgio, l'Olanda e la rinata Spagna). Oggi si superano quei "confini" e oltre c'è una novità che non si sa valutare. I politici fanno male a sottovalutare tutto questo; convinti che le elezioni di giugno siano solo un sondaggio sul gradimento raccolto dai partiti italiani. La macchina europea si è messa in moto lungo il nuovo binario e non essere ai posti di manovra costituirebbe per il nostro paese un danno rilevante. MA QUALI SONO I 10 PAESI? Sono ormai passati 53 anni da quel giorno. Da quando cioè sei Paesi - Italia, Francia, Belgio, Olanda, Germania e Lussemburgo - firmarono a Parigi il trattato che istituiva la Ceca, la Comunità europea del carbone e dell'acciaio. Era il 18 aprile del 1951 e stava nascendo l'Europa. Dopo cinquant'anni i Paesi sono diventati quindici e fra pochi giorni, sabato primo maggio, un'Europa quasi adulta ne accoglierà a Dublino altri dieci, prevalentemente dell'Est. Sono Paesi che per la gran parte stavano al di là della Cortina di Ferro: Cipro (solo la parte greca), Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia Slovenia, Ungheria. Un processo di unificazione travagliato quello dell'Europa e ancor oggi tutt'altro che omogeneo: c'è infatti ancora chi preferisce guardare oltre Atlantico piuttosto che intorno a sé; e c'è chi teme, come i tedeschi, ripercussioni negative economiche con l'allargamento a Est, soprattutto in termini di aumento della disoccupazione. Del resto i dati di Eurostat dicono che nell'Europa dei 25 il tasso di disoccupazione salirà dall'8 per cento a1 9, con una incidenza particolare sulle donne e sui giovani. La nuova Unione conterà, comunque su 200 milioni di occupati che lavoreranno di più: il numero delle ore lavorative settimanali, con l'ingresso dei Paesi dell'Est, salirà da 38,7 al 39.2, mentre si abbasserà il costo orario della mano d'opera da22,21 euro a 19,09, saremo tutti meno istruiti ma in compenso rappresenteremo il più grande blocco commerciale del mondo con ben 500 milioni di cittadini. E gli italiani come si pongono di fronte all'allargamento Ue? Secondo un sondaggio Ipsos commissionato dal Messaggero, le idee dei nostri connazionali sono abbastanza confuse. Il dato sconfortante che emerge è che il 57 per cento degli intervistati ha dichiarato di non sapere neppure il nome di uno dei dieci nuovi paesi. Di questa alta percentuale la palma della non conoscenza va alla componente femminile del campione. Il 23 per cento degli intervistati sa che ci sarà di certo la Polonia, ma solo il 5 per cento sa che ci sono anche Cipro e Malta. Su un punto gli intervistati sembrano avere delle certezze. Fra dieci anni ci sentiremo cittadini italiani o europei?