nuova europa e rapporto tra le generazioni
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nuova europa e rapporto tra le generazioni
NUOVA EUROPA E RAPPORTO TRA LE GENERAZIONI di Davide Arcangeli* Introduzione La costruzione concreta della Nuova Europa, dai sogni ad occhi aperti alla faticosa incarnazione nel presente storico degli ideali e dei valori da cui è nata l’Europa, passa sicuramente attraverso un rinnovato rapporto tra le generazioni. Costruire oggi la Nuova Europa significa essere coscienti dei problemi complessi che questa costruzione comporta, che hanno origini lontanissime nel tempo. Tutto ciò che ha contribuito a formare l’idea e i caratteri dell’ Europa è messo in movimento, dalla elaborazione culturale e politica della grecità, al diritto romano, all’ apporto delle radici bibliche giudaico-cristiane e della vicenda storica del cristianesimo, all’avvento dei paradigmi fondanti della modernità, alla costruzione degli stati- nazionali, fino ad arrivare al XX secolo e alle due guerre mondiali, da cui è nata la vicenda storica dell’Unione Europea. Parlare oggi di allargamento dell’Unione ad est, di inserimento della Turchia nell’Unione, di procedure decisionali a maggioranza o all’unanimità, mette in movimento opportunità immediate e paradigmi antichissimi. Per questo si tratta di decisioni complesse, che richiedono la maturazione di una coscienza storica delle nuove generazioni, non fatta soltanto memorizzazione di eventi, ma di assimilazione dei valori. Elaborare la coscienza storica significa essere educati a riconoscere nel “presente” i segni del passato: solo così la storia può diventare vitale e fornire uno “ktema eis aiei” , insegnamento valido per sempre, come sosteneva Tucidide. La maturazione della coscienza storica è una delle facce di un aspetto ancora più grande che è la “trasmissione culturale”, nella quale si ritrovano anche la comunicazione interpersonale dell’esperienza viva dei valori e dentro l’esperienza di questi valori l’elaborazione delle sfide che il presente pone. È in questa “trasmissione culturale” tra le generazioni che si potrà ricostruire il senso delle sfide che il processo di unificazione dell’Europa pone: la sfida di un continente che si unifica senza procedere attraverso la guerra, con procedimenti democratici e consensuali, la sfida di un continente che costruisce una cittadinanza sovranazionale senza eliminare o sminuire l’ identità nazionale, anzi valorizzandola, la sfida di un continente che fa della relazione dialogica tra le diversità l’elemento fondante della convivenza, in cui alla libertà e giustizia si aggiunga la fraternità, come categoria “politica” su cui si fonda la democrazia, e infine la sfida di un continente che sa esprimere questi valori con una politica estera coerente ed autorevole. Questa “trasmissione culturale” tra le generazioni si realizza con il concorso di tutte le agenzie formative, dalla famiglia, alla scuola, alle associazioni, alla Chiesa ecc…, oggi messe in grande difficoltà da una serie di fattori, che elenco con quattro provocazioni , senza la pretesa di essere esaustivo. Questi quattro elementi, tra loro legati, sono: i meccanismi di comunicazione attuale, l’indebolimento dell’identità generazionale, la difficoltà di una “testimonianza” autorevole dell’adulto, la logica contrattualistica con cui si pensa al rapporto generazionale. Mass-media e trasmissione culturale La comunicazione mediatica, sia quella televisiva che quella virtuale, pone problemi immensi alla trasmissione culturale. I mass-media infatti oggi formano il costume diffuso delle persone, poiché la pervasività della comunicazione, in particolare televisiva, permette la penetrazione dei meccansmi di riconoscimento identitario delle persone e crea modelli di imitazione potentissimi, in competizione con i modelli reali. Inoltre modifica i tradizionali meccanismi di apprendimento, basati sulla lettura e l’astrazione, asservendo all’immagine un messaggio estremamente semplificato. Modifica i parametri tradizionali di tempo e di spazio, eliminando il vicino e il lontano e appiattendo sul presente la comunicazione. Si dice che la tv generalista abbia contribuito in maniera determinante a forgiare l’identità del popolo italiano in questi ultimi cinquant’anni: la tv, analogica e digitale, e internet contribuiranno a costruire l’identità europea? Crisi dell’identità generazionale L’identità generazionale nella società post-moderna risulta essere indebolita principalmente a causa di due fattori: la velocità del cambiamento e i problemi dell’adultità. Oggi una persona di 50 anni a quale generazione appartiene? Rispondere a questa domanda significa andare al di là della concezione puramente cronologica di generazione che noi abbiamo, per cui l’unica risposta possibile è quella tautologica: appartiene alla generazione dei cinquant’enni. Ma in questo senso il concetto di generazione perderebbe tutto il suo valore, che è ancora una volta di tipo culturale. Per rispondere a questa domanda è necessario individuare quegli eventi, quelle scoperte, quei cambiamenti, quei percorsi ideali che hanno forgiato una generazione. Il problema nasce quando la rapidità e molteplicità dei cambiamenti intercorsi lungo l’arco di una stessa generazione è tale da rendere difficile un riconoscimento elaborato collettivamente e perciò condiviso del legame tra eventi, cambiamenti e identità generazionale. Oltre e collegato a questo c’è una difficoltà nel mondo adulto a concepirsi come tale: l’adultità come età dell’attuazione di scelte definitive è messa a rischio dalla crescente difficoltà, psicologica e sociale, di rimanere al proprio posto nella vita e di riconoscere il carattere irreversibile di certe scelte e ciò contribuisce ad indebolire l’identità delle generazioni adulte. Crisi dei modelli adulti Conseguentemente, e arriviamo al punto tre, nel rapporto tra le generazioni quale testimonianza il mondo adulto da a quello dei giovani? Giuseppe De Rita nella relazione tenuta al Convegno Parabole mediatiche del Progetto Culturale, commentando i dati emersi da una ricerca del CENSIS sui giovani, evidenziava l’assenza nei giovani di riferimenti testimoniali vicini a loro e potenzialmente imitabili. La maggior parte dei giovani alla domanda sui quali modelli avevano nella loro vita hanno risposto il Papa o madre Teresa di Calcutta. Figure di coerenza e santità sicuramente, oggi più che mai “pubblicizzate” dai grandi media, ma, proprio per questo, lontane dal concreto vissuto esistenziale dei giovani. Si nota la mancanza di testimoni, di figure di riferimento vitali, al di là dell’universo mediatico, la mancanza del “padre Enea”. Riscoprire la figura educatrice in quanto degna di attenzione critica e imitazione consapevole significa ridare oggi valore all’adulto, non per un ritorno all’autoritarismo, né per caricarlo di responsabilità eccessive. Forse l’immagine del padre Enea risulta essere viziata da un’ideologia dalla forza e dell’equilibrio che gli adulti oggi non possono più incarnare, semplicemente perché non possono più nascondere ai giovani le loro debolezze. Una società altamente competitiva come la nostra, nella quale la carriera professionale vede come ostacoli principali di fronte a sé la famiglia e le relazioni impegnative extra-lavorative, nella quale tutto ciò che conta è il risultato e in cui la corsa frenetica è alimentata dall’angoscia di non farcela, l’adulto non può non mostrare segni di debolezza salutare. Saper vivere la propria debolezza, saperla accettare e assumere su di sé nella coerenza di scelte che sono controcorrente proprio perché ben fondate è l’unico modo per costruirsi quella “spina dorsale” che fa essere uniti, e in questa unità di vita, testimoni credibili. Rapporto contrattualistico tra le generazioni Il quarto elemento di crisi del rapporto tra le generazioni è legato ad una concezione “contrattualistica” del rapporto tra la generazioni. Ad esempio si parla spesso di “patto tra le generazioni” per indicare una nuova strada per ripensare il Welfare e la spesa pensionistica, come se si trattasse di trovare un punto di equilibrio tra due opposti interessi, e che questo punto di equiibrio possa essere sancito da un accordo sottoscritto da entrambe le parti. Questa logica è sbagliata perché riduce la relazione intergenerazionale alla stipula di un accordo di compromesso tra le parti, ed anche perché delle due parti una, i giovani, è sicuramente assente, o comunque più debole e scarsamente rappresentata. O meglio rappresentata dal mondo adulto stesso, il mondo adulto della politica, che di tale investitura fa merce di scambio e contrattazione. Al fondo di questa visione contrattualistica dei rapporti intergenerazionali c’è una radice competitiva del rapporto tra le generazioni, in cui la generazione adulta offre modelli che sono da prendere o lasciare, senza possibilità di un confronto critico, di un dialogo che matura le responsabiltà, nell’esposizione sincera delle difficoltà e debolezze. Il mondo adulto si prende cura dei giovani come se fossero un oggetto della propria attenzione e non un soggetto con cui dialogare. Pensiamo al concetto di politiche giovanili, che evidenzia l’esistenza di un recinto ristretto di questioni, che riguardano i giovani e su cui i giovani vengono sentiti per dare un parere. La politiche giovanili dovrebbero riguardare tutta l’attività politica e di partecipazione dei giovani, e non soltanto un settore ristretto di questioni che li riguardano in quanto oggetto dell’attenzione legislativa. Anche il concetto, estremamente importante, di sviluppo sostenibile come quello sviluppo che non pregiudica le possibilità di sviluppo delle generazioni future è viziato da una logica pattizia, come se lo sviluppo non fosse, in radice, sostenibile, cioè prodotto dal concorso libero di tutte le generazioni e con obiettivi maturati e condivisi tra le generazioni. Perché vi sia trasmissione di cultura è necessario un dialogo la cui premessa è un’ apertura di credito iniziale dal mondo adulto. Giovani come soggetto di dialogo Chi concede questo credito iniziale? Non il mondo del lavoro e delle professioni, che anzi costringe i giovani spesso a gavette umilianti prima di poter esprimere almeno un poco delle potenzialità che hanno acquisito. Nella medicina, nell’avvocatura e magistratura, nell’ingegneria, negli studi commerciali ecc. il giovane inizia la sua carriera dopo i trent’anni. La riforma universitaria, che doveva cambiare tale situazione, a causa delle rigidità degli ordini professionali, non porterà novità sostanziali, almeno finchè non si proceda ad una riflessione seria sulle professioni e sugli ordini professionali. Anche il mondo politico non concede veri crediti: i giovani sono i galoppini del politico in vista e per troppo tempo rimangono tali. Forse anche la politica spettacolo televisiva ha contribuito a questo. Pensate ai volti dei politici che vediamo normalmente sugli schermi: da dieci anni sono esattamente gli stessi, non uno che si sia aggiunto. Siamo così abituati ai volti “classici”, che forse i volti troppo giovani e nuovi non ci convincono: sono poco spendibili dal punto di vista mediatico. Perfino nella Chiesa è così difficile che i giovani siano veramente protagonisti. Tutti dicono che i giovani sono il futuro della Chiesa e si impegnano a costruire e immaginare le più efficaci pastorali per i giovani, ma chi è disposto a considerare i giovani non più come “oggetto” della pastorale, ma come “soggetto” attivo, con cui instaurare un dialogo dagli esiti imprevedibili? L’imprevedibilità è ciò che fa più paura ai nostri progetti pastorali, ai nostri immaginifici cartelli di associazioni in cui i volti dei giovani fanno da coreografia agli interventi degli adulti. Eppure l’Europa è dei giovani, perché solo nel cuore e nella mente di noi giovani certe barriere potranno essere superate: ci ascolteranno? Sentinelle del mattino: duc in altum! * Presidente Nazionale F.U.C.I.