Carissime lettrici, Carissimi lettori, Eccoci qui pronti alla

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Carissime lettrici, Carissimi lettori, Eccoci qui pronti alla
Comunicazioni dalla Redazione
Comunicazioni
Carissime lettrici,
Carissimi lettori,
Con la presente, informiamo tutti i soci che in data
Venerdì 12 Maggio 2006 – ore 20.15
Eccoci qui pronti alla pubblicazione del primo numero della Piccionaia
c/o Ristorante Morobbia a Camorino
del 2006 …. la Redazione era veramente a corto di materiale e quindi
non ci è stato possibile uscire prima in stampa.
Si svolgerà l’assemblea dei delegati dell’UTAPA (Unione Ticinese
A dire il vero siamo un po’ preoccupati … come già ribadito più volte,
Allevatori di Piccoli Animali) con il seguente ordine del giorno:
la sopravvivenza di questo importante periodico dipende unicamente
1.
da voi, e quindi contiamo vivamente sul vostro prezioso contributo e
2. Nomina scrutatori
supporto: mandateci materiale, foto, vostre esperienze!!!!!
3. Approvazione verbale ultima assemblea
Per il confezionamento di questo numero, visto lo scarso materiale a
4. Relazione presidenziale
nostra disposizione, abbiamo pensato di “rispolverare i vecchi
5. Relazione responsabile movimento giovani
periodici” degli anni 70-80-90, nella ricerca di articoli interessanti
6. Approvazione conti esercizio 2005 e rapporto revisori
da proporvi.
7. Fissazione quota annuale
Accertamento presenze e verifica dei mandati
8. Eventuali
Auguriamo a tutti voi una buona lettura!!!
Pellegrini Tamara
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L’angolo poetico …
MODI DI DIRE …
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Esposizium e Piviunn
L’è la fèsta di Piviunn,
dent pai gàbi, bèi, luseeent,
i sumean di spusìtt,
che sa guàardan surident.
ESSERE UCCEL DI BOSCO
A vedee cuma i sa möövan,
l’è la rôôba püsee bèla,
i sumeian Maniquin,
che passeggia in passerèlla.
Illustrazione: Sara Guerra
Annotazione:
Chi é fuggito e si è reso irreperibile, di chi è latitante e non ha
nessuna intenzione di farsi ritrovare. Dice il proverbio: meglio
essere uccel di bosco che di gabbia.
Pellegrini Tamara
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A cercàa ‘l peel in dà l’öövv,
la giüria, cunt perizia,
la sà impegna unestament,
senza l’umbra da malizia.
Ma, per quell che capiiss poogh,
i ghà pàaran tücc campiun;
e per taanti, questa fèsta,
l’è ‘na gran disillusiunn.
Gh’è nissün che sa scuräagia,
anca in mézz a un quäi duluur;
per un’altra Espusiziunn,
l’è già prunt l’allevaduur.
Fonte: Piccionaia No. 28 – marzo 1971 - Autore: Pierino Fontana
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L’angolo poetico …
La moria dei piccioncini nell’uovo
Abbiamo ricevuto dal nostro caro “Giuletto” una bellissima poesia di
Natale che non siamo riusciti a pubblicare in tempo nel nostro ultimo
numero natalizio …. è talmente bella – come lo sono tutte le sue
poesie - che abbiamo quindi deciso di pubblicarla qui di seguito anche
se il Natale è oramai alle spalle …. Grazie di cuore Giulio per questo
prezioso contributo!!!!
1.
2.
3.
4.
5.
6.
Gesü Bambin
Li
In d’na prezév
ch’a sa da fén
gh’è stu taturin
péna nassüt.
7.
8.
9.
10.
U carézza
u indulziss
ur cör da
nüm tücc.
carenza d’umidità
utilizzazione di calce nei nidi
età dei riproduttori
riproduttori malati
mancanza di vitalità dei riproduttori
miscugli di becchime inadatti e mancanze di cure nella
colombaia
uova dal guscio troppo duro
errata manipolazione delle uova
sovrappopolamento nella piccionaia
femmine indebolite dalla sovrapproduzione
Altre cause possono entrare il linea di conto ma l’esperienza insegna
che quelle enumerate sono generalmente le principali che danno da
riflettere.
Fin a i mè
ültim pass
In dra vigna.
Fin a i mè
ültim dì
sü sta tèra.
Finissarò mai
da cercàl.
Giulio Passardi
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La moria dei piccioncini dopo la rottura del guscio è una delusione che
sovente riscontra l’allevatore debuttante, e purtroppo anche i più
provetti. Molte sono le circostanze che ne sono la causa:
1. Tutte le uova necessitano di umidità. E’ un fatto acquisito che i
pulcini hanno una percentuale migliore di nascita quando la chioccia
cova per terra ciò che conferma l’importanza dell’umidità naturale
del terreno. Nelle incubatrici artificiali si ricorre all’umidificazione
ed in modo particolare quando si tratta di covate di uova di anatre.
L’uovo di piccione necessitando circa la metà di umidità di quello di
gallina, assicurando un bagno al maschio nel momento in cui
sostituisce la femmina sul nido al mattino verso le ore 09.00 ed alla
femmina quando si dispone per il turno notturno, verso le ore 15.00
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-16.00, essi posseggono sufficiente umidità per permettere
all’embrione dell’uovo di restare in vita. E’ perciò indispensabile di
permettere loro di fare il bagno durante tutto il periodo di
riproduzione. Il comportamento dei piccioni in presenza del bagno o
durante la pioggia è indizio sicuro delle loro necessità di acqua che
si rileva salutare per il buon andamento delle piccionaia.
2. Evitare in modo categorico di mettere calce nei nidi. Essa
dissecca l’uovo provocando la morte dell’embrione. La calce per conto
mantiene asciutta e pulita (parassiti) la piccionaia e molti sono perciò
i suoi partigiani che assicurano di aver avuto ottime schiuse. Ciò può
essere comprensibile per riproduttori lasciati in libertà o se il bagno
è continuamente a loro disposizione. E’ tuttavia sufficiente scordarsi
del bagno per uno o due giorni per provocare una carenza di umidità
con le nefaste conseguenze che conosciamo.
5. La mancanza di vitalità citata è pure conseguenza dell’oggetto
trattato nel punto 4. La pratica della consanguineità; e ogni
allevatore sperimentato la pratica, comporta dei vantaggi ai quali si
contrappongono inesorabilmente anche svantaggi molto più nefasti se
non riconosciuti per tempo. Tramite la consanguineità, disponendo
unicamente di soggetti in piena vitalità e salute, è possibile fissarne
le qualità. In questo pratica non esistono che due possibilità. O il
successo o l’insuccesso completo. Molti ottimi allevamenti sono stati
annientati da una eccessiva consanguineità di soggetti o da una mal
compresa legge ereditaria. Ogni allevatore deve dunque riflettere
prima di avventurarsi in questa direzione.
4. Grave errore tipico dei principianti è la conservazione di
soggetti malati nel loro allevamento. Se l’indisposizione è
conseguenza di una malattia o parassitosi curabile (vermi) una cura si
impone prima che essi vengano introdotti nel reparto di riproduzione.
I piccioni malati di verminosi presentano deiezioni liquide, verdastre
e viscide. Imbrattano le uova ed il nido: sicuro pericolo per
l’embrione. Essi sono causa di contagio per le altre coppie. Mai
inserire nell’allevamento piccioni presentanti ingrossamenti delle
articolazioni delle ali che se apparentemente guarite. E’ un sintomo di
certezza che il virus (Paratifo) vi si trova ancora con altrettanta
certa sua trasmissione ai soggetti viventi nella stessa comunione.
6. L’alimentazione è pure essenziale. I riproduttori devono essere
nutriti con parsimonia prima e dopo il periodo di allevamento ma
l’assortimento di grani variato. Non è consigliabile il solo impiego di
orzo. Un miscuglio composto in parti uguali di fagiolini, da foraggio,
frumento e mais distribuito 2-3 volte la settimana sarà salutare. I
piccioni richiedono per ragioni biologiche un miscuglio variato.
Durante i 15 giorni precedenti gli accoppiamenti (non prima di fine
febbraio) si somministrerà loro orzo e avena (scorticata) in
proporzioni uguali. Se i riproduttori iniziano l’allevamento con troppo
grasso in corpo si registreranno difficoltà nella deposizione delle
uova, uova non fecondate, embrioni aventi difficoltà a rompere i
gusci, e nel caso di schiuse regolari i genitori saranno svogliati ne
nutrire la loro progenitura. Per la mancanza di cure alla colombaia si
intendono le piccionaie mal tenute nelle quali la pulizia fa difetto,
quelle umide, oscure, con correnti d’aria o, gravissimo errore,
sovrappopolate. Il principiante crede generalmente che più
riproduttori possiede, più numerosi saranno i piccoli da allevare. La
verità sta esattamente all’apposto di questo ragionamento. Meno
numerosi saranno i riproduttori, ma di qualità, e maggiore sarà il
numero di giovani ottenuti. E’ questa la verità che spesso ignoriamo o
dimentichiamo. Un altro, e purtroppo radicato, male che si riscontra
è il numero elevato di esposizioni che i piccioni devono subire durante
l’autunno-inverno.
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3. L’accoppiamento fra loro di riproduttori vecchi di alcuni anni non
dà i risultati attesi, ottenibili con l’accoppiamento di un vecchio
maschio ed una giovane femmina. Evitate pure i accoppiare due
soggetti giovani salvo nel caso ove si voglia diminuire la grossezza
della discendenza rispetto a quella dei genitori. Ciò evidentemente
non è il caso che si presenta agli allevatori di Mondani, Linci di
Polonia, Carneau, Strasser, Cauchois, Fiorentini, ecc.
Due o tre, a rigore quattro esposizioni sono il massimo che possiamo
imporre ai nostri soggetti.
E’ chiaro che queste partecipazioni a esposizioni non devono
susseguirsi a brevi intervalli, una al mese è sufficiente.
Sono le femmine in particolare che soffrono dei trasporti che le
indeboliscono e fanno temere la morte degli embrioni. Le esposizioni
sono inoltre involontaria causa di danneggiamenti alle femmine, lungi
da me tuttavia è il pensiero di gettare dubbi di qualsiasi sorta
essendo io stesso organizzatore di manifestazioni colombofile, ma
sovente volonterosi inesperti sono occupati all’ingabbiamento dei
soggetti esposti. Nell’intento di evitare che questi possano sfuggire
dalle loro mani li stringono troppo forte all’addome causando un
danno talvolta irreparabile.
Un numero dispari di piccioni in una colombaia è un ulteriore piaga
presso i nostri allevatori. Un maschio in soprannumero si pavoneggia
si a lungo davanti al nido di una femmina che sta covando, che questa
ne scende e si lascia fecondare, entrano in seguito nel nido rompendo
le uova o facendole rotolare al di fuori.
Dobbiamo pur comprendere questi maschi solitari! Se fossimo celibi
saremmo pure noi tutti da classificare nella categoria dei … galanti!
Le femmine “nubili” costituiscono pure un pericolo sebbene siano
molto meno aggressive. Capita tuttavia che esse depongano un uovo in
un nido già occupato per cui si pone per l’allevatore il problema di
riconoscere quali siano le uova appartenenti alla coppia occupante il
nido.
Durante il periodo di freddo è sconsigliabile l’abuso di piccoli grani
quali il miglio, il ravizzone, ecc. per il fatto che la femmina in cova si
sofferma a lungo presso le mangiatoie lasciando raffreddare le uova.
Talvolta al contrario trovando troppo lungo il tempo impiegato per
nutrirsi di questi piccoli semi di cui è ghiotta, rientrano nel nido
senza essersi nutrite sufficientemente. Avranno di conseguenza
freddo durante la notte e le uova ne soffriranno parimenti.
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7. Gusci eccessivamente duri o di spessore superiore alla normale
si registrano raramente. Un “Grit” con tenore troppo alto di calcio ne
potrebbe essere la causa. I piccioni non ingurgitano che il grit loro
necessario per la digestione.
Se dovessero ingerire una quantità troppo elevata di calcio questo
non passerebbe nel sangue ma direttamente nelle deiezioni.
Se pensassimo che un guscio fosse troppo duro lo si potrebbe
intingere in una soluzione all’uno per cento d’acido sulforico e acqua a
40 gradi tra il 16. ed il 17. giorno di cova.
Una schiusa stentata deriva raramente da difetti dal guscio, ma
soprattutto dalla debolezza dell’embrione.
Le femmine che depongono uova troppo fragili e troppo dure hanno
generalmente imperfezioni disfunzioni alle ovaie.
Nella maggior parte dei casi la causa di stentate schiuse va ricercata
nella durezza dell’epidermide dell’uovo.
Dopo che la membrana racchiudente l’albume si è formata, avviene
una inezione di acqua all’interno. Il guscio si forma in seguito, se
l’epidermide è troppo dura l’acqua penetra in quantità insufficiente
nell’uovo riducendone la quantità a disposizione dell’embrione. Di
conseguenza l’epidermide si essica causando la morte dei piccioncini,
impossibilitati ad aprirsi un passaggio. Fortunatamente si tratta di
eccezioni anche se talvolta abbastanza frequenti.
8. Una errata manipolazione dell’uovo può essere causa di mancata
schiusa soprattutto se il guscio è già aperto. Riponendo l’uovo nel
nido con la parte rotta rivolta verso il basso il piccioncino avrà
maggiori difficoltà ad uscirne e non di rado non vi riesce. E’ dunque
necessaria la precauzione di assicurarsi che il foro si trovi rivolto
verso l’alto. Non va pure dimenticato di inumidire la parte rotta con
la saliva, l’uovo diventando umido si screpola più facilmente.
L’allevatore deve quindi dar prova di pazienza, di saperci fare e
d’esperienza. Se all’apparizione della membrana dell’uovo questa
risultasse asciutta e di colorazione gialla, il piccioncino non avrà la
forza di continuare il suo lavoro per liberarsi, e non si tratta di
piccola cosa, per cui è indicato aiutarlo allargando leggermente il
foro.
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All’apparizione
di
qualche
traccia
di
sangue
arrestare
immediatamente l’operazione e riprenderla eventualmente dopo 6 o 8
ore. Caso contrario è possibile continuare dalla parte dell’uovo ove
trovasi la testa, liberandola con cautela. Mai si libererà tuttavia
completamente il piccioncino.
Lo si posa delicatamente nel nido con la parte di guscio restata e con
la testa rivolta verso l’alto prendendo cura di inumidirgli il becco con
un po’ di saliva, il che lo fortifica ed aiuta ad inumidire la membrana
che spesso si attacca al corpicino.
Tuttavia con riproduttori sani e ben curati questa operazione si
rileva inutile perché i due piccioncini “cadono” letteralmente dalle
uova. Riportiamo l’allevatore a quanto detto sulla necessità del bagno
in tempo di schiusa e ciò specialmente in caso di tempo ventilato.
Altra importante massima consigliata ai giovanissimi ed agli allevatori
principianti “la pazienza è una prima qualità dell’allevatore”..
Pur comprendendo il loro interesse e l’impazienza di veder schiudere
le uova raccomandiamo loro di non voler controllare ora per ora dal
14. al 15. giorno se la nascita è in atto. I riproduttori devono
assolvere il loro compito di cova in tutta tranquillità.
9. Il sovrappopolamento della colombaia è pure un errore capitale.
Su 100 piccionaie 75 sono generalmente sovrappopolate e in parte
con soggetti di poco valore.
Per i piccioni racchiusi in voliere si contano ca 7 m3 di spazio (2m. di
largo e di altezza + m. 1.80 di profondità) per 5 coppie di
riproduzione al massimo.
10. Sull’indebolimento dei riproduttori provocato dalla frenetica
corsa alle esposizioni si è già riferito più sopra. Il sottometterli a
ravvicinate covate è pure deleterio per la loro salute.
Penso d’aver messo con le indicazioni che precedono, l’accento su
parte dei problemi che un allevatore si pone durante l’arco dell’anno
dei quali non trova la soluzione perché talvolta cerca troppo lontano.
Fonte: Piccionaia No. 31 – febbraio 1972 - Autore: Robert Meier
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CURIOSITÀ: L’incredibile
del piccione viaggiatore
volo
La prima notizia che riporta l’impiego dei piccioni nella ricognizione
aerea la possiamo apprendere dalla Bibbia. Noè, dopo settimane
nell’Arca in balia del diluvio, fa uscire per tre volte un piccione; al
terzo tentativo l’uccello ritornò portando in becco un ramoscello
d’ulivo, la speranza, la prova che le terre cominciavano a riemergere.
Numerosi ritrovamenti archeologici hanno portato alla luce statuette
di piccioni databili 5 mila anni prima di Cristo confermando
l’adattamento ad un ambiente domestico. Nelle zone di insediamento
degli Etruschi sono state trovati numerosi siti che servivano per
l’allevamento dei piccioni.
Gli scritti greci e romani ci tramandano l’utilizzo dei piccioni
viaggiatori per informare sui risultati delle battaglie su fronti
lontani. Durante i giochi olimpici nell’Antica Grecia si usavano i
piccioni per divulgare i nomi degli atleti vincitori, mentre l’imperatore
Nerone li utilizzava per informare famigliari e amici sui programmi
delle competizioni sportive. Nel XII secolo i piccioni erano impiegati
regolarmente in una rete di servizio postale tra l’Iraq e i territori
dell’attuale Siria. Nei Sultanati dell’Oriente le costruzioni che
ospitavano i piccioni erano una norma. Sembra proprio che durante le
crociate in Terrasanta i Cavalieri Templari appresero dagli arabi la
tecnica dell’allevamento dei piccioni viaggiatori. Infatti, presso i
resti degli insediamenti templari si trova sempre una torre di
avvistamento con colombaia, detta anche colombera o palombara. Per
secoli i piccioni viaggiatori permisero di organizzare una diffusa e
ben organizzata rete di comunicazioni. Nel 1700 i primi giornali in
Belgio e Olanda contavano sui piccioni per ricevere le informazioni
dai loro corrispondenti.
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La tragica battaglia di Waterloo e la sconfitta di Napoleone venne
immediatamente conosciuta a Londra con relazioni portate da
piccioni viaggiatori imprestati alle truppe inglesi dal banchiere
Nathan Rothschild. Un altro episodio ben conosciuto è l’impiego di
questi volatili per il trasporto dei messaggi segreti nell’assedio di
Parigi durante la guerra franco-prussiana. Nel 1870 e fino all’anno
successivo, centinaia di piccioni vennero contrabbandati da Parigi a
Tours con l’impiego di aerostati ad aria calda; quando venivano
rilasciati con i messaggi ritornavano ai loro tetti parigini. In
quell’occasione la fotografia, allora agli albori, venne utilizzata per
fotografare i messaggi e ridurli in microfilm; in questo modo ogni
piccione poteva trasportare un testo contenente un milione di parole.
Durante l’assedio vennero inviati, con questo sistema, 150 mila
messaggi governativi, militari e segreti e oltre un milione di missive
private.
Una fondamentale arma militare
Con la diffusione del telegrafo, del telefono e poi della radio, i
sistemi di comunicazione basati sui piccioni viaggiatori cominciarono
a scomparire dalla vita civile anche se rimasero in uso nella realtà
militare. Nel 1898 il tedesco Julius Neubronner iniziò a costruire
una serie di leggerissime macchine fotografiche da fissare sul petto
dei volatili; dopo numerosi tentativi ed esperimenti mise a punto un
apparato del peso di soli 70 grammi che poteva fissare un’immagine
del terreno sorvolato su un negativo quadrato da quattro centimetri
di lato. Era nata la “pigeon camera”, che venne brevettata nel 1903.
Lo stesso anno venne acquisita in un certo numero di esemplari dalle
brigate della Baviera. Nella pigeon camera lo scatto della fotografia
era comandato da un temporizzatore meccanico regolato sul tempo
approssimato che sarebbe servito al piccione per raggiungere l’area
da riprendere.
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Naturalmente andavano fatti ripetuti tentativi perché i piccioni
addestrati non andavano sempre nella direzione voluta. Anche nel
campo dell’addestramento nacquero dei miti, piccioni campioni che
riuscivano a compiere con estrema precisione il percorso voluto e a
consentire in questo modo la ripresa dell’area d’interesse militare.
Nel 1912 Neubronner presentò un nuovo modello con molte migliorie,
e negli anni seguenti l’apparato fotografico o dispositivi similari
vennero acquisiti in gran numero dalle forze armate dei principali
Paesi: la Prima Guerra Mondiale era alle porte. Dallo scoppio del
conflitto, su navi, sommergibili, aeroplani e carri armati dei vari
eserciti belligeranti la presenza dei piccioni viaggiatori era un fatto
normale. Per capire l’importanza che veniva data a questi volatili in
quegli anni, basterà ricordare come immediatamente dopo l’inizio
delle operazioni belliche i tedeschi assaltarono alcuni allevamenti in
Belgio impossessandosi di oltre un milione di piccioni viaggiatori da
utilizzare in battaglia. Non essendo in quegli anni ancora diffusa la
radio, le navi da guerra e gli aeroplani dovevano necessariamente
servirsi dei piccioni viaggiatori come unico sistema di collegamento
con i comandi. Nel 1916 diversi autobus a due piani londinesi vennero
trasformati in piccionaie militari mobili. L’importanza dei piccioni
viaggiatori venne testimoniata dal generale Fowler, capo del
dipartimento comunicazioni dell’esercito britannico, che così
descrisse il loro valore: “Durante i periodi di tranquillità possiamo
utilizzare messaggeri, telegrafi, telefoni, segnalazioni con bandiere
e i cani, ma quando si accende la battaglia e la situazione si fa
caotica con mitragliatrici, artiglierie e i gas, dobbiamo affidarci ai
piccioni. Quando i soldati si perdono o rimangono accerchiati dal
nemico in località sconosciute, possiamo contare soltanto su
comunicazioni affidabili. Le otteniamo solamente con i piccioni. Ci
tengo a dire che essi, nel loro lavoro, non ci hanno mai tradito”.
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Più precisi dei treni espressi
Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale del 1939-1945 il Governo
inglese aveva preparato molto bene la sua rete di piccioni. Per le
necessità di esercito, marina e aviazione vennero “arruolati” 200 mila
piccioni dagli allevamenti civili e assegnati al National Pigeon Service;
l’esercito statunitense ne acquisì circa 54 mila dalla stessa fonte,
impiegati in un’apposita struttura formata da 3 mila soldati e 150
ufficiali. Una speciale sezione dell’esercitò provvide a paracadutare
16.554 volatili sui Paesi dell’Europa occupata, la loro base era stata
ricavata nei sottotetti di un grande magazzino in Oxford Street al
centro di Londra. Ogni giorno durante tutta la Guerra migliaia di
piccioni effettuavano centinaia di missioni tra le installazioni militari
nell’intera Gran Bretagna, seguendo un regolare orario con una
precisione tale da far invidia ai treni espressi. A Digla, presso il
Cairo, la Royal Air Force installò un servizio di piccioni particolare
per operare con i Paesi del Medio Oriente, del Nord Africa e
dell’Italia meridionale. In Italia l’esercito poteva contare su circa 10
mila colombi suddivisi in 40 colombaie che costituivano una rete
parallela a quelle basate su telegrafo e radio. Il servizio delle
colombaie era affidato all’Ispettorato delle truppe del Genio e ogni
colombaia dipendeva dalla direzione autonoma del Genio nel
territorio di residenza. A ciascuna colombaia era addetto un
sottufficiale colombicultore pratico della materia. All’inizio della
guerra contro la Francia vennero attivate sulle Alpi occidentali sette
colombaie fisse e nove mobili. Durante quelle operazioni la divisione
alpina Taurinense, ad esempio, impiegò 60 colombi di cui 52
rientrarono con il messaggio alla propria colombaia. Le prove pratiche
effettuate dal Genio con i volatili dimostrarono l’affidabilità di
questi anche in condizioni climatiche sfavorevoli; soltanto il suolo
coperto di neve poteva creare disorientamento ed impedire il ritorno
alla colombaia di origine. Anche il freddo intenso era un grave rischio
che poteva causare perdite, ma il servizio veniva assicurato inviando
un maggior numero di volatili che portavano lo stesso dispaccio.
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Nell’esercito italiano era d’uso scrivere il messaggio cifrato sopra
strisce di carta di seta pesanti un grammo e inserite in tubetti di
penna d’oca legate al timone dei piccioni. Dalle zone del fronte, per
maggior sicurezza, ogni messaggio veniva trasmesso con tre piccioni
ad intervalli di mezz’ora l’uno dall’altro. Il trasporto dei volatili
veniva effettuato con colombaie mobili suddivise in gabbie singole
recanti all’esterno le caratteristiche dei singoli volatili.
I volatili erano separati per colombaia e per sesso, in modo da
impedire errori nella trasmissione della posta ed evitare
accoppiamenti o che si affezionassero a luoghi diversi dalla
colombaia di origine. L’intero servizio colombofilo militare italiano si
dissolse o venne distrutto dopo l’annuncio dell’armistizio dell’8
settembre 1943; quei difficili momenti sono testimoniati dai testi
degli ultimi messaggi recapitati dai piccioni. Anni dopo rientrò in
attività la colombaia militare di Roma come unico centro di
addestramento del ricostruendo esercito italiano.
In Estremo
Oriente i reparti indiani al servizio dei britannici istituirono l’Indian
Pigeon Service e riuscirono ad addestrare i piccioni a volare avanti e
indietro tra due piccionaie: in una potevano cibarsi, nell’altra
riposare. Impiegati in Malesia e Birmania, questi volatili potevano
navigare nella giungla più fitta fino a 30 miglia oltre le linee nemiche.
I movimenti partigiani di resistenza in Francia, Olanda, Belgio e
Danimarca impiegarono servizi di piccioni viaggiatori che rimanevano
accuratamente occultati perché il rischio era enorme. In questi Paesi
gli occupanti nazisti passavano immediatamente per le armi chi veniva
trovato in possesso di piccioni viaggiatori.
Caccia ai piccioni “nazisti”
L’impiego dei piccioni viaggiatori durante la Seconda Guerra
Mondiale rivestì senza dubbio un’importanza superiore a quanto
comunemente si creda; infatti, la maggior parte dei documenti al
riguardo rimane tuttora secretata.
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Soltanto il 27 gennaio 1999 il Segretariato alla Difesa britannico a
Londra rese pubblici alcuni documenti su questo argomento. Dalla
loro analisi si scopre che il gerarca nazista Heinrich Himmler era,
fin da ragazzo, un fanatico dell’allevamento e dell’impiego dei
piccioni viaggiatori. Costrinse le SS e la Gestapo a costruire una
rete di comunicazioni basata su questi volatili sia all’interno della
Germania che nei Paesi occupati. Addirittura Himmler era il
presidente della società nazionale tedesca dei piccioni.
Dall’interrogatorio di alcuni prigionieri di guerra tedeschi il servizio
segreto inglese MI5 scoprì l’importanza
delle informazioni che agenti infiltrati in Inghilterra prima del
conflitto facevano arrivare in Germania grazie ai piccioni
viaggiatori. Venne predisposto urgentemente un servizio per
intercettare i piccioni “nazisti” servendosi di falchi addestrati che
vennero sparpagliati sulle coste britanniche, dalla Cornovaglia alle
isole Scilly. A quanto sembra questa misura risultò estremamente
efficace, permise di eliminare moltissimi piccioni in volo verso
Germania e Francia e consentì la cattura di due “prigionieri di
guerra” assieme ai messaggi che trasportavano. In seguito, ma non
viene spiegato con che metodo, i due piccioni tedeschi vennero
integrati nei volatili dell’Army Pigeon Service.
Più efficaci dei sensori elettronici
Dopo il secondo conflitto mondiale non si è mai più sentito parlare
dell’utilizzo dei piccioni ammaestrati. Erano diventati un sistema
obsoleto oppure erano forse diventati una questione ancora più
segreta? Considerando le notizie filtrate sull’utilizzo militare di altre
specie animali, come i delfini per portare cariche esplosive su
obbiettivi navali o i cani utilizzati per ricercare esplosivi o per
portarli nelle posizioni nemiche, non ci sarebbe niente di strano.
Mentre non ci sono notizie sul loro impiego nella guerra
dell’Afghanistan, è invece ben testimoniata la ricomparsa dei piccioni
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durante l’invasione dell’Iraq, distribuiti a dozzine nei reparti angloamericani e utilizzati come sensori animali contro gli attacchi chimici
e biologici delle tanto conclamate armi di distruzione di massa di
Saddam Hussein. I piccioni fanno parte delle unità che impiegano
sofisticati strumenti di rilevamento e analisi scientifica degli agenti
tossici. I volatili non sostituiscono i dispositivi tecnologici ma li
integrano. Dan Fallace, responsabile di una squadra di rilevamento di
un reggimento dei Marines, sostiene: “I piccioni hanno un senso in
più. Lavoriamo con sensori elettronici che costano 12 mila dollari e
piccioni che costano 60 dollari, ma questi ultimi difficilmente si
rompono o forniscono letture errate. All’inizio pensavamo di
utilizzare delle galline ma morirono tutte prima di arrivare qui.
Ogni volatile è arrivato con la sua gabbia e la sua scorta di cibo”.
Oggi il loro ruolo è di allarme, una dose di gas che per i volatili
sarebbe letale consentirebbe, invece, ai soldati di prendere in tempo
le adeguate misure di protezione. Gli uccelli vengono tenuti in gabbie
protette dal sole ai margini degli accampamenti nel deserto, un po’
alla volta stanno diventando le mascotte dei militari che li
accudiscono così, un po’ improvvisando, perché nessuno gli ha mai
insegnato come fare. Prima di muovere dal Kuwait verso l’interno
dell’Iraq, al quarto reggimento del primo battaglione della prima
divisione dei Marines sono arrivati otto piccioni. Nessuno sapeva cosa
farsene e come utilizzarli, finché il comandante colonnello John
Mayer ha suggerito di metterli sul tetto dei veicoli in testa alle
colonne corazzate. “Così magari ci accorgeremo in tempo degli
attacchi con l’antrace o con i gas nervini”, ha commentato.
Fonte: Unavicoltura: PERIODICO DELL'UNIONE NAZIONALE
DELL'AVICOLTURA - Articolo di Giorgio Iacuzzo
Pellegrini Tamara
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