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IL GIORNALE
DI VICENZA
Lunedì
2 Aprile 2007
Iconiugivicentiniindueanniemezzocompionounmiracolo
L
a scuola dei coniugi Brian, oggi ospita 15 giovani apprendisti di
Phnom Penh (Cambogia). In Italia sono sostenuti dall’Associazione Fileo onlus di
Costabissara,Vicenza. Durante i loro
viaggi, i Brian sono
impegnati nella sensibilizzazione di scuole, parrocchie, orafi e
commercianti italiani. Hanno recentemente avviato una
raccolta d’argento,
utile per essere riciclato e trasformato in
gioielli dagli allievi
cambogiani. L’esperienza dei Brian è
aperta a chi desidera
compiere un periodo
di volontariato nella
scuola. Per acquistare i gioielli, per la raccolta di argento vecchio e informazioni
scrivere a Igino e Lucia Brian, lucia_igino@
yahoo.it;
cell.
3479542966
oppure
3485296312. Info www.
fileonlus.org
di Antonio Gregolin
U
n
imprenditore
orafo
vicentino
che chiede solo
una preghiera. A 49 anni
ha cambiato vita per dedicarsi ai ragazzi di strada
di Phom Penh in Cambogia. Ad Igino Brian non è
bastato adottare, undici
anni fa, Vattanak bambino cambogiano dagli occhi profondi e vispi. La
terra che gli aveva dato
un figlio, sembrava chiedergli di più. Così la Cambogia, tanto diversa dalla
borghese Vicenza, è diventata la sua seconda patria:
“Qualcosa di forte mi è rimasto dentro quel giorno
che, dopo essere stato all’orfanotrofio per prendere mio figlio, avviandomi
verso l’aeroporto dal finestrino del taxi scorgevo
un mondo in cerca d’aiuto”. Da allora, quei volti e
quel Paese, sono cresciuti
dentro di lui: “Con mia
moglie Lucia - racconta
Igino - sentivamo anche a
distanza quel richiamo.
Sembrava che non ci bastasse sapere di aver adottato un bambino. Non bastava neppure mandare
degli aiuti. Sapevamo che
la vera ricchezza era la nostra esperienza e gli aiuti
sarebbero serviti a poco,
se non aiutavamo a crescere quella gente”.
Non è stata una folgorazione: “La fede cristiana
ci ha ispirato certo ma è
l’umanità che avevamo
sfiorato lì, ad averci aperto cuore e mente. Quando
decidemmo di partire per
la Cambogia due anni e
mezzo fa - dice la moglie
Lucia Bruni, 47 anni, di
Vicenza - ce lo siamo detti
con la facilità di chi ha maturato delle inderogabili
convinzioni”. “Immaginavamo che la nostra poteva
sembrare una pazzia - in-
Igioiellivenutidallemine
LirealizzanoinCambogiagliallievidellascuoladegliorafiBrian
calza Igino - sapendo che
avremmo dovuto chiudere la nostra attività. Qualcuno avrà pensato che lo
facevamo perché si profilava una crisi economica;
altri perché volevamo
cambiar vita o portare capitali all’estero. Niente di
tutto ciò, l’impresa era capire come potevamo iniziare con i nostri pochi
fondi a costruire ciò che
avevamo in mente, magari con l’aiuto di qualche
missionario italiano”.
Agli inizi, furono i missionari del Pime di Milano a porgere loro la mano,
accogliendoli nella caotica capitale cambogiana,
Phnom Penh. I segni della
guerra sono ancora evidenti nella società cambogiana del nuovo Millennio: “Sapevamo che la
guerra era definitivamente finita solo nel 1991 - raccontano i coniugi Brian ma ciò che restava nella
vita quotidiana di quel popolo, era la guerra per la
sopravvivenza”. Tredici
milioni di abitanti, con il
36% della popolazione sotto la soglia della povertà.
“Il 6% sono ricchi e potenti - spiega Igino - coloro
che sono in grado di corrompere l’intera società
cambogiana, che è al limite della democrazia”.
Igino lì ha realizzato un
sogno: aprire una scuola
professionale per ragazzi
e ragazze di strada. Due
L’esterno della scuola. In alto le allieve in laboratorio
Qui sopra i gioielli realizzati dalle mine. In alto Lucia e Igino Brian col figlio Vattanak
anni fa a Phnom Penh ha
aperto una “salà” (“scuola” in lingua khmer). Oggi l’edificio non ha ancora
un nome: “Ma poco importa - ribatte il fondatore per il nome c’è sempre
tempo. Ciò che realmente
conta, è sapere che in due
anni sono stati oltre 45 i
giovani cambogiani venuti dalla strada che hanno
mentichiamo sono occidentali e asiatici, coltiva
in questa povertà la sua risorsa. Chi arriva nella capitale può trovarsi tra le
mani cataloghi con tanto
di foto che mostrano chi è
utilizzabile e chi invece
ha una croce sopra perché è già morto o ha contratto malattie. Il tariffario è spaventoso: in Cam-
imparato un vero mestiere. Qualcuno è già diventato insegnante dei suoi
stessi coetanei”. Intorno
a questa scuola ordinata,
pullula un mondo diverso: “Qui la prostituzione è
diffusa a tutti i livelli. Si
può trovare merce umana
dai due anni ai venticinque anni. La stessa pedofilia, i cui clienti non di-
bogia un bambino vale
due-tre mila euro ed è messo all’asta dai suoi genitori”.
“Non scordiamoci - racconta Igino - che questa è
una terra dove se una giovane ragazza sbaglia a
prendere un “mototop”
con cui la gente si sposta
in città, la malavita locale
può rapirla avviandola al-
la prostituzione nei bordelli di Bangkok. Storie
così, qui sono ordinaria
follia”.
Una follia che viene dalla disperazione: “Ecco
perché il nostro “Progetto
Cambogia” mira a contribuire allo sviluppo personale ed economico dello
straordinario popolo Khmer, cercando di allonta-
nare per alcuni lo spettro
della schiavitù, prostituzione, delinquenza, tossicodipendenza, Aids”. “A
Phnom Penh - spiegano i
vicentini - abbiamo un piccolo appartamento poco
distante dai locali della
scuola dove ogni giorno i
ragazzi arrivano per imparare l’arte e lo stile italiano di creare gioielli”. Il
corso dura un anno e giovani dai 15 ai 25 anni apprendono un mestiere:
“Dopo questo apprendistato - dice Igino - gli alunni vengono diplomati e avviati verso una loro autonoma attività”.
La storia dei coniugi
Brian, va ben oltre. Da artigiani trasformano “strumenti di morte ” in simboli di riflessione. Come?
“Attraverso i gioielli in argento prodotti dalle mani
dei nostri ragazzi che portano i segni tangibili della
loro storia. Quella delle
mine antiuomo che oggigiorno continuano a mietere vittime in tutto il Paese”. “È un’altra piaga della Cambogia - ricorda Lucia - che ha un territorio
disseminato da dieci milioni di mine tarate a 20
kg, peso di un bambino, lasciate dal conflitto tra
Kmer e truppe governative, sempre pronte ad
esplodere. La tragedia qui
è un evento quotidiano”.
“In questo stillicidio centriamo anche noi - denuncia Igino - visto che molte
di queste mine sono di fabbricazione italiana. Una
vergogna di cui sentiamo
il peso, ma non le dirette
responsabilità. Il nostro
progetto è sostenuto dall’Associazione vicentina
Fileo. La povertà costringe la gente locale a raccogliere le schegge di “spoan”, l’ottone rimasto sul
terreno. L’ottone recuperato è poi rivenduto per essere riciclato, come facevamo anche in Italia nel
dopoguerra. Così noi lo acquistiamo per riciclarlo e
farne paradossalmente degli oggetti di bellezza”.
Gioielli dalle linee plastiche che sposano lo stile occidentale e orientale, dove tra seta e argento i giovani orafi, incastonano
anche il metallo dorato
delle mine antiuomo. “Il
risultato - spiega Igino ha un duplice messaggio:
quando poi importiamo
l’argenteria in Italia, i
guadagni ci servono per
sostenere la scuola. Lanciamo così un ammonimento che serve a scuotere anche le coscienze più
tranquille. Mostriamo come un oggetto di morte,
possa trasformarsi in un
segno di speranza e bellezza, e noi riportiamo in Italia quel materiale trasformato che qui era prodotto
per uccidere”.
Suona la campanella e
Igino deve tornare tra i
banchi dei laboratori:
“Qui non c’è il rischio di
sfruttamento - precisa lui
- è talmente poco quello
che riusciamo a fare noi
per questi ragazzi che il
numero di quanti premono ogni giorno alla nostra
porta aumenta di mese in
mese. Non vogliamo che
sia una casa d’assistenza;
i nostri ragazzi una volta
imparato il mestiere, devono costruirsi da soli il
loro futuro. Il nostro impegno, finisce laddove le
scelte individuali non richiedono sussidiarietà”.
Risiede fuori dal territorio episcopale perché viaggia via fiume e non dispone di un edificio che ospiti preti e servizi
Nativo di S. Vito di Leguzzano (il comune è nel suo stemma) guida da cinque anni la diocesi di Ponta de Pedras in Brasile
Alessio,vescovochevainpiroga
Falaspesaecucina,habisognodiaiutipercostruirecasaaBelèm
Dom Saccardo lungo il fiume Guajarà con la sua barca
di Bruno Cogo
D
om Alessio Saccardo è probabilmente l' unico vescovo
al mondo a risiedere fuori
dal territorio della sua diocesi. Circostanza che dal
punto di vista del diritto
canonico sarebbe illegale.
Non avendo la possibilità
di spostarsi al suo interno
(la diocesi di Ponta de Pedras, in Brasile, ha un'
estensione di oltre 18 mila
km quadrati, almeno la
metà ricoperti d'acqua)
mons. Saccardo sarebbe
costretto ogni volta a passare per Belém (centro nodale del traffico che in
quell'area è solo fluviale)
dove ha deciso di stabilire
l'abitazione vescovile, gli
uffici della curia, il centro
diocesano e tutti i servizi
pastorali. Per spostarsi deve quindi per forza arrivare a Belém e ripartire da lì
per recarsi nel luogo desiderato; in pratica le sei città della sua diocesi (circa
90 mila abitanti in condizioni di assoluta povertà )
sono collegate direttamente con la capitale del Parà.
Mons. Alessio Saccardo, 67 anni, è da cinque anni vescovo della diocesi di
Ponta de Pedras, nel Marajò, retta prima di lui da
un altro vescovo vicentino; proprio quel mons. Angelo Maria Rivato che nel
1970 l'aveva consacrato sacerdote nella chiesa par-
Alcuni bambini nelle scuole di Ponta de Pedras
Il vescovo vicentino in udienza da papa Benedetto XVI; a destra una messa in Brasile
rocchiale di S.Vito di Leguzzano, paese dove è
giunto da Marano Vicentino, dov'è nato, quando aveva appena due anni.
«Sono nato e cresciuto
in un contesto rurale profondamente intriso di valori cristiani - così i il presule spiega la scelta del
suo stemma episcopale. in
cui ha voluto anche l'emblema del comune di S. Vito dove ha trascorso l'infanzia ed i primi anni della giovinezza - Per questo
nello scudo figura una
grande croce rossa che occupa tutto il campo bian-
tere, la sapienza. Sono le
virtù civiche che ho preso
fin dall'infanzia attraverso innumerevoli esempi e
che sono l'eredità ricevuta dalla mia famiglia».
Alessio è il decimo figlio di Bortolo e Maria Saccardo. Dopo aver frequentato le scuole elementari
di S. Vito entra nel Seminario vescovile di Vicenza. Terminati gli studi liceali entra nel Noviziato dei
gesuiti, a Lonigo. Dopo l'
ordinazione sacerdotale
viene nominato responsabile del Centro culturale
S. Fedele e poi del Collegio
co, a simbolizzare l'identità civile e religiosa del popolo in mezzo al quale sono cresciuto. Lo scudo è sovrastato da una corona,
simbolo della sovranità
temporale del popolo, della sua indipendenza, del
suo attaccamento alla libertà e della sua volontà
di difenderla a qualsiasi
costo. Alla base ci sono
due rami verdi: quello di
quercia vuole significare
la laboriosità e la serenità
nelle avversità mentre
quello d'alloro la pace conquistata, la fama, l'eccellenza nelle arti e nelle let-
Leone XIII, di Milano. Dopo essere stato in Colombia, nel 1981 è missionario
in Brasile nella parrocchia di Curralinho (diocesi di Ponta de Pedras), dove rimane per 6 anni. Successivamente diventa responsabile del collegio dei
gesuiti di Salvador Baia e
poi di Teresina dove, il 6
aprile 2002, viene consacrato vescovo da mons. Luciano Mendes de Almeida.
Oltre a quella dei numerosi familiari giunti dall'
Alto Vicentino, significativa la presenza alla cerimonia delle due sorelle reli-
giose, anch'esse missionarie: suor Maria Scolastica, che presta la sua opera
nelle favelas di Salvador
Baia e suor Maria Adelina
impegnata a Cezskebud
Jovice, nella Repubblica
Ceca.
«Quando 5 anni fa presi
possesso della diocesi di
Ponta de Pedras trovai a
Belém una sede cadente e
quasi del tutto inagibile interviene mons. Saccardo che, grazie alla generosità di una famiglia milanese, è riuscito a costruire
una scuola per l'infanzia
nella
parrocchia
di
Muanà - Pensai subito ad
un progetto per dotare la
diocesi di una sede in grado di rispondere alla necessità di un coordinamento pastorale adeguato
alle esigenze e alla domanda di corsi e di incontri di
preparazione dei laici impegnati nell'evangelizzazione».
Il progetto, approvato
dagli organi pubblici competenti e già in fase di esecuzione, prevede la costruzione di un piccolo appartamento per il vescovo, degli uffici della Curia dove
troverà posto anche la Direzione dell'attività della
pastorale con i bambini e
del Centro diocesano dove
si potranno tenere corsi,
assemblee ed incontri.
«Si tratta di ristrutturare un edificio esistente ma
in pessimo stato di conservazione e di costruire un
nuovo blocco - spiega dom
Alessio - Nella parte da ristrutturare bisogna rifare
il tetto e gli impianti elettrici e idraulici. Oltre al salone per gli incontri e le assemblee, la parte nuova
prevede la costruzione di
due piani; uno per il pernottamento delle donne e
uno per gli uomini. Il Centro accoglierà anche i preti e le suore che dovranno
venire a Belém per motivi
di salute o per partecipare
agli incontri pastorali. La
nuova costruzione sorgerà vicino al fiume: per le
fondazioni, bisognerà ricorrere ad un sistema di
palafitte con un conseguente aumento dei costi».
Per far funzionare gli uf-
fici della curia mons. Alessio Saccardo può contare
su un solo aiutante ed una
volontaria laica; per i lavori domestici si deve arrangiare e provvede di persona alla spesa e a cucinare.
Non ha macchina nè autista; quando si sposta utilizza i mezzi pubblici. Le sue
parrocchie non riescono a
far fronte alle spese e al
mantenimento di 10 preti,
25 suore e 10 seminaristi
deve provvedere il vescovo che confida nella provvidenza e nella generosità
degli amici italiani.
Per mettersi in contatto
con lui basta scrivere a
Dom Alessio Saccardo
S.I., Bispo de Ponta de Pedras - Caixa Postal 963,
CEP 66017-970 Belém, PA,
Brasil
(tel.
0055/9132250128,
fax
0055/9132251625); e-mail:
[email protected].
br Per informazioni rivolgersi alla sorella Maria Teresa
Saccardo
(tel.
0445/671683); e-mail: [email protected]