Decisione N. 1520 del 12 marzo 2014

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Decisione N. 1520 del 12 marzo 2014
Decisione N. 1520 del 12 marzo 2014
COLLEGIO DI MILANO
composto dai signori:
(MI) GAMBARO
Presidente
(MI) LUCCHINI GUASTALLA
Membro designato dalla Banca d'Italia
(MI) CONTINO
Membro designato dalla Banca d'Italia
(MI) SANTARELLI
Membro designato da Associazione
rappresentativa degli intermediari
(MI) ESTRANGEROS
Membro designato da
rappresentativa dei clienti
Associazione
Relatore (MI) SANTARELLI
Nella seduta del 26/09/2013 dopo aver esaminato:
- il ricorso e la documentazione allegata
- le controdeduzioni dell’intermediario e la relativa documentazione
- la relazione della Segreteria tecnica
FATTO
La società ricorrente, titolare di un conto corrente acceso presso l’intermediario resistente,
lamenta sia l’addebito di interessi a un tasso usurario, sia l’applicazione di interessi
anatocistici. Nel dettaglio, la questione emerge dalle risultanze di causa nei seguenti tratti.
Sin dal reclamo spedito per posta raccomandata all’intermediario il 2 gennaio 2013, la
correntista lamentava “errori e anomalie” relativi “al rapporto di conto corrente di cui in
oggetto” a partire dal terzo trimestre del 2002 e fino al secondo trimestre del 2012. In
particolare, il tasso d’interesse debitore applicato avrebbe superato la soglia fissata a
norma delle disposizioni antiusura (c.d. usura oggettiva); inoltre, anche quando l’interesse
applicato era inferiore al tasso soglia, esso sarebbe “stato sempre superiore al TEGM”
(c.d. usura soggettiva); da ultimo, gli interessi sarebbero stati calcolati secondo il metodo
dell’“interesse composto” anziché semplice (i.e. sarebbe stato applicato l’anatocismo).
Insoddisfatta del riscontro avuto dall’intermediario, il quale respingeva ogni addebito, la
cliente adiva questo Arbitro con ricorso del 18 marzo 2013 affermando di avere effettuato
un “ricalcolo del saldo del conto corrente” mediante una perizia tecnica effettuata da un
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esperto di fiducia sugli estratti conto dal quarto trimestre del 2002 al primo trimestre del
2012; in siffatta perizia sarebbero state applicate modalità di calcolo diverse da quelle
della banca e (al contrario di queste) asseritamente “aderenti alla normativa vigente sulla
trasparenza bancaria (…) e sull’usura..”. La ricorrente chiedeva quindi, con riferimento al
solo periodo dall’1 gennaio 2009 al primo trimestre del 2012, il rimborso delle “differenze”
individuate in base alla documentazione allegata alla citata perizia, ammontanti a
complessivi € 2.522,18. Di tale somma, € 2.354,98 sarebbero stati indebitamente
corrisposti all’intermediario per “usura oggettiva” ed ulteriori € 167,20 “per anatocismo”,
mentre nessun rimborso veniva richiesto in merito all’usura soggettiva pure profilata in
sede di reclamo.
Nelle proprie controdeduzioni, l’intermediario eccepisce in via preliminare l’irricevibilità del
ricorso, il cui contenuto coinciderebbe solo in parte con quello del preventivo reclamo,
ovvero la nullità dello stesso ricorso per la violazione degli artt. 163 e 164 c.p.c. Nel
merito, l’intermediario nega ogni addebito ed eccepisce l’infondatezza della pretesa
avversaria, del tutto sfornita di supporto probatorio, in quanto gli importi richiesti ex
adverso non troverebbero giustificazione negli esiti della perizia, recanti modifiche e
aggiunte a penna “senza alcuna apparente motivazione” da parte della ricorrente. Inoltre,
l’intermediario lamenta che detta perizia (i) prescinderebbe dall’esame della
documentazione contrattuale; (ii) avrebbe qualificato il rapporto in contestazione alla
stregua di un “conto promiscuo”, laddove invece avrebbe dovuto trovare applicazione il
tasso previsto per la categoria C2, “anticipo fatture”; (iii) nel calcolo del “TEG” (tasso
effettivo globale, n.d.r.), si è discostata dalle modalità di calcolo indicate da Banca d’Italia.
Quanto alla profilata usura soggettiva, l’intermediario eccepiva la carenza dei necessari
presupposti di “difficoltà economica o finanziaria del soggetto passivo (…) il cui
accertamento è demandato in via esclusiva al Giudice penale”. Da ultimo, l’intermediario
respingeva la censura relativa all’addebito di interessi anatocistici “contrattualmente
pattuito coerentemente con la vigente normativa e debitamente comunicato nella periodica
rendicontazione” della banca.
DIRITTO
In via preliminare va respinta l’eccezione di irricevibilità del ricorso. Sul punto va rilevato
che il reclamo ed il ricorso odierni hanno ad oggetto gli stessi fatti e le stesse pretese e si
distinguono, semmai, solo sotto il profilo temporale, laddove il reclamo attiene a un arco di
tempo assai più esteso del ricorso, mentre quest’ultimo è riferito ai soli fatti successivi all’1
gennaio 2009, per evidenti ragioni di procedibilità alla luce delle disposizioni di Banca
d’Italia che escludono dalla competenza di questo Arbitro operazioni e comportamenti
anteriori a tale data. Se quindi l’oggetto del ricorso può dirsi ricompreso nel reclamo,
l’odierno procedimento deve ritenersi validamente introdotto.
Sempre in via preliminare, va altresì respinta l’eccezione di nullità del ricorso ai sensi degli
artt. 163 e 164 c.p.c. Come questo Arbitro ha già avuto occasione di affermare, infatti, ciò
che potrebbe impedire l’esame nel merito del ricorso odierno sarebbe “la palese difficoltà
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di individuare in modo univoco l’oggetto della questione” ed i fatti costitutivi posti a
fondamento della domanda (cfr. Coll. Milano, Dec. 2866/2011): tale circostanza, tuttavia,
non pare affatto sussistente nel caso di specie, in cui i termini della pretesa azionata ben
possono essere evinti dal ricorso e dalla documentazione allegata nei termini che si sono
già espressi. Non solo. La resistente ha in ogni caso avuto modo di replicare ed ha, in
concreto, replicato sulle doglianze proposte.
Venendo al merito del ricorso, all’origine della pretesa di rimborso avanzata dalla cliente vi
è la circostanza per cui, nel periodo all’esame del Collegio, il tasso di interesse applicato
alla ricorrente avrebbe superato la soglia di legge, così da dare luogo ad una fattispecie di
c.d. usura oggettiva sopravvenuta. A tale proposito, va anzitutto premesso che dalla
documentazione contrattuale prodotta dal resistente risultano (i) il contratto di c/c inter
partes del 26 settembre 2002, che prevede un tasso di interesse debitore del 14% e (ii)
un’apertura di credito in conto corrente di € 5.000,00 sottoscritta il 19 ottobre 2003, con
scadenza fissata originariamente al 30 marzo 2004 e con tasso d’interesse del 13,75%
ovvero del 16% in caso di scoperto di conto o di mora. Di conseguenza – pur nell’estrema
vaghezza delle allegazioni delle parti, pare possibile affermare in via presuntiva che
l’apertura di credito sia rimasta in essere sino a tutto il periodo oggi in contestazione –, ai
fini dell’individuazione del tasso soglia appropriato, il cui superamento determinerebbe la
sussistenza della profilata usura oggettiva, dovrà farsi riferimento alla “Cat.1. Aperture di
credito in conto corrente”, cui vanno assimilati “i passaggi a debito di conti non affidati
nonché gli sconfinamenti su conti correnti affidati rispetto al fido concordato” e non alla
categoria indicata dall’intermediario, secondo cui il rapporto dovrebbe essere ricondotto a
un “anticipo fatture”.
Ciò posto, nell’effettuare il proprio “ricalcolo”, la ricorrente ha disapplicato le istruzioni
impartite da Banca d’Italia agli intermediari per il calcolo del tasso effettivo globale di
ciascuna operazione di finanziamento, non ritenendo la relativa formula “corretta (…) al
fine di confrontarla con la soglia di usura”. Va però osservato che, anche attenendosi agli
esiti del ricalcolo compiuto dalla ricorrente, la pretesa di questa si dimostra infondata dal
momento che non risulta in alcun caso il denunciato superamento del tasso soglia, rispetto
al quale l’interesse applicato si è sempre mantenuto inferiore. D’altra parte, nessuna critica
potrebbe essere rivolta all’intermediario per il fatto di avere applicato le modalità di calcolo
del TEG indicate dalla Banca d’Italia, dal momento che tali modalità sono le sole a cui gli
intermediari sono obbligati ad attenersi.
Se così stanno le cose, in conclusione, la pretesa della ricorrente va rigettata. In ogni
caso, giova precisare che l’orientamento di questo Arbitro in tema di usura sopravvenuta è
tale per cui, anche ove il tasso soglia fosse stato effettivamente superato, la richiesta
risarcitoria avrebbe potuto trovare accoglimento soltanto in presenza di una condotta
contraria a buona fede da parte dell’intermediario, che non si profila nel caso di specie (cfr.
sul punto il recente orientamento espresso dal Collegio di Coordinamento nella Dec.
77/2014).
Quanto all’usura soggettiva, anche a prescindere dall’insussistenza di prove relative alle
situazioni di fatto che la presuppongono, le stesse prospettazioni della ricorrente paiono in
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contraddizione con le domande dal momento che escludono esse per prime che vi sia
stata applicazione di interessi usurari (“di cui dovuti ad usura soggettiva.. Euro 0”).
Da ultimo, neppure la richiesta di rimborso delle somme asseritamente corrisposte a titolo
di interessi anatocistici può essere accolta. Invero, la pretesa di € 167,20, che si
asseriscono costituire anatocismo, rimane meramente labiale da parte della ricorrente,
mentre nessuna evidenza è stata offerta, nemmeno nella perizia allegata, in merito alle
pretese “differenze da anatocismo” da cui l’ammontare di cui si domanda il rimborso
trarrebbe origine. Di talché, l’accertamento richiesto a tale proposito a questo Arbitro
finirebbe per tradursi in un’attività meramente consulenziale che, secondo un costante
orientamento interpretativo (ex multis cfr. Coll. Napoli, Dec. 52/2013), esula dalla
competenza dell’ABF.
PER QUESTI MOTIVI
Il Collegio non accoglie il ricorso.
IL PRESIDENTE
firma 1
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