perché la dolce vita? - Festival del film Locarno

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perché la dolce vita? - Festival del film Locarno
PERCHÉ LA DOLCE VITA?
Raisat Cinema non poteva mancare a questo appuntamento unico e
irripetibile: i cinquant’anni de La dolce vita, Palma d’Oro a Cannes nel 1960.
Fellini sta al cinema come La dolce vita sta alla contemporaneità, ancora
oggi a cinquant’anni dalla sua realizzazione (Palma d’Oro a Cannes nel 1960).
La dolce vita ha registrato il passaggio, in tempo reale, dalla cronaca alla storia
determinato dall’insorgente società
dello
spettacolo.
Realizzato come un
“rotocalco in pellicola” aspira a riproporre in forma artistica il caos contemporaneo
accumulando episodi, suggestioni, situazioni in un disordine organizzato. Sembra un
paradosso ma, se c’è mai stato un instant-movie questo è La dolce vita.
Da sempre attento al cinema italiano e ai film diventati forma e fonte di
ispirazione dei grandi registi - Fellini in tal senso è un autentico modello - Raisat
Cinema ha dedicato al maestro riminese diverse rassegne cinematografiche e una
imponente produzione dedicata alla sua vita e alla sua opera, Felliniana.
Per questo quando Tullio Kezich ci propose di realizzare Noi che abbiamo fatto La
dolce vita, abbiamo subito aderito con convinzione e passione. Realizzato da alcuni
dei protagonisti di quella che Kezich ha definito «una lavorazione particolarmente
lunga, movimentata e inventiva», Noi che abbiamo fatto La dolce vita è stato
scritto dallo stesso Kezich, diretto da Gianfranco Mingozzi e prodotto in
collaborazione con la “Fondazione Federico Fellini”.
Nel 1983 Federico Fellini scriveva che «la tentazione piu’ forte è dire che il
futuro è già finito», concordi col Maestro, per noi il futuro può solo essere
intercettato, mai raggiunto: è tensione e progetto, solo e sempre l’inizio di
un’avventura.
Raisat Cinema
KEZICH e FELLINI
Scrivo su Tullio Kezich non perché sia un mio amico. L’ho solo intravisto a
qualche prima teatrale o, chissà, ad una proiezione privata. Non perché io sia
divenuto suo collega, sulle colonne dello stesso giornale, lui critico di cinema, io di
teatro. Non perché abbia particolari rapporti con Raisat Cinema o con il festival di
Locarno, benché sia l’unico festival di cinema che io abbia frequentato con una
certa assiduità. Scrivo per ammirazione.
E’ un’ammirazione che viene da lontano, dal mio primo affacciarmi nel
mondo dei giornali. Nel 1968 cominciai a collaborare, come critico teatrale, a
“Paese Sera”. Di quel pungente giornale, critico cinematografico era Callisto
Cosulich, un uomo pieno di brio, di eloquenza, che non disdegnava parlare con il
ragazzino che ero. Raccontava sempre, a me e a tutti gli altri colleghi dello
“spettacolo”, episodi della sua gioventù gloriosa in Trieste (per tutti: il cineclub
allestito sulla nave). Ma raccontava anche del suo collega e amico Tullio, un uomo
il cui cognome finiva come il suo, una sciocchezza che finì con l’affascinarci.
Cosulich–Kezich: ecco chi erano i veri critici cinematografici, un duo inscindibile,
fantastico, vetusto (benché all’epoca non avessero, chi più chi meno, poco più o
poco meno che quarant’anni).
Naturalmente cominciai a leggere le cronache di Kezich e poco dopo, come
tutti, scoprii la vera invenzione dello scrittore triestino, un’invenzione che
rivoluzionò la critica cinematografica. Non più le lunghe, dettagliate cronachecritiche, non più gli elzeviri, le quattro cartelle, 120 righe, ottomila battute. Con il
cinema ci si poteva comportare in modo diverso. Di colpo, Kezich accorciò. Aveva
cominciato a scrivere recensioni brevi, non le recensioni–lampo di adesso, che di
quelle sono una degenerazione, una patologia. Ma proprio brevi, sintetiche,
succose: in poco spazio si poteva dire tutto. Che io ricordi nessuno sollevò
obiezioni, nei discorsi che si facevano in redazione o altrove. Istintivamente,
inconsciamente tutti capivamo che quella era la cosa giusta. Perché? Non perché il
cinema sia un’arte meno nobile delle altre. Ma esso è legato, più delle altre, alla
contingenza. Che noi si vedano con immutato piacere i film di mezzo secolo fa non
smentisce quanto sto dicendo. Il cinema è legato alla contingenza nel senso che
acchiappa la realtà al volo, dalla strada – quella strada domani non c’è più; e anche
perché dalle sale esce dopo pochi giorni – se tu, spettatore, non sei stato
tempestivo, fulmineo, quel film lo hai perso, forse non lo vedrai mai. Infine c’è un
terzo motivo: uscivano tanti film, i critici dovevano rendere conto di tutti, anche
dividendosi il lavoro con un’altra persona, l’impresa appariva titanica. La brevità,
indubbiamente, era la soluzione.
Solo molti anni dopo scoprii ciò che a Kezich mi affratella. Quel giorno è
indelebile nella mia memoria. Era il 1960. Alle tre del pomeriggio ero davanti al
cinema Fiamma. Ero in fremente attesa che cominciasse la proiezione de “La dolce
vita”. Perché io, diciassettenne, fossi lì, in quello stato di vibrazione, tutto
eccitato, m’è oscuro. Anzi, è quasi incredibile. Vidi il film due volte. La notte, lo
giuro, non dormii. Le immagini di Fellini mi tormentavano, mi esaltavano,
accompagnavano la lunga veglia o, per meglio dire, insonnia.
In quel prezioso libro che è “Noi che abbiamo fatto La dolce vita” – un libro
che, nello scaffale, ora è vicino a libri non meno prestigiosi, quello dedicato da
Lilian Ross a “Il segno rosso del coraggio” di John Huston, o da Gregor von Rezzori a
“Viva Maria” di Louis Malle, non libri di critica, ma diari di bordo, testimonianze,
cronache affettuoso–esaltate in quel prezioso libro di Kezich, dicevo, c’è una sua
domanda a Fellini, e la risposta del regista, che per me è una spiegazione di tutto:
Kezich: «Che cosa ti piacerebbe sentir dire di questo film e che cosa non ti
piacerebbe sentir dire?». Fellini: «Non mi piacerebbe sentir dire che ho tentato di
stupire, che voglio fare il moralista, che sono troppo autobiografico, che ho
cercato nuove vie. Non mi piacerebbe sentir dire che il film è pessimista,
disperato, satirico, grottesco. E nemmeno che è troppo lungo. La dolce vita, per
me, è un film che lascia in letizia, con una gran voglia di nuovi propositi. Un film
che dà coraggio, nel senso di saper guardare con occhi nuovi la realtà, e non
lasciarsi
ingannare
da
miti,
superstizioni,
ignoranza,
bassa
cultura,
sentimentalismo. Vorrei che dicessero: è un film leale».
Ma a proposito di lealtà, come tacere dell’altra grande, inestinguibile
passione di Kezich? Il cinema per lui è Fellini. Il teatro è Svevo. Svevo scrisse poco
per il teatro? Non viene mai rappresentato? Nell’arco di un quarantennio la verità è
che Kezich s’è fatto carico di mai trascurare quell’altro suo maestro: una lunga
fedeltà. A tutti gli effetti, il testo più importante (ma si dovrebbe dire l’impresa di
spicco) è la commedia tratta proprio da “La coscienza di Zeno”. In quel caso, la
fedeltà è doppia, c’è anche quella della rispettosa interpretazione, del rimanere
sempre vicino, del mai guardare da un’altra parte. Con il teatro, pur rimanendo
ognuno al suo posto (non so bene quale), Kezich ed io ci siamo avvicinati.
Ho qui davanti a me una cartolina meravigliosa, che mi spedì nell’aprile di
quest’anno. Riguarda “Beyond the Rocks” e vi è ritratta Gloria Swanson. Ma dietro
c’è il gentile invito a vedere il dvd di una commedia rappresentata da “La
Contrada” di Trieste e che è un quasi – monologo (tutto vero – tutto fantastico)
della madre di Livia Veneziani, la moglie di Svevo.
Ebbene,
penso
che
quella
voce
ironica,
lievemente
sfottitoria,
condiscendente (alle intemperanze del genero) sia la vera, segreta voce di Kezich.
In essa, egli prende le distanze da se stesso, per eleganza, per sobrietà. Ma tanto
più lungo è questo passo tanto più egli si avvicina, ancora una volta, alla voce di
Svevo, l’altro amore che non ha mai abbandonato.
Franco Cordelli
NOI CHE ABBIAMO FATTO LA DOLCE VITA
E come descrivere quel Fellini che aveva appena compiuto trentotto anni?
L’ho raccontato tante volte che non trovo l’immagine giusta: un rabdomante
arrivato in prossimità dell’acqua, un cane che ha annusato i tartufi, un velocista
pronto allo scatto? Solo a guardarlo ti faceva venire una voglia matta di saltare
sulla nave che stava sciogliendo gli ormeggi, agli ordini di un capitano
beffardamente coraggioso.
Passammo insieme un paio di giornate tipiche delle molte che avremmo
trascorso (o dovrei dire dissipato?) in modo analogo. Lui sulla pista del suo film ma
non era un sentiero solo: erano dieci, cinquanta, cento. E Federico era sempre
pronto a deviare, a sottrarsi e a infrattarsi; mentre noi ci sentivamo tutti come
ragazzi che hanno marinato la scuola. Chi partecipò a La dolce vita vi confermerà
che tirava sempre l’aria di non fare un accidente, di sfuggire agli impegni. E pure si
lavorava, se questa è la parola, fino a veder spuntare l’alba….
Non si sapeva granché del modo in cui il regista lavorava con gli
sceneggiatori:
Tullio Pinelli,
Ennio
Flaiano
e
Brunello
Rondi. Li
vedeva
separatamente ed era molto attento a non offendere la loro suscettibilità.
Soprattutto con Flaiano, carattere non facile, teneva in piedi una specie di
rapporto coniugale tormentato da malumori e ripicche. Pinelli credo che fosse il
più diligente, quello che scriveva di più, e quanto a Brunello intimoriva Fellini con
la sua erudizione e gli fungeva da “ scrittore fantasma” negli interventi sulle riviste
culturali.
C’era anche una cerchia di consulenti segreti, tra i quali Pier Paolo Pasolini
che aveva fatto da guida nelle borgate durante Le notti di Cabiria. Quasi ogni sera
Federico imbarcava l’uno o l’altro degli eletti sulla sua automobile (a qual tempo
guidare gli piaceva) e li coinvolgeva in scorribande sulla Cassia misteriosa o sul
lungomare di Ostia così simile a Rimini. Si parlava sempre del film, tanto che anche
parlando di altre cose tutti i discorsi tornavano là. Non era solo una verifica del
copione ma un’auscultazione appassionata dell’opera nel suo farsi. Il Poeta voleva
sentire molti pareri su tutte le possibili scelte e poi decideva da solo: e ne era nata
una specie di gara, fra i membri del consiglio della corona, su quali suggerimenti
sarebbero stati accolto e quali no.
Per uno strano fenomeno, ci sentivamo tutti attori del film; ma (e questo lo
scoprii in seguito) non solo noi del culturame, ma anche i macchinisti, gli
elettricisti, i figuranti. E per molti anni a venire, quando ci incrociavamo, da
Mastroianni all’ultimo manovale, ci salutavamo (e continuiamo a salutarci fra i
sopravvissuti) con particolare affetto. Siamo o non siamo stati (come si dice nel
cinema) “sulla Dolce Vita con Federico Fellini?”
Fu un lungo abbandonarsi da marzo a settembre del ’59, alle occasioni e agli
stimoli, al divertimento e alla douceur de vivre strutturato a capitoli, come tanti
film in uno, il colosso cinematografico crebbe su se stesso, raddoppiò, si allargò
sulla durata finale di tre ore. E pure ci furono episodi eliminati : un picnic nautico
a Ischia, al quale teneva particolarmente Angelo Rizzoli, ultimo definitivo
produttore dopo una fuga di una dozzina di renitenti; e la figura di Dolores matura
amante del giornalista Marcello, per la quale si preparava a tornare sullo schermo
la Luise Rainer di La buona terra. Figuratevi come rimase quando Fellini le fece
sapere che non serviva più.
Certo nel film le donne non mancavano: la splendida Anitona Ekberg, che
immergendosi vestita nella Fontana di Trevi entrò nella storia; la fragile e volitiva
Anucchina Aimée; la morbida Yvonne Furneaux; la pimpante ballerinetta Magali
Noel…. Tutte sempre intorno a Mastroianni, che se la godeva a fare il gallo del
pollaio. In realtà bravissimo a galleggiare sugli eventi del film e della vita
lasciandosi trasportare dalle correnti.
Minuto per minuto nascevano decisioni repentine e spiritose invenzioni che
crearono il mito. Fellini che all’alba supera a gran velocità la colonna della
produzione mette l’auto di traverso imponendo l’alt e ordina: “Si gira da un’altra
parte, ho cambiato idea!”. Fellini che s’innamora di una faccia qualsiasi sul set e al
suo servizio s’inventa un’intera situazione. Fellini che convoca Enrico Maria Salerno
e Alain Cuny e chiede ai due attori di recitargli in provini separati l’intera parte di
Steiner, l’intellettuale suicida per poter scegliere con calma.
“Vorrei che questo film non finisse mai”: lo pensavamo tutti e qualcuno ogni tanto
lo diceva. Eppure sul declino dell’estate, con la pesca del mostro marino sulla
spiaggia di Passo Oscuro, le riprese terminarono; e cominciò la differente fatica del
montaggio, del doppiaggio, dell’edizione. Arrivò in punta di piedi Nino Rota con il
suo bagaglio di meraviglie sonore, fra le quali quel tema parafrasato da Mack the
knife che si trasformò in un inno nazionale.
E poi, doveva succedere, il film ormai pronto diventò una cosa di tutti.
Deflagrò come una bomba nel febbraio ’60 e il giorno dopo qualcuno si accorse che
l’Italia non era più la stessa. Certo non l’aveva cambiata La dolce vita, ma ne era
stato l’annuncio vistoso: il segnale di un decennio di mutazioni che si sarebbero
succedute a rotta di collo.
Sbarcati dalla gran nave felliniana a noi girava un po’ la testa; e così, nel
rimpianto di quelle notti luminose e illuminanti, ci preparammo ad annoiare i
nipotini raccontando: io c’ero…..
Da Tullio Kezich, Noi che abbiamo fatto La dolce vita, Sellerio Editore Palermo
SINOSSI
Si compie mezzo secolo dalla nascita di uno dei più famosi film di tutti i
tempi e le celebrazioni, aperte da un convegno della Fondazione Fellini previsto a
Rimini per la metà di novembre, seguiranno la scansione delle date fatidiche.
16 marzo 1959, inizio lavorazione; settembre, fine delle riprese, montaggio,
edizione e prime proiezioni della copia campione a Cinecittà; febbraio 1960, uscite
al “Fiamma” di Roma e al “Capitol” di Milano, scandalo, grandi polemiche sui
giornali, interrogazioni parlamentari.
Maggio 1960: Palma d'oro a Cannes assegnata dalla giuria presieduta da Georges
Simenon.
Questo filmato di 50' circa parte da una famosa battuta di Mastroianni:
"Essere stati su La dolce vita è come aver fatto il militare insieme".
Il regista è Gianfranco Mingozzi su un copione imbastito con Tullio Kezich: Mingozzi
è stato l'aiuto regista di Fellini e in tale veste ha battuto il primo ciak a Cinecittà;
Kezich ha seguito il film per scriverne un diario di lavorazione tra poco di nuovo in
libreria riproposto da Sellerio. La consulenza è affidata a Vittorio Boarini, direttore
della Fondazione felliniana. Di notevole interesse sarà il ricorso al copione originale
di “La dolce vita” conservato
da Mingozzi, con annotazioni e schizzi di varie mani
tra cui quella del Maestro. Sul filo dei ricordi di Mingozzi dall'interno della troupe
e di Kezich come assiduo visitatore esterno si succederanno le testimonianze dei
“dolcevitaioli" ancora in circolazione con puntuali citazioni di scene e fotografie
del film. Le presenze saranno limitate ai protagonisti e comprimari, niente storici o
critici o opinionisti che indurrebbero a una prospettiva diversa.
I personaggi da far intervenire (qui ne elenchiamo alcuni in via di ipotesi, ma se
qualcuno si rivelerà in attingibile ne spunteranno certo altri) si suddividono in varie
categorie.
1) I collaboratori artistici: Tullio Pinelli (sceneggiatore che ha appena felicemente
superato i 100 anni); Lucia Mirisola (aiuto costumista dell'art director Piero
Gherardi, Oscar per i costumi del film);
Paolo Nuzzi (aiuto regista); Arturo
Zavattini (operatore di macchina, genero dell'operatore Otello Martelli); Lili
Veenrnan (olandese italianizzata, assistente volontaria).
intervistare
a
Londra
(se
sarà
reperibile
e
Si pensa anche di
disponibile)
la
carismatica
ultranovantenne Luise Rainer (l'unica diva oscarizzata per due premiazioni di
seguito, che fu cercata, scritturata e infine non utilizzata da Fellini);
e a Los
Angeles Dino De Laurentiis, il produttore mancato (i motivi furono tanti, lui dirà i
suoi) al quale subentrò Angelo Rizzoli.
2) Gli attori: Anita Ekberg; Anouk Aimée (da Parigi); Yvonne Fourneaux (dagli USA);
Magali Noel (da Parigi); Adriano Celentano (che si esibisce nel ballo a Caracalla);
Giulio Paradisi e Enzo Doria (i due paparazzi rimasti, oggi regista il primo e
produttore il secondo), John Francis Lane (giornalista britannico che fa sé stesso
alla conferenza stampa di Anita), il regista Giulio Questi (che impersona un nobile
nella scena a Bassano di Sutri), Jacques Sernas, Umberto Orsini e Riccardo Garrone
(festaioli nella scena dell'orgia); Valeria Ciangottini (la ragazzina del finale a Passo
Oscuro).
Il senso di “Noi che abbiamo fatto La dolce vita” è quello di ricostruire il più
fedelmente possibile l'atmosfera particolare, a detta di tutti i partecipanti, di una
lavorazione particolarmente lunga, movimentata e inventiva, con un Fellini
quarantenne al colmo della sua vitalistica esuberanza e della potenza espressiva.
3) Gianfranco Mingozzi, assistente volontario alla regia, fu incaricato nel ’59 da
Federico Fellini di battere il primo ciak de La dolce vita, ora introduce allo stesso
modo il video da lui diretto, su un’idea di Tullio Kezich, Noi che abbiamo fatto La
dolce vita.
Prodotto da RaiSat e dalla Fondazione Fellini di Rimini, il film riunisce una ventina
di reduci di quella storica lavorazione. Fra gli altri intervistati figurano, oltre a
quelli presenti in testimonianze d’archivio, Magali Noel e Yvonne Furneaux; e, tra
coloro che persero l’occasione di fare il film, parlano da Hollywood Dino De
Laurentiis e da Londra la veneranda Luise Rainer (99anni) in un documento
eccezionale.
In questi, a distanza di mezzo secolo, permane il dispiacere di essersi tirati
indietro, negli altri c’è la consapevolezza di aver partecipato a un avvenimento
memorabile.
SCHEDA TECNICA E ARTISTICA DEL FILM
Titolo: NOI CHE ABBIAMO FATTO LA DOLCE VITA
Soggetto: Tullio Kezich
Regia: Gianfranco Mingozzi
Montatore: Mascia Calamandrei
Un progetto Fondazione Federico Fellini
Consulenza di Vittorio Boarini
Produttore esecutivo RaiSat: Barbara Cuozzo
Produttore: Cesare Landricina
Produttore esecutivo: Media Land Srl, Roma
Una produzione RaiSat - Fondazione Federico Fellini
Camera DV CAM
Master Beta DV_ DVD Pal
Durata: 85'
Repertorio da:
La dolce vita di Federico Fellini
Teche Rai
Media Land Srl
Vicolo di S. Agata 15/1
00153 – Roma
P.I. 04470161003
Tel.& fax 06 580 3962
Cellulare 328 2087 647
[email protected]
http://digilander.libero.it/celand
DICHIARAZIONE DEL REGISTA
«Non vorrei, caro Federico, farti l'elenco delle cose che ho imparato da te (e
non lo dico per addolcirti un commiato che, credimi, è doloroso soprattutto per
me) ma almeno lasciami dire questo: sei stato un maestro, un grande maestro, tuo
malgrado. "Come, mio malgrado!?" mi sembra di sentirti dire.
Si può insegnare la FANTASIA? No, di certo, ma si può apprendere che la
fantasia (tua) può essere applicata ad un metodo implacabile, a favore sempre di
una storia o di un personaggio. Si può insegnare la LEGGEREZZA E LA VOGLIA DI
LAVORARE? Su di un set in apparente caos ti ho visto aggirarti sempre senza
perdere la concentrazione, l'umanità, l'umorismo, come un coreografo ispirato che
tocca e sprona tecnici scettici e li fa diventare meravigliosi ballerini di uno
spettacolo nello spettacolo. Si può insegnare a SOFFIARE LA VITA in attori incapaci,
in facce di marmo?
Tu hai la capacità di trasformare corpi inerti, non cercando di adattarli ad
un copione preesistente ma – estrema genialità – adattandoti tu ai loro limiti,
facendoli, poi e così, rientrare in un nuovo progetto (come fosse un gioco) che tu
ricrei sul momento, inventandolo. Mi hai insegnato - questo sì – la PAZIENZA: a
cercare le persone, i volti, gli sfondi giusti senza fermarsi mai alle soluzioni più
facili, più ovvie. Mi hai insegnato la CAPACITA’ DI RESISTERE, ora dopo ora, alle
avversità di riprese difficili ed estenuanti. Mi hai insegnato la CAPARBIETA’ nel
seguire con tenacia un 'idea, un 'intuizione, spiraglio di un vasto e ricchissimo
mondo ( il tuo) dove, ahimè, era impossibile o difficile entrare. Mi hai dato
soprattutto, regalandomi la tua fiducia e il tuo affetto, la FORZA DI CREDERE in me
stesso.
Per questo, con LEVITA’, come ho appreso da te, ti dico grazie.
G.»
E grazie anche a voi che avete avuto la pazienza di ascoltarmi.
Gianfranco Mingozzi
BIOGRAFIA E FILMOGRAFIA DEL REGISTA
Gianfranco Mingozzi é nato a Bologna dove si è laureato in legge.
A Roma ha frequentato il corso di regia al C.S.C. (Centro Sperimentale di
Cinematografia) ed è stato aiuto regista di Federico Fellini. (La dolce vita/
Boccaccio 70).
Nel I964 ha passato un lungo periodo di lavoro all’Office National du Film (N.F.B.)
del Canada.
Sceneggiatore e regista, documentarista, autore di inchieste per la Televisione, ha
esordito con il documentario LA TARANTA (Primo premio al Festival dei Popoli Firenze 1962)
DOCUMENTARI
Note su una minoranza ( 16mm – 58’- 1964) - Premio Este 1964
Li mali mestieri (35mm – 10’- 1964) - Festival di Cannes 1964
Con il cuore fermo Sicilia (35mm – 30’ - 1965) - Leone d’oro a Venezia 1965 Nastro d’argento 1965- selezionato per l’Oscar 1965
Antonioni, storia di un autore (16mm – 55’- 1966) - Premio Bergamo 1966
Maria Denis, la fidanzata d’Italia (video-85’-2004) Festival dei popoli-Firenze
Nino Vingelli, io sono il comico (video- 46’- 2005) Festival “Il cinema ritrovato”
Vento Antico (Video 20’) 2007 , Festival Corecom Lazio: “Lazio, terre, gente e
miti”
Giorgio/Giorgia, una storia di transessualismo attraverso una diva dello spettacolo
(54’ 2008)
FILM
Trio (35mm - I967) con Marisa Galvan, Walter Vezza, Mariella Zanetti
Semaine de la critique (Cannes 1967) - Premio CICAE al Festival di Pesaro 1967
Sequestro di persona (35mm - I968) con Franco Nero, Charlotte Rampling
Festival di Karlovj Varj 1968 - Noce d’oro dei critici italiani 1968
Morire a Roma (La vita in gioco) (35mm - I973) con Mimsy Farmer,Giulio Brogi,
William Berger - Quinzaine des realizateurs (Cannes 1973)
Flavia, la monaca musulmana (35mm -1974)
con Florinda Bolkan, Claudio Cassinelli, Anthony Corlan
Menzione per il colore al Festival di Barcellona 1974
Gli ultimi tre giorni (35mm - 1977)
con Lina Sastri, Claudio Cassinelli, Franco Lotterio
Festival di Locarno,Taormina, Chicago, Melbourne, San Francisco 1977
La vela incantata (35mm - I982) con Massimo Ranieri, Lina Sastri, Paolo Ricci
Monica Guerritore, William Berger
Premio per la regia al Festival di Valencia 1982 - Primo Premio degli Incontri Inter=
nazionali a Prades 1983 - Quinzaine des realizateurs a Cannes 1982 - Festival di
Avignone, Vienna, Siviglia, San Francisco, Los Angeles, Mosca
L’iniziazione (35mm - I986) dal romanzo di Guillaume Apollinaire
con Fabrice Josso, Claudine Auger, Marina Vlady, Serena Grandi
Le lunghe ombre (35mm 1987) con Lina Sastri, Leonardo Ferrantini,
Antonio DegliSchiavi
Premio Italia – Festival di Valencia ‘87 – Festival di San Francisco 1987
Il frullo del passero (35mm -I988) con Philippe Noiret, Ornella Muti,
Nicola Farron
Festival di Istanbul, Madras, Cairo 1989
L’appassionata (35mm -I989) con Piera Degli Esposti,Nicola Farron
Gran Premio al festival di Villerupt 1989 - Premio per la migliore interpretazione
femminile al Festival di Valencia 1989
Tobia al caffè (35mm –2000) con Roberto Citran, Nicola Russo, Candice Hugo
Festival di Taormina, Cairo, Taskent, Sana’a, Pechino
TELEVISIONE
Pantere nere (16mm - 1970) - sui black panters americani
C’è musica e musica (16mm - 1970-72) - dodici puntate di un’ora in collaborazione
con il compositore Luciano Berio
Sud e magia: in ricordo di Ernesto De Martino (16mm - 1980) - 4 puntate di un’ora
Il treno per Istanbul (35mm - 1980) dal romanzo di Graham Greene
con Mimsy Farmer, William Berger, Alfredo Pea, Lea Padovani, Mirella D’Angelo -
film televisivo in quattro puntate
L’ultima diva:Francesca Bertini(16mm-1982)ritratto dell’attrice in 3 puntate di
un’ora
Sulla terra del rimorso (16mm-1983) un’ora sulla nascita e morte del tarantismo
Menzione speciale al Festival dei Popoli, Firenze 1982
Storie di cinema e di emigranti (16mm - 1985) - sette puntate di un’ora sulla
presenza italiana nel cinema americano
La terra dell’uomo (16mm-1988) - tre puntate di un’ora sulla Sicilia di Danilo Dolci
La vita che ti diedi (Video - 1991) dalla commedia di L. Pirandello
con Piera Degli Esposti
Vento di mare (35mm - 1993) - film televisivo in due puntate di un’ora e quaranta
con Gianni Garofalo, Ilaria Borrelli,Jean Hebert, Giulia Fossà, Daniel Ciotti Sommer
Stabat mater (Video - 1996) dalla commedia di A. Tarantino
con Piera Degli Esposti
Cuore mio (Video -1998) dallo spettacolo di e con Lina Sastri
Maria Denis, la fidanzata d’Italia (Video – 84’ - 2004) sulla diva degli anni 30 / 40
Io sono il comico: Nino Vingelli (Video – 45’ – 2005) sul celebre attore napoletano
"FONDAZIONE FEDERICO FELLINI"
La Fondazione Federico Fellini è un’Associazione Culturale senza scopo di lucro.
Nasce nel 1995 per espressa volontà della sorella del regista, Maddalena Fellini, e
del Comune di Rimini. Il Presidente è Pupi Avati, mentre Tullio Kezich ne è
Presidente onorario. Gli elementi centrali del programma della Fondazione sono la
promozione di iniziative con cui celebrare l’opera del Maestro e la costituzione di
un centro di studi felliniano di natura internazionale teso a conservare e
trasmettere la memoria storica del Maestro.