FIR1999 3c L`Abate - Centro della Famiglia
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FIR1999 3c L`Abate - Centro della Famiglia
Il Sentimento del Dolore nella Socializzazione della Personalità in Famiglia (1) Luciano L’Abate(2) “Se non conosci la sofferenza e il dolore, stai andando male perché solo loro ti fanno apprezzare la vita” (Evel Knievel) “Sono così in sintonia con la sofferenza che devo prendere tutte le mie decisioni basandomi su essa” (Richard Gere) L’articolo ripercorre in primo luogo la faticosa evoluzione del pensiero psicologico dalla prospettiva monadica a quella relazionale: in essa trova maggiore attenzione la sfera dei sentimenti e una iniziale e crescente considerazione del dolore a livello di concettualizzazione e di verifica empirica. Definiti i termini della teoria, vengono poi presentati alcuni modelli che permettono di affrontare la comprensione dei sentimenti di dolore nelle relazioni intime e di distinguere le modalità relazionali funzionanti da quelle più o meno disfunzionali. Le ultime parti sono riservate alla valutazione dei modelli nella prevenzione primaria, secondaria, e terziaria. Infine sono abbozzate alcune indicazioni per intervenire con le persone che soffrono. Parole-chiave: Relazioni familiari, sentimenti di dolore, valutazione del dolore, interventi sul sentimento di dolore. Hurt Feeling and Self-Socialization in the Family. In the first part of the paper, the evolution of psychological thinking from the monadic to the relational perspective is presented. Greater attention is paid to feelings and increasing value is given to hurt both in theoretical and empirical studies. Following the enunciation of the theory, some models are presented which will allow the adequate understanding of grief in intimate relationships and to distinguish functional from dysfunctional relationships. There follows an evaluation of these models in primary, secondary, and tertiary prevention. Finally some suggestions are offered in order to help people who suffer. Key-words: Family relationships, Hurt feelings, Hurt evaluation, Intervention on hurt feeling. (1) Questo articolo si basa sulla conferenza tenuta al Centro Studi della Famiglia, dell’Università Cattolica di Milano il 15 ottobre 1999 e successivamente presso l’Associazione “La Nostra Famiglia” di Bosisio Parini (CO). (2) Professore emerito di Psicologia della Famiglia alla Georgia State University, Atlanta, USA. Indirizzo E-mail: [email protected] Volume 4, Numero 3, 1999, pag. 153 Presupposti Teorici e loro Rilevanza per la Costruzione e Valutazione di una Teoria: Misconoscimento e Riscoperta della Famiglia C’è un abisso tra la prospettiva sistemica e la psicologia monadica. La psicologia tradizionale ignora quasi completamente la realtà della famiglia (Barone, Hersen e Van Hasselt, 1998; Derlega, Winstead e Jones, 1991; McAdams, 1997). Una rassegna (L’Abate e Dunne, 1978) dei manuali sulla personalità e la psicologia evolutiva rivela che i riferimenti bibliografici riguardanti argomenti familiari (famiglia, padre, matrimonio, madre, genitori, fratelli) vanno dal 15% a meno dell’1 % nei manuali di psicologia evolutiva; la percentuale scende ancora nei manuali riguardanti le teorie della personalità. La stessa rassegna ripetuta da L’Abate (1994) sui manuali di teorie della personalità mostra lo .05% di riferimenti ad argomenti familiari. La gran parte dei manuali poi hanno pochissimi riferimenti alla criminalità e/o alla psicopatologia (L’Abate, 1997). Dall’altra parte l’approccio sistemico è molto attento alla realtà familiare. Si tratta di una prospettiva attraente e seduttiva; purtroppo è poco verificabile in quanto si presenta come un paradigma o una meta-teoria più che come una teoria, focalizzandosi sul sistema familiare nel suo insieme più che sulla personalità individuale entro la famiglia. Più recentemente registriamo la creazione e l’esistenza della psicologia della famiglia come disciplina volta specificatamente a studiare l’individuo nella famiglia più che la famiglia in quanto tale, come nella sociologia e nella terapia familiare (Halverson e Wamplet, 1997; Scabini, 1995; Schneewind e Ruppert, 1998; Vetere e Gale, 1987). La psicologia della famiglia si pone pertanto come ponte tra le due prospettive, monadica e sistemica. Una Teoria Evolutiva della Competenza Interpersonale Presentando questa teoria evolutiva (L’Abate, 1994, 1997) ci siamo soffermati puntualmente sul concetto di teoria e sulla sua portata per il lavoro di ricerca e per le ricadute sul piano applicativo. In questo contesto richiamiamo ora pochi aspetti. Una teoria è un’invenzione per interpretare il comportamento; può essere intesa: (a) come ombrello che copre e abbraccia certi comportamenti, nel nostro caso lo sviluppo della personalità; (b) come mappa per mostrarci il terreno battuto, i percorsi per attraversarlo e gli ostacoli e i limiti che si frappongono; (c) come bussola per indicare la direzione da seguire entro il terreno coperto dalla teoria stessa; (d) come attaccapanni per sostenere una quantità svariata di elementi conoscitivi; (e) come involucro per tenere uniti più concetti. Sfortunatamente, una teoria può diventare una camicia di forza che non permette di liberarsi da concezioni superate o errate! Andando al nostro specifico, una teoria della socializzazione della personalità in ambito familiare sembra dover rispondere a specifici requisiti esprimibili nei seguenti aggettivi: (a) verificabile: si riferisce alle operazioni ripetibili sia in laboratorio come nel setting clinico e/o applicativo mediante l’uso di test sia visivi che verbali, oppure programmi di arricchimento strutturato, o quaderni di lavoro, ma anche compiti specifici di terapia familiare; (b) relazionale, cioè questa teoria riguarda le relazioni strette, impegnate e prolungate, preferendola a più teorie separate per gli individui, per le coppie e per le famiglie in situazioni di passaggio, artificiali e a-contestuali; (c) contestuale-ecologica riguardante precisi contesti: in primo luogo la casa, ma anche la scuola e il lavoro, e nel rimanente tempo, gli ambienti di transito e transitori. Particolare attenzione è stata posta alla valutazione della teoria stessa. Ricordiamo che essa può essere valutata: (a) indipendentemente, mediante altre teorie simili e allo stesso livello concettuale; (b) indirettamente, con un’altra teoria che presenti alcune basi comuni (per esempio, la teoria dello scambio di risorse, la teoria dell’attaccamento (Cassidy e Shaver, 1999), il modello pragmatico elementare (De Giacomo, 1988; L’Abate, De Giacomo e De Giacomo, 1997; L’Abate, De Giacomo, De Giacomo, McCarty e Verrastro, 2000); (c) direttamente, con Volume 4, Numero 3, 1999, pag. 154 test, operazioni o situazioni derivate dalla teoria stessa o da alcuni modelli che rientrano in essa (L’Abate, 1998a, 1998b). Riteniamo che sia preferibile essere specifici e sbagliare che essere generici ed aver sempre ragione. Infine, proprio perché si qualifica come “evolutiva”, la teoria trova applicazione in tutti e quattro gli stati del ciclo di vita: (a) dipendenza nell'infanzia; (b) rifiuto della dipendenza nell’adolescenza; (c) interdipendenza ed autonomia nell’età adulta; (d) ritorno alla dipendenza nella vecchiaia. Sul piano dell’utilizzabilità in ambito clinico e applicativo, la teoria deve avere attenzione ad un continuo di cura, utilizzando sia il mezzo verbale, come quello non verbale e in particolare quello scritto (Esterling, L’Abate, Murray, e Pennebaker, 1999; L’Abate, 1997). Gli Assunti della Teoria: Il Triangolo della Vita Una teoria scientifica abbraccia assunti e postulati molto astratti, modelli più specifici ed esplicativi, comportamenti che esprimono livelli differenziati di competenza. Vogliamo fare riferimento ad alcuni aspetti di questi vari livelli che ci permettono poi di affrontare con maggiore proprietà il tema del dolore. I processi relazionali tendono a gestire la distanza e il controllo tra le persone. Il primo assunto è concettualizzabile lungo la dimensione dell’avvicinamento-evitamento e nella dimensione dell’Emozionalità (E); il secondo lungo la dimensione dello scaricamento-evitamento e nella dimensione della Razionalità (R, Fletcher e Fincham, 1991; Fletcher e Fitness, 1996). Entrambi E ed R vengono a costituire la base dell’Attività (A, Power e Dalgleish, 1997), quindi della Consapevolezza (Aw da “awareness”, Ferrari e Steinberg, 1998) e del Contesto (C): questi cinque elementi formano il Modello ERAAwC sul quale ci soffermeremo successivamente. Sul piano dei contenuti si tratta di concettualizzare le modalità dello scambio di risorse tra persone in relazioni più o meno intime. La Teoria Evolutiva della Competenza Interpersonale identifica i seguenti assunti qualificanti: (a) essere (importanza ed intimità), che equivale a presenza; (b) fare (informazioni e servizi) che equivale a prestazione; (c) avere (beni e proprietà) che indica la produzione. Va notato come fare e avere siano il presupposto del potere e sue espressioni. Mentre la presenza non è negoziabile, il potere lo è o lo dovrebbe essere nelle relazioni funzionali e democratiche, mentre non lo è in quelle disfunzionali. Ancora sul piano del fare e dell’avere distinguiamo autorità da responsabilità, per indicare con il primo aspetto chi prende le decisioni e con il secondo chi le realizza. I conflitti sorgono quando c’è uno sbilanciamento tra presenza e potere e tra autorità e responsabilità. Modelli che esplicitano la teoria Un modello è una sintesi semplificata, normalmente espressa visivamente, di più concetti complessi e derivati dagli assunti della teoria. La Teoria Evolutiva della Competenza Interpersonale comprende una serie di modelli, alcuni dei quali sono validati, altri ancora non lo sono. I modelli dovrebbero riguardare i livelli di osservazione e interpretazione, definibili come: (a) modelli descrittivi (nei versanti pubblico-privato): aspetti di presentazione rispetto ad aspetti nascosti, come, ad esempio, i sentimenti di dolore, e aspetti fenotipici, nascosti a se stessi, agli altri in relazione o agli altri in genere; (b) modelli esplicativi, a livello genotipico: tratti inferiti (introversione, estroversione), ipotetici o stati attribuzionali (per esempio, io, es, super io); a livello storico: generativo (la famiglia di origine) od evolutivo (storia della persona nel contesto della famiglia di procreazione). I modelli valutabili o in via di valutazione sono: (a) il modello ERAAwC negli aspetti di Volume 4, Numero 3, 1999, pag. 155 ampiezza, confini e grado di sovrapposizione, come base per la negoziazione (da E a R, a Aw, a C), e come base per la classificazione delle scuole di terapia (E = orientamento umanistico; R = orientamento psicodinamico, cognitivo-comportamentale, emotivo-razionale; A = comportamentismo; Aw = approccio gestaltico; C = le terapie sistemiche); (b) il modello del Continuo di Somiglianza (L’Abate, 1999b), e gli Stili nelle relazioni intime (come verrà precisato in seguito). A livello di processo, le dimensioni che rientrano nei modelli sopra descritti permettono di definire le priorità nelle relazioni (Emmons, 1997): (a) sul piano dello spazio: avvicinamento vs evitamento; (b) sul piano del tempo: scaricamento vs dilazionamento; (c) sul piano delle modalità: l’essere prima del fare o dell’avere, oppure il fare prima dell’avere o dell’essere, oppure ancora l’avere prima del fare o dell’essere; (d) nel modello ERAAwC: E può essere maggiore di R o di A; R maggiore di E o di A; A maggiore di R o di E; R maggiore di A o di E. Entro ogni dimensione del modello possiamo individuare poi delle posizioni differenziate per cui: in E apertura vs chiusura; espressività vs non espressività; condivisione vs non condivisione; emozioni positive vs negative; in R uso vs non uso; preminenza vs non preminenza rispetto ad E; in A distruttività vs non distruttività; utile vs dannoso; in Aw intrusione vs rigetto, accettazione vs rifiuto, sovrautilizzo vs sottoutilizzo; in C negazione vs consapevolezza di C, valorizzazione vs abbandono. Le priorità si possono distinguere anche rispetto ai contenuti in: (a) verticali (sé stessi prima del partner, i genitori, i figli, i parenti, gli amici, i vicini); (b) orizzontali (prima l’ambiente di casa, poi la scuola/lavoro, poi le attività nel tempo libero. Priorità ci sono infine sul continuo di somiglianza per cui la tendenza della somiglianza-differenza precede quella della tendenza all’uguaglianza-opposizione o alla simbiosi-autismo. Il Modello Selfhood sull’Attribuzione d'Importanza a Sé e agli Altri Intimi Nella Teoria Evolutiva della Competenza Interpersonale particolare rilievo ha il Modello Selfhood che operazionalizza l’attribuzione di importanza a sé e agli altri, considerata una delle due facce dell’amore stesso. Tale attribuzione di importanza viene appresa dalla propria famiglia di origine in maniera diretta o indiretta, attraverso le parole e i gesti, in modo coerente o incoerente, con messaggi positivi o negativi da parte di tutti i membri della famiglia e riguardanti in particolare i sentimenti di importanza verso sé e verso gli altri, interni ed esterni alla famiglia. Sia concettualmente che praticamente, l’attribuzione di importanza rappresenta lo scambio più fondamentale tra gli esseri umani e il concetto decisamente più utile tra tanti altri simili o sinonimi (stima di sé, rispetto di sé e simili) perché più facilmente operazionalizzabile. Inoltre ha implicazioni cruciali a livello relazionale e interpersonale; l’amore infatti può essere inteso come l’attribuzione di importanza verso se stessi e verso specifiche persone con cui si è in relazione stretta. L’importanza è accettata come un processo attribuzionale, basato non tanto sulla realtà oggettiva bensì sui sentimenti e sulle percezioni soggettive; è un processo che in pratica dura tutta la vita. Nei casi estremi, questa attribuzione può anche raggiungere proporzioni simbiotiche o forme distruttive. É veramente la pietra miliare della socializzazione del sé e della definizione del sé. Può essere distinta attraverso una pluralità di dimensioni: positivanegativa, diretta-indiretta, verbale-non verbale-scritta, coerente-contradditoria, condizionataincondizionata, parziale-totale. L’attribuzione di importanza a sé e agli altri (partner, figlio, genitori, amici, vicini) porta a quattro propensioni di personalità: — Propensione Self-ful: si esplica nella posizione: “Io vinco, tu vinci”, dove la pari importanza (“Io sono importante, ti sei importante”) del sé è attribuita sulla base di “entrambi dobbiamo vincere”. Vincere rappresenta un processo di apprezzamento e di miglioramento, per cui le in- Volume 4, Numero 3, 1999, pag. 156 terazioni sono piacevoli e produttive e portano alla crescita emotiva e intellettuale. Perdere rappresenta un processo di avvilimento frustante e di svalutazione che producono un deficit emotivo e cognitivo. La situazione self-ful consiste di relazioni impegnate dove collaborazione, incoraggiamento, mutualità, intimità, rispondenza e rispetto reciproco sono attuate in continuità e portano a risultati vincenti reciproci. Questa è la tendenza più funzionale che sta alla base della competenza personale e interpersonale nonché della creatività nelle relazioni intime. Ne deriva la pratica della reciprocità e della mutualità, esemplificata nella regola d'oro: “Fa agli altri quello…”. Self-ful equivale a impegno, uguaglianza, reciprocità e intimità nelle relazioni chiuse e prolungate. Queste qualità rappresentano la competenza personale e interpersonale come pure la funzionalità coniugale e familiare (Cusinato e L’Abate, 1995). — Propensione Selfish. A livello interpersonale la posizione si esprime come: “Io vinco, tu perdi”, dove l’importanza sbilanciata è attribuita a se stessi e negata all’altro (“Io sono importante, tu non sei importante o non sei importante quanto me”). Questa tendenza è basata sull’atteggiamento del tipo: “So meglio di te e di qualsiasi altro”. La persona sposta i limiti per raggiungere ciò che desidera come autogratificazione, senza badare alle spese altrui. Per ottenere ciò che desidera può usare qualsiasi mezzo, come la manipolazione, le pressioni, il furto o la maldicenza. Il risultato ultimo ed estremo può essere l’omicidio. — Posizione Self-less. Si evidenzia a livello interpersonale nella posizione “Tu vinci, io perdo”, dove poca o nulla importanza viene attribuita a se stessi a tutto vantaggio dell’altro (“Io non sono importante quanto te. Tu sei più importante di me”). Quando il proprio sé è sminuito e il sé dell’altro è esaltato, avviene una perdita di sé. Questa tendenza è basata sull’atteggiamento: “Non so troppo. Tu sai meglio di me cosa devo fare”. L’importanza degli altri è considerata prioritaria e superiore alla propria importanza. La tendenza self-less è la caratteristica primaria di gran parte delle personalità che si autoabbattono, dipendenti e depresse. Il risultato estremo o ultimo di questa tendenza è il suicidio, improvviso (fisico) o prolungato (emotivo). Gli individui self-less appaiono piuttosto ingenui e ridicoli. Credono a ciò che viene detto loro e sono incapaci di mantenere una linea ferma e coerente per difendersi dalle richieste che vengono loro fatte di solito da persone selfish, incapaci di difendersi e di proteggere perfino il proprio corpo. Persone selfish attraggono e sono attratte da persone self-less, dove la norma della complementarietà negativa (“Tu sei debole e io forte; io sono OK e tu non lo sei”) determina un sbilanciamento di importanza fra partner e fra genitori e figli. Le posizioni selfish e self-less implicano relazioni segnate da manipolazioni, competitività, coercizione, reattività conflittuale e immediati rifiuti negativi: tutte tattiche volte a diminuire l’importanza sia di sé che dell’altro. — Propensione No-self. A livello interpersonale la posizione si esprime come: “Io perdo, tu perdi, noi perdiamo”, dove nessuna importanza viene attribuita né a sé né all’altro (“Nessuno di noi è importante”). La base intrapersonale di questa tendenza sta nell’atteggiamento “Non so proprio niente, come tu non sai niente”. É la tendenza più estrema dal punto di vista della disfunzionalità e delle psicopatologie, caratterizzata da una parte da abuso fisico, verbale o sessuale, e dall’altra da apatia e trascuratezza. Persone no-self sono socializzate a sminuire se stesse e gli altri verbalmente e fisicamente. Forse producono il più alto numero di fallimenti per i terapisti che fanno uso della parola parlata come mezzo di comunicazione. Una persona con questa tendenza è portata a sposare qualcuno che si pone allo stesso livello di abuso e di apatia; vale a dire che persone apatiche e iperdipendenti tendono a sposare persone maltrattanti, come nelle famiglie incestuose, violente, o tossicodipendenti. Il livello di stress in queste famiglie è così prolungato e intenso che sembrano inaccessibili a chiunque o sembrano spaccarsi da un momento all’altro tra il frastuono e la rivoluzione. La competenza nella capacità di amare e di negoziare è prodotta attraverso il modellamento realizzato dalle figure genitoriali che esemplificano queste abilità al punto che genitori o Volume 4, Numero 3, 1999, pag. 157 partner self-ful producono figli self-ful. I genitori caratterizzati da posizioni selfish o self-less tendono a riprodurre figli reattivi. I figli tendono infatti a ripetere nelle loro relazioni adulte le relazioni tra i genitori, basate sulla reattività ripetitiva, la manipolazione e un alto grado di conflittualità. Per lo stesso discorso, i genitori caratterizzati dalla posizione no-self tenderanno a far crescere figli che mostrano un miscuglio di comportamenti abusivi e indifferenti — lo stile più frequente ed emergente nei soggetti o coppie no-self. Gli antecendenti causali dei senso di importanza prendono avvio e si sviluppano principalmente da tre diadi interdipendenti: la diade coniugale, la diade genitore-figlio e quella fraterna. Scaricare-Dilazionare: I Sentimenti di Dolore nei Confronti di Se Stessi e degli Altri Intimi Affrontiamo ora l’argomento dei sentimenti di dolore entro il contesto dell’interesse crescente e testimoniato anche dalle numerose ricerche riguardanti le emozioni e l’emozionalità (Averill, 1997; Blechman, 1990; Eder e Mangeldorf, 1997; Flack e Laird, 1998; KennedyMoore e Watson, 1999; Moscolo e Griffin, 1998; Saarni, 1999). Importanza dell’Emozionalità nella Socializzazione della Personalità L’emozionalità è strettamente collegata al temperamento, ai modelli di attaccamento (Cassidy e Shaver, 1999) e allo sviluppo della competenza sociale (Clark, Pataki, e Carver, 1996). I processi interpersonali nelle relazioni strette mettono in evidenza il rapporto tra interdipendenza, emozioni e intimità, con la conclusione che le emozioni chiaramente giocano un ruolo importante nella naturale interdipendenza. Anche Gottman, Katz e Hooven (1997) sono convinti dell’influenza delle emozioni sul comportamento e si impegnano a identificare una serie di abilità riguardanti il riconoscimento opportuno delle emozioni in se stessi e negli altri nonché l’uso di informazioni emozionali per la soluzione dei problemi e il comportamento motivato, chiamate come insieme di abilità “intelligenza emotiva”. Distinzione tra gli Aspetti Recettivi e quelli Espressivi nella Emozionalità É una distinzione importante, anche se non condivisa da tutti gli autori. I sentimenti sono ciò che ci accade quando noi sperimentiamo, percepiamo e recepiamo dentro di noi degli eventi esterni. A questo riguardo, i sentimenti variano lungo le dimensioni di piacevolezzaspiacevolezza, breve-lunga durata, forte-debole intensità. L’aspetto più pertinente in questo contesto è la possibilità di distinguere i sentimenti in accessibili e disponibili a noi (avvicinamento) oppure inaccessibili e non disponibili (come, per esempio, avviene nella alexitimia). Le emozioni invece sono come e cosa noi esprimiamo all’esterno di ciò che proviamo dentro di noi, sia positivamente che negativamente, in modo costruttivo o distruttivo, in modo pericoloso o vantaggioso. Possiamo ora chiederci come e quando avvenga l’Avvicinamento e/o l’Evitamento dei sentimenti e specialmente dei sentimenti di dolore e come e quando avvenga lo Scaricamento o il Dilazionamento nelle espressioni dei sentimenti di dolore. Contesto Storico sullo Studio del Dolore e Sottolineature Specifiche Volume 4, Numero 3, 1999, pag. 158 Essere feriti e ferire è un’esperienza universale che abbraccia uomini e animali e tuttavia questo sentimento appare piuttosto trascurato, anche se ci sono degli approfondimenti abbastanza consistenti. Al pari di tutte le emozioni, esso deriva da un preciso contesto relazionale e non si sviluppa nel vuoto, come alcuni teorici hanno cercato in passato di presentare. Il pensiero di Freud, ripreso recentemente da Pennebaker (1997), ci riporta ai traumi iniziali che hanno lasciato una traccia profonda, presumibilmente inconscia, sulle persone, capace di persistere per tutta la vita. In questo senso può essere inteso come un’emozione base, ma non c’è accordo su ciò che costituiscono le emozioni base (Averill, 1997). Mentre a livello della gente comune il termine dolore è ben compreso e di significato preciso, a livello scientifico appaiono delle difficoltà nell’accettarlo e si preferisce usarne altri (Leary, Springer, Negel, Ansell, e Evans, 1998). Persiste infatti nella letteratura un tabù riguardante i sentimenti di dolore attraverso un evitamento evidente (Cacioppo e Gardner, 1999) e/o l’accento posto su altri sentimenti generici (vale a dire colpa, vergogna, timore, ecc.) ed emozioni (ad esempio, la rabbia) o mediante circonlocuzioni, cioè riferimenti indiretti o termini generici, come “fatica”, oppure “sentimenti negativi”, ecc. Nonostante queste difficoltà, possiamo evidenziare che il termine “dolore” (Hurts) abbracci tutti gli altri concetti simili e può essere opportunamente utilizzato per indicare precise emozioni. A tale scopo tracciamo un breve excursus storico: - 1966-68: un primo contributo è quello di David Bakan riguardante il rapporto tra Azione e Comunione, prospettiva ripresa anche da Margaret Clark e coll. (1996). - 1977: L’Abate replica a David Mace sul concetto di rabbia definita “fumo per il fuoco dei dolori”. - 1979: L’Abate e L’Abate presentano il concetto di intimità definendola come “condivisione dei dolori e dei timori di essere feriti” e presentando e commentando i “paradossi della condivisione dei dolori“: (a) abbiamo bisogno di essere separati per essere insieme, cioè abbiamo bisogno di essere “forti” abbastanza per permettere a noi di essere “deboli”; (b) noi feriamo veramente soltanto chi amiamo, mentre non siamo feriti dagli estranei se non fisicamente; (c) abbiamo bisogno di sentirci confortati proprio da chi abbiamo ferito o da chi siamo stati feriti; (d) siamo feriti dalle parole e dalle azioni proprio di chi amiamo, il che è una prova che l’essere maltrattati verbalmente significa una ferita maggiore del maltrattamento fisico. - 1989: Stevens e L’Abate creano la Scala della condivisione dei dolori. - 1992: Gilbert pubblica un libro sulla sofferenza senza citare Bakan che prima di lui aveva approfondito lo stesso argomento. - 1993: Rignano pubblica un libro sulla sofferenza nei tossicodipendenti. Altri riferimenti storici si possono trovare in L’Abate (1997). Il Modello Selfhood e i Sentimenti di Dolore: Regolazione della Distanza Recettiva Spesso il sentimento del dolore è interpretato come negativo e da rifuggire; quindi un sentimento che è all’opposto dell’amore e della gioia o, perlomeno, che non ha alcun rapporto positivo con essi. Nella realtà dell’esperienza personale non è così e per fare chiarezza facciamo riferimento alle distinzioni già presentate delle posizioni selfhood, in primo luogo la regolazione della distanza e poi la regolazione del controllo. - Posizione Self-ful: “Io sono importante e tu sei importante: entrambi vinciamo”. Questa posizione implica: (a) equilibrio nella Emozionalità: Avvicinamento-Evitamento verso i sentimenti piacevoli e spiacevoli (dolori), propri e degli altri con cui siamo in intimità; (b) equilibrio nella Razionalità, vale a dire il pensare positivamente è maggiore del pensare negativamente; (c) equilibrio nell’Attività, cioè i comportamenti positivi, costruttivi e di aiuto sono maggiori dei Volume 4, Numero 3, 1999, pag. 159 comportamenti negativi e dannosi; (d) Consapevolezza ampia e articolata di se stessi e dell’altro/a; (e) sensibilità verso il Contesto. — Posizione Selfish: "Io sono più importante di te. Io vinco, tu perdi”. In questa posizione appare l’incapacità di accostare e/o parlare dei sentimenti spiacevoli (dolori): (a) l’approccio ai sentimenti piacevoli riguardanti il Sé avviene attraverso la droga, l’alcool o umiliazione degli altri, cioè con un approccio artificiale e non autentico ai sentimenti piacevoli; (b) l’evitamento dei sentimenti di dolore riguardanti se stessi (consapevolezza inadeguata); (c) l’avvicinamento verso gli altri con attribuzioni di minacce e attacchi esterni; (d) l’evitamento dei sentimenti di dolore negli altri; (e) un pensare positivo circa se stessi e negativo verso gli altri, come, per esempio: “Io ferisco te prima che tu ferisca me”; (f) azioni pericolose verso gli altri; (g) consapevolezza esasperata di sé e limitata degli altri; (h) diniego del contesto. — Posizione Self-less: “Tu sei più importante di me, tu vinci e io perdo”. Ecco alcuni aspetti specifici: (a) avvicinamento verso i sentimenti spiacevoli (dolori) di se stessi: collezione di sofferenze e non risoluzione dei sentimenti di dolore; (b) evitamento dei sentimenti piacevoli propri; (c) avvicinamento dei sentimenti spiacevoli altrui; (d) evitamento dei sentimenti piacevoli altrui; (e) un pensare negativo circa se stessi e positivo — anzi esaltato se non idealizzato — circa gli altri; (f) azioni negative nei propri confronti e positive nei confronti degli altri; (g) consapevolezza limitata di sé ed esaltata degli altri; (h) consapevolezza del contesto ristretta, prevenuta o distorta. — Posizione No-Self: “Né io né tu siamo importanti“. Si esprime come: (a) avvicinamento/ evitamento dei sentimenti spiacevoli (dolori) estremi, negativi e contraddittori in se stessi e negli altri vs completo evitamento dei sentimenti piacevoli; (b) pensare esagerato “tutto o niente”, assolutistico, dogmatico, di parte, visioni contraddittorie e inconsistenti; (c) comportamenti estremi e contraddittori verso se stessi e nei confronti degli altri; (d) consapevolezza estremamente limitata di sé e degli altri; (e) negazione del contesto. Il Modello Selfhood e le Funzioni di Controllo Espressivo dei Sentimenti di Dolore: Ora possiamo mettere a fuoco le diverse modalità di gestire i sentimenti di dolore: — Posizione self-ful: un rapporto equilibrato e positivo tra scaricamento e dilazionamento dei sentimenti di dolore in sé e negli altri; lo scaricamento si equilibra col dilazionamento. — Posizione selfish: (a) lo scaricamento è maggiore del dilazionamento, vale a dire esternalizzazione, iperattivismo, omicidio; (b) poco o nullo scaricamento dei sentimenti di dolore verso sé stessi; (c) scaricamento reattivo dei sentimenti di dolore contro gli altri; (d) totale dilazionamento dei sentimenti spiacevoli di dolore verso sé; (e) dilazionamento limitato di residui sentimenti di dolore verso gli altri. — Posizione self-less: (a) il dilazionamento è maggiore dello scaricamento, vale a dire internalizzazione e attività al proprio interno, depressione e suicidio; (b) scaricamento negativo dei sentimenti di dolore rivolti a se stessi; (c) scaricamento positivo dei sentimenti di dolore rivolti verso gli altri; (d) dilazionamento dei sentimenti di dolore dagli altri. — Posizione no-self: rapporto estremo, negativo e contraddittorio tra scaricamento e dilazionamento, dal completo ritiro all’esplosione totale. Il Sé dipende in gran parte da come noi ci comportiamo con i sentimenti di dolore Volume 4, Numero 3, 1999, pag. 160 (capacità di avvicinare, fronteggiare, confrontarsi, analizzare ed esprimere) perché il modo con cui ci rapportiamo con i nostri sentimenti di dolore determina in larga misura i nostri comportamenti sia nelle relazioni intime come in quelle meno intime (Intelligenza Emotiva). L’Eterno Triangolo È la conseguenza delle quattro posizioni riguardanti il modo con cui affrontiamo i sentimenti di dolore. Cercando di fare meglio le cose per quelli che stanno soffrendo, spesso a spese proprie, non valutando i propri sentimenti e valutando i sentimenti altrui invece dei propri, si viene ad assumere il ruolo di Liberatore o Salvatore o Santo, il che porta alla posizione selfless. Ferendo gli altri, intimi o meno, assumiamo il ruolo di Persecutore, che porta alla posizione selfish. Trattenendo i sentimenti di dolore dentro di sé, senza manifestarli o esplodendo in modo distruttivo, si assumono tutti e tre i ruoli nello stesso tempo, cioè diventando uno Stoico, una Vittima o un Martire, oppure un Persecutore e un Salvatore, il che porta alla posizione no-self. Condividendoli, vale a dire piangendo assieme, stando assieme emotivamente e fisicamente con coloro che amiamo e che ci amano porta alla posizione self-ful esemplificata nell’importanza di abbracciare e tenersi stretti nelle relazioni intime (L’Abate, 1999a; cfr.: Winnicott e tutta la scuola delle relazioni oggettuali). I primi tre ruoli costituiscono l’avvio di molte psicopatologie, mentre la condivisione dei dolori significa non giocare questi ruoli e diventare sani e intimi, il che porta alla creatività nelle relazioni intime. La Valutazione dei Modelli Non è un compito semplice la valutazione empirica dei modelli che abbiamo presentato finora; si tratta di un lavoro empirico paziente di operazionalizzazione delle variabili e di validazione concorrente e discriminante (L’Abate 1998a, 1998b, 1999c). Certamente il primo ambito di possibilità è nel laboratorio attraverso i vari test self-report carta e matita. Nella prevenzione primaria (vale a dire offribile e utilizzabile da tutti), i programmi di arricchimento strutturato offrono la possibilità di valutare qualitativamente e quantitativamente i modelli che sono alla base della costruzione dei programmi stessi. Nell'ambito della prevenzione secondaria (vale a dire mirata verso determinati soggetti, coppie o famiglie) gli scritti a distanza con tutte le svariate applicazioni danno la possibilità di trovare conferma dei modelli di riferimento: (a) compiti aperti, come i diari e i giornali; (b) compiti focalizzati, come gli scritti espressivi di Pennebaker (1997) riguardanti dei traumi vissuti dal soggetto; (c) i compiti guidati o le domande messe per iscritto di tipo aperto o chiuso; (d) gli scritti programmati a distanza e gli interventi strutturati, cioè i quaderni di lavoro; (e) gli interventi realizzati utilizzando il computer affiancando la psicoterapia faccia a faccia o realizzando per internet comunicazioni nonstrutturate abbinate a quaderni di lavoro. Nella prevenzione terziaria (interventi per la crisi in atto) il contatto personale diretto, faccia a faccia, è solitamente richiesto e/o anche necessario; si possono però dare delle prescrizioni capaci di verificare la validità dei modelli di riferimento. Prendiamo in considerazione i singoli modelli. Modello ERAAwC Nella prevenzione primaria è possibile verificare il rapporto tra emotività, razionalità, attività, consapevolezza e contesto nel programma di arricchimento sulla Negoziazione; nella prevenzione secondaria attraverso il quaderno di lavoro sulla Negoziazione. Volume 4, Numero 3, 1999, pag. 161 Modello del Continuo di Somiglianza In laboratorio abbiamo: (a) la scala di Somiglianza (globale e non specifica); (b) la griglia di Somiglianza (globale e non specifica); (c) il compito: “Cosa si applica a me con cui sono in accordo?” (molto specifico); (d) il Profilo di Somiglianza (Cusinato, 1999). Nella prevenzione primaria ci sono degli esercizi nel programma di arricchimento sulla Negoziazione. Nella prevenzione secondaria ci sono i compiti nei quaderni di lavoro sulla Negoziazione. Nella prevenzione terziaria si può utilizzare l’intervista sugli stili osservabili di relazione: abusivoapatico (AA), reattivo-ripetitivo (RR), conduttivo-creativo (CC). Il Modello delle Priorità In laboratorio: griglia delle priorità; scala di priorità. Nella prevenzione primaria: i compiti specifici nel programma di arricchimento sulla Negoziazione. Nella prevenzione secondaria: i compiti specifici nei quaderni di lavoro sulla negoziazione. Nella prevenzione terziaria: l'intervista. I modelli circa i Dolori e l’Intimità In laboratorio: la scala di Condivisione dei dolori (Stevens e L’Abate, 1989) rivista da Cusinato (Cusinato, Aceti e L’Abate, 1987). Nella prevenzione primaria gli esercizi di vari programmi di arricchimento strutturato; nella prevenzione secondaria il quaderno di lavoro sull’intimità (L’Abate, 1986); nella prevenzione terziaria, l’intervista e i compiti: “Condividere i dolori” (L’Abate, 1986,1994, 1997, 1999a) e “Essere assieme” (L’Abate, 1999a). Come Aiutare Quelli che Soffrono Ci sono molti modi per aiutare le persone che soffrono, perché esse desiderano essere aiutate. Il processo di cambiamento avviene dentro i requisiti di calore, empatia e accettazione incondizionata — messi in evidenza da Rogers — aiutando certe persone, coppie o famiglie (depresse o ansiose), ma è piuttosto problematico con soggetti che soffrono di disturbi di carattere o gravi psicopatologie. Le caratteristiche degli interventi e dei cambiamenti possono essere lette a livello di proposizioni teoriche generali secondo i criteri di: (a) novità; (b) positività; (c) intensità: frequenza, forza, durata, velocità, prevedibilità; (d) direzione. Oppure gli interventi possono essere considerati a livello concreto e specifico attraverso vagli successivi, a seconda del livello di funzionalità manifestato: (a) nella prevenzione terziaria l’intervento è necessario quando la disfunzionalità supera la funzionalità, in modo da abbassare la crisi o il sintomo, proponendo un intervento per la crisi con un trattamento psicoterapico basato sul rapporto faccia a faccia come primo vaglio; (b) nella prevenzione secondaria l’intervento può essere mirato a distanza, attraverso lo scritto programmato e focalizzato e/o mediante la corrispondenza epistolare o internet e volto al miglioramento della negoziazione e alla soluzione dei problemi come secondo vaglio; (c) nella prevenzione primaria, diretta a tutti, mediante l’esperienza di gruppo — condivisione dei dolori e timore di ferire e essere feriti e relativi paradossi (L’Abate, 1999a) come terzo vaglio. I vagli possono essere rovesciati quando la funzionalità appare superiore alla disfunzionalità, cominciando con la prevenzione primaria e andando dalla primaria alla secondaria e, se necessario, alla terziaria. Volume 4, Numero 3, 1999, pag. 162 Conclusioni Tutti noi siamo esseri umani che soffriamo. Certamente alcuni soffrono più di altri e alcuni sono in grado di gestire i dolori in modo più costruttivo di altri. Purtroppo alcuni sono completamente incapaci di gestire i propri dolori perché sono incapaci di affrontare la condizione umana che ci accomuna tutti, per cui siamo tutti: (a) bisognosi: la gran parte di noi desidera essere vicino a qualcun altro che desidera essere vicino a noi; (b) fallibili: la gran parte di noi feriscono e sono feriti proprio da chi amiamo “in modo non voluto”, cioè senza l’intenzione di ferirli e di essere feriti; (c) vulnerabili: la gran parte di noi sono soggetti a ferite “non intenzionali” da parte di coloro che amiamo e che ci amano, i quali a loro volta vengono feriti da noi “in modo non intenzionale”. Dio ci liberi dai dolori non intenzionali perché sono quelli che ci fanno più soffrire! " I tuoi sentimenti ti stanno chiamando. Cercano di entrare in contatto con te". Riferimenti bibliografici Averill, J. R. (1997). The emotions: An integrative approach. In R. Hogan, J. Johnson e S. Briggs (a cura di), Handbook of personality psychology (pp. 513-541). 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