Edizioni Kerulos - Concorso letterario

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Edizioni Kerulos - Concorso letterario
Concorso Letterario Kerulos Edizioni
La ruota di Pripjat
La ruota di Pripjat
Giulio Paolicchi
residenza:
Via E.Guevara 107
56010 Pontasserchio (PI)
domicilio e residenza effettiva:
Via XX Settembre 161
55049 Viareggio (LU)
0584 945393
e-mail:
[email protected]
42 anni, impiegato
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Nella caserma di Cerkassy, si incrociano le sorti di Sasha
-un giovane di Pripjat- e di Tatiana -una vecchia contadina di
Apacici- evacuati dalle loro case, nella cintura di Chernobyl,
dopo l'esplosione della centrale nucleare. Incontro casuale, alla
fine di un viaggio obbligato, che poi diviene il punto di
partenza per un cammino di ritorno pieno di speranza -Sasha verso
il suo paese e l'immagine confusa di una donna sparita tanto
tempo prima, Tatiana verso la sua stufa spenta-. Alla fine, sotto
la grande ruota panoramica di Pripjat, in una serata metà reale e
metà immaginaria, i personaggi si uniscono nell'ultima danza:
prima di scomparire definitivamente, insieme alla loro terra.
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"Ehi Pavel! Vieni a vedere! La foresta rossa è sparita!"
Un alone sbiadito di luce mattutina penetrava dalla finestra
illuminando il viso fiero di Vladjmir Ilic incastonato in una
piccola nicchia della parete. Pavel, un piccolo topo grigio, era
rannicchiato sotto una vecchia poltrona sdrucita rivestita di
panno verde.
"Vergine santa! La foresta rossa è sparita! Possibile?"
Sasha, il viso attaccato al vetro, impugnava una bottiglia
vuota da giorni, il ciuffo biondo gli calava sul naso. Sulle
spalle aveva una coperta grigia di tessuto pesante.
Oltre i tralicci dell'alta tensione, su una enorme chiazza
livida di terra smossa che rompeva la monotona colorazione del
suolo, si incrociavano le traiettorie rettilinee di una decina di
motopale verdi in moto perpetuo: sembrava una silenziosa danza
rituale .
Ai bordi della città si erano moltiplicate macchie scure di
rovi ed erbe cattive e formavano una specie di corona di spine
attorno all'agglomerato di palazzi bianchi allineati lungo le
strade abbandonate.
Sasha fece un breve giro d'orizzonte con lo sguardo e si
soffermò su un gruppo di quelle sagome slanciate ancora offuscate
dalla foschia: non notò alcun segno di vita, non un movimento
turbava la gelida tranquillità di quelle cattedrali, non una
presenza animata ne interrompeva la pietrificata immobilità.
A qualche centinaio di metri -in direzione del villaggio di
Apacici- lo scheletro immobile della ruota gigante interrompeva
la vista della grande strada per il sud: i sedili sospesi
stagnavano nell'aria silenziosa, la baracchetta della
biglietteria era seminascosta dalle erbacce.
A tratti pareva di sentire, portata dal vento del fiume, la
musichetta che accompagnava i giri della ruota, sempre la stessa.
Sasha non ricordava quando fosse stato l'ultima volta sulla
ruota, ricordava soltanto che era stata da adulto, una sera di
luglio, in compagnia di Anna Aleksandrovna Grobavatna.
Dalla notte dell'evacuazione era sempre più difficile
ricordare: dalla sera alla mattina -spazio e tempo di un sognole membra e la mente erano state trapassate, erano mutate di
stato, di dimensione, di posizione, strappate alla vita per
essere assunte in una singolare sfera di incoscienza senza
termine, o di morte, intanto le ciminiere, lontano, bruciavano e
sotto l'intenso rossore dell'incendio, si sviluppava il convulso
movimento di automezzi e persone. I gruppi umani si allargavano,
si allungavano, si contraevano, si distendevano in lunghe file
che gli autobus inghiottivano rapidamente.
Anna Aleksandrovna era una delle ragazze più belle di
Pripjat. E la più intelligente: studiava ingegneria a Kiev.
Diceva che odiava i campi e le barbabietole, diceva che il
presidente del kolchoz era disonesto. Poi diceva tante altre cose
che Sasha non aveva mai capito fino in fondo.
"Ehi Pavel, ricordi Anna Aleksandrovna?"
Pavel mosse qualche piccolo passo verso la finestra e si
guardò attorno annusando l'aria.
"Forse no, forse a quel tempo abitavi in campagna. Ora lei è
a Mosca sai? Ha portato anche la madre, la vecchia Dunja,
ricordi? Che stupido che sono! Perdonami Pavel, questo povero
cervello dev'essersi incantato. Lavora in una grande fabbrica di
trattori. Qualche volta mi ha scritto, dice che là, a Mosca, c'è
aria di festa, di cose nuove... chissà... il traffico, le
automobili oppure tutta quella gran confusione di gente..."
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Il viaggio in autobus terminò sulla piazza di Cerkassy. Sasha
non riconobbe nessuno di Pripjat, un soldato disse che erano
stati molto fortunati a trovarsi nel gruppo di Cerkassy, che
pensassero a chi era destinato a Lvov o a Ternopol o a quelli che
erano andati a Dnepropetrovsk e lo diceva con grande convinzione,
con l'aria di chi dice una cosa ovvia ma per Sasha tanta fortuna
non era affatto ovvia.
Sulla piazza, tappezzata da una immensità di piccoli quadrati
di porfido lucido e scuro, erano tanti, forse un migliaio,
confusi fra il rumore degli stivali militari e dei motori degli
autobus; c'era gente di Apacici, raccoglitori di barbabietole di
Ljutez, gente di Ivankov, di Demidov... tutti si guardavano
intorno per cercare facce o figure o oggetti che spiegassero il
perchè si trovavano lì ma in fondo al cuore, per quanto potevano,
si consolavano per essere ancora vivi, per non essere nati a
Cerkassy e avere vissuto altrove sperando, un giorno, di poter
ritornare. Chi era riuscito a portare la famiglia teneva per mano
moglie e figli.
"Attenzione attenzione!" un ufficiale era salito in piedi sul
tetto di un autobus: col megafono attaccato alla bocca, la voce
dura e spigolosa come impartisse ordini anzichè spiegazioni,
cercò di spiegare i fatti "Attenzione! A causa del grande
incendio della centrale di Chernobyl, potrete tornare alle vostre
case soltanto fra molti mesi, così sarete ospitati per alcune
settimane a Cerkassy, nei kolchoz della zona. Il Soviet della
repubblica Ucraina ha avuto un finanziamento speciale, milioni di
rubli, e fra qualche tempo vi verranno risarciti i danni per
tutto ciò che avete perduto. Per questa notte dormirete nella
caserma della fanteria, domani verrete smistati alle
destinazioni..."
Sulle teste chine della folla si levò un braccio.
"Vuoi chiedere qualcosa compagno?" urlò l'ufficiale.
Dal ventre del gruppo emerse una voce roca e disperata, con
l'accento delle terre lontane dell'Asia "Voglio mia moglie e i
miei bambini!"
La piazza, solidale con l'uomo, si mosse rumorosamente.
"Silenzio compagni! Fate silenzio! Avete ragione compagni,
ascoltatemi bene: ripeto, c'è stato un incendio alla centrale di
Chernobyl, di più non possiamo dire, sono in corso gli
accertamenti, neppure noi sappiamo come stanno le cose e per il
resto, quando ognuno avrà preso posto nel kolchoz al quale è
stato assegnato, verrà fatto un censimento, qui e in tutti gli
altri luoghi di raccolta così, al massimo entro una settimana o
due, riavrete i vostri familiari oppure potrete raggiungerli...
avrete alloggi stabili, in modo che potrete anche restare per
sempre... se lo vorrete. Chi non ha parenti sarà spostato a
seconda del bisogno o unito alle famiglie meno numerose. Se non
ci sono altre domande, disponetevi in fila per raggiungere la
caserma"
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Pavel raggiunse il tavolo in mezzo alla stanza.
"Sai Pavel, dicono che a Mosca ci siano milioni di
automobili. Capito? Milioni! Ci sono bei negozi dove si può
comprare il salame piccante e qualunque cosa necessaria. Mia
madre c'è stata molte volte da bambina, veniva dalle campagne di
Rybinsk. Io non ho visto neppure Kiev. Però ho visto Cerkassy e
ho visto anche il lago Kremencug. Cerkassy è una cittadina,
niente di importante. Da ragazzi viaggiavamo di più, in un certo
senso... durante l'estate, a piedi, siamo arrivati più di una
volta sul fiume Tieterev, dalla parte di Ivankov. C'era la via
dei campi di grano, bastava seguirla per trovarsi sul fiume. Hai
mai visto le acque del fiume Tieterev quando sulla superficie
galleggiano un'infinità di pietre preziose grandi come la
capocchia di uno spillo? E' tutto un luccichìo. Anna
Aleksandrovna mi amava, anch'io la amavo. Lei voleva studiare per
andare a Mosca e io sognavo di fare una piccola casa in mezzo ai
campi, sul fiume Tieterev... che d'estate si colorasse dei
riflessi dell'acqua. Lei mi diceva Sasha Sergeevic sei l'uomo più
nobile che abbia conosciuto ma... Vergine santa Pavel! Com'è
chiaro ora il ricordo! Ecco, ecco, Anna Aleksandrovna è qui!
Davanti a me! La vedi Pavel? Anna, come ti sei combinata?
Allontanati Pavel!" Sasha abbandonò la finestra e andò verso la
porta della stanza carponi, portò la bottiglia alla bocca per
bere "Vuota? Pavel! Maledetto sorcio schifoso! Siamo senza vodka!
Anna, Anna Aleksandrovna, perchè hai tinto gli occhi? Non ti
parevano abbastanza belli? Perchè hai portato via la vecchia
Dunja? Che cos'avrà a Mosca che non poteva avere qui? Che
cos'avrai a Mosca che non potevi avere qui? L'amore? No Anna! Non
l'amore! Anna!"
Sasha si alzò su un braccio con fatica e scagliò la bottiglia
contro il muro mandandola in frantumi. Pavel scivolò impaurito
sotto un divanetto basso in tinta con la poltrona di panno.
"L'anima maledetta di quel Vladjmir Ilic ti ha ispirato!
Sasha Sergeevic ogni anima ha la propria stagione. Questa non è
stagione per anime come la tua. Che ne sarebbe dell'Unione se
ognuno pensasse a costruirsi una casetta sul fiume Tieterev o sul
Volga o sul Dniepr? Che ne sarebbe stato dell'Unione se Vladjmir
Ilic si fosse ritirato nella taiga a tagliare alberi e ammirare
scoiattoli? Pensaci Sasha... pensa all'Unione..."
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Sasha passò la notte nella caserma di fanteria di Cerkassy,
vicino a una vecchia contadina di Apacici che dormì vestita con
la corona in mano e la testa fasciata con una pezzuola nera. La
donna si lamentava spesso di essere rimasta sola e che la sua
icona fosse ormai senza candele.
"Come ti chiami ragazzo?"
"Sasha... Sasha Sergeevic Justenko, vengo da Pripjat."
"Chi accenderà ogni sera la candela davanti all'icona? Santa
Madre, ho un male proprio qui..." la vecchia premette la mano
sull'addome "... sotto le costole. Ero appena andata a letto che
i soldati sono entrati in casa. Erano spaventati. Hanno parlato
di un incendio. Ho sentito uno di loro che diceva di dimenticare
Apacici. Proprio così diceva Dimenticate Apacici."
"Perchè ci hanno portato via? L'incendio era lontano."
"Hanno detto che l'aria non si può più respirare, che i muri
sarebbero morti. Capisci? La morte delle mura, degli alberi,
delle mucche, delle barbabietole: come fossero cristiani..."
Qualche branda più avanti si sentì un lamento soffocato nelle
coperte. L'aria della camerata era divenuta un alito che sapeva
di campagna e di formaggio. Oltre la porta continuò per
parecchio, ininterrotta, una raffica di passi concitati.
"Dimmi Sasha, hai nessuno?"
"No, mia madre è morta, era di Rybinsk e aveva visto Mosca.
Avevo anche una fidanzata... e se n'è andata a Mosca"
"Mosca non ti ha portato fortuna figliolo."
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"E tu Pavel, sei mai stato a Mosca?"
Pavel da sotto il divanetto guardò Sasha disteso sul
pavimento, mosse i baffi annusando l'aria.
"E tu Pavel, sei mai stato a Mosca? Non avere paura sciocco,
la vita continua, non avere paura, tu fai parte di una razza
immortale. E poi, chi ci può disturbare qui? Non capisco proprio
perchè la gente si ostina a non tornare, forse qualcuno impedisce
loro di riprendere le proprie case. Sono certo che tutto questo è
frutto dei deliri di Vladjmir Ilic: quel tipo è pericoloso, anche
da morto. Pare che le sue prediche siano altrettanto buone che
sessant'anni fa... lo faranno santo prima o poi... sai che cosa
accadrà? che un giorno accenderemo la televisione, un giorno che
torniamo dal lavoro stanchi e ci lasciamo andare sulla sedia...
anzi, no: un giorno ci sederemo in santa pace per leggere un
giornale e aprendo le pagine a caso... ecco là: Vladjmir Ilic,
nuovo santo protettore di tutte le Russie. Che orrore! Poi
guarderemo Vremja, guarderemo, sissignore! perchè tu sarai ancora
con me, vero Pavel? e chi vedremo? Un Anatolji Stepanovic
qualsiasi che annuncia all'Unione, per il decimo giorno
consecutivo, che il patriarca di tutte le Russie ha santificato
Vladjmir Ilic Ulianov Lenin. Una città può morire Pavel, perfino
una città, come fosse fatta di sangue e di carne e di ossa e può
essere spazzata via anche dal ricordo, come non fosse mai
esistita, non Vladjmir Ilic! Lui non morirà mai! Ma a noi, in
fondo, che cosa importa di Vladjmir Ilic e di tutte le Russie e
del patriarca? Abbiamo una città intera ai nostri piedi! Ogni
sera un appartamento diverso, manca la vodka e la luce, questo è
vero, ma la notte è fatta per dormire. Oh Pavel, perchè nessuno
ritorna più?"
Sasha tornò alla finestra.
"La foresta rossa è sparita. Non capisco. Tutte quelle
motopale poi... si direbbe che l'abbiano sotterrata, come un
uomo. Può morire una città? E i libri di storia, le carte
geografiche? Dovranno riscriverli tutti, dovranno cambiare il
corso della storia, penso. Se non ci saranno più Pripjat e la
foresta rossa nè le izbe della campagna, che ne sarà del passato
di coloro che vi sono nati? Ragazzo dove sei nato? Non lo so
compagno segretario Come non lo sai? Ce l'avrai una madre no?
Certo compagno segretario! Allora avrai anche una terra! La mia
terra non esiste più, è sepolta! Così parleranno i bambini di
Pripjat? Come si fa a seppellire la terra? Terra su terra? Che
cosa vuole dire? E Anna? Dove dirà di essere nata? A Mosca?"
Pavel tornò al centro della stanza colla lunga coda distesa
sul tappeto di lana.
"Questa sera dormiremo nell'appartamento del terzo piano
perchè... il calore sale verso l'alto. Ma prima che venga sera
dobbiamo inventare qualcosa. Se muore Pripjat moriremo anche noi,
anche tu Pavel. Se solo trovassi un telefono! Chiamerei Anna,
potrebbe tornare a vivere qui, ora ce n'è bisogno. E anche la
gente della campagna potrebbe venire ad abitare a Pripjat... ci
sono tante stanze libere..."
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La vecchia Tatiana Maksimova Karnieva partì dal kolchoz di
Cerkassy a notte fonda, su un carro troppo piccolo trainato da un
cavallo troppo stanco; con lei c'erano altre donne, tutte
pressapoco sue coetanee: le parole del presidente del kolchoz
erano state inutili, la nostalgia del villaggio coincideva ormai
con una stufa e un'icona senza candele.
Costeggiarono il lago Kremencug per qualche chilometro poi
svanirono nella vastità della campagna.
Il viaggio durò parecchi giorni e solo la buona sorte fece
trovare loro ogni notte un posto ove dormire riparate. Con il
passare del tempo le vecchie sentivano nascere una specie di
ritrovata fanciullezza, viaggiavano verso la morte eppure pareva
una nuova vita.
"Mi sento proprio bene. A Cerkassy abitavo con due famiglie:
pensate, otto bambini. Non ce la facevo proprio più. Loro erano
così felici, non sapevano che i villaggi stanno morendo o forse
non gliene importava nulla."
"Quante volte ho sognato la mia stufa..."
Quando giunsero nei pressi della grande strada per il Sud,
videro una sbarra bianca presidiata dai militari, così presero la
via dei boschi, la via delle volpi e delle faine, per arrivare ai
villaggi senza rischiare di incontrare posti di blocco. Sul
sentiero seminascosto dai cespugli e dal muschio, il carretto
cigolava dietro gli strattoni del cavallo affaticato.
"Visto? E' tutto come prima, anche l'erba!"
"Anche l'acqua!" si meravigliò Lukeria Antonova indicando un
piccolo rigagnolo che correva fra gli alberi.
Infine raggiunsero il limitare del bosco segnato da un
reticolo di filo spinato che correva lontano e si perdeva oltre
l'orizzonte.
Tatiana Maksimova riconobbe i pascoli di Apacici "Ti
ringrazio Vergine Santa, perché morirò dove sono nata." farfugliò
fra sè; abbracciò le compagne di viaggio che avrebbero proseguito
lungo il filo spinato verso un altro bosco per evitare i soldati.
Attraversò spedita i pascoli rassodati dall'inverno appena
trascorso, il paese era distante pochi chilometri. Correndo a
filo d'erba, la sua immaginazione l'aveva preceduta sull'angolo
delle uniche due strade di Apacici dove sedeva ogni giorno ad
aspettare il tramonto, dando le spalle alla grande strada per il
Sud.
La mattinata era grigia. La vecchia aveva ormai alle spalle,
lontano, l'immenso bosco di pioppi e betulle, gli sterminati
prati deserti e levigati che parevano un lago in bonaccia.
"Tatiana Maksimova!" Polina Fjodorova, una donnina avvolta in
una sciarpa nera, le si fece incontro a passo svelto.
"Polina Fjodorova! Siete tornati anche voi! Sia ringraziata
la Vergine Madre benedetta!"
Le donne si abbracciarono.
"Vieni. Siamo tornati in molti sai? Abbiamo riaperto le
stalle, abbiamo sfidato il Kombinat!"
"Il Kombinat?"
"Sì, il comitato di controllo, presidiano tutta la zona
contaminata; hanno anche assunto molti che abitavano qui, come
autisti, muratori, operai... un soldato ha detto che a Prjpiat
hanno seppellito la foresta rossa... poi seppelliranno la città
intera. Da noi hanno fatto il cimitero delle automobili, per
ora..."
"E quanti siete?"
"Un centinaio... però non ci sono bambini, non ci sono madri,
siamo solo vecchi..." Polina Fjodorova abbassò la testa "...
anche mia figlia è rimasta a Kiev, col marito e i bambini. Torna
tu se vuoi, mi ha detto, per i bambini è pericoloso, noi ci
rifaremo una vita in questa città." alcuni camini fumavano "E'
morto Anatolji Leonidovic Pokutny... aveva più di novant'anni..."
I vecchi di Apacici avevano ripreso l'abitudine di riunirsi
intorno alla panca di legno sulla congiunzione delle uniche due
strade del paese, per aspettare il tramonto. Molte stalle erano
state riaperte, nel pomeriggio stanco colore del piombo, i camini
istoriavano il cielo basso con i loro esili riccioli di fumo.
Gli uomini del Kombinat passavano almeno una volta al giorno,
per le rilevazioni, incapsulati in rigide tute verdi che
assomigliavano a scafandri e lasciavano vedere solo gli occhi: si
aggiravano fra le case e le stalle con un'andatura strattonata di
pupazzi di legno, trascinando complicati strumenti. I vecchi si
intrattenevano spesso a parlare con loro, certo non li odiavano e
poi molti di loro erano abitanti della zona che avevano perduto
casa e lavoro.
Quando il sole si abbassava, le voci del villaggio si
spengevano e dai pascoli giungevano i versi degli animali da
preda che uscivano allo scoperto per cercare cibo.
L'aria grave della sera incombente suscitava intimità, i
vecchi parlavano, parlavano senza risparmio.
"Uno del Kombinat ha detto che il censimento è stato
completato."
"Ce ne hanno messo di tempo!"
Un vecchio con un cappotto militare e gli occhi lucidi alzò
la voce "Fra poche settimane ce ne andremo ancora. Ci cacceranno.
Il villaggio sarà sepolto!"
"Sei sempre il solito pessimista Michail Aleksandrovic. Chi
avrebbe mai potuto sposarti? Chi avrebbe potuto sopportare i tuoi
discorsi sempre così lugubri?"
"Siete tutti uguali voi. Perchè chiudere gli occhi davanti
alla verità? Apacici o Pripjat, Ivankov o Ljutez... non
esisteranno più, non esistono più! Neppure noi esistiamo più! In
fonso, che differenza fa se un vecchio è vivo o morto?"
"Dicono che dal censimento manchi una persona, non sanno dove
sia finito. Era ospitato nella caserma della fanteria a Cerkassy,
dalla notte alla mattina è sparito. Pare si chiami Sasha e sia di
Prjpiat."
"Sasha? Sasha Sergeevic Justenko?" esclamò la vecchia Tatiana
alzandosi in piedi.
"Non saprei."
"Nella caserma di Cerkassy, la notte dell'evacuazione, ho
dormito vicino a un giovane triste che si chiamava così. Era di
Prjpiat e ricordo che Mosca gli aveva dato qualche dispiacere."
"Mosca darà dispiaceri a tutti prima o poi." sentenziò cupo
Michail Aleksandrovic.
"E' lui, non c'è dubbio. Dove può essere andato?"
"Sarà tornato a casa... ma Pripjat sarà la prima a
scomparire. E' la più vicina al luogo dell'incendio."
"Certo! Sarà così, sarà tornato a casa."
"Fortunato quel giovane: potrà cambiare una casa al giorno e
visitare tutti i negozi di alimentari e scegliere i cibi
migliori... festeggerà il ritorno con la vodka e il salame
piccante." esordì un donnone colla testa avvolta in una pezzola
dai colori vivaci.
I vecchi ridevano di gusto, fantasticavano di essere padroni
di una città, tutta per loro, di fare visita ogni sera a un
locale diverso, ovunque mandare giù un bicchierino di vodka,
fantasticavano di scegliere con cura nei magazzini di abiti i
pantaloni più forti e le scarpe più adatte all'inverno. La
fantasia, liberata e incoraggiata da quelle parole di buonumore,
correva sicura e sfrenata offrendo sensazionali opportunità,
atmosfere tanto dense da sembrare reali.
Michail Aleksandrovic, biascicando rochi mugugni, disgustato
da tanta folle ilarità, si allontanò ciondolando seguito da un
piccolo cane color sale e pepe; l'aria del tramonto aveva steso
sul villaggio la sua ala senza corpo e le sagome dei vecchi
raccolti intorno alla panca, si erano allungate a dismisura, fino
ai tetti delle case basse, alterando la fisionomia del paese che
era divenuto una selva di ombre pietrificate.
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Pavel stava rannicchiato sul davanzale interno della
finestra, il muso a punta, immobile, rivolto all'esterno, verso
Sasha che gironzolava intorno al motore della ruota gigante con
la coperta sulle spalle.
La lamiera che proteggeva i meccanismi, sventrata, scopriva
le forme robuste degli ingranaggi. Sasha afferrò una ruota
dentata e tentò di farle compiere un giro completo, la resistenza
della ruggine era ostinata e non si mosse di un millimetro:
l'impresa era molto più ardua di quanto avesse previsto.
Si affannò per un bel pezzo a strappare le erbe tenaci che
avviluppavano gli ingranaggi più piccoli, tolse pezzi di legno e
ferro, caduti col tempo, che ingombravano i movimenti meccanici.
Infine vagò per tutta la città in cerca di nafta: la trovò in un
garage della periferia, un'officina buia dove marcivano due
trattori dipinti di rosso.
Asperso di nafta, il motore della ruota gigante acquistò un
aspetto sinistro, le macchie di ruggine risaltavano come eczemi
sulla pelle.
Sasha portò le mani alla bocca a mò di megafono "Pavel! Ehi
Pavel! Scendi giù. Vieni a vedere che bel lavoro! Questa sera la
ruota funzionerà!" immaginava le centinaia di lampadine accese
sulla ruota che illuminavano la città dall'alto, le facciate dei
palazzi vuoti che cangiavano sotto la luce in continua rotazione:
allora la gente sarebbe ritornata.
"Tutti da Sasha questa sera! Comincia la festa!" sotto lo
sguardo distratto di Pavel, Sasha ballava e cantava saltando
intorno ai ciuffi di erbe selvatiche che infestavano l'asfalto
"Scendi giù Pavel!".
Le lampadine, una dopo l'altra, cominciarono ad accendersi,
la piazza si ravvivava di mille colori. Poi il crepitare dei
ferri annichiliti dalla ruggine, una raffica di scricchiolii
affannosi infine uno schianto metallico, dettero l'avvio al
movimento possente della ruota che iniziò la sua faticosa
evoluzione. L'ombra della grande raggiera proiettata
sull'asfalto, compiva lenti tracciati circolari intorno al ballo
frenetico di Sasha.
"Sasha!" la vecchia Tatiana dal fondo della strada, la testa
avvolta nella pezzola a fiori e le scarpe per il campo, l'aveva
riconosciuto e agitava le braccia, dietro di lei galleggiava una
folla numerosa.
"Venite! Venite! La festa è appena cominciata." la musica
saliva verso il cielo, limpido specchio della notte.
Il gruppo si sparse sulla piazza; alcuni salirono sulla
ruota, non mancava chi piangeva di felicità. Sasha alzò gli occhi
verso un seggiolino sbilenco che prendeva il volo verso il cuore
della notte "Dunjia! Ehi Pavel, scendi giù! La vecchia Dunja è
tornata!", la vecchia Dunja sul sedile sbilenco sorrideva
soddisfatta, salutava la città. Le strade si popolavano
velocemente di migliaia di altre facce: provenivano da ogni
villaggio del cerchio contaminato, avevano portato cani e mucche,
si presero tutti quanti per mano chiudendo un anello malfermo che
circondò la ruota panoramica.
La musica accompagnava il movimento della ruota, scandiva le
vibrazioni della folla e la notte accolse quel frastuono come un
tamburo la mazza, esplodendolo su tutta la campagna, sui prati,
sulle motopale del Kombinat immobili ai margini dell'enorme
chiazza ove giaceva la foresta rossa. Le note piovevano fra i
palazzi appiccicandosi ai muri e alle piante, alle erbe cattive,
ai corpi della gente, guadagnavano vigore e intensità, si
conficcavano nella materia iniettandovi nuove vibrazioni di vita.
Vicino a Pavel, immobile sulla finestra del terzo piano,
ristagnava un refolo di nebbia dalle forme lievi e dai colori di
donna: Sasha, confuso tra la folla, con le braccia levate,
batteva le mani al ritmo della musica e non si avvide di niente,
continuava a correre dietro a questo e quello senza fermarsi,
senza stancarsi; Vladjmir Ilic, confuso in mezzo ai volti rugosi
dei vecchi e alle urla dei bambini, seguiva la danza con
diligenza alzando le gambe a tempo, ora l'una, ora l'altra.
Un ronzio di motori coperto dalla confusione del ballo e
dalla musica allegra, debole e modesto, saliva dalla campagna
incolore: discreto. La luce delle lampadine svelava, oltre i
margini dell'abitato, sagome rigide e pesanti dirigersi verso la
ruota: si muovevano fra i ciuffi di malerba con grande lentezza e
cautela per non disturbare la festa; dietro di loro i fari delle
motopale che avanzavano con le benne levate in aria, sciabolavano
minacciosi la notte.
di Giulio Paolicchi
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