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Presenta un film di MATTHIEU Delaporte & ALEXANDRE DE LA Patellière con PATRICK BRUEL VALÉRIE BENGUIGUI CHARLES BERLING JUDITH EL ZEIN GUILLAUME DE TONQUÉDEC con la partecipazione straordinaria di FRANÇOISE FABIAN MUSICHE ORIGINALI - JÉRÔME REBOTIER Basato sull’ acclamata opera teatrale Le Prénom Messa in scena da Bernard MURAT DURATA: 109 minuti DAL 6 LUGLIO AL CINEMA Ufficio Stampa Eagle Pictures Marianna Giorgi +39 335 1225525 [email protected] Sinossi Vincent, un uomo di successo sulla quarantina, sta per diventare padre per la prima volta. Viene invitato a cena dalla sorella Élisabeth e suo marito Pierre, dove incontra Claude, un amico d'infanzia. Mentre aspettano l'arrivo di Anna, la giovane moglie di Vincent perennemente in ritardo, gli altri lo incalzano bonariamente con domande sulla sua futura paternità. Ma quando a Vincent viene chiesto se ha già scelto un nome per il bambino, la sua risposta semina tumulto tra la compagnia riunita. INTERVISTA A MATTHIEU DELAPORTE & ALEXANDRE DE LA PATELLIÈRE Siete co-sceneggiatori di CENA TRA AMICI, che, prima di diventare un film, è stato un grande successo teatrale. Alexandre: È vero, è stata un'esperienza incredibile dall'inizio alla fine. Avere Bernard Murat come regista e lavorare con lui, le prime letture, le prove nel leggendario teatro Édouard VII. Matthieu: Una volta superata la terribile angoscia della prima notte, quando ti chiedi da quale ponte ti butterai se nessuno si metterà a ridere, abbiamo avuto un anno straordinario. Tutto esaurito ogni sera, vivere la vita dietro le quinte. E poi sapere che l'opera andrà in scena in tutto il mondo. A: Nella prima settimana, siamo stati contattati da teatri tedeschi e israeliani, che sono stati i primi ad attivarsi. Solo in quel momento ci siamo resi conto che avevamo davvero qualcosa tra le mani. Quando esattamente avete deciso di adattare l'opera al grande schermo, e poi dirigere le pellicole voi stessi? M: Abbiamo un background cinematografico, ma volevamo cambiare. Abbiamo iniziato a scrivere questa commedia senza alcuna idea di cosa sarebbe diventata. Volevamo scrivere di persone come noi, analizzare un aspetto leggermente diverso dei legami familiari, e farlo senza i vincoli cinematografici, senza dover giustificare nulla. Detto questo, il desiderio di adattarlo al grande schermo è nato appena finita l’opera. A: La voglia di scrivere questa pièce è venuta dal desiderio di indipendenza, ed è lo stesso desiderio che ci ha convinti a proseguire con l'adattamento cinematografico. Questo desiderio e, ad essere onesti, il nostro produttore Dimitri Rassam. Si sa che una buona pièce teatrale non corrisponde necessariamente a un buon film: questa era una preoccupazione per voi? A: La cosa eccitante in questa avventura era trattare un genere ben preciso: la fase di trasformazione dal palco allo schermo. Così abbiamo fatto il nostro dovere, ri-guardando opere così diverse come "Mélo" di Alain Resnais, "Sleuth" di Joseph Mankiewicz, "Le Diner de Cons", "Le Père Noël est une Ordure", di Jean-Pierre Bacri e Agnès Jaoui, ma anche altre opere meno famose. Ci siamo resi conto che gli adattamenti che ci piacevano di più, quelli che sembravano più completi, erano quelli che abbracciavano la struttura "huis-clos", con tutte le azioni che si svolgono in un unico spazio, impostate in tempo reale, e che rimanevano fedeli alla dinamica del suo concetto originale. M: Si è talvolta tentati di diluire la storia con l'aggiunta di flashback o trame secondarie, cogliendo ogni pretesto per fuggire dal set. La nostra decisione è stata quella di conservare il nucleo della narrazione e il ritmo del testo, ma con grande enfasi sul tempo e la naturalezza delle performance degli attori. Abbiamo dovuto cercare di rendere questo dialogo molto naturale, come se venisse direttamente da loro. La commedia è tutta una questione di ritmo - un mix di libertà e precisione. Bisogna lasciarla vivere per evitare che diventi meccanica o teatrale, ma allo stesso tempo, non si deve cadere nel naturalismo o nella loquacità. Abbiamo dovuto trovare un adeguato stile di scrittura cinematografica. Era un'ossessione, condivisa con il nostro direttore della fotografia, David Ungaro, e studiata con le tecniche cinematografiche: la carrellata, le inquadrature a mano, il grandangolo, il primo piano, il piano-sequenza, ecc. Abbiamo anche lavorato molto sul ritmo con la nostra responsabile di montaggio, Célia Lafitedupont. Con un asset fondamentale: il testo, basato su una trama che parla di amicizia e famiglia, e che è un riflesso abbastanza fedele della Francia contemporanea. Quale era la vostra idea iniziale? A: Essendo entrambi liberali borghesi, abbiamo dato ai nostri figli, tre maschi per Matthieu e due femmine per me - nomi piuttosto originali. Durante le vacanze in famiglia, abbiamo notato come questo abbia provocato reazioni violente, anche in un ambiente relativamente colto come il nostro. La gente sembra concedersi la licenza di entrare nella tua sfera privata ed esprimere un parere sulla questione. Due cose ci facevano divertire: che la scelta di un nome è un argomento delicato, perché la dice lunga su di te e ciò che vuoi far arrivare di te stesso, e come la scelta dei nomi bizzarri faccia reagire gli altri. M: Abbiamo voluto scrivere della famiglia. La questione dei nomi apre una vera e propria finestra sulla società. Che si tratti di un nome classico o insolito, è una scelta nei confronti degli altri. Un nome è carico di significato, tanto per coloro che lo danno quanto per chi lo riceve. Abbraccia una dimensione famigliare, religiosa e sociale che, per sua stessa natura, condanna il figlio per tutta la vita, anche se all'inizio si trattava di un atto d'amore. Inoltre ci ha permesso di ridere di noi stessi e devo ammettere che abbiamo provato un piacere maligno nel deridere le nostre scelte. Abbiamo praticato una sorta di humor sado-masochista. Tra i vostri altri obiettivi, attraverso i personaggi interpretati da Charles Berling, Patrick Bruel e Valérie Benguigui, si dà un colpo alla sinistra di moda, alla cultura "bling-bling", il ruolo delle donne nella società di oggi, e altro ancora. M: Nella vita reale, non sappiamo per chi voterebbero Charles e Patrick, ma nel caso dei loro personaggi, si ottiene un’idea molto chiara. Siamo figli degli anni ‘70, entrambi nati da famiglie molto politicizzate. Questo significa che da giovani abbiamo spesso assistito a vivaci dibattiti e liti di famiglia, così abbiamo deciso di affrontare proprio quest’argomento. E alla base è un argomento piuttosto antico. Quando abbiamo lavorato con la persona che ha adattato l'opera in tedesco, ci ha detto fin dall'inizio: "La famiglia nell'opera non poteva che essere francese". Non aveva niente a che fare con la trama, ma per lui, era sicuramente una famiglia di origini latine. È vero, questo testo ricorda le commedie italiane, dove tutti chiacchierano all'infinito, dove le cose si scaldano rapidamente per poi raffreddarsi altrettanto rapidamente. Questo è un punto di riferimento reale per noi, perché è uno stile cinematografico che ha saputo catturare l'essenza del suo periodo, che è riuscito a prendere in giro i costumi della vita quotidiana con un misto di crudeltà e di affetto. A: È anche una questione di maschere che si vedono attribuite in una famiglia e che si indossano quando si sta insieme: il figlio o la figlia preferita, quello dal quale ci si aspetta di fare bene, quello con la coscienza morale, e così via. E mi ha sempre affascinato vedere come vengono distribuiti i ruoli, come ognuno interpreta la propria caricatura. E nel confronto tra Vincent e Pierre - di primo achito un politicante di destra materialista e un intellettuale di sinistra - ci sono anche due amici d'infanzia che amano discutere, senza misurare le conseguenze per gli altri. Al di là delle differenze politiche, condividono il gusto per la discussione verbale. Qualunque siano le loro colpe, ci piacevano questi personaggi e volevamo evitare che il pubblico li guardasse dal punto di vista di un un entomologo. Al contrario, volevamo che il pubblico potesse identificarsi in loro, avere la sensazione di vivere questa cena in prima persona, essere in grado di identificarsi a turno con ognuno dei protagonisti. Uno dei punti di forza del film, senza nessuna costrizione, è quello di dare a ciascuno dei personaggi il loro momento per raccontare la propria storia. A: In una famiglia, di solito si pensa di sapere chi sono i leader e chi sono quelli dominati, ma quando anche questi ultimi tirano fuori coltelli e mazze, a volte fanno più danni dei primi. Abbiamo voluto esaminare tutti i membri di questo gruppo, senza dimenticare nessuno. Questo è anche il soggetto del film. M: Ed è per questo che non vogliamo anticipare il nome in questione, il clou dell'opera e del film. L'annuncio del nome è come una granata stordente, che distrae l'attenzione e ci permette di mettere discretamente delle mine sotto ciascuno dei personaggi, ma che esploderanno solo successivamente. Abbiamo sempre pensato a questo come un film corale. Inoltre, dal punto di vista della regia, della sceneggiatura e del montaggio, al dialogo è stata data la stessa importanza dei momenti di silenzio, perché entrambi sono la chiave per ciò che viene detto e rivelato. Tanto più che le alleanze tra i personaggi non smettono mai di cambiare nel corso della serata. Continuando sui personaggi, cosa vi stava guidando quando durante la scelta degli attori? M: Il desiderio principale era quello di creare una famiglia, un gruppo omogeneo, coerente. Avevamo bisogno di attori approssimativamente della stessa età in modo che si riusciva a far credere che fossero cresciuti insieme, amici d'infanzia. Abbiamo anche dovuto spezzare il ritmo dell'opera, e Charles Berling è stato bravo in questo. Il suo arrivo ci ha permesso di mescolare le carte e ha costretto ogni attore a reinventare la propria parte e cambiare musica. A: Il cinema dovrebbe aiutarci a portare un grado di realismo a questa famiglia. Abbiamo dovuto dipendere da due uomini che sono molto diversi, sia nella vita reale che sul palco, ma che, allo stesso tempo, sono molto simili. E Charles Berling e Patrick Bruel hanno entrambi inesauribili appetiti e un’incredibile voglia di vivere. Eravamo certi che riunirli avrebbe creato scintille, il che ci ha dato tutta l'energia necessaria. Durante la sua brillante carriera di attore, Charles è stato spesso utilizzato per il suo lato cupo e intellettuale. Ma ha anche una follia, una qualità animale, un’energia estrema che abbiamo assolutamente voluto vedere sullo schermo. Ha dato a Pierre - un carattere eccessivo - una sorta di fanatismo radicale, una dimensione meravigliosa che è allo stesso tempo divertente e commovente. Il suo rapporto personale e professionale con Patrick ha superato di gran lunga le nostre aspettative. E Valérie Benguigui? A: Vuoi dire Valérie "Rolls Royce" Benguigui? Fin dall'inizio, ha dato una forza incredibile al personaggio, attingendo dalla sua forza interiore e dalla sua umanità. Inoltre, lei non ha paura di niente: abbiamo potuto fare molto, totalmente al servizio del ruolo di Babou. M: Babou è il personaggio principale di questo gruppo. Ha invitato tutti gli altri. Lei è quella che si sforza di vedere che tutto vada bene, perché lei interpreta il ruolo di custode della coesione familiare. La forza di Valérie è paragonabile ad un vulcano che fa piccole eruzioni iniziali prima dell’eruzione finale. E allo stesso tempo, riesce ad essere in scene in cui ha pochissimi dialoghi o solo un’inquadratura. Ha un immenso potere comico, mentre dà vita e grande realismo al suo personaggio. Che dire di Guillaume de Tonquédec e Judith El Zein? A: Claude, il personaggio interpretato da Guillaume, è piuttosto enigmatico. Ha difficoltà a tener testa ai due ‘capobranco’ a questa cena. Fin dalla fase di produzione, sapevamo che Guillaume aveva altro da portare al personaggio, perché anche lui ha una sensibilità fantastica e un lato comico pazzesco. M: Il personaggio di Patrick dice di Claude, criticando la sua apparente passività: "Sei come un impiegato". Che è abbastanza ingiusto, perché gli altri, impegnati con la loro giostra verbale, non gli prestano attenzione. Eppure c'è. Guillaume agisce come una superfice levigata su cui è possibile proiettare molte cose, eppure quando prende il ritmo, ti porta dove vuole. Lo stesso vale per Judith e il suo personaggio, Anna. Le apparenze ingannano. All'inizio, sarà possibile vedere solo una bella ed elegante donna bionda, la moglie trofeo, ma ben presto le crepe e il lato vulcanico di Anna prendono il sopravvento. Anna è la nuova arrivata del gruppo, sta cercando di integrarsi, ma non è pronta al compromesso. Quando Pierre la provoca, lei non esita a entrare nel ring e colpire di nuovo. Non cerca lo scontro, ma non fa mai marcia indietro. Judith è riuscita a portare humor e carattere al ruolo con un alto livello di talento. A: Il piacere di lavorare ogni giorno con gli attori è anche quello di riscoprirli, utilizzando il loro potenziale in un modo diverso. Spazzando via la loro solita performance e mostrando un nuovo, finora inimmaginabile volto. Concludiamo con Patrick Bruel, un caso a parte data la sua fama e le sue numerose attività. A: Oltre alla sua fama, i suoi molti successi e l'immagine del vincitore eterno che ha, Patrick è un artista molto sensibile che apre realmente se stesso nel suo lavoro. Egli vuole progredire, crescere, e non ha mai paura di tentare. Gli abbiamo detto che gli avremmo fatto passare l'inferno, dal momento che avendo visto recitare il ruolo tante volte sul palco, sapevamo che avrebbe potuto fornire una prestazione eccezionale. Così Patrick è arrivato con i suoi difetti, il suo entusiasmo, il suo gusto per il combattimento e l’avventura collettiva, non esitando a mettere la sua performance in discussione. Fino all'ultima ora della ripresa - un venerdì all'una del mattino - era lì, molto felice di fare la quindicesima ripresa. Lavorare con lui è stato un piacere immenso. M: C'è una certa ingiustizia nei confronti di Patrick. È vero che fa molte cose in modo diverso, ma non si fa questo tipo di carriera senza una buona ragione. Ha un entusiasmo inesauribile e lui è un perfezionista. Gli piace dare suggerimenti, ma è sempre pronto riprovare per primo. Gode del piacere della ricerca. È molto divertente e stimolante. Ora, se non lo conosci, può sembrare un po' fastidioso. Canta? Vende milioni di dischi! Fa un concerto? È tutto esaurito! Gioca a poker? È campione del mondo! Se fosse un mago, sarebbe David Blaine. Mi fa pensare al cantante della canzone Balavoine "Le Chanteur", che avrebbe potuto cantare: "Mi presento, mi chiamo Patrick, ho un enorme successo. Sono adorato. Sono bello, posso guadagnare bene e in più, io sono intelligente ...". Si arriva a un punto in cui tutto quel successo diventa fastidioso, provoca la gelosia in noi persone normali. Quindi, piuttosto che combattere contro quest’aspetto, abbiamo pensato che sarebbe stato interessante giocarci. E dal momento che Patrick è molto intelligente e consapevole della sua immagine, ha pensato che fosse divertente spingersi fino in fondo. Non ha mai cercato di essere più intelligente o più forte del suo personaggio. Una parola su un altro aspetto chiave di Cena tra amici: il set incredibile, quella casa che sembra essere stata costruita due secoli fa. A: Era un’ossessione sin dall'inizio del progetto. Matthieu e io siamo parigini e siamo cresciuti in questo tipo di ambiente. Avevamo idee molto chiare sull'appartamento. Volevamo assolutamente lavorare con Marie Cheminal, una scenografa meravigliosa il cui lavoro con Cédric Klapisch ci è piaciuto, in particolare per il film PARIS. La sua disponibilità non ha lasciato molto spazio di manovra, ma ci saremmo accampati davanti a casa sua pur di averla a bordo. M: Non avevamo molta scelta, ogni volta che ha posto una condizione, le dicevamo: "Va bene". Il risultato è sensazionale, al punto che durante la post-sincronizzazione del film, i tecnici pensavano che avevamo girato in un vero e proprio appartamento. Questo è il complimento più bello, perché la regia nasceva da quel set. A dire il vero, durante la progettazione del luogo, Marie ha chiesto di poter lavorare da sola e non mostrarci nulla fino a quando non fosse finito. Abbiamo detto okay, a patto di avere la possibilità di ricominciare da capo se non ci fosse piaciuto. Il fatidico giorno al Bry-sur-Marne studios, la sua troupe ci ha bendati e poi rivelato il set. Una volta passata la pelle d'oca, sapevamo che la metà del lavoro era stato fatto. A: È stato straordinario come ogni giorno sul set, abbiamo scoperto nuovi dettagli. In realtà, molti di quello che lavoravano sul set avevano portato oggetti personali: Marie Cheminal ha portato i suoi cuscini, altri avevano aggiunto giocattoli d'infanzia, disegni e così via. Tutti si innamorarono dell'appartamento, e alla fine è diventato uno spazio di vita reale. M: In realtà, anche se la strada in cui si trova non esiste, corrisponde esattamente a una posizione che esiste nel 9° arrondisement a Parigi. Il palazzo del film è tipico del 9 ° e la vista dal soggiorno nel film è quello che si vedrebbe se realmente fosse esistito. A: Siamo anche andati a registrare alcuni suoni nel 9° in modo che il rumore dell'ambiente esterno fosse adattato. Che dire della musica? M: Ci siamo rivolti a Jérôme Rebotier e Richard Wagner, due uomini di grande talento. Come partnership, cosa c’è in programma? Volete tornare a teatro, ai film, qualcosa di diverso? M: Il nostro primo desiderio è quello di tornare a teatro, perché sul palco la commedia è un laboratorio fantastico, da cui un testo può evolvere. Abbiamo sperimentato che durante le performance di CENA TRA AMICI, per il primo mese, ogni giorno abbiamo fatto piccole modifiche e ottimizzato dettagli, e questo ha aiutato la costruzione del film. Così abbiamo iniziato a scrivere una nuova commedia. Ma siccome ci piace cercare di alternare commedia e dramma, abbiamo scritto un thriller insieme, un film noir che dovrei dirigere al più presto. INTERVISTA A DIMITRI RASSAM Sei un giovane produttore, in tutti i sensi. Cosa ti ha spinto a scegliere questa avventura in particolare? Non ho dovuto guardare molto lontano: da più di sei anni il mio ufficio è a malapena a una decina di metri da quello di Matthieu e Alexandre. Direi che l'avventura umana era iniziata molto tempo prima del film. Quando mi hanno invitato a vedere la pièce, sembrava la cosa più ovvia da fare, e due mesi e mezzo dopo, abbiamo iniziato la preparazione per le riprese. La nostra idea condivisa era quella di fare un film veramente cinematografico, da qui il desiderio di mettere insieme una squadra di talento e riconosciuta con Pilot Benoît come direttore di produzione, Marie Cheminal come scenografo, David Ungaro per la fotografia e Célia Lafitedupont come responsabile di montaggio. Abbiamo anche dovuto preservare l'equilibrio dell’opera , quindi abbiamo fatto pochissime modifiche al suo DNA, nonostante fossimo partiti da zero per quanto riguarda la regia eccellente di Bernard Murat. Onestamente, il mio compito principale era quello di dare a Alexandre e Matthieu il tempo e i mezzi per farlo bene, perché erano la forza motrice di questo progetto. In termini pratici, che tipo di mezzi sono coinvolti in un film come Cena tra amici? Una volta guadagnata la fiducia dei nostri partner (Pathé, TF1, M6 e Canal+), abbiamo deciso in anticipo di darci il tempo ei mezzi per girare. Così abbiamo impiegato due telecamere e 11 settimane di riprese. Un sacco di miei amici produttori mi hanno detto: "Tu sei completamente pazzo!", perché avremmo potuto farlo in sette settimane. Ma questo è quello che ci serviva per riprendere quello che era stata una fonte di piacere a teatro - la complicità di questo gruppo. Dovevamo essere precisi. Matthieu e Alexandre sono anche produttori del film, e tra di noi, abbiamo voluto concederci questo lusso. Vieni da una famiglia di produttori: tuo padre Jean-Pierre Rassam ne è stato uno, come suo cognato Claude Berri, e il cugino Thomas Langmann. Che cosa significa la parola "produttore" per te? Sono ancora un principiante in questo lavoro, non ho lezioni da dare a nessuno, ma direi che bisogna soprattutto avere convinzione. Nel caso di Cena tra amici, è stato facile perché non ero l’unica persona a crederci. Questo, però, porta anche parecchia pressione sul progetto, bisogna essere all'altezza delle aspettative. Nel nostro caso, dovevamo far ridere tanto quanto a teatro. Sono stato di sicuro avvantaggiato all'inizio, ma la mia carriera è sempre stata costruita sul lavoro di squadra, in particolare con il mio socio Aton Soumache, così come con Matthieu e Alexandre. INTERVISTA A PATRICK BRUEL La pièce Le Prénom ha segnato il tuo ritorno sul palcoscenico. Poi sei andato dritto a girare la versione cinematografica. La prima volta che ho letto il copione teatrale, ho subito capito che sarebbe diventato un film. Spesso, quando recitavo sul palco, pensavo a come si poteva adattare per il cinema e le diverse opzioni che il cinema avrebbe potuto fornire. Ovviamente, il film rimane molto vicino all'opera teatrale, ma grazie alla libertà che la telecamera ti dà, il cinema crea un diverso tipo di intimità. Il punto di vista cambia, ti obbliga a reinventare te stesso, per trovare un ritmo diverso, anche se le emozioni che si vogliono trasmettere rimangono le stessi. Perché eri così interessato a questa storia? All'inizio, non riuscivamo a finire le nostre battute, eravamo piegati dalle risate. Il giorno della prima lettura con i co-protagonisti, di fronte a degli scrittori e i nostri agenti, è stato quasi preoccupante: non riuscivo a completare una frase. La forza di questa storia è la sua universalità: questo è successo a tutti noi. Un aneddoto, una frase, qualcosa di stupido a cena una sera, tra amici o in famiglia, e tutto ad un tratto, scoppia una tempesta. In questo gruppo, ci sono troppe cose non dette. Con la famiglia o con gli amici, si va avanti fianco a fianco, senza realmente vedersi e parlarsi. Quella sera, a cena dalla sorella, Vincent ha uno stato d'animo ottimista, che è nella sua indole. Vuole farsi una risata, ma questa volta, va un po' troppo oltre. E questo fa scattare un conflitto sproporzionato. La costruzione, l'evoluzione di CENA TRA AMICI integra molti elementi che sono alla base della nostra società. È critico, divertente, intelligente, crudele, a volte violento. Sul palco, c'era ovviamente il concetto di compagnia teatrale. Vedendo il film, anche se Charles Berling si è unito solo successivamente, questo aspetto di gruppo ristretto si percepisce dallo schermo. È stato molto piacevole vivere questa avventura collettiva. Ci siamo davvero comportati come una troupe, ma questo, in effetti, era essenziale. Nel racconto, recitiamo la parte di amici che si conoscono da 30 anni, una vera famiglia. Questo doveva essere reso sullo schermo, molto più di un semplice rapporto tra attori. Ed è vero, abbiamo tutti legato bene. Nel teatro, abbiamo messo su 250 performance senza intoppi, sempre con l'idea di fare meglio, di andare avanti, aiutandosi a vicenda, e le riprese del film sono state costruite su questa dinamica. Charles si è unito a noi lungo il cammino, portando una nuova prospettiva, e ha subito legato con tutti. Siamo andati d'accordo sin da subito. È stato meraviglioso recitare con lui. Vincent, il tuo personaggio in Cena tra amiciè un ragazzo di successo: ha soldi, potere e fascino. Stranamente, questi sono luoghi comuni spesso applicati a te nella vita reale. È così? (Ride) Abbiamo tutti delle etichette, che ci piaccia o no. Si potrebbe anche riderne, ed è quello che ho cercato di fare insieme ai registi. Abbiamo giocato con questi cliché, soprattutto nel modo in cui viene introdotto il personaggio all'inizio del film. Vincent sembra molto sicuro di sé, quasi arrogante, ma vi posso assicurare che la cosa non dura. Successivamente, crolla! Questo è l’aspetto interessante in questa storia: ognuno è a turno carnefice e vittima. Nel tuo metodo di creazione del personaggio, quest'uomo corrisponde a persone che conosci, persone che hai incontrato? È come te? Ero sicuro che non lo fosse, ma dal momento che due o tre amici mi hanno detto che lo era, o devo cambiare idea, o devo cambiare amici. (Ride) In realtà, il personaggio di Vincent è scritto in modo così preciso che mi sono lasciato trasportare da ciò che gli scrittori avevano immaginato. Ho solo detto a me stesso che dovevo rimanere commovente e simpatico, altrimenti avrei potuto essere insopportabile. Per fortuna, lui ha abbastanza fascino da compensare questo aspetto. Probabilmente da ragazzo era quella persona che cercava l'autorità, la pupilla dei suoi genitori. Anna, la moglie , ha quest’autorità. Lei non è come le altre, ha forza e sa come metterlo in riga. Il ruolo di Vincent ti si addice bene. Diresti che è arrivato al momento giusto nella tua vita e carriera? Un ruolo come questo arriverebbe al momento giusto, in qualsiasi punto di ogni carriera. È un vero dono. Il mio unico merito è di aver colto l’occasione. Sono felice che il film abbia funzionato così bene, così come la pièce; Alexandre e Matthieu, i registi, sono così intelligente che si sono adattati perfettamente alla situazione. Era il loro primo film insieme. Per questo avevano preparato tutto, fin nei minimi dettagli, anche il più piccolo riferimento. Noi attori abbiamo accompagnato questo progetto. Ero lì quando avevano bisogno di me, ho dato il mio punto di vista, alcune idee, buone o cattive che fossero. Sono riusciti a suscitare entusiasmo in tutta la squadra, la troupe, i loro produttori, i distributori. Non si ha nemmeno la sensazione di vedere un film d'esordio. È stato gratificante. Sono rimasto molto colpito. Data la tua esperienza, la tua carriera e il tuo ruolo nello show business, sono rimasti tutti colpiti dalla tua capacità di accogliere nuove idee. Bisogna essere al servizio del film. Sul set, non sono solo interessato a me e a quello che devo fare. Mettersi a disposizione di un regista, dei suoi sogni, delle sue fantasie, è un privilegio straordinario. Nelle vesti di cantante faccio tutto per me stesso. Prendo le decisioni relative alla scenografia, all’ordine delle canzoni, il luogo del concerto. È tutto concentrato su di me. Quindi, se non ho almeno una attività in cui sono al servizio degli altri, come posso andare avanti? (Ride) Mi piace molto stare sul set, c’è sempre da imparare, mi piace arricchire me stesso attraverso l'incontro con gli altri, e la loro comprensione. Sono molto interessato agli aspetti tecnici, ad esempio: le lenti, gli angoli, le indicazioni per gli attori. E forse un giorno ... Vuoi provare a dirigere? Sì, ma dovrei rispondere a una necessità. Non ha senso fare un film solo per il gusto di farlo. Deve rispondere ad un bisogno di dire qualcosa, raccontare una storia. Deve tenerti sveglio la notte. Una vaga idea non è sufficiente. Ho montato molti dei miei video musicali, ho anche girato alcuni di loro, ma questo non fa di me un regista. Un libro di interviste, "Conversation" con Claude Askolovitch, Cena tra amici, poi un nuovo album e un tour: il 2012 è un anno eccezionale per te? Sì, faccio sempre un sacco di cose - forse troppe - ma comunque non mi stanco mai di niente. Ho ancora appetito, curiosità ed entusiasmo. Ho una vita professionale intensa e passo molto tempo con i miei figli. Devo solo imparare a darmi il tempo di non fare nulla, ma questo è il soggetto del libro. (Ride) Sai, anche se torniamo indietro a quando avevo 15 anni, non sono mai stato un nullafacente. È un peccato, perché è una grande qualità: alzarsi tardi, vedere un film, incontrare un amico per pranzo, un drink, la lettura ... Per concludere, e dato che hai parlato dei tuoi figli, che cosa ti ricordi sulla scelta dei loro nomi? Non c'è stato dibattito! Ho subito capito che era meglio non dire nulla. Una volta fatto, la cosa peggiore che ci si sente dire è: "Non è male". Questo lo dicono le persone che lo detestano. Per entrambi i miei figli, è successo esattamente allo stesso modo, sfogliando il libro dei nomi. Siamo arrivati a Oscar e ci siamo guardati: era quello giusto. Due anni dopo, è stata la stessa cosa per Léon. La nostra unica condizione: che non avessero diminutivi, li odio. Il nostro nome è il primo fardello, che può essere più o meno pesante da portare, ma dice molto su noi stessi. Di recente, ero a una sessione di canto per il mio libro a Lione. Una signora si presentò e mi chiese un autografo per i suoi cinque figli. Avresti dovuto sentire i nomi. Il primo, ed era il più semplice, era Enguerran! Ho proposto di andare a vedere il film con loro. INTERVISTA A VALÉRIE BENGUIGUI Babou è un personaggio particolarmente interessante proprio perché, di tutto il gruppo, lei è l'unica che non viene chiamata con il suo vero nome, ma con un nomignolo. È come se questa donna avesse permesso alle persone che la circondano di sminuirla… Sì, senza dubbio, ma ha accettato. All'inizio, si attaccava all'amicizia tra i due ragazzi, come sorella di Vincent, poi come moglie di Pierre. Nel corso del tempo, ha messo molto più di se stessa da parte. Tutti abbiamo i nostri segreti come attori su come portare i nostri personaggi in vita. Ho inventato una storia su Babou, l'ho immaginata sempre sullo sfondo, con il desiderio di essere parte del gruppo i cui principali attori sono il fratello e il futuro marito. In parallelo, lei ha creato un legame più intimo con Claude, che è più dolce, quasi femminile. Così ha permesso a se stessa di essere dominato, ha avuto figli, ha messo la sua carriera da parte, accettando questi compromessi per il bene dell’amore e della tranquillità. Fino a quando esplode. Sì, perché lei è una persona sensibile, generosa, una donna ingenua, ma anche intelligente. Aveva senza dubbio molte possibilità per il futuro, un potenziale reale, tanti sogni. E durante quella cena, lei è pronta, lei sente che è arrivato il momento di esplodere. Non puoi mettere la tua vita eternamente in attesa senza ottenere qualcosa in cambio. L'ingratitudine diventa insopportabile per lei, perché anche lei ha un proprio parere. Che cosa ha Babou in comune con te o con le persone che conosci? Un sacco, ma alla fine, nemmeno più di tanto! Per un periodo della mia vita, avevo la tendenza a mettere da parte i miei obiettivi, ma non mi sono mai sacrificata. È lì che mi identifico in lei. Il successo del gioco della pièce ha molto a che fare con il casting fatto da Bernard Murat. Nella tua vita personale, scegliere César e Abramo come nomi per i vostri figli ha creato problemi? Per i miei genitori, è stata l'occasione per accendere una grande discussione! Pensavano César fosse un po' antico come nome e non riuscivano a capire, ma per Abraham, è stato ancora più complicato. Mia madre mi disse: "Ti rendi conto del fardello che gli stai mettendo addosso? È un grosso problema". Avevano paura. Paura che sarebbe stato un fardello troppo pesante, paura dell'anti-semitismo, paura che sarebbe stato deriso. Fino al punto in cui tutti ci dissero: "Siete pazzi". Quando è nato mio figlio, io e mio marito lo abbiamo chiamato Eli per una mattina alla clinica. E poi, dopo un po' di riposo, ci siamo guardati e abbiamo capito che non aveva l'aspetto di "Eli", così abbiamo cancellato il nome dalla lista e ridato il suo. Oggi va tutto bene per tutti, César e Abramo sono nomi formidabili. Cena tra amici analizza anche alcuni aspetti della società attuale, in particolare il ruolo delle donne. Personalmente, non vivo in un ambiente retrogrado o maschilista, ma mi confronto spesso con piccole azioni o commenti, che metto subito in chiaro, gentilmente e con umorismo. Allo stesso tempo, penso che se si parla di parità, abbiamo ancora molta strada da fare. Nel film, Babou, moglie e madre di famiglia, è relegata in cucina, ma ha accettato quel ruolo, quindi è colpa sua, almeno fino a quella fatidica sera. Cosa hai trovato di interessante nel seguire questo personaggio dal teatro al cinema? Ero molto curiosa, e al tempo stesso, mi chiedevo quale sarebbe stato il risultato. Come avremmo potuto annullare ciò che avevamo fatto? Non avendo mai partecipato ad un adattamento per il cinema, ero convinta che il teatro e il cinema si basassero sullo stesso processo. Quello che ora so è che l'approccio è totalmente diverso. Semplicemente perché sul palco, devi mettere su uno spettacolo per 800 persone ogni sera, pensando allo spettatore in fondo alla sala, mentre nei film, la telecamera può arrivare così vicina da catturare anche il minimo battito di ciglia. Quindi devi prendere tutto diversamente, parlare diversamente, e inventare un'altra tecnica. È stato un lavoro affascinante, amplificato dal fatto che ho cambiato marito, con l’arrivo di Charles Berling. Infatti, lo spirito del cast era molto importante in questo progetto, sia per il teatro che per il cinema. Ed è venuto del tutto naturale. Nel teatro, non hai molta scelta: senza un gruppo affiatato, è molto difficile recitare. Tutto deve avvenire insieme, dobbiamo ascoltare gli altri, e parlare tra di noi. In questo caso è andata bene, quindi attori e sceneggiatori erano tutti felici di tornare a lavorare insieme per il film. A dire il vero, i nostri camerini erano molto confortevoli, ma abbiamo preferito restare in una sorta di piccolo salone accanto al set per sentire cosa stava succedendo e per chiacchierare con Alexandre e Matthieu. Hai avuto esperienze meravigliose in film comici quali La verità sull'amore, Safari, Les Tuche, Troppo bella! e Pur Week-end. Cena tra amici sembra combinare diversi stili comici. Tutto quello che amo! Non c'è dubbio che adoro far ridere la gente, ma ho anche bisogno di autenticità, e di una certa profondità. Non potevo affrontare un ruolo quasi soltanto dal punto di vista comico, soprattutto sapendo che, quando è coinvolta anche la tragedia, è ancora più divertente. Poi, è nella mia indole. Detto questo, mi vedo molto più come attrice tragica piuttosto che comica, ma a quanto pare quando piango, faccio ridere, quindi ecco fatto. Con Cena tra amici, grazie a Matthieu e Alexandre, sono appagata. La tua carriera è già ricca di incontri emozionanti e personaggi eccezionali, ma il ruolo di Babou sembra avere una particolare importanza. Oh, lei non è assolutamente come gli altri. Raramente ho avuto un personaggio così completo e meraviglioso. Come attrice, è stato un regalo, come il mio personaggio in Troppo Bella! Mi era già stata offerta la parte di Babou per il teatro, e poi ho avuto la fortuna di portarla in vita su pellicola. Conosco un sacco di attori che avrebbero lottato per avere quel ruolo. Personalmente, mi piace interpretare personaggi estremi, perché vivere intense emozioni è ciò che interessa e mi fa andare avanti. Potrebbero essere lontani da chi sono realmente, ma se sono stati in situazioni che non conosco, mi piace recitare quel tipo di donna: Françoise Bettencourt-Meyers, per esempio. Mi piace il rapporto affascinante tra madre e figlia. Mi piacerebbe anche interpretare una prostituta, una suora, un tossicodipendente, una psicotica, e una pazza. Mi piacerebbe interpretarli tutti! INTERVISTA A CHARLES BERLING Tu sei il nuovo arrivato in questa avventura dal momento che non facevi parte del cast teatrale, che fonde una tipica farsa teatrale ad alcune riflessioni più profonde. Ho visto l'opera e mi ha colpito il suo ritmo, il senso che i personaggi esprimono continuamente. Quello che mi piace di quel tipo di scrittura è che corrisponde ad un quadro generale della Francia contemporanea. Era vero sul palco ed è la stessa cosa sul grande schermo. Come se certe ansie tipicamente francesi fossero state tradotte da un gioco totalmente sfrenato, e uno abbastanza violento, portando a qualcosa di veramente divertente perché quella violenza è assolutamente accettata. Pierre, il mio personaggio, rappresenta un francese colto - uno che lavora, ma che sta perdendo il suo status e i suoi punti di riferimento. È l'opposto di Vincent, il personaggio di Patrick Bruel, che è abbastanza a suo agio con l'idea di guadagnare soldi, che non è appesantito dai principi e che vive nella nostra società attuale. Il loro confronto è eccezionale, e per di più, l'energia delle riprese lo ha evidenziato: corrisponde a ciò che gli sceneggiatori hanno pensato e la realtà che vogliono descrivere. La farsa francese cerca sempre di evitare argomenti controversi: qui, anche se la struttura è infatti piuttosto classica, Alexandre e Matthieu hanno aggiunto elementi crudeli, quasi scadenti. Ed ero davvero attratto da questo lato eccessivo. Come si fa ad integrarsi in un gruppo di attori che ha già fatto 250 spettacoli e quindi hanno molto in comune? Ne abbiamo parlato con gli sceneggiatori ed è stata l'occasione per destabilizzare certe abitudini, per agitare un po' le acque. Per me, era un film e non ho dovuto "reinventare" me stesso in relazione all'opera teatrale originale. Jean-Michel Dupuis, che ha interpretato Pierre a teatro, era bravissimo, ma fin dall'inizio, era molto chiaro che volevo proporre qualcosa di diverso. Non si trattava di copiarlo. Il fatto che mi abbiano scelto ha portato automaticamente a qualcosa di diverso, e alla necessità di trovare un equilibrio diverso all'interno di questo quintetto. Sono stato anche fortunato di lavorare con colleghi che avevano la completa padronanza dei loro ruoli, e a recitare su un set sensazionale con registi che conoscevano il copione a memoria, ma anche pronti a modificarlo se necessario. Ma tutto fu fatto con molta precisione, perché con script buoni come questo, non ci sono così tanti modi diversi di interpretarli. Veniamo a Pierre, il tuo personaggio in Cena tra amici. Ciò che colpisce è il suo lato egocentrico e "borghese-bohemien". Poi, nel corso della narrazione, ci si rende conto a poco a poco che grande vigliacco sia nel suo approccio alla vita. Sì, è una di quelle persone che ha un appetito incredibile per la vita, energia genuina, ma che, con il passare del tempo, si lascia intrappolare dalle apparenze, dalle banalità dell'esistenza - quindi il lato "bobo". Non è più realmente in contatto con la realtà, con quello che accade intorno a lui. Per esempio, quando viene attaccato da Babou, sua moglie, che tutto ad un tratto si rivela, con i suoi errori e i suoi difetti, Pierre è la persona più sorpresa. Pierre è una persona colta, di sinistra, a favore di tutte quelle cose come la parità, ma allo stesso tempo che si comporta esattamente come Vincent, che è apparentemente agli antipodi in termini di valori. Critica gli altri per difetti che in realtà ha per primo. Il fatto che si sia inventato una vita tutta sua che crede che possa nascondere la sua codardia. Conosci bene quel mondo:come artista, ovviamente, ma anche grazie alla tua famiglia perché uno dei suoi zii era il celebre critico letterario Raymond Picard. Hai tratto ispirazione dal tuo ambito familiare per costruire il personaggio di Pierre? Sì, certo. Conosco molto bene questa tipologia di ceto medio, la rigidità culturale, e inoltre, fa parte di me. Ho solo dovuto attingere a questo, sperando nello stesso tempo di non raggiungere il punto di non ritorno! Ecco perché questa commedia è interessante: ci si identifica e si riconoscono le proprie debolezze. Questo quadro crudele ci fa ridere e ci allevia allo stesso tempo. Mi sono avvicinato al ruolo con molta emozione e gioia, perché mi ha permesso di affrontare cose che non avevo mai affrontato prima: quell’isteria, quella dismisura nelle relazioni di potere, e quell'autoritarismo abominevole Insieme alla grande comicità nel film, la questione centrale è infatti: "Può l'amicizia sopravvivere a una crisi, a una totale messa a nudo di tutto il risentimento che è stato nascosto per anni? E la risposta è sì. Inoltre, questo è ciò che gli sceneggiatori hanno catturato così brillantemente. Dopo tutto quello che si dice, le cose riprendono. E non solo la loro amicizia resiste a questa crisi, ma si nutre di quello che è appena successo. Questo ci riporta a quello che ho detto: è tipicamente francese. Se il gioco funziona così bene, è perché Alexandre e Matthieu sono prodotti puri della nostra cultura nazionale. E quando li si conosce, si nota che tra le righe del loro copione, stanno anche parlando un po’ di se stessi. Questo è ciò che rende bravo uno sceneggiatore: non si risparmiano. Quella sera, quell’ora e mezza totalmente incandescente, cristallizza tutte le passioni che li hanno motivati da sempre. Anche all'interno della coppia formata da Pierre e Babou, ci sono cose non dette, il risentimento e la viltà improvvisamente escono allo scoperto. Sì, ma ancora una volta, nulla verrà distrutto da questa terribile serata, perché il legame che unisce queste persone è molto forte. Okay, tutti questi personaggi appaiono del tutto matti, ma - e questa è la cosa più importante – sono anche pieni di amore. Hai un ricordo sereno sulla scelta del nome di tuo figlio Émile? Diciamo che, a differenza di mio fratello, sono rimasto più nel classico. Émile è un nome classico, mentre i miei nipoti si chiamano Balthazard e Maia. È vero che i nomi dei miei figli nel film, Apollin e Myrtille, mi ha fatto pensare a mio fratello. Ma è ben visto dagli scrittori: viviamo in una società che cambia, alla ricerca di identità, e la scelta del nome è cambiata completamente negli ultimi 20 anni. Cena tra amici parla proprio di questo, è qualcosa di più profondo di semplice commedia teatrale, rivela verità più dolorose, come le due facce della Francia che attualmente si stanno confrontando. Cena tra amici fa venire in mente anche un altro dei tuoi film, RIDICULE di Patrice Leconte, con questa idea della cena durante la quale i partecipanti si lanciano frecciate a vicenda in nome di una ‘cultura’ che in realtà è solo apparenza, nonostante l'ignavia di alcuni ospiti. Una delle analogie riguarda il piacere tipicamente francese di sfruttare la parola, parlando, impegnandosi in vera e propria giostra verbale durante un pasto. Anche se questo significa esagerare, come ha fatto l'abate interpretato da Bernard Giraudeau davanti al re in RIDICULE. Ti distingui in questa commedia, che ha qualcosa da dire, eppure, non capita spesso di vederti in questo genere di film. In realtà mi viene raramente offerto questo genere di ruoli anche se ne ho interpretati altri. Penso di essere etichettato come un attore tragico, una persona seria, quasi dolorosa. Questo mi turba un po’, perché considero le arti drammatiche nel loro complesso e non ho mai considerato tragedia e commedia in opposizione l’una con l’altra. Mi piacciono proposte come Cena tra amici perché c'è una base su cui costruire, ma che richiede una risata. Ho iniziato in una commedia, mi piace, ma non è questo il modo in cui la gente mi vede ed è un peccato. Di qui la sensazione che il ruolo di Pierre stava aspettando proprio me. INTERVISTA A GUILLAUME DE TONQUÉDEC Come descriveresti Claude, il tuo personaggio? Durante una buona parte del film, ci si chiede se è solo discreto o decisamente debole. Ovviamente non possiamo rivelare tutto, quindi è un po' complicato. Ma Claude si presenta come "il buon amico", un po’ viscido, il che gli permette di non rivelarsi troppo. È un po' come le piume d'anatra, sulle quali l'acqua e gli eventi riescono a scivolare senza conseguenze. Sempre ottimista, non viene toccato dai piccoli commenti, anche se a volte dolorosi. È il tipo di ragazzo su cui si può contare per sfogarsi perché è un buon ascoltatore e rassicura gli altri. Naturalmente, la gente non presta molta attenzione a lui, ma questo gli sta bene, come rivela la storia nella seconda parte. Quando ho scoperto questo personaggio, ho pensato subito ad alcune persone che conosco che non riescono mai ad aprirsi, che vogliono fare parte di un gruppo, perché così non devono parlare molto di se stessi, e che evitano di parlare della loro vita privata anche nel più intimo faccia a faccia. Questa è senza dubbio una strategia di sopravvivenza. Al punto che, nel film, i suoi amici, che dovrebbero conoscerlo bene, arrivano a immaginare una sua vita che non rispecchia affatto al realtà. Questo è ciò che rende il personaggio affascinante: il suo lato misterioso intriga gli altri. Ho dovuto dare indizi sufficienti durante l’interpretazione affinché gli altri potessero immaginare cose che non riflettono la realtà. Questa è la natura dei segreti: stimolano la fantasia. Bernard Murat aveva una formula per riassumere Claude: "È una comparsa che diventa protagonista". Visto che stiamo parlando della commedia originale, quali modifiche hai dovuto fare per passare dal palcoscenico al grande schermo? Il più grande lavoro per noi come attori è stato quello di cercare di dimenticare ciò che avevamo fatto a teatro. Le riprese sono iniziate nell’agosto del 2011, poche settimane dopo l'ultimo spettacolo teatrale. Dovevamo essere freschi, azzerare i mesi precedenti, e passare attraverso il filtro degli sceneggiatori che avevano adattato il loro testo per il cinema. È stato un lavoro molto particolare che prevedeva di “disimparare”. Allo stesso tempo, avevamo un bagaglio di 250 spettacoli e i consigli del regista Bernard Murat. Questo si è rivelato alla fine un’enorme fonte di ricchezza e di libertà che ha reso il lavoro sorprendentemente facile. In più questo nuovo set straordinario, la presenza delle telecamere, ci hanno permesso di essere ancora più autentici, più realistici, esasperando la violenza e l'umorismo dei personaggi. Per te c’era un motivo, un desiderio di proseguire l'avventura dal teatro allo schermo? Prima di tutto, sono stato molto fortunato ad aver preso parte a una commedia con un successo così inaspettato. Ero molto curioso di vedere come sarebbe stato il film. Con la prima lettura, rimasi quasi deluso: era la stessa cosa, almeno su carta. In qualità di attore, volevo esplorare nuove strade. Ma in realtà, Alexandre e Matthieu, come sceneggiatori, avevano ragione. Una volta che la scena è impostata e la porta dell'appartamento si chiude, sei bloccato, in trappola. Niente doveva essere modificato. Poi hanno aggiunto alcune scene che prima non esistevano, come quella con Françoise Fabian che interpreta la madre di Patrick Bruel e Valérie Benguigui. Quelle erano i piccoli momenti di libertà in cui potevamo inventare le cose che si potevano solo immaginare a teatro. Conoscevamo Alexandre e Matthieu come sceneggiatori, ora abbiamo scoperto Alexandre e Matthieu come registi. Sono un duo dinamico: precisi, appassionati, complementari, con un controllo totale sui propri soggetti e il loro cast, e per di più, sono sempre di buon umore. Tanto di cappello. Il film è stato realizzato con passione genuina e grande piacere, che sicuramente sono riusciti a trasmettere sul grande schermo. Quando si guarda questo gruppo di amici in azione, ci si chiede per quanto tempo il gruppo avrebbe potuto continuare a funzionare con i falsi pretesti che, a un certo punto nel film, finiscono per essere spazzati via. Il mio personaggio, Claude, era sicuramente molto propenso a scoppiare dato il peso del suo segreto, nei confronti di Babou in particolare. Ha condiviso assolutamente tutto con lui da sempre ed è convinto - almeno spera - che la cosa sia reciproca. Quindi, avrebbe potuto continuare ancora a lungo? No. Mettere le cose finalmente in chiaro è per Claude allo stesso tempo doloroso e un sollievo. In realtà, questo è il tema reale del film: l'amicizia può sopportare un simile attacco? Alexandre e Matthieu sono andati oltre una semplice farsa: ci si pone una vera e propria domanda sulla società e, credo che la risposta sia abbastanza ottimista. Con una risata che diventa forzata in certi momenti, perché il tema centrale della narrazione ricorda situazioni che tutti noi abbiamo vissuto. Certamente. Questa è una delle cose che fa funzionare il testo, sul palcoscenico e sullo schermo: questi cinque personaggi esistono realmente. Li conosciamo, sono universali, per cui li troviamo reali. Lo stesso vale in amicizia e in amore: le ferite a volte lasciano il posto a un nuovo inizio. Parliamo di questo gruppo che si vede sul grande schermo. Tutti avete avuto l’esperienza del teatro - tranne Charles Berling che si è unito solo successivamente - e si ha la sensazione di guardare una vera e propria squadra. Vi è venuto naturale? Questo è il limite del mestiere dell'attore. Naturalmente, quando si lavora a teatro o sul set si deve seguire il copione,e in questo caso, dovevamo recitare il ruolo di grandi amici. Ma quando c’è amicizia anche lontani dal set, è meraviglioso, ed è stato proprio così. Siamo davvero un gruppo affiatato, credo che questo si percepisca anche attraverso il grande schermo. Abbiamo trascorso i momenti di prova e performance in cui ognuno di noi si presentava con il proprio buon umore o le lamentele della giornata. Questo tipo di condivisione è sincera. Inoltre, l’arrivo di Charles per il ruolo di JeanMichel Dupuis è stato importante: ci ha dato una scossa, ci ha costretti ad ascoltarlo, ha interrotto la nostra routine quotidiana. Era come un estraneo che doveva essere accettato, e alla fine è stato di grande aiuto per il film. Tu sei padre di tre figli. La scelta del nome è stato un problema per te? Per il nostro primo figlio, ingenuamente abbiamo detto a tutti i nostri amici e parenti il nome che avevamo deciso. Ci siamo presto resi conto che si tratta di una scelta così intima che non si dovrebbe rivelare agli altri, perché tutti avranno la propria opinione. E il bambino, che non è ancora nato, ha già un peso enorme sulle sue spalle. Si dà luogo a reazioni del tutto inaspettate. Questo è quello che mi ha colpito sulla paternità: rivela informazioni sui genitori, la famiglia, gli amici o voi stessi di cui non si aveva benché la minima idea. La narrazione in Cena tra amici è rivelatrice. Cena tra amici è stato il tuo primo ruolo importante, eppure sei tutt'altro che un esordiente. Dal 1986 e il primo ruolo in Frantic di Roman Polanski, hai lavorato con Tacchella, Granier-Deferre, Kieslowski, Ruiz, Veber, Becker e molto altio. Eppure, abbiamo la sensazione che ti stanno scoprendo per la prima volta. Cosa significa per te avere questo tipo di esposizione? È vero che sono stato "in affitto", come si dice, per 25 anni. Ho 45 anni, sono andato al Conservatorio all'età di 20 anni e ho recitato prevalentemente in teatro, con una, due o tre opere all'anno. L'idea delle riprese mi spaventava, perché nel cinema, non si ha il controllo di tutto, in particolare della parte tecnica, che mi sembrava un vincolo terribile. Eppure, allo stesso tempo, volevo davvero farlo. Onestamente, penso che non ero pronto quando ero più giovane. Quindi, anche se non sono ancora quello che si potrebbe chiamare una stella, sono felice di aver avuto questa occasione, anche se è arrivata un po’ in ritardo. Ho avuto il tempo di maturare con calma. La gente mi ha detto che i quarant’anni sono un buon periodo per un attore, e posso confermarlo. Stranamente, è stata una delle mie prime esperienze in TV, in "Il commissario Cordier", che mi ha insegnato molto, attingendo dal modo di lavorare di Pierre Mondy. E poi naturalmente c'era "Fais pas ci, fais pas ça". Forse il successo di quella serie su France 2 ha avuto un impatto sulle offerte che ricevi oggi? Ha cambiato tutto. Per interpretare Renaud Lepic, ho dovuto usare tutta la mia esperienza in teatro, dove bisogna continuamente ri-fare le cose, ri-lavorare per essere ancora migliori. Questa tecnica diventa una vera e propria risorsa per interpretare un personaggio come quello. Poi ci fu la sceneggiatura di Anne Giafferri e la regia iniziale di Pascal Chaumeil, al quale devo molto, e che ha fatti sì che il programma raggiungesse un pubblico più vasto. Un successo del genere tocca tutte le categorie di pubblico, ma anche - e grazie a Dio - la mia professione. Così si accumulano le offerte, ma non è sempre così facile quando si è classificato come un personaggio troppo televisivo - può essere difficile fare qualsiasi altra cosa. È vero, la mia carriera in teatro senza dubbio mi dà una certa importanza professionale. Stiamo lavorando alla quinta stagione di "Fais pas ci, fais pas ça", e sul fronte cinematografico, ho appena iniziato le riprese di AU BONHEUR DES OGRES di Nicolas Bary, prodotto da Dimitri Rassam e Jérôme Seydoux, tratto dal romanzo di Daniel Pennac. Ancora una volta, un copione meraviglioso. INTERVISTA A JUDITH EL ZEIN Anna è un personaggio interessante perché è l’ultima a unirsi al gruppo. È un po’ come un outsider, il che significa che non è ingannata dal loro comportamento e da come si relazionano gli uni agli altri. Li conosce, ma non fa parte del meccanismo emotivo della famiglia. Questo tipo di rapporto le è estraneo. Arriva senza sapere molto quando li raggiunge per la serata, ma non conosce nemmeno l’intimo risentimento che lega gli altri personaggi. Ciò che ho trovato interessante in Anna è che non è la classica bionda senza cervello, ma solo la moglie di qualcuno. In una commedia convenzionale, ci si potrebbe aspettare che la donna al fianco di Vincent Larchet, uomo brillante, ricco, arrogante e cinico, sia una pollastra stupida. Come se una personalità brillante attragga il suo opposto. Ma in questo caso no, è l’esatto contrario. Questo è uno degli aspetti più profondi del rapporto tra Anna e Vincent: quel tipo di donna che lo aiuta a restare vigile, lo tiene sulle spine. Lei non si lascia ingannare dal suo partner. Conosce i suoi capricci. È una donna colta, che lo sorprende, sa tenerlo in pista e sostenerlo, pur rimanendo gentile. Quali modifiche sono state apportate al personaggio nel passaggio dal teatro al grande schermo? Sono passati due mesi dall’ultimo spettacolo teatrale al primo giorno di riprese. Ne ho approfittato per dimenticare tutto. Ho letto la sceneggiatura una volta, ho messo il testo da parte e l’ho ripreso solo il giorno prima dell’inizio delle riprese. Ho dovuto trovare una sorta di equilibrio instabile da usare per il film. Sai, abbiamo fatto 250 spettacoli, quindi dovevamo assolutamente dimenticare tutto per evitare di andare in automatico. Il film era diverso per la presenza di Charles, il cui carattere è diverso da quello di Jean-Michel Dupuis. Charles aveva il vantaggio - e paradossalmente anche un ostacolo - di essere completamente nuovo al copione e alle varie situazioni. La cosa più importante per me è stata quello di vivere il film come un film a sé stante e non come una continuazione della performance teatrale. Parliamo dell’aspetto fisico di Anna, allo stesso tempo glaciale e vulcanico. È molto divertente recitare il ruolo di bionda di ghiaccio la cui maschera crolla dopo tre minuti. Veste in modo molto femminile, con dieci centimetri di tacco, anche se è incinta, è incantevole, ma solo fino quando qualcuno non le pesta i piedi. Una volta creata la crepa, tira fuori una sigaretta: adoro quell'immagine molto politicamente scorretta. Quali temi hai trovato più interessanti o commoventi in questa storia? I rapporti umani, tra la famiglia e gli amici. Mi piace il modo in cui gli sceneggiatori affrontato il “non detto”, lamentele nascoste, piccole ferite narcisistiche, che non guariscono mai veramente e che possono far crollare un rapporto come un castello di carte, solo a causa di uno scherzo preso per il verso sbagliato. E ognuno ha il proprio momento, non vi è solo un assassino e una vittima, tutti i personaggi sono di volta in volta brillanti e patetici allo stesso tempo. Non ci sono buoni e cattivi, sono semplicemente tutti esseri umani e imperfetti. Inoltre, è tutto molto divertente, e molto crudele. Hai fatto molto in teatro e in TV, quindi sei abituata al ritmo che deve essere mantenuto in una commedia che funziona. È stato facile passare dal palcoscenico al grande schermo? Il ritmo sullo schermo e nel teatro è molto diverso. Sul palco, è uno sforzo complesso che coinvolge anche la direzione. Nel cinema, c’è il montaggio, che è comunque un elemento importante. Alexandre e Matthieu sono registi. Avevano un'idea molto chiara delle riprese, l’aspetto che volevano, il set, grandi scelte di regia. Sono stati molto chiari sulla direzione da prendere e molto coerenti tra loro. Hanno reso la pellicola completamente diversa dall’opera teatrale, e in essa c’è una parte di loro. Per un attrice, recitare con personaggi del calibro di Bruel e Berling è stato difficile? Sai, non sono esattamente il tipo di donna timida che si mette da parte. Nonostante il fatto che loro avessero lavorato molto più di me, non avevo grandi preoccupazioni. Patrick e io ci siamo trovarti di nuovo davanti alla telecamera dopo una stagione insieme in teatro. Inevitabilmente, dopo un certo periodo di tempo si finisce per abituarsi gli uni agli altri. Per quanto riguarda Charles, non lo conoscevo, ma è stato tutto molto semplice e ci siamo divertiti sin da subito. Quindi no, non è stato difficile. Immagino che Le Prènom sia stato un film importante per la tua carriera. Ovviamente. Nel mese di aprile del 2010, Bernard Murat mi ha accolto nel suo ufficio per offrirmi la parte. Due giorni dopo stavo già provando con i miei compagni: in 48 ore, senza saperlo, la mia agenda si è riempita per un anno e mezzo, la pièce è stata un trionfo straordinario e la pellicola a seguire. E al di là del lavoro, ho fatto incontri speciali e meravigliosi: sono nate delle vere amicizie. Non è stata solo un avventura professionale, e questo è molto raro. CAST VINCENT - Patrick Bruel ELISABETH - Valérie Benguigui PIERRE - Charles Berling CLAUDE - Guillaume de Tonquédec ANNA - Judith EL ZEIN FRANÇOISE - Françoise Fabian PORTA PIZZE - Yaniss Lespert INFERMIERA CON BRACCIALE - Miren PRADIER APOLLIN - Alexis LEPRISE MYRTILLE – Juliette LEVANT La Troupe Registi - Matthieu Delaporte e Alexandre de la Patellière Scenografi, basato sull'opera di - Matthieu Delaporte e Alexandre de la Patellière Produttori - Dimitri Rassam Jérôme Seydoux Coproduttori - Romain LE GRAND Florian GENETET-MOREL Matthieu Delaporte Alexandre de la Patellière Serge DE POUCQUES Sylvain GOLDBERG Adrian POLITOWSKI Gilles Waterkeyn Produttori associati - Bernard e Andrée Zana MURAT Associate producer CAPITOLO 2 - Aton SOUMACHE Alexis VONARB Direttore della fotografia - David UNGARO Art director - Marie CHEMINAL Costumista - Anne SCHOTTE Responsabile make-up - Jean-Christophe ROGER Hair stylist principale - José Luis CASAS Ingegnere del suono - Miguel rejas Fotografia - Jean-Claude Lother Making-of - Alexandre Lecoeur Primo assistente regista - Joseph RAPP Segretario di edizione - Chantal PERNECKER Direttore di produzione - PILOT Benoit Production manager - Valérie LABBE Direttori di post-produzione - Pierre REYSSAT Abraham GOLDBLAT Montaggio - Célia LAFITEDUPONT Montaggio sonoro - Jean GARGONNE Mixer - Marc DOISNE Musiche originali - Jérôme REBOTIER