Untitled - Barz and Hippo
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Untitled - Barz and Hippo
1 Una tranquilla cena tra parenti e amici d’infanzia è turbata dalla discussione sulla scelta del nome per un bambino in arrivo. Caustico eppure leggero, un Carnage in famiglia, Cena tra amici (Le Prénom) è un piccolo film che riesce a divertire con intelligenza, scandagliando vizi e ipocrisie della borghesia francese, non molto diversa dalla nostra. scheda tecnica durata: 109 MINUTI nazionalità: FRANCIA, BELGIO anno: 2012 regia: ALEXANDRE DE LA PATELLIÈRE, MATTHIEU DELAPORTE soggetto: MATTHIEU DELAPORTE sceneggiatura: MATTHIEU DELAPORTE fotografia: DAVID UNGARO montaggio: CÉLIA LAFITEDUPONT musica: JERÔME REBOTIER costumi: ANNE SCHOTTE distribuzione: EAGLE PICTURE interpreti: PATRICK BRUEL (Vincent), VALÉRIE BENGUIGUI (Élisabeth), CHARLES BERLING (Pierre), GUILLAUME DE TONQUEDEC (Claude), JUDITH EL ZEIN (Anna), FRANÇOISE FABIAN (Françoise). Alexandre Patellière e Matthieu Delaporte Alexandre Patellière, scrittore e produttore francese, è nato nel 1971. Figlio del regista e sceneggiatore di Denys Patellière, ha iniziato nel cinema come assistente alla regia. Matthieu Delaporte, nato lo stesso anno, è un autore, sceneggiatore e regista per il cinema e la televisione. Dopo gli studi di Storia e Scienze Politiche, ha diretto il suo primo cortometraggio, Musica da Camera. Successivamente è entrato Canal +. Nel 2001, Alessandro e Matteo hanno iniziato a collaborare con la Onyx Films. Da allora, sempre insieme, hanno scritto molte sceneggiature e la televisione. Per il piccolo schermo hanno realizzato serie tv e adattamenti, come il Piccolo Nicolas di Goscinny e Sempé, e il Piccolo Principe di Saint-Exupery. Per il cinema hanno scritto diverse sceneggiature. Nel 2005, Matthieu Delaporte ha diretto il suo primo lungometraggio, La giungla, scritto con Alexandre e con Julien Rappeneau. Prénom, prima di diventare la loro prima co-regia cinematografica, è stata la loro prima piéce teatrale. la parola ai protagonisti Intervista a Matthieu Delaporte e Alexandre De La Patellière “Cena tra amici”, prima di diventare un film di successo, è stato uno spettacolo teatrale, ci raccontate come è andata? Matthieu: Una volta superata la terribile angoscia della prima notte, quando ti chiedi da quale ponte ti butterai se nessuno si metterà a ridere, abbiamo avuto un anno straordinario. Tutto esaurito ogni sera, vivere la vita dietro le quinte. E sapere che l’opera andrà in scena in tutto il mondo. Alexandre: Nella prima settimana, siamo stati contattati da teatri tedeschi e israeliani, che sono stati i primi ad attivarsi. Solo in quel momento ci siamo resi conto che avevamo davvero qualcosa tra le mani. Quando esattamente avete deciso di adattare l’opera al grande schermo, e poi dirigere le pellicole voi stessi? M: Abbiamo un background cinematografico, ma volevamo cambiare. Abbiamo iniziato a scrivere questa commedia senza alcuna idea di cosa sarebbe diventata. Volevamo scrivere di persone come noi, analizzare un aspet- 2 to leggermente diverso dei legami familiari, e farlo senza i vincoli cinematografici, senza dover giustificare nulla. Detto questo, il desiderio di adattarlo al grande schermo è nato appena finita l’opera. A: La voglia di scrivere questa pièce è venuta dal desiderio di indipendenza, ed è lo stesso desiderio che ci ha convinti a proseguire con l’adattamento cinematografico. Questo desiderio e, ad essere onesti, il nostro produttore Dimitri Rassam. Si sa che una buona pièce teatrale non corrisponde necessariamente a un buon film: questa era una preoccupa zione per voi? A: La cosa eccitante in questa avventura era trattare un genere ben preciso: la fase di trasformazione dal palco allo schermo. Così abbiamo fatto il nostro dovere, riguardando opere così diverse come “Mélo” di Alain Resnais, “Sleuth” di Joseph Mankiewicz, “Le Diner de Cons”, “Le Père Noël est une Ordure”, di Jean-Pierre Bacri e Agnès Jaoui, ma anche altre opere meno famose. Ci siamo resi conto che gli adattamenti che ci piacevano di più, quelli che sembravano più completi, erano quelli che abbracciavano la struttura “huis-clos”, con tutte le azioni che si svolgono in un unico spazio, impostate in tempo reale, e che rimanevano fedeli alla dinamica del suo concetto originale. M: Si è talvolta tentati di diluire la storia con l’aggiunta di flashback o trame secondarie, cogliendo ogni pretesto per fuggire dal set. La nostra decisione è stata quella di conservare il nucleo della narrazione e il ritmo del testo, ma con grande enfasi sul tempo e la naturalezza delle performance degli attori. Abbiamo dovuto cercare di rendere questo dialogo molto naturale, come se venisse direttamente da loro. La commedia è tutta una questione di ritmo – un mix di libertà e precisione. Bisogna lasciarla vivere per evitare che diventi meccanica o teatrale, ma allo stesso tempo, non si deve cadere nel naturalismo o nella loquacità. Abbiamo dovuto trovare un adeguato stile di scrittura cinematografica. Era un’ossessione, condivisa con il nostro direttore della fotografia, David Ungaro, e studiata con le tecniche cinematografiche: la carrellata, le inquadrature a mano, il grandangolo, il primo piano, il piano-sequenza, ecc. Abbiamo anche lavorato molto sul ritmo con la nostra responsabile di montaggio, Célia Lafitedupont. Quale era la vostra idea iniziale per il film? Rappresentare uno spaccato della Francia contemporanea? A: Essendo entrambi liberali borghesi, abbiamo dato ai nostri figli, tre maschi per Matthieu e due femmine per me – nomi piuttosto originali. Durante le vacanze in famiglia, abbiamo notato come questo abbia provocato rea zioni violente, anche in un ambiente relativamente colto come il nostro. La gente sembra concedersi la licenza di entrare nella tua sfera privata ed esprimere un parere sulla questione. Due cose ci facevano divertire: che la scelta di un nome è un argomento delicato, perché la dice lunga su di te e ciò che vuoi far arrivare di te stesso, e come la scelta dei nomi bizzarri faccia reagire gli altri. M: Abbiamo voluto scrivere della famiglia. La questione dei nomi apre una vera e propria finestra sulla società. Che si tratti di un nome classico o insolito, è una scelta nei confronti degli altri. Un nome è carico di significato, tanto per coloro che lo danno quanto per chi lo riceve. Abbraccia una dimensione famigliare, religiosa e sociale che, per sua stessa natura, condanna il figlio per tutta la vita, anche se all’inizio si trattava di un atto d’amore. Inoltre ci ha permesso di ridere di noi stessi e devo ammettere che abbiamo provato un piacere maligno nel deridere le nostre scelte. Abbiamo praticato una sorta di humor sado-masochista. Nel film date un “colpetto” alla sinistra di moda M: Nella vita reale, non sappiamo per chi voterebbero Charles e Patrick, ma nel caso dei loro personaggi, si ottiene un’idea molto chiara. Siamo figli degli anni ‘70, entrambi nati da famiglie molto politicizzate. Questo significa che da giovani abbiamo spesso assistito a vivaci dibattiti e liti di famiglia, così abbiamo deciso di affrontare proprio quest’argomento. E alla base è un argomento piuttosto antico. Quando abbiamo lavorato con la persona che ha adattato l’opera in tedesco, ci ha detto fin dall’inizio: “La famiglia nell’opera non poteva che essere francese”. Non aveva niente a che fare con la trama, ma per lui, era sicuramente una famiglia di origini latine. È vero, questo testo ricorda le commedie italiane, dove tutti chiacchierano all’infinito, dove le cose si scaldano rapidamente per poi raffreddarsi altrettanto rapidamente. Questo è un punto di riferimento reale per noi, uno stile ci nematografico che ha saputo catturare l’essenza del suo periodo, che è riuscito a prendere in giro i costumi della vita quotidiana con un misto di crudeltà e di affetto. 3 A: È anche una questione di maschere che si vedono attribuite in una famiglia e che si indossano quando si sta insieme: il figlio o la figlia preferita, quello dal quale ci si aspetta di fare bene, quello con la coscienza morale, e così via. E mi ha sempre affascinato vedere come vengono distribuiti i ruoli, come ognuno interpreta la propria caricatura. E nel confronto tra Vincent e Pierre – di primo acchito un politicante di destra materialista e un intel lettuale di sinistra – ci sono anche due amici d’infanzia che amano discutere, senza misurare le conseguenze per gli altri. Al di là delle differenze politiche, condividono il gusto per la discussione verbale. Qualunque siano le loro colpe, ci piacevano questi personaggi e volevamo evitare che il pubblico li guardasse dal punto di vista di un un entomologo. Al contrario, volevamo che il pubblico potesse identificarsi in loro, avere la sensazione di vivere questa cena in prima persona, essere in grado di identificarsi a turno con ognuno dei protagonisti. Uno dei punti di forza del film, senza nessuna costrizione, è quello di dare a ciascuno dei personaggi il loro mo mento per raccontare la propria storia, giusto? A: In una famiglia, di solito si pensa di sapere chi sono i leader e chi sono quelli dominati, ma quando anche que sti ultimi tirano fuori coltelli e mazze, a volte fanno più danni dei primi. Abbiamo voluto esaminare tutti i membri di questo gruppo, senza dimenticare nessuno. Questo è anche il soggetto del film. M: Ed è per questo che non vogliamo anticipare il nome in questione, il clou dell’opera e del film. L’annuncio del nome è come una granata stordente, che distrae l’attenzione e ci permette di mettere discretamente delle mine sotto ciascuno dei personaggi, ma che esploderanno solo successivamente. Abbiamo sempre pensato a questo come un film corale. Inoltre, dal punto di vista della regia, della sceneggiatura e del montaggio, al dialogo è stata data la stessa importanza dei momenti di silenzio, perché entrambi sono la chiave per ciò che viene detto e rivelato. Tanto più che le alleanze tra i personaggi non smettono mai di cambiare nel corso della serata. Continuando sui personaggi, cosa vi ha “guidato” per la scelta degli attori? M: Il desiderio principale era quello di creare una famiglia, un gruppo omogeneo, coerente. Avevamo bisogno di attori approssimativamente della stessa età in modo che si riusciva a far credere che fossero cresciuti insieme, amici d’infanzia. Abbiamo anche dovuto spezzare il ritmo dell’opera, e Charles Berling è stato bravo in questo. Il suo arrivo ci ha permesso di mescolare le carte e ha costretto ogni attore a reinventare la propria parte e cam biare musica. A: Il cinema dovrebbe aiutarci a portare un grado di realismo a questa famiglia. Abbiamo dovuto dipendere da due uomini che sono molto diversi, sia nella vita reale che sul palco, ma che, allo stesso tempo, sono molto simi li. E Charles Berling e Patrick Bruel hanno entrambi inesauribili appetiti e un’incredibile voglia di vivere. Eravamo certi che riunirli avrebbe creato scintille, il che ci ha dato tutta l’energia necessaria. Durante la sua brillante car riera di attore, Charles è stato spesso utilizzato per il suo lato cupo e intellettuale. Ma ha anche una follia, una qualità animale, un’energia estrema che abbiamo assolutamente voluto vedere sullo schermo. Ha dato a Pierre – un carattere eccessivo – una sorta di fanatismo radicale, una dimensione meravigliosa che è allo stesso tempo divertente e commovente. Il suo rapporto personale e professionale con Patrick ha superato di gran lunga le no stre aspettative. E Valérie Benguigui? A: Vuoi dire Valérie “Rolls Royce” Benguigui? Fin dall’inizio, ha dato una forza incredibile al personaggio, attingendo dalla sua forza interiore e dalla sua umanità. Inoltre, lei non ha paura di niente: abbiamo potuto fare mol to, totalmente al servizio del ruolo di Babou. M: Babou è il personaggio principale di questo gruppo. Ha invitato tutti gli altri. Lei è quella che si sforza di vedere che tutto vada bene, perché lei interpreta il ruolo di custode della coesione familiare. La forza di Valérie è pa ragonabile ad un vulcano che fa piccole eruzioni iniziali prima dell’eruzione finale. E allo stesso tempo, riesce ad essere in scene in cui ha pochissimi dialoghi o solo un’inquadratura. Ha un immenso potere comico, mentre dà vita e grande realismo al suo personaggio. Che dire di Guillaume de Tonquédec e Judith El Zein? A: Claude, il personaggio interpretato da Guillaume, è piuttosto enigmatico. Ha difficoltà a tener testa ai due ‘capobranco’ a questa cena. Fin dalla fase di produzione, sapevamo che Guillaume aveva altro da portare al perso naggio, perché anche lui ha una sensibilità fantastica e un lato comico pazzesco. 4 M: Il personaggio di Patrick dice di Claude, criticando la sua apparente passività: “Sei come un impiegato”. Che è abbastanza ingiusto, perché gli altri, impegnati con la loro giostra verbale, non gli prestano attenzione. Eppure c’è. Guillaume agisce come una superficie levigata su cui è possibile proiettare molte cose, eppure quando prende il ritmo, ti porta dove vuole. Lo stesso vale per Judith e il suo personaggio, Anna. Le apparenze ingannano. Al l’inizio, sarà possibile vedere solo una bella ed elegante donna bionda, la moglie trofeo, ma ben presto le crepe e il lato vulcanico di Anna prendono il sopravvento. Anna è la nuova arrivata del gruppo, sta cercando di integrarsi, ma non è pronta al compromesso. Quando Pierre la provoca, lei non esita a entrare nel ring e colpire di nuovo. Non cerca lo scontro, ma non fa mai marcia indietro. Judith è riuscita a portare humor e carattere al ruolo con un alto livello di talento. A: Il piacere di lavorare ogni giorno con gli attori è anche quello di riscoprirli, utilizzando il loro potenziale in un modo diverso. Spazzando via la loro solita performance e mostrando un nuovo, finora inimmaginabile volto. E la scelta di Patrick Bruel, attore di fama e successo? A: Oltre alla sua fama, i suoi molti successi e l’immagine del vincitore eterno che ha, Patrick è un artista molto sensibile che apre realmente se stesso nel suo lavoro. Egli vuole progredire, crescere, e non ha mai paura di tentare. Gli abbiamo detto che gli avremmo fatto passare l’inferno, dal momento che avendo visto recitare il ruolo tante volte sul palco, sapevamo che avrebbe potuto fornire una prestazione eccezionale. Così Patrick è arrivato con i suoi difetti, il suo entusiasmo, il suo gusto per il combattimento e l’avventura collettiva, non esitando a mettere la sua performance in discussione. Fino all’ultima ora della ripresa – un venerdì all’una del mattino – era lì, molto felice di fare la quindicesima ripresa. Lavorare con lui è stato un piacere immenso. M: C’è una certa ingiustizia nei confronti di Patrick. È vero che fa molte cose in modo diverso, ma non si fa que sto tipo di carriera senza una buona ragione. Ha un entusiasmo inesauribile e lui è un perfezionista. Gli piace dare suggerimenti, ma è sempre pronto riprovare per primo. Gode del piacere della ricerca. È molto divertente e stimolante. Ora, se non lo conosci, può sembrare un po’ fastidioso. Canta? Vende milioni di dischi! Fa un concerto? È tutto esaurito! Gioca a poker? È campione del mondo! Se fosse un mago, sarebbe David Blaine. Mi fa pensare al can tante della canzone Balavoine “Le Chanteur”, che avrebbe potuto cantare: “Mi presento, mi chiamo Patrick, ho un enorme successo. Sono adorato. Sono bello, posso guadagnare bene e in più, io sono intelligente …”. Si arriva a un punto in cui tutto quel successo diventa fastidioso, provoca la gelosia in noi persone normali. Quindi, piuttosto che combattere contro quest’aspetto, abbiamo pensato che sarebbe stato interessante giocarci. E dal momento che Patrick è molto intelligente e consapevole della sua immagine, ha pensato che fosse divertente spingersi fino in fondo. Non ha mai cercato di essere più intelligente o più forte del suo personaggio. recensioni Roberto Castrogiovanni. Movieplayer La storia del cinema (come quella del teatro e della letteratura) è piena di cene: si tratta, del resto, dell'occasione conviviale per eccellenza attraverso la quale una serie di personaggi può interagire e rapportarsi, incontrandosi ma anche scontrandosi. Sinonimo di comunione fin dal suo archetipo biblico, la cena nella maggior parte dei casi riveste una funzione unificatrice tra i vari commensali, che in questo modo riescono sovente a cementificare le loro relazioni e a stabilire un'armonia collettiva. Ma in altri casi, invece, l'occasione conviviale può rappresentare la miccia in grado di innescare tra i partecipanti tensioni fino a quel momento inesplose e di portare allo scoperto fattori di conflittualità per lungo tempo nascosti o rimossi. Ed è proprio su quest'ultimo aspetto che insiste il caustico Cena tra amici, adattamento cinematografico di un'acclamata pièce francese (dal titolo Le prénom) portata sullo schermo dai medesimi autori del testo originale, Alexandre De La Patellière e Matthieu Delaporte, servendosi (con un'unica eccezione: Charles Berling nel ruolo di Pierre) dei medesimi interpreti teatrali. Come accade di solito in questi casi, è un semplice pretesto, una provocazione di per sé poco significativa (si potrebbe quasi dire un MacGuffin), il punto di partenza da cui scaturiscono le esagitate reazioni degli invitati, dando origine a un serrato gioco al massacro dal quale nessuno esce indenne. Iniziale motivo del dibattere - come sottolinea il titolo originale dell'opera - è il nome cui Vincent (l'istrionico Patrick Bruel), un danaroso agente immobiliare decisamente molto sicuro di sé, vuole attribuire al figlio che sta per mettere al 5 mondo con la moglie Anna (Judith El Zein). Si tratta di una scelta provocatoria e sconveniente che scatena la risentita opposizione di Pierre (un misurato Charles Berling), docente universitario colto ma altezzoso; a sua volta spalleggiato della moglie Babou (la sorprendente Valérie Benguigui), insegnante e casalinga frustrata, e dall'amico d'infanzia Claude (Guillaume de Tonquedec), trombonista placido e bonario, ma dalla vita misteriosa. La tematica del nome come elemento dotato di una forte valenza simbolica - in grado di influenzare l'immagine di un individuo e il suo rapporto con gli altri - per quanto interessante, costituisce in realtà solo lo spunto iniziale da cui si sviluppa la complessa riflessione de La Patellière e Delaporte. Le prénom è, infatti, una feroce e virulenta satira sulla nuova borghesia (parigina, ma non solo) che ha l'obiettivo di smascherare la falsità dei rapporti sociali. Questi ultimi sono descritti come il risultato di ipocriti compromessi e di atteggiamenti stereotipati, determinati dalla propria estrazione, cultura e ideologia politica (la farsa si concentra soprattutto sullo scontro tra l'intellettuale snob gauchiste Pierre e il tronfio "uomo del fare" sarkozyano Vincent, da cui entrambi risultano sconfitti). Inevitabile è il paragone con Carnage, altro film tratto da un'opera teatrale di successo e caratterizzato da simili dinamiche narrative (lo stravolgimento delle consuete norme di convivenza civile in seguito a un banale fattore scatenante). Ma, mentre il dramma di Yasmina Reza e l'adattamento di Roman Polański, al di là del piano verbale, ponevano l'accento anche su una dimensione prepotentemente fisica e corporale, il ricercato esercizio di stile dei due autori francesi porta avanti invece una riflessione esclusivamente di tipo astratto e cerebrale. Sagace e acuto, caratterizzato dall'incalzare incessante di dialoghi taglienti e dal ritmo frenetico delle battute, Cena tra amici tuttavia risulta meno sconvolgente per lo spettatore, proprio perché lo svelamento dei tabù rimossi da parte dei personaggi rimane confinato al livello di un raffinato gioco intellettuale. Nonostante ciò, l'opera risulta comunque un estroso divertissement per palati fini, vero e proprio toccasana contro il proliferare di commedie sempre più superficiali, vacue e volgarotte. De La Patellière e Delaporte, inoltre, riescono ad adattare con efficacia la loro pièce proprio perché non ne tradiscono l'intima essenza teatrale; ma anzi la valorizzano, lavorando su un set simile a un palcoscenico e dirigendo i loro interpreti come se formassero una vera e propria compagnia. Al tempo stesso, viene sfruttata il più possibile anche ogni risorsa cinematografica - dal ritmo del montaggio, agli studiati movimenti di macchina, fino alla colonna sonora che mescola le partiture di Jérôme Rebotier con quelle di Richard Wagner - pur facendo rigorosamente perno sulle sbalorditive performance dell'ensemble d'attori, dotate di una tempistica calcolata col metronomo (ed estremamente difficile da riprodurre al doppiaggio). Giancarlo Zappoli. Mymovies Meglio avrebbe fatto la distribuzione italiana a tradurre letteralmente il titolo originale o, comunque, a rievocarne la specificità. È 'il nome' non tanto la cena il perno attorno a cui ruota tutto il film. A partire dai curiosi titoli di testa in cui i cognomi di chi ha collaborato alla riuscita dell'operazione sono rigorosamente esclusi. Per proseguire poi con il percorso di un ragazzo che consegna le pizze in moto, marcato dalle intestazioni delle strade con tanto di minibiografia dei titolari. Infatti, inserendosi nella tradizione del teatro boulevardier di qualità Cena tra amici costruisce tutto attorno a un nucleo centrale e, come accadeva a Francis Veber per il riuscito La cena dei cretini Delaporte e De la Patelliére hanno il controllo assoluto dei tempi comici. La loro è un'opera prima per quanto riguarda il cinema ma il testo è stato scritto a quattro mani e il cast (con un'eccezione) è quello della messa in scena (hit al box office) di Bernard Murat. L'eccezione è costituita da Charles Berling che sostituisce Jean Michel Dupuis aggiungendo, per il pubblico francese, un alone di Gauche acculturata che l'attore ha costruito nel corso della sua carriera. Non si pensi di trovarsi dinanzi a una rivisitazione di Carnage. Là l'incontro avveniva tra sconosciuti mentre qui c'è un passato di relazioni e di non detto che finisce per prendere il centro della scena. La teatralità originale a tratti si fa sentire, soprattutto quando i toni iniziano ad esasperarsi, ma complessivamente il film tiene e riesce a far sorridere (un po' amaramente) anche se, il doppiaggio (per quanto perfetto) priva queste commedie d'Oltralpe di quella musicalità (che si trasforma talvolta in pomposità) e di quel ritmo che sono insiti nella lingua. Il finale per alcuni costituirà una vera sorpresa (da più punti di vista). Roberto Nepoti. La Repubblica Non sempre cinema e teatro fanno un buon matrimonio; ma bisogna pur riconoscere che, dopo averla recitata due o trecento volte, un attore conosce bene la parte. È il caso di questo film a quattro mani, tratto da uno 6 spettacolo teatrale di successo in Francia tra il 2010 e il 2011. L’inizio, un monologo in voce over su quanto sono macabri i toponimi parigini, fa già ridere. Poi si passa a un gruppo familiare in un interno. Vincent, immobiliarista sulla quarantina prossimo a diventare padre per la prima volta, rivela ai commensali il nome del bebé: un nome tabù che sconvolge tutti. È solo l’inizio di una resa dei conti tra amici con tanti sassolini nelle scarpe. Si comincia presto a capire che ci sono “quelli di sinistra” e “quelli di destra”: ma che vorrà poi dire, alla prova dei fatti? Più teatro fotografato che cinema, una commedia con gli stesi attori che l’hanno replicata tante volte sul palcoscenico; una specie di Carnage, ma senza spargimento di sangue, incrociato con la leggerezza della Cena dei cretini. Ottimo per risolvere in modo divertente una sera d’estate. Alessandra Levantesi Kezich. La Stampa Una cenetta che si trasforma in un gioco al massacro con verità sbattute in faccia e piatti di couscous sbattuti a terra: è la commedia Le prenom, messa in scena con successo a Parigi e adattata per lo schermo a opera degli autori, la coppia Delaporte/de la Patellière , con altrettanto ottimo riscontro al botteghino. «BoBo» più borghese che bohemien, il vanesio universitario Berling e l’accomodante moglie Benguigui hanno invitato l’amico trombonista Guillaume de Tonqnédec e il fratello di lei, l’imprenditore Bruel, con sposa in dolce attesa. Ed è proprio sul nome del nascituro che scoppia il dissidio. Il destrorso Bruel dice Adolphe, come il protagonista del romanzo di Constant; e il sinistrorso Charles interpreta Adolf, come Hitler: di lì un farsesco psicodramma che si conclude in un pacificato epilogo. Per tematica e struttura, la pièce ricorda il recente Carnage , ma qui i personaggi si risolvono all’interno di un gioco dialettico fine a se stesso - un poco pretestuoso, isterico e teatrale senza arrivare ad acquistare umana spontaneità. Come testo Carnage non è chissà che, ma Yasmine Reza ha indubbio mestiere; e, quanto al film, Polanski è Polanski. Valerio Caprara. Il Mattino Cinema francese ancora alla ribalta. Nell'anno del trionfo di 'Quasi amici' e delle ottime performance di altre commedie in agrodolce parigino, c'è ancora spazio per la versione schermica di una pièce di successo: 'Cena tra amici' ('Le prénom'), nonostante una certa affinità con il più tagliente 'Carnage' di Polanski, è un film che sorprende per la solidità d'impianto e la divertente e divertita sensibilità con cui mette in luce certe aggrovigliate relazioni tra uomini e donne, parenti e amici, inclinazioni umorali e pregiudiziali politiche in un medio contesto salottiero metropolitano. Nuovo Cinema Locatelli Ma perché un film che in origine si chiama Le Prénom, Il nome, deve diventare Cena tra amici? Che poi neanche di cena tra amici si tratta, ma tra quattro parenti, più un amico quasi-parente. Oltretutto nella mala traduzione si perde il giochino dei titoli di testa, tutti con nomi (dei registi, degli attori, ecc.) e niente cognomi. (...) Dunque, intorno alla scelta del nome per un bambino ruota Cena tra amici o almeno la sua prima parte, quella che poi porterà agli abbastanza esplosivi sviluppi successivi. Film parlato, parlatissimo, teatro filmato (e dunque i puristi dello specifico filmico di astengano), derivando da una pièce di grandissimo successo dei due autori-registi, che la ripropongono qui pari pari con gli stessi interpreti o quasi (l’unica new entry rispetto allo spettacolo è Charles Berling nel ruolo di Pierre). Siamo a Parigi. Per la precisione, siamo a casa di Elisabeth e Pierre, coppia gauchiste che abita con i due figli in un bell’appartamento pieno di libri però al quinto piano senza ascensore (goscismi, appunto, alternativismi). Si aspettano gli invitati alla cena. Arriva l’amico d’infanzia di lei Claude, ora di professione orchestrale trombonista, soprattutto arriva il fratello di lei Vincent, agente immobiliare dotato di Suv e perenne abbronzatura, tipo umano-social-antropologico all’opposto dei due gauchiste, del genere che da noi chiameremmo berlusconiano. Si attende pure che arrivi la bionda moglie di lui, Anna, che proprio in giornata ha avuto la conferma dall’ecografia di essere incinta di un maschio. Tutto è pronto per il gran gioco al massacro che di lì a poco scoppierà, i protagonisti della partita sono ai loro posti, e intanto Elisabeth, da goscistaterzomondista, sta preparando una cena marocchina con tajine e couscous. La bomba deflagra a couscous non ancora arrivato (...). Non ci vuole molto ad arrivare all’insulto e quasi allo scontro fisico. Non prende posizione l’amico Claude, il suonatore di trombone, fa il terzista e si becca l’accusa infamante di fare lo svizzero neutrale. Insomma, signori, ci si diverte molto davvero, e sembra di assistere a Carnage di Polanski-Yasmina Reza però con meno pretese e più risate, anche perché a confrontarsi stavolta non sono due coppie estranee ma della stessa famiglia, e dunque il jeu de massacre è più crudele (...): tra i due cognati innanzitutto, che sono i due galletti del 7 pollaio, i due maschi alfa, oltretutto su posizioni politiche opposte. Ma anche tra le due cognate, poi tra fratello e sorella, poi tra marito e moglie, poi tra amici d’infanzia. A tutti, a turno, tocca essere il soggetto e l’oggetto di veleni e recriminazioni, carnefice e vittima. Ora, si tratta di teatro borghese-boulevardier di pura marca parigina, di illustrissima e anche vetusta tradizione, però aggiornato alle manie, ai tipi umani e disumani, alle cronache e cronachette dell’oggi. I dialoghi scintillano, le battute affondano come lame nel corpo delle vittime, c’è parecchio sano disincanto, parecchio cattivismo. Gli attori sono perfetti (e le loro performance reggono perfino alla tortura del doppiaggio). Certo, non siamo mica al capolavoro, il gioco vuole soprattutto divertire e non va mai troppo in là, mica ambisce a farsi critica sociale (...). In Francia gli spettatori sono accorsi in massa, qui non sta succedendo altrettanto, com’era prevedibile (si sa che i film francesi da noi faticano, a parte eccezioni come Quasi amici), e però Cena tra amici un suo pubblico lo sta trovando. Non appare poi così lontana, Parigi. (...) Marta Pirola. Cinefilos.it Commedia che si tinge di toni amari, di battute aspre, di politicamente scorretto e che, all’interno di un salotto e per il tempo della durata di una cena, ci apre completamente le anime dei personaggi. Impossibile, a questo punto, evitare un confronto, seppur superficiale, con Carnage: anche nel film di Polanski, infatti, il ritrovarsi in uno spazio chiuso fa cadere alcune barriere ed emergere segreti e lati nascosti di ogni personalità; ma la coppia di registi francesi riesce ad andare ancora più in là: se in Carnage il fulcro è costituito quasi soltanto dal gioco di ruoli tra sconosciuti, in Cena tra Amici la costruzione dei personaggi scava molto più a fondo, nel passato e nel presente, nei rapporti di forza, nelle convinzioni politiche e nelle scelte di vita di ognuno. Seguendo le vicende dei cinque, che si affrontano quasi come su un ring, lo spettatore riesce ad essere contemporaneamente divertito, imbarazzato, triste, amareggiato. Inoltre, la recitazione impeccabile degli interpreti e, soprattutto, una sceneggiatura di ferro che non si permette nemmeno una sbavatura, fanno sì che ogni sentimento venga naturalmente amplificato e che il pubblico resti innaturalmente attento ad ogni parola, espressione o silenzio. Nonostante la storia nasca per il teatro e si concentri completamente sugli attori, a discapito, ad esempio, di una varietà di tempo e di luogo solitamente vitale per il cinema, il risultato finale è sorprendente. Cena tra amici è infatti un film denso, che fa ridere ma senza forzare la mano con volgarità inutili e che fa riflettere sulla politica, sui gruppi sociali d’appartenenza e sulle relazioni senza scadere in opinioni ritrite. 8