Tecniche di recupero del 1° globulo polare

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Tecniche di recupero del 1° globulo polare
Il percorso clinico-diagnostico della coppia infertile
Tecniche di recupero del 1° globulo polare
Gismano E., Fusi F.M., Brigante C., Calzi F., De Michele F., De Santis L.
Centro Scienze Natalità, Fisiopatologia della Riproduzione, H San Raffaele, Università Vita-Salute, Milano
Esistono differenti formule di diagnosi genetica preimpianto - Preimplantation Genetic Diagnosis
(PGD) - che vengono eseguite dopo la fecondazione dell’ovocita e sono rappresentate dall’analisi
del secondo globulo polare, del blastomero prelevato allo stadio embrionale di 6-8 cellule e/o del
trofoblasto della blastocisti.
La PCGD (acronimo di Pre Conceptional Genetic Diagnosis) rappresenta la forma di diagnosi
“prenatale” più precoce ed è pertanto di notevole interesse clinico. Può essere applicata in caso di
malattie geneticamente trasmissibili a carico dell’ovocita per incrementare le possibilità di
gravidanza a termine con bimbo sano. Si effettua durante un ciclo di PMA, mediante analisi
genetica effettuata sul primo globulo polare (1PB), quindi prima della fecondazione.
La PCGD e la PGD possono quindi essere offerte ai pazienti con un elevato rischio di trasmettere
aberrazioni cromosomiche e malattie monogeniche alla progenie. Allo stesso modo, anomalie dei
cromosomi sessuali e trisomie degli autosomi 13, 18 e 21 possono essere evitate. La PGD è stata
anche offerta come tecnica di screening di aneuploidie (PGD-AS) in embrioni derivati da donne di
età avanzata che si erano precedentemente sottoposte a trattamenti fallimentari contro l'infertilità
(Gianaroli et al., 1999; Munnè et al., 1999; Verlinsky et al., 1999a). Più recentemente si è invece
ottenuta una gravidanza (con relativo parto di bimbo sano) da un ovocita sottoposto a biopsia del
1PB in una paziente con numerosi tentativi falliti alle spalle, con una sterilità definita idiopatica
(Fishel et al., 2010). L’importanza della differenza tra i due approcci è ribadita sia nelle linee guida
dell’ESHRE che in quelle dell’ASRM (Thornhill et al., 2004; ASRM, 2008). Lo scopo di queste
metodiche è aumentare i tassi di gravidanza, diminuire gli aborti e/o migliorare il tasso d'impianto
per numero di embrioni trasferiti. Tuttavia, il vero vantaggio di questa procedura deve ancora essere
valutato in studi randomizzati controllati su una casistica statisticamente significativa.
Poiché entrambi i globuli polari rappresentano materiale extra-embrionario che viene estruso il
primo durante la meiosi e il secondo successivamente all’avvenuta fecondazione, essi sembrano non
avere alcun ruolo biologico definito per lo sviluppo del futuro embrione, pertanto la loro rimozione
non dovrebbe interferire con la fecondazione e il successivo sviluppo (Verlinsky et al., 1990a;
Verlinsky and Kuliev, 1992; Dawson et al., 2006). A seconda delle leggi vigenti nei singoli Paesi,
può essere consentita l’esclusiva analisi del 1PB, l’estrusione del quale si verifica prima dell’evento
“fecondazione” (Montag et al., 2009).
L'assenza di un significativo effetto deleterio della rimozione del globulo polare sulla fecondazione
e sullo sviluppo pre-embrionale concorda con l'ipotesi che il 1PB non giochi un ruolo durante lo
sviluppo dell'embrione.
Dallo studio del modello murino non è stato osservato nessun effetto dannoso sulla vitalità degli
embrioni “biopsizzati” risultanti (Kaplan et al., 1995) e ciò ha permesso l’applicazione clinica della
metodica in campo umano (Verlinsky and Kuliev, 1996). Inoltre dati, seppur non recentissimi, non
riportano nessun effetto dannoso in uno studio di follow up di più di 100 bambini nati da biopsia del
primo e secondo globulo polare (Strom et al., 2000). Il recente studio di Griesinger et al., (2009) ha
riportato la nascita di tre bimbi sani da biopsia del primo PB per analisi di malattie monogeniche.
Poiché il globulo polare contiene materiale genetico speculare a quello presente nell’ovocita, la
biopsia del medesimo permette di eseguire un’analisi accurata che rispecchia la situazione presente
nella componente cellulare protagonista nello sviluppo del futuro embrione, rappresentando
pertanto un metodo indiretto d’indagine genetica.
A questo punto sarebbe opportuno entrare nel dettaglio delle considerazioni di tipo genetico e della
relativa interpretazione dei risultati, ma queste verranno trattate nel capitolo ad esse dedicato
“Analisi genetiche su gameti ed embrioni”.
Cenni storici: Da un punto di vista storico le prime applicazioni cliniche dell’analisi del 1PB per
diagnosticare malattie monogeniche risalgono ai primi anni Novanta quando il gruppo di Verlinsky
è stato in grado d’individuare disordini numerici dei cromosomi, pur senza l’ottenimento di
gravidanze (Verlinsky et al., 1990b, Verlinsky and Kuliev, 1992). Successivamente lo stesso
gruppo ha eseguito l'analisi simultanea del primo e del secondo globulo polare per testare
aneuploidie comuni (Verlinsky et al., 1996, 1998, 1999, 2001a) o disturbi monogenici (Strom et al.,
1998; Kuliev et al., 1999, 2001; Retchisky et al., 2001,Verlinsky et al., 1997, 1999b, 2001 b, c, d,
e) con la conseguente nascita di bambini sani. Nel 2006 sono stati prodotti i primi risultati sulle
malattie X-linked (Verlinsky et al., 2006) mentre a partire dal 1998 il gruppo di Munnè è stato in
grado di diagnosticare traslocazioni di origine femminile ottenendo una riduzione significativa del
tasso di aborto spontaneo (Munnè et al., 1998a, b, c, d, 2000).
Metodiche di prelievo del globulo polare: La manipolazione sperimentale di ovociti e di embrioni
animali (soprattutto murini) è stata un passo importante nello sviluppo delle tecniche di apertura o
penetrazione della ZP. Prima della loro applicazione nella biopsia dell’embrione umano, queste
tecniche sono state sviluppate come tentativo di aiutare la fecondazione dell’ovocita in coppie con
gravi fattori maschili (Cohen et al., 1988, 1989; Malter and Cohen, 1989) o di aumentare la
percentuale d’impianto dell'embrione aiutando il processo di hatching (Cohen et al., 1990, 1992). In
tali esperimenti, l’apertura della ZP si otteneva esclusivamente attraverso mezzi meccanici o
chimici.
La procedura di biopsia coinvolge sempre due fasi: apertura della zona pellucida e rimozione del
materiale cellulare. Se per quest’ultima fase c’è una sostanziale uniformità di approccio, esiste
un’ampia bibliografia in merito alle diverse modalità di apertura della ZP.
Potrebbe essere superfluo, ma è comunque utile, premettere che dopo la biopsia dell’ovocita segue
necessariamente la ICSI come metodo di fecondazione. In questo modo viene evitato il problema
della polispermia e viene superato quello dello zona hardening indotto dall’apertura della ZP
(Munnè et al.,1995).
Ogni fase della biopsia cellulare viene eseguita su un piano riscaldato a 37° C mediante l’ausilio di
un micromanipolatore, che permette l’esecuzione di movimenti finissimi e molto delicati. Il PB
viene prelevato con il micromanipolatore, all’invertoscopio, aspirandolo delicatamente mediante
una micropipetta di vetro con diametro interno di 15-20 µm oppure l’ovocita viene delicatamente
schiacciato aiutandosi con le due pipette del micromanipolatore per permettere al PB di fuoriuscire.
E’ stato descritto un altro metodo per permettere la fuoriuscita del PB mediante la progressiva
aspirazione della ZP (una volta forata) con la pipetta holding posizionata in sede diametralmente
opposta a quella del foro agevolando quindi la fuoriuscita del PB stesso (Payne, 1994).
Successivamente il PB viene trasferito in provette da PCR da 0.2 mL contenenti PBS o buffer di
lisi, ricoperto da un menisco di olio minerale se va incontro ad analisi molecolare oppure su vetrino
se viene successivamente eseguita un’indagine citogenetica.
Il foro nella ZP può essere eseguito con diverse metodiche. Per quanto concerne l’approccio
meccanico la tecnica maggiormente utilizzata è la partial zona dissection (PZD) nella quale con
l’ausilio di una pipetta affilata (PZD cutting pipette) viene praticato un foro di 30-40 µM
tangenzialmente alla ZP.
La procedura è stata descritta per la prima volta in ovociti umani (Cohen et al., 1989;. Malter and
Cohen, 1989) come stratagemma per facilitare la penetrazione degli spermatozoi attraverso fori
creati meccanicamente nella ZP, ma è comunque applicabile alle fasi di clivaggio degli embrioni
(Cohen et al., 1990) per migliorare il processo di hatching o per eseguire la biopsia embrionale
(Grifo et al., 1990). Una delle strategie suggerite per rendere più agevole l’esecuzione della biopsia
è l’utilizzo di terreno addizionato di saccarosio 0.1M per indurre un raggricciamento (shrinkage)
dell’ovocita e permettere una più netta separazione tra il PB e l’oolemma (Payne, 1994). Tuttavia
questa tecnica è stata abbandonata per gli ovvi effetti collaterali legati allo shock osmotico indotto
nella cellula, che risultava funzionalmente compromessa.
La penetrazione diretta attraverso la ZP viene eseguita prevalentemente con una pipetta smussata
(Roudebush et al., 1990; Takeuchi et al., 1992; Cui et al., 1993) che è spinta attraverso la zona
come un ago e che può essere utilizzata sia per l'aspirazione dei globuli/blastomeri che per lo
spostamento della ZP stessa (quest'ultimo approccio implica una seconda apertura). La puntura
diretta della ZP si è dimostrata molto efficiente per la rimozione del globulo polare (Verlinsky and
Cieslak, 1993). La pipetta consente la perforazione meccanica della ZP, ed una volta all'interno
della spazio perivitellino (SPV), il globulo può essere aspirato con la medesima pipetta (illustrato in
Gianaroli, 2000). La PZD convenzionale consiste, invece, nell’esecuzione di una fessura nella ZP
per mezzo di un microago tagliente e chiuso all’estremità (illustrato in Selva, 2000); pertanto la
successiva rimozione del globulo deve essere eseguita con un’apposita pipetta.
Spesso si ottengono incisioni longitudinali di forma irregolare. Le dimensioni della fessura possono
dipendere dalla distanza tra il primo e il secondo punto in cui la ZP è stata trafitta dal microago.
Malter e Cohen (1989) descrivono aperture non superiori a 20 µm che nella maggior parte dei casi
sono difficili da individuare dopo coltura degli ovociti, tuttavia sono state documentate aperture
larghe fino a 40 µm di lunghezza, ma solo 2 µm di larghezza (Payne et al., 1991). L’apertura
meccanica della ZP umana mediante perforazione e sfregamento è relativamente semplice da
eseguire e non traumatica per gli ovociti (Malter and Cohen, 1989) ed il rischio di danno
all’embrione nelle fasi di clivaggio è limitato (Cohen et al., 1990).
Questo procedimento può risultare più difficoltoso nel recupero del secondo PB in quanto il
processo di fecondazione provoca di per sé un indurimento della ZP (Cohen and Feldberg, 1991),
tuttavia non riguarda applicazioni pratiche nella realtà italiana, dove questo tipo di analisi non è
attualmente consentito per le limitazioni di legge.
Un altro approccio meccanico è rappresentato dalla 3-dimensional PZD (3D-PZD) mediante la
quale vengono operati due tagli perpendicolari ovvero un taglio “a croce” nella ZP permettendo
l’accesso allo SPV con un maggior agio e consentendo il recupero anche contemporaneo dei 2PB
(Cieslak et al., 1999).
Invece di fare una singola fenditura di circa 30-40 µm di lunghezza, viene eseguita un’apertura più
ampia a forma di croce che crea un secondo spacco perpendicolare alla prima fessura. La 3D-PZD
permette la creazione di un’apertura maggiore rispetto a quella della PZD convenzionale ed evita la
formazione di un foro permanente che lascia l’embrione o l’ovocita non protetto (come avviene
invece utilizzando l’acido di Tyrode). L'apertura a forma di croce eseguita alla stadio di zigote
permette la rimozione simultanea di entrambi i globuli polari, anche quando sono situati in aree
separate nello spazio perivitellino. Questo approccio è applicabile anche agli embrioni allo stadio di
clivaggio. Per la biopsia del blastomero viene eseguito un taglio a forma di “V” che permette il
passaggio di una micropipetta del diametro di circa 25 µm ed una rimozione non traumatica di uno
o più blastomeri. Questo metodo sembra essere sicuro e semplice sia per gli ovociti che per gli
embrioni, ma sono necessari più dati per stabilire il suo significato clinico come alternativa all'uso
di sostanze chimiche o alle altre procedure che richiedono apparecchiature più sofisticate come i
laser.
Va detto che la 3D-PZD richiede un tempo maggiore d’esecuzione ed è sconsigliata nei casi in cui
sia previsto il recupero del solo 1PB.
La tecnica di apertura della zona mediante l’impiego di sostanze chimiche si realizza
prevalentemente tramite il rilascio controllato di una soluzione di acido di Tyrode (Tyrode’s acid
pH 2.3), la tecnica va sotto il nome di acid zona drilling (Gordon and Talansky, 1986).
A differenza della PZD, la perforazione chimica della ZP crea un foro più grande e rotondo la cui
dimensione non è sempre facile da controllare. Infatti, la ZP umana è molto più resistente al
trattamento acido rispetto a quella murina (Gordon et al., 1988) e di conseguenza, è spesso
necessario applicare una quantità relativamente più elevata di acido. Bisogna quindi tenere in
grande considerazione, quando si valuta la sicurezza di questo approccio tecnico, la risultante
acidificazione del terreno di coltura o anche la deposizione della soluzione acida di Tyrode nello
SPV (Garrisi et al., 1990). Oltre alla lisi cellulare immediata possono verificarsi danni agli ovociti
che possono interferire con lo sviluppo o l’impianto embrionario. Gli embrioni o gli ovociti sono
normalmente micromanipolati individualmente e vengono lavati immediatamente dopo la foratura
della ZP un paio di volte per rimuovere la soluzione acida (Cohen et al., 1992) esponendo
eccessivamente la cellula ad un ambiente acido. I dati disponibili sugli embrioni ci dicono che la
foratura e l’aspirazione del blastomero con un unica pipetta non sembrano essere un buon approccio
(Chen et al., 1998). Nonostante siano stati riportati eccellenti tassi di gravidanza mediante l’utilizzo
di un'unica pipetta, il tasso di lisi del blastomero alla biopsia sembra essere piuttosto alto (11%)
(Inzunza et al., 1998; Iwarsson et al., 1998, 2000).
La perforazione chimica seguita dall’aspirazione del PB avviene normalmente con due diverse
pipette: una pipetta di perforazione con un diametro interno di circa 5-7 µm e una di aspirazione con
un diametro interno di circa 15-20 µm utilizzando un doppio supporto.
L'uso di soluzione acida di Tyrode su ovocita umano per digerire chimicamente la ZP si è
dimostrato inadeguato (Gordon et al., 1988;. Garrisi et al., 1990;. Depypere and Leybaert, 1994)
perché sembra compromettere la vitalità dell’ovocita stesso (Payne et al., 1991) ma - nonostante la
tossicità e l'acidificazione citoplasmatica – è considerata sicura sulla base delle gravidanze e delle
nascite riportate in letteratura (Harper, 1996; ESHRE PGD Consortium, 1999, 2000, Goossens et
al., 2009).
Il foro che si ottiene con questa tecnica è però estremamente più ampio di quello che si ottiene con
le tecniche meccaniche e per evitare che il processo sfugga al controllo a causa dell’eccessiva
azione dell’acido è necessario che l’ovocita venga spostato rapidamente in una goccia di terreno
priva di acido e lavato numerose volte per evitare che eccessive differenze di pH portino a lisi
cellulare (Cohen et al., 1992). E’noto infatti che l’ovocita sia una cellula particolarmente sensibile
ad ambienti acidi pertanto questa condizione, se prolungata, può compromettere irreversibilmente la
competenza evolutiva della cellula stessa (Payne, 1995).
La perforazione chimica della ZP è una procedura di per sé estremamente semplice in termini di
attrezzature necessarie ma richiede grandi capacità tecniche. La struttura a doppio stato della ZP
umana può essere vantaggiosa: lo strato esterno viene rimosso facilmente, mentre lo strato interno
varia molto nella sua suscettibilità alla dissoluzione con l’acido di Tyrode (Gordon et al., 1988;
Tucker et al., 1993). Quando lo strato interno è refrattario alla perforazione, gli ovociti tendono ad i
andare incontro a lisi e degenerare. Il tasso di dissolvimento della ZP può variare e il tempo
necessario per completare questo processo varia di conseguenza (tra 30 sec e 2 min).
La tecnica probabilmente migliore, poiché abbina un approccio meccanico ad uno fisico è la
perforazione della zona pellucida mediante laser (laser drilling) (Palanker et al., 1991; Tadir et al.,
1991, 1992, 1993; Neev et al., 1992). Tale tecnica è stata introdotta negli anni ’90 per la biopsia
dell’embrione (Palanker et al., 1991; Tadir et al., 1991,1992, 1993) e successivamente è stata
applicata anche per la biopsia del primo globulo polare (Montag et al., 1997, 1998, 2004).
I raggi laser in una specifica configurazione sono in grado di indurre un danno esclusivamente
superficiale e circoscritto alla ZP di ovociti o di embrioni di varie specie ed hanno come scopo
quello di aumentare il tasso di fecondazione e di attecchimento (ed il conseguente impianto) o di
permettere la biopsia del 1PB o degli embrioni. I raggi laser sono onde elettromagnetiche con
caratteristiche uniche e differiscono fra loro in base a lunghezze d'onda che si trovano nel campo
del visibile (rosso, verde o blu), ultravioletto (UV) ed infrarosso (IR). E’ stato riportato in letteratura
che un laser a UV che emette a 193 nm consente l’apertura della ZP senza interferire con lo
sviluppo in vitro o in vivo di embrioni (Palanker et al., 1991. Laufer et al., 1993). Tuttavia,
lunghezze d'onda più lunghe (266, 308, 355, 366 e 532 nm), meno assorbite dall’acqua e quindi
senza un contatto diretto attraverso le lenti del microscopio, si sono dimostrate più pratiche (Neev et
al., 1992). Un importante svantaggio delle radiazioni UV è dato dal loro potenziale effetto
mutageno (Rasmussen et al., 1989). Per prevenire il danno genetico, la lunghezza d'onda dovrebbe
essere sufficientemente distante da quella di massimo assorbimento del DNA. Nella gamma dei
raggi infrarossi sono stati descritti due tipi di laser: un laser a contatto 2,9 µm erbio-YAG (Strohmer
and Feichtinger, 1992; Antinori et al., 1994) ed un laser generato da un diodo senza contatto di 1,48
µm (Rink et al., 1994; Germond et al., 1995, 1996; Boada et al., 1998). Il laser a tecnologia erbioYAG è stato applicato per l’assisted hatching (Strohmer and Feichtinger, 1992) e per la
fecondazione assistita (Antinori et al., 1994) ed è considerato sicuro in base al numero di nati vivi.
Tuttavia sarebbe auspicabile dirigere il raggio laser non direttamente contro la cellula producendo
una perforazione della ZP senza effetti meccanici, termici o mutageni. Il laser a diodo a 1,48 µm
(Fertilase, MTM, Montreux, Svizzera) soddisfa tutti questi requisiti ed è stato ampiamente descritto
e valutato sia per l’efficacia che per la sicurezza da Germond et al. (1995, 1996). Se vogliamo trarre
conclusioni definitive è sicuramente necessario ampliare la casistica ma sembra evidente che i tassi
di gravidanza ottenuti siano simili sia a quelli con soluzione acida di Tyrode. Inoltre è stato
riportato un incoraggiante tasso di bambini nati dopo biopsia del 1PB mediante laser drilling su
numero di embrioni trasferiti per ciclo del 18.3% (Montag et al., 2004). E’ importante sottolineare
che l’interpretazione dei dati di letteratura di provenienza bibliografica tedesca necessitano di una
lettura critica. I dati di Montag et al. (2004) infatti si riferiscono ad un’analisi del 1PB in cui
quest’ultimo viene prelevato successivamente all’esecuzione della ICSI, ad uno stadio cioè zigotico
o pre-zigotico comunque incompatibile con l’approccio possibile nei termini della Legge 40/2004.
Si può quindi supporre che l’alta efficienza sia legata proprio alla tempistica.
Usando il microscopio associato ad un sistema di micromanipolazione, l'ovocita o l’embrione è
posizionato in modo che il raggio colpisca esattamente la ZP. L’ampiezza del foro può essere scelta
variando l’intensità e il tempo di irradiazione generando un foro con un diametro di 5-10 µm in 1015 ms (Germond et al., 1996). Se si vuole aumentare il diametro basta aumentare il tempo di
irradiazione. E’ fondamentale perforare la ZP senza colpire l’oolemma, perchè potrebbe
irrimediabilmente danneggiarsi.
L’utilizzo del raggio laser permette di regolare l’ampiezza e la precisione del foro praticato, molto
di più rispetto all’utilizzo della soluzione acida di Tyrode.
Attualmente non esiste nessuna evidenza convincente del fatto che una tecnica sia più sicura e
migliore dell’altra. Per una maggiore semplicità di utilizzo e velocità di esecuzione viene
principalmente utilizzato il laser-drilling. Tale tecnologia - estremamente accurata e rappresentata
da una curva di apprendimento piuttosto rapida - si è dimostrata molto efficace per la biopsia del
1PB ma richiede un investimento economico iniziale consistente.
Per una migliore sicurezza nel prelievo del 1PB contenente il materiale genetico da analizzare,
l’ovocita dovrebbe essere preventivamente osservato al microscopio a luce polarizzata, per stabilire
esattamente la posizione del fuso meiotico e far sì che non venga danneggiato durante tutta
l’operazione di biopsia. Un’ovvia critica che si potrebbe muovere ai contenuti di questo capitolo
risiede nella vetustà del bagaglio bibliografico, tuttavia le metodiche di apertura della ZP sono state
ampiamente sviluppate tra la seconda metà degli anni Ottanta e i primi anni Duemila (De Vos and
Van Steirteghem, 2001) mentre recentemente la ricerca si è focalizzata sull’approfondimento e
l’interpretazione dei dati genetici.
Problemi connessi:
Occorre sottolineare con grande enfasi che la tecnica di recupero e analisi del 1PB può essere
eseguita solo in pazienti che abbiano prelevato un numero idoneo di ovociti, generalmente superiore
a 5, meglio se 8, poiché si tratta di una tecnica invasiva, anche se eseguita da mani esperte e perché
è insito nella tecnica che alcuni ovociti potrebbero essere scartati dopo l’analisi genetica. Pertanto è
necessario che la paziente abbia eseguito un adeguato esame di conta follicolare e che abbia una
buona riserva ovarica.
Chiaramente l’analisi genetica del secondo globulo polare permetterebbe una maggior riduzione del
numero di ovociti eliminati e fornirebbe un analisi più esaustiva, ma questa è attualmente vietata nel
nostro Paese (L. 40/2004).
Di fondamentale importanza è la tempistica dell’esecuzione della biopsia: non esiste una tempistica
codificata né tanto meno standardizzata, ma è intuitivo pensare che tutta la procedura dovrebbe
essere eseguita nel minor tempo possibile ovvero non più di 5 minuti complessivi ad ovocita e
comunque in un intervallo che va dalle 36 alle 42 ore dopo la somministrazione alla paziente dell’
hCG per evitare la degenerazione o la frammentazione del PB stesso (Gianaroli et al. 2010). Inoltre
le condizioni subottimali di temperatura e osmotiche a cui è sottoposto l’ovocita durante la
procedura di biopsia dovrebbero essere il più controllate possibile.
Bisogna considerare che tutta la metodica, compresa l’analisi e l’esecuzione della microiniezione
dello spermatozoo dovrebbero essere eseguite entro 6 ore dal prelievo ovocitario (Ducibella, 1998;
Dubey et al., 1998). Questo problema tecnico può essere superato con la crioconservazione
dell’ovocita in attesa di avere l’esito dell’analisi genetica..
Quale metodica di crioconservazione degli ovociti sottoposti a biopsia scegliere? In letteratura sono
riportati solo pochi lavori a riguardo, ma la tecnica più accreditata sembra essere la vitrificazione
(Naether et al., 2008; Keskintepe et al., 2009).
Precedenti risultati su embrioni murini hanno mostrato eccellenti tassi di sopravvivenza, ulteriore
sviluppo in vivo e impianto dopo biopsia e crioconservazione (Wilton et al., 1989; Liu et al., 1993;
Snabes et al., 1993).
Tuttavia, al fine di congelare ovociti dopo la biopsia in attesa dell’esito dell’analisi genetica è
opportuno scegliere il protocollo di congelamento più adeguato per cellule con una ZP non
perfettamente intatta. Il foro praticato nella ZP è ritenuto il principale responsabile della maggiore
suscettibilità cellulare ai fenomeni di congelamento-scongelamento. Esistono in letteratura solo tre
lavori datati di gruppi che hanno riportato gravidanze dopo crioconservazione di ovociti o embrioni
umani “biopsizzati” (Carson et al., 1997 biopsia embrionale precedente alla crioconservazione; Lee
and Munnè, 2000, Ozmen et al., 2008 biopsia ovocitaria e successiva criopreservazione
embrionaria), sottolineando la bassa percentuale di successo di questo approccio.
Il globulo polare prelevato può essere analizzato mediante PCR (Polimerase Chain Reaction) e
sequenziamento, FISH (Fluorescence In Situ Hybridization), CGH (Comparative Genomic
Hybridization) o array CGH, dopo una preventiva amplificazione del materiale genetico reperito
mediante whole genome amplification. Non tratterò tali argomenti né le rispettive problematiche
poiché queste sono materia di indagine di un altro capitolo.
In conclusione si può affermare che l’analisi del 1PB permette di superare i problemi etici (ed in
determinati Paesi, problemi relativi alle legislazioni vigenti (Montag et al., 2009)) connessi
all’analisi genetica sugli embrioni, inoltre la biopsia del 1PB non incide sullo sviluppo embrionario
se eseguita rispettando tempi e gli standard propri della buona pratica di laboratorio.
Se è vero che esistono riferimenti bibliografici di confronto tra le tre principali metodiche di
apertura della zona eseguite in embrioni (Joris et al., 2003), non si può dire lo stesso per l’ovocita.
Attualmente non ci sono indicazioni che facciano rientrare l’analisi del 1PB tra le tecniche di
screening applicabile di routine a tutte le categorie di pazienti poiché si tratta comunque di una
tecnica invasiva, dove il costo-beneficio dev’essere opportunamente ponderato. In virtù di questo,
tale metodica dev’essere proposta esclusivamente a classi ben selezionate di pazienti (ad esempio,
pazienti a cattiva prognosi per età avanzata, dopo ripetuti fallimenti FIVET, poliabortività o sterilità
idiopatica) (Thornhill et al., 2004; ASRM, 2008; PGDIS, 2008; Montag et al., 2009, Harper et al.,
2010) oppure in quei pazienti in cui tale tipo di analisi sia giustificata da fondati sospetti relativi alla
possibilità di trasmissione di patologie genetiche alla prole. Attualmente il dibattito è molto acceso
relativamente a quale stadio dello sviluppo embrionale sia più opportuno effettuare la biopsia per
indagare patologie genetiche a carico materno; sembra comunque che la biopsia del 1PB (o meglio,
quella di entrambi i PB) possa essere una valida alternativa alla biopsia embrionale (Montag et al.,
2009; Simpson, 2010).
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