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ASSOCIATED PRESS
guatemala
Rigoberta,
stella cadente
LA DISILLUSIONE DEI SUOI
La delusione (o, per alcuni, il sospiro di
sollievo) ha diverse spiegazioni. La priLa candidata alle presidenziali guatemalteche
ma, e la principale, è che Rigoberta
del 9 settembre, il Nobel per la Pace
non ha dietro di sé un’organizzazione
Rigoberta Menchú, icona della lotta
di massa (come, ad esempio, Evo Moper i diritti indigeni, non riesce a sfondare:
rales in Bolivia), una struttura di sostele spiegazioni (e le accuse) di un gesuita
gno che copra le regioni indigene, né
tanto meno il Paese intero. La sua forRicardo Falla S.I.
gliò tante speranze tra gli indigeni del- za, l’attività internazionale, è diventata
S.TA MARÍA CHIQUIMULA (GUATEMALA)
l’America latina e in molti altri popoli la sua debolezza. La Fondazione «Rigonativi, persino quelli scandinavi?
berta Menchú» è una Ong e come tale
he cosa è successo a Rigoberta Una premessa. Gli stessi istituti di è solo un gruppetto di persone che abiMenchú? Non era, secondo i sondaggi ammettono che, nel mo- tano nella capitale. Vale a dire, il solo
sondaggi, la persona più sti- mento in cui scriviamo (inizio luglio), collante dell’identità etnica non funmata del Guatemala? Non ha forse il 40% della popolazione non ha an- ziona se non c’è un filo che tiene insieprovocato una scossa elettrica nei ner- cora scelto per chi votare. E tra i son- me il tutto. L’identità è come il vento, è
vi della classe dirigente «bianca» quan- daggi, quelli più indipendenti a mag- molto potente, ma ha bisogno di quedo, a febbraio, ha annunciato la pro- gio le davano quasi un 10%. In ogni sto filo visibile, concreto e tangibile,
pria candidatura per le presidenziali? caso, la sensazione generale è che sia che arrivi fino ai villaggi più remoti.
Come è possibile che, secondo alcuni già svanita la speranza di poter rinno- Una seconda spiegazione è che Rigosondaggi (forse non i più precisi, certo vare profondamente una campagna berta è vista dagli indigeni, per quello
i più influenti), a giugno sia scesa a un elettorale noiosa e monoche possiamo capire e
misero 1,5% nelle intenzioni di voto? I tona, e che la classe do- Risulta nociva
sentire, come una persona
governi stranieri e le Ong non la con- minante e i politici si sia- a Rigoberta
che si è allontanata. Dicosideravano la nuova stella del firma- no tranquillizzati nel la prigione
no che non ha distribuito
mento politico? Non è forse lei l’amica vedere che Rigoberta non in cui si trova.
il Premio Nobel, ma lo ha
di Jacques Chirac, la donna che in Ita- era il temuto nemico che Il partito con
investito mettendo in pielia attirava folle di giovani, il Premio avrebbe trascinato tutto cui si candida,
di una catena di farmacie.
Nobel per la Pace che nel 1992 risve- il popolo indigeno.
Encuentro
Dicono che è superba, che
C
20 POPOLI AGOSTO/SETTEMBRE 2007
Por Guatemala,
non è suo,
né del popolo
indigeno
non vuole più parlare con i poveri, che
non va a Chimel, il suo villaggio, che
si è già dimenticata della sofferenza
del suo popolo. «Andiamo alla Fondazione per incontrarla - dicono - e ci rispondono di tornare fra tre mesi, ma
se arriva un nordamericano o un europeo lo ricevono immediatamente».
Molte donne indigene, con cui ci siamo messi a discutere difendendo Rigoberta, invece che essere contente perché una donna corre per la presidenza,
provano una sorta di invidia e la attaccano duramente.
Una terza spiegazione è che il Guatemala è già transitato attraverso una
grande speranza di cambiamento radicale negli anni Ottanta, uscendone con
una altrettanto grande frustrazione. In
quel periodo, una scintilla di entusiasmo negli occhi dei giovani faceva sì
che essi si muovessero e si sacrificassero. La benzina per questo movimento era una speranza: «possiamo vincere!». Ora questo non si vede. Se anche
Rigoberta arrivasse alla presidenza,
non vinceremo niente, perché lei si ritroverà prigioniera. Non c’è possibilità
di cambiamento.
Un quarto elemento è che la campagna è percepita dalla gente come un
business. Non solo perché occorre denaro per pagare gli spot televisivi, i
manifesti elettorali, i sostenitori, ma
anche perché il successo stesso equivale a un affare. Così, se Rigoberta
non ha denaro per la campagna elettorale, la gente non è disposta a finanziarla. Infatti, l’idea diffusa è che questi soldi non andrebbero a una causa
comune, ma semplicemente ad arricchire una persona. La campagna elettorale non viene vista nemmeno come
una lotta per una fetta di potere, ma
semplicemente come una lotta per una
quota di affari. Una motivazione ulteriore è che, nonostante Rigoberta si sia
alleata con un imprenditore che è stato presidente del Cacif, cioè della cupola imprenditoriale del Paese, non si
vede realmente scorrere denaro nelle
sue fila. Una società di ricerche ha calcolato, per il mese di maggio, quante
donazioni aveva raccolto ciascuno dei
principali partiti: Une (Unidad Nacional de la Esperanza) quasi 3 milioni di
quetzal (285mila euro), Gana (Gran
Alianza Nacional) 2,7 milioni, Pp (Partido Patriota) un milione, Eg (Encuentro por Guatemala), il partito della
Menchú, 53mila. Inoltre, sui media
non emergono il suo carisma, la sua
arguzia e la sua intelligenza. Quando
compare in video, Rigoberta sembra
tesa, come prestata a programmi di altri. Per di più, l’imprenditore che corre
con lei per la vicepresidenza, Luis Fernando Montenegro, è visto più come
un ricco retrogrado e razzista che non
come un simpatizzante della famosa
«terza via» inseguita dalla socialdemocrazia in tutto il mondo.
UNA TORTA GIÀ DIVISA
Ancora e soprattutto, risulta nociva a
Rigoberta la prigione in cui si trova.
Il partito non è suo, né del popolo indigeno. È di Nineth Montenegro, moglie del candidato vicepresidente, che
si sta preparando la strada per le elezioni del 2011. Lo spazio in cui Rigoberta si muove è molto angusto. Non
vuole apparire di sinistra. Non si è
alleata con il partito degli ex-guerriglieri perché ciò l’avrebbe bruciata.
Non sembra intenzionata a proporre
riforme radicali.
Rigoberta, in realtà, si è messa in
questa prigione prima ancora di lanciarsi nella corsa, nel momento in cui
ha accettato di essere «Ambasciatrice
di buona volontà per gli Accordi di
pace», un ruolo inventato dall’attuale governo di Oscar Berger. Un’altra
prigione che lei stessa si è imposta è
l’aver taciuto di fronte alla denuncia
della magistratura spagnola contro il
generale Efraín Ríos Montt, colpevole di genocidio, causa che lei stessa
aveva promosso. In campagna elettorale ha detto che per «motivi etici»
non soffia sul fuoco della polemica e
non attacca il generale (a sua volta
candidato per il
parlamento
in Gli indios
modo da ottenere dicono che
l’immunità). Ma la Menchú
che cosa significa si è allontanata
la parola «etica»? da loro,
Rigoberta deve che è
spiegarcelo. Per- diventata
ché ora tace? For- superba,
se perché il parti- che non vuole
to, che non è suo, più parlare
con i poveri
gliel’ha proibito?
In ogni caso, come si diceva, l’esito del voto è ancora molto incerto. I rappresentanti
dell’Eg sono convinti di poter dare la
zampata vincente. Bene, aspettiamo
questa zampata. Tuttavia, come ci ha
confidato un politico di Alta Verapaz
quando era stata appena annunciata
la candidatura di Rigoberta, «qui è
già tutto suddiviso». Ogni partito,
con il proprio candidato a sindaco,
ha già la propria gente, i propri legami, e non si riesce a intaccare questa
suddivisione della torta, fatta di denaro più che di potere. Una torta che
potrà forse darci più infrastrutture,
più strade, più asfalto per il nostro
oratorio, ma che non cambia lo Stato, il sistema fiscale, la distribuzione
delle terre.
PROFILO
ata nel 1959 a Chimel, Rigoberta Menchú Tum, maya che appartiene al
gruppo etnico dei quiché, ha iniziato a lavorare a 5 anni come bracciante.
Per combattere il lavoro minorile e tutte le violazioni dei diritti umani perpetrate
ai danni degli indios (maggioritari in Guatemala, ma da sempre discriminati), da
ragazza partecipa ad azioni dimostrative contro i militari. Il 31 gennaio 1980 il
padre e il fratello muoiono nel rogo dell’ambasciata spagnola a Città del Guatemala, durante una pacifica occupazione volta a richiamare l’attenzione internazionale sulle arbitrarie espropriazioni di terre e sull’oppressione governativa.
Rigoberta fugge a Parigi, dove nel 1987 pubblica l’autobiografia, Mi chiamo Rigoberta Menchú (Giunti editore), in cui racconta le vessazioni subite dal suo popolo. Questa denuncia e il suo impegno a favore della giustizia le valgono, nel
1992, il Premio Nobel per la Pace. Se vincerà le presidenziali del 9 settembre
sarà la prima donna e la prima indigena alla guida del Guatemala.
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