Storia della Falconeria Presente e passato di un`arte millenaria

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Storia della Falconeria Presente e passato di un`arte millenaria
Storia della Falconeria
Presente e passato di un'arte millenaria
La Cetrería es no solamente un sistema diferenciado de caza, sino el arte que ha llevado al hombre
a la más profunda y libre alianza con el animal. Por ello hermano halconero, cuando una vez más,
ave al puño, al amanecer, salgas a la caza de esa pieza que siempre parece la primera y en verdad
puede ser la última, piensa que en tu emoción palpitan y perviven cien mil años de poderosos
cazadores.
(Félix Rodríguez De La Fuente )
L'antica arte di cacciare con gli uccelli e di addestrarli a tale scopo, che negli ultimi decenni sta
conoscendo una rinascita, si presenta ancora oggi agli occhi dell'uomo come una sfida. La ricerca
continua di quel delicato equilibrio che si instaura tra il falco e il suo falconiere è circondata da un
fascino particolare, che spinge l'uomo a mettersi alla prova tutte le volte che, lanciato il falco dal
pugno, lo osserva prendere quota, indipendente e solitario, libero di decidere se ritornare al pugno
del suo compagno, coronando il tacito patto con l'uomo, o se abbracciare invece la libertà.
L'alleanza uomo-falco mette alla prova l'impegno dell'uomo, che deve garantire gli spazi ed il
tempo necessari al corretto esercizio della falconeria. L'errore umano rompe l'idillio e per evitarlo il
falconiere dovrà curare giornalmente quel delicato, emotivo ed esclusivo equilibrio con il rapace,
che rappresenta il cuore di quest'arte. Ma quali sono le sue origini, e quali le ragioni di una recente
rinascita dell'interesse per la Falconeria ?
Definire una data che sia un faro o una delimitazione, il prima e il dopo in un periodo, è
riconosciuta come una fatica improba, in particolar modo in materia di costumi, anche quando ad
impegnarsi è uno storico. L'affermazione di una rinascita della falconeria in tempi odierni non può
poggiare su sensibilità individuali o speranzose previsioni, ma su dati certi che vanno rintracciati in
due scienze “esatte”: statistica ed economia.
La prima evidenzia dal 1960 in poi una crescita graduale, ma consistente, del numero dei falconieri
in tutta Europa; la seconda, l'irrobustimento dell'offerta nel mercato dei rapaci riprodotti in cattività.
Negli ultimi anni anche l'esposizione mediatica di questa antica arte è diventata sempre più intensa,
quasi a dimostrare la ricerca da parte della stessa di nuovi spazi, di un nuovo equilibrio in un
curioso intreccio di passato e futuro.
La ricerca di un nuovo ruolo, stimolante negli interrogativi che pone, deve però confrontarsi con la
situazione contemporanea.
Non può esser conflittuale, ad esempio, rispetto a valori preminenti, come la salvaguardia
dell'ambiente e delle specie in pericolo di estinzione. Un relitto della cultura medievale si è
spiaggiato sulle rive del nostro tempo, e non tutto può esser recuperato, non tutto può esser
riproposto.
La tutela delle specie di rapaci protetti è stata posta negli ultimi anni al centro dell'attenzione da
parte della Lega Italiana Protezione Uccelli (LIPU), che non ha mostrato particolari simpatie verso
le federazioni di falconieri.
L'impiego dei falchi per il bird contol : favorevoli o contrari?
La LIPU ha sollevato infatti una polemica in merito all'impiego dei falchi nelle aree aeroportuali,
finalizzato ad allontanare altre specie di volatili, potenzialmente pericolosi per gli aerei nelle fasi di
decollo e di atterraggio. Il dibattito è testimoniato da uno scambio di lettere aperte tra il
Responsabile Ecologia Urbana della LIPU, Marco Dinetti, ed un rappresentante dell' AIF
(Associazione Italiana per la Falconeria ), Giovanni Goj.
Gli spunti dialettici si articolano dall'esigenza primaria di tutela delle specie coinvolte (siano essi
volatili arrostiti nelle turbine dei jet o falchi costretti in cattività) ad una dettagliata spiegazione
tecnica sull'efficacia deterrente del falco quale mezzo di controllo e del suo impatto ambientale:
nullo. Inoltre la voce protezionista di tale dibattito, si preoccupa di chiarire l'ineluttabilità
dell'attrazione fatale fra specie migratorie o svernanti e le aree aeroportuali. Sullo sfondo, e poco
menzionato, il problema della sicurezza in fasi di decollo e atterraggio, e l'interesse, o il
disinteresse, per la vita umana.
Il primo giugno del 2003 un aereo da turismo privato, un Lear-jet 45, era precipitato poco dopo il
decollo nei pressi dello scalo milanese di Linate, provocando la morte dei due piloti a bordo.
L'Agenzia Nazionale per la Sicurezza del Volo aveva subito promosso un'inchiesta per accertare le
cause dell'incidente, imputabili, a quanto sembra, alla presenza di uccelli considerati nocivi o
pericolosi (pest specimen) nella zona. L' ipotesi che si possa essere trattato di un caso di Bird Strike
(impatto con volatili) è confermata dal ritrovamento, nei pressi della pista dei resti carbonizzati di
alcuni uccelli.
Nel gennaio 2009, un Airbus A 320 è stato costretto ad un ammaraggio nel fiume Hudson poco
dopo il decollo dall'aeroporto La Guardia di New York, per la collisione con uno stormo che ha
danneggiato entrambi i motori dell'aereo.
La notizia del primo incidente ha sollevato il dibattito a cui si è accennato sopra tra la LIPU e la
federazione dei falconieri italiani. La LIPU ha indicato quali mezzi utili all'allontanamento dei
volatili dagli scali aeroportuali l'impiego di cani e dei dissuasori acustici a terra, destinati a
riprodurre le vocalizzazioni dei rapaci in caccia o il grido d'allarme delle specie da allontanare.
Questi metodi alternativi all'esercizio della Falconeria, più gravosa dal punto di vista economico, e
la necessità di proteggere i rapaci dal fenomeno del contrabbando, vogliono escludere in modo
definitivo e univoco l'utilizzo di quest'arte per l'allontanamento dei volatili nocivi.
La risposta del Falconiere ha riconosciuto in via indiretta la consistenza dell'impegno economico
per l'esercizio del bird contol (l'allontanamento volatili a mezzo falchi) rispetto agli altri metodi
indicati dalla LIPU, ma ha altresì chiarito come l'impiego dei cani a terra - “esseri che si muovono
in due dimensioni contro animali che ne sfruttano tre” - sia inutile per un allontanamento definitivo
in tempi brevi, e come l'utilizzo dei “dissuasori acustici” perda rapidamente efficacia, spegnendosi
nella totale indifferenza delle specie destinate all'allontanamento: l'avifauna spaventata si posa
semplicemente più lontano, continuando comunque a stazionare nelle aree sensibili o nelle
vicinanze dell'aeroporto.
L'esperienza di alcune grandi aree urbane europee, in relazione a storni e piccioni, ha visto infatti
riproporsi il disagio dei cittadini nei giorni successivi all'introduzione di questa tecnica di
“bonifica”.
Le statistiche presentate da alcuni scali internazionali che impiegano falconi già da lungo tempo
evidenziano la bontà della soluzione: si tratta di un metodo naturale ed efficace, che non contempla
l'abbattimento della preda ed è quindi anche rispettoso delle risorse dell'avifauna presente sul
territorio. Un'altra voce, quella del JFK di New York, illustra invece un impiego per così dire critico
della Falconeria: determinate condizioni, grandi baie marine con grandi uccelli pelagici,
impediscono che l'unica risposta per una bonifica del territorio sia appunto il bird contol . Gli albatri
ed altre specie simili per grandezza, o di maggior peso, come i pellicani, non vengono abitualmente
cacciate dai falchi in natura, poiché teoricamente impossibili da abbattere. In questi casi specifici è
immediato pensare che, se è inutile la stoccata di un falcone, è risibile l'utilizzo di un dissuasore
acustico.
La carta d'identità del rapace
La cosiddetta carta d'identità del rapace, è un documento CITES che contiene tutti i dati
dell'animale (specie, sesso, numero dell'anello di riconoscimento, dati dell'allevatore, timbro
dell'ufficio che lo ha rilasciato) ed è richiesta dal Corpo Forestale dello Stato ai fini della
dichiarazione obbligatoria di detenzione del rapace in questione, e ai fini della vigilanza sul
territorio, quindi ad ogni incontro col falconiere.
I falchi impiegati oggi nell'esercizio della Falconeria, infatti, provengono esclusivamente da centri
di riproduzione, che ne garantiscono la nascita in cattività da almeno due generazioni (F2). Al
momento dell'acquisto il rapace deve presentarsi dotato di un anello di riconoscimento inamovibile,
posto sul tarso, e accompagnato dalla suddetta carta di identità del rapace.
Grazie ai numerosi controlli ed alle misure di sicurezza in atto negli ultimi decenni, il fenomeno del
contrabbando di rapaci è stato notevolmente arginato.
La Convenzione CITES
Di fondamentale importanza, e garanzia indiscutibile contro il commercio illegale di specie di
rapaci, è stata la Convenzione sul Commercio Internazionale di Specie di Fauna e Flora Selvatiche
Minacciate di Estinzione, in sigla CITES (Convention on International Trade of Endangered
Species of Wild Fauna and Flora), firmata a Washington il 03 marzo 1973 ed entrata in vigore in
Italia nel 1980. Il testo della Convenzione, applicata attualmente da più di 160 Paesi, riconosce
diversi gradi di protezione a più di 30.000 specie di animali e piante, regolamentando, e ove
necessario vietando, il loro commercio, siano essi esemplari vivi o si tratti di parti e prodotti derivati
(come ad esempio i giubbotti in pelle o le piante secche). Le specie, o sottospecie, di animali e
piante inserite nel programma CITES, che fa parte a sua volta del Programma delle Nazioni Unite
per l'Ambiente (UNEP), sono elencate in tre Appendici, secondo la differente intensità di tutela:
l'Appendice I contiene l'elenco delle specie in grave pericolo di estinzione, per le quali vige divieto
assoluto di commercio; l'Appendice II offre una lista delle specie il cui commercio è regolamentato
per evitare sfruttamenti incompatibili con la loro sopravvivenza; l'Appendice III presenta un elenco
delle specie protette dai singoli Stati, che ne regolamentano l'esportazione dai propri territori. Varie
specie di falconidi e accipitridi, tra cui il Pellegrino, il Falcone di Barberia e l'Aquila di mare, fanno
parte dell'Appendice I e possono pertanto essere commercializzati solamente se nati in cattività.
Contrabbando e bracconaggio negli anni '70 e '80
La rigida posizione della LIPU riguardo alla necessità di una maggior tutela dei rapaci è
comprensibile, in quanto non immemore dei danni provocati in passato all'avifauna. Gli anni '70 e
'80 sono stati anni particolarmente critici, in cui si è assistito all'espandersi del fenomeno del
contrabbando e al decimarsi della popolazione silvestre, fortemente indebolita dagli effetti provocati
dall'uso degli anticrittogamici in agricoltura. I furti delle uova dai nidi e la cattura di nidiacei
destinati al mercato illegale hanno inciso sulla popolazione silvestre e sulla disponibilità di uccelli
da preda, già numericamente contenuti. Inoltre, trovandosi al vertice della catena alimentare, i
rapaci risentono di tutti gli effetti provocati dall'utilizzo di anticrittogamici, che, congiuntamente
all'inquinamento ambientale e all'uso del DDT, oggi fortunatamente vietato in molti Paesi, hanno
ripercussioni preoccupanti sul ciclo di vita e di riproduzione. Lo spessore del guscio delle uova si
assottiglia provocandone la rottura durante la cova e diminuisce la fecondità dell'animale.
A questi problemi si sono aggiunti il bracconaggio e alcune usanze bizzarre, come la pratica
apotropaica che vede riproporsi ogni anno l'abbattimento di decine e decine di Falchi pecchiaioli,
durante il transito migratorio sul versante calabrese dello stretto di Messina.
Le prime forme di tutela dei rapaci
Innanzi a tutte queste problematiche, il Falconiere sembra porsi in chiave antitetica, in primo luogo
in quanto possessore di una specie protetta -e verrebbe da interrogarsi se sottratta alla vita selvatica,
in secondo luogo perché forse cacciatore, e quindi destinato ad incidere sulle risorse venatorie del
suo territorio. La realtà può essere profondamente diversa.
Storicamente, una fra le prime forme di salvaguardia di specie animali in ambito europeo è da
rintracciare nel basso medioevo. I dati giuridici offerti dalle fonti di quel periodo sono
incontrovertibili: i falchi non potevano essere cacciati, e quindi uccisi per la sussistenza alimentare;
non potevano essere sottratti dal nido da persone non qualificate; potevano essere impiegati per
l'esercizio della caccia solo da alcune categorie di persone, secondo una specifica gerarchia. La
tutela offerta era naturalmente figlia del periodo storico: le pene inflitte a chi avesse prelevato dal
nido o rubato un falco variavano dall'aver mozzate le mani all'aver cavati gli occhi, fino a venir
costretti ad alimentare il rapace con la propria carne; chi avesse invece osato uccidere l'animale
rischiava il carcere a vita, come in Francia, o la pena di morte, come in molti altri Paesi. Ai recidivi
spettava la forca. Tradizionalmente quindi falconeria e protezione delle specie rapaci sono
intimamente connesse, ed è utile notare che sino a che tale tradizione si è mantenuta integra, i falchi
sono vissuti sostanzialmente indisturbati nei loro territori.
Il Medioevo: epoca d'oro della Falconeria
Nel periodo che va dall'anno Mille al Quattrocento, la Falconeria , oltre ad offrire il suo aspetto
squisitamente venatorio, diventa protagonista in ambito culturale, letterario, politico e di costume e
si presenta anche come pratica magica legata alla simbologia del falco e del cavaliere. E' proprio in
questo periodo storico del nostro continente che viene scritto il primo trattato scientifico di
ornitologia esistente, il Liber de arte venandi cum avibus, “L'arte di cacciare con gli uccelli”,
dell'imperatore e re di Sicilia Federico II di Hohenstaufen, ed è durante il Medioevo che vengono
scritte pagine di letteratura indimenticabili con chiari riferimenti alla caccia col falcone (scene di
falconeria sono descritte in opere di Dante, Boccaccio, Brunetto Latini, nel Poema del Mío Cid,
nella Celestina di Fernando de Rojas…). La pratica di quest'arte venatoria, e la conseguente
presenza dei rapaci a corte è una costante nella vita di dame e cavalieri; ai falchi spetta inoltre un
ruolo politico non indifferente (i falchi intervengono nella stipula di trattati, fanno parte della dote
negli sposalizi regali, etc.).
Simbologia e pratiche magiche
Il falco (come gli altri rapaci utilizzati nelle cacce al volo, soprattutto astori e sparvieri) è dotato di
un organismo perfetto: la sua linea è agilmente compatta, dispone di un organismo concepito dalla
natura per la lotta e l'assalto, quasi proiezione dell'ardimento dell'uomo che, restando a cavallo,
lancia la propria arma vivente nello spazio del cielo che rimane interdetto alle sue orme terrene: è
un animale alto ed aggressivo, simbolo dell'indomabile fierezza del nobile, e, insieme, della sua
virilità.
(Trombetti Budriesi 2000: XXXVI)
Questo uccello “di natura selvaggia, che prova somma repulsione per l'uomo” (2000: XXXV) è lo
status symbol del nobile medievale. A lui sono attribuite le qualità del cavaliere (coraggio, nobiltà)
e su di lui, essere alato, proiettate le ambizioni terrene dell'uomo, prima fra tutte il potere. Il suo
corpo, arma da caccia completa, i suoi voli, con quelle picchiate così perfette e precise sulla preda,
diventano il simbolo della perfezione, della forza, del coraggio, e anche della nobiltà, della bellezza.
La sua figura è circondata da fascino e mistero, storie e leggende si intrecciano attorno a questo
essere considerato quasi sovrannaturale e immortalato in meravigliose rappresentazioni
iconografiche. Filtri e pozioni diventano abituali nella cura delle malattie del falco e la recita di
incantesimi o scongiuri in latino accompagna tutto il periodo dell'allevamento. Citiamo a questo
proposito alcune ricette mediche ed alcuni incantesimi suggeriti da Dancus Rex e Magister
Guillelmus tratti dal Trattato del Governo delle Malattie e Guarigioni de' Falconi, Astori e Sparvieri
di un volgarizzatore anonimo del secolo XIV.
La seguente ricetta, o forse sarebbe più corretto dire pozione magica, di Maestro Guillielmo,
falconiere di Ruggiero II di Sicilia, suggerisce di curare la gotta del falco somministrandogli un
pasto a base di cenere di pipistrello precedentemente bruciato, mescolata a della carne di lucertola:
(…) Anco a questo male fae questa medicina: prende lo barbastrello ed ardilo a ciò che ne faci
polvere, e quella polvere con carne di lacerte li dae a mangiare infine a tre die; poscia li dona a
mangiare carne di becco infine che sie grasso, e fie guarito.
(Magister Guillelmus, cit. in Innamorati 1965: I, 107)
Dancus Rex e Magister Guillelmus suggeriscono di pronunciare il seguente incantesimo durante la
muta dei falchi:
Quando l'uccello mette la penna, dei dire questo verso: Volatilia tua sub pedibus tuis .
(1965: I, 103)
Il De Arte venandi cum avibus di Federico II
La tradizione nella stesura dei trattati di Falconeria lasciava grande spazio alla medicina falconaria;
pagine come quelle citate fanno parte dei maggiori trattati dell'epoca.
L'imperatore Federico II di Svevia, grande appassionato di falconeria e abile falconiere egli stesso passione forse ereditata dal nonno Barbarossa - ben conosceva i trattati degli scrittori più noti ed
autorevoli, l'arabo Moamin ed il persiano Ghatrif. Aveva promosso egli stesso la traduzione dei loro
testi di falconeria, collaborando con i traduttori di corte alla stesura della versione latina; li aveva
studiati con attenzione e fatto tesoro dei loro insegnamenti. Non soddisfatto di quanto appreso
dedicò molto del suo tempo ad uno studio personale ed ancor più approfondito dell'arte della
falconeria, mettendo in pratica personalmente nuove tecniche di addestramento, cercando di
perfezionare quelle già conosciute e osservando attentamente i propri falconi durante le battute di
caccia. La sua spiccata curiosità per il mondo naturale, la sete di conoscenza (si autodefinì “vir
inquisitor sapientiae et amator”) ed il suo grande spirito d'osservazione lo spinsero in seguito a
comporre egli stesso un trattato di falconeria. L'intento era quello di scrivere un libro incentrato
sull'addestramento e sulla caccia col falcone, tralasciando la parte medica, già esaustivamente
trattata negli scritti del periodo. Il risultato sorprendente è un vero e proprio trattato di ornitologia,
redatto con profondo rigore scientifico: più di 500 anni prima di Linneo, Federico II fu il primo ad
introdurre l'uso della nomenclatura binomia per designare le diverse specie di uccelli, e ad utilizzare
il terzo nome per l'indicazione della sottospecie: il “falco lanarius” o “falco lanerius” di Federico
corrisponde a quello che oggi chiamiamo lanario (Falco biarmicus); la distinzione che l'imperatore
opera tra il “falco gentilis peregrinus” e il “falco gentilis absolute” corrisponde all'attuale
distinzione tra il pellegrino del nord (Falco peregrinus peregrinus) e la sottospecie indigena
dell'Europa centrale (Falco peregrinus germanicus), cfr. Trombetti Budriesi 2000: XCVI-XCVII;
1124-1132.
L'innovazione del trattato non si limita a questo; l'“imperatore-intellettuale”, con il suo
“atteggiamento moderno, polemico e propulsivo” (Innamorati 1965: I, 5) è forse anche il primo a
permettersi di contraddire la classificazione aristotelica degli animali in acquatici e terrestri,
preferendo suddividerli, “sulla base dell'esperienza, ed assumendo, in certo senso, la terminologia
del linguaggio parlato, in acquatici, terrestri ed intermedi, fornendo, di tutti, esempi e classificandoli
per generi differenti e per specie differenti (all'interno) dei generi” (Federico II di Svevia, cit. in
Trombetti Budriesi 2000: 18).
Il Liber de arte venandi cum avibus è un'opera di grandissima importanza non solo storica, ma
anche tecnica: i sei libri nei quali si divide contengono innumerevoli indicazioni, consigli e
descrizioni delle tecniche di allevamento, addestramento e caccia col rapace, offerte con una
chiarezza ed un'accuratezza nei dettagli tale da poter essere considerato attuale dopo quasi otto
secoli dalla sua composizione. Dopo aver letto le descrizioni delle attrezzature necessarie
all'allevamento e all'addestramento dei rapaci (posatoi, tornetti, filagna, lunga, guantone, logoro,
etc.) ed averne compreso la funzione, qualsiasi aspirante falconiere dei giorni nostri potrebbe
cimentarsi nella costruzione di pertiche, blocchi (posatoi per il falco), carnieri medioevali (borsa in
cui il falconiere ripone le carni da dare al falco e altri oggetti) o geti (lacci di cuoio legati alle zampe
del falco, che permettono di trattenere l'animale sul pugno del falconiere o di gettarlo contro la
preda) non meno funzionali di quelli confezionati nell'era industriale.
Non si deve dimenticare che Federico II, oltre ad introdurre e diffondere l'arte della falconeria in
Italia, fece proprio l'uso orientale del cappuccio durante il periodo di addestramento per
tranquillizzare il falco, rendendo questa fase di approccio con l'animale meno crudele:
tradizionalmente si usava infatti “cigliare”, o, come suggerisce l'imperatore “bloire” il falco.
L'operazione consisteva nel cucire le palpebre dell'animale per poi allentare gradualmente la
chiusura della sutura con l'avanzare del livello di addestramento. Come precisa Trombetti Budriesi,
nell'introduzione al De Arte venandi cum avibus , il falco è un animale che “prova somma
repulsione per l'uomo” e che “necessita pertanto di un lungo processo di acculturazione”. Nel
secondo libro del trattato, Federico II spiega che la funzione della cigliatura è quella di evitare che il
rapace, identificando l'uomo, per cui prova avversione e terrore, diventi irrequieto, e, cercando di
fuggire, si ferisca perché legato. L'imperatore lascia intendere più volte che è necessario prendere
con cautela la decisione di allentare la cigliatura, valutando con estrema attenzione il livello di
addestramento del rapace, perché la natura selvaggia del falco riemerge con facilità e con altrettanta
facilità la sua proverbiale “indomabile fierezza” potrebbe spingerlo a spiccare il volo verso la
libertà.
Si evince quindi che il rapporto uomo-falco si basa su un equilibrio estremamente fragile,
difficilissimo da raggiungere ed altrettanto difficile da mantenere. L'ultima parola spetta sempre a
lui, il signore dei cieli, che può decidere di ritornare al pugno del suo falconiere o di rendersi
inafferrabile alle intenzioni terrene dell'uomo. E all'uomo non resta che affidarsi al proprio ingegno,
alla propria sensibilità per addestrare il rapace al punto da farlo volare libero in cerca della preda,
per poi liberamente tornare a posarsi sulla sua mano; è con la sola superiorità dello spirito, non con
la forza, che si può domare l'indomabile, ed è questo che rende l'arte di cacciare con gli uccelli più
nobile e più degna, “nobilior et dignior”, degli altri tipi di caccia.
Letteratura e Falconeria
Il falco affascinò o quanto meno attirò l'attenzione di studiosi e letterati, scrittori e poeti, che
immortalarono scene di caccia col falcone o semplicemente ricordarono l'esistenza di quest'arte
antichissima, chiamata falconeria, all'interno delle loro opere. Come abbiamo già accennato, quella
del falco era una presenza costante, immancabile nella società medioevale, nella vita del nobile di
corte, per il quale il falco rappresentava uno dei beni più preziosi, in quanto simbolo del potere e
della ricchezza. Fotografando scene di vita medioevale, ecco quindi che poeti, letterati, scrittori
decidono di immortalare anche questi esseri alati, che già presentano in se stessi un che di eterno;
nelle corti si recitano le note “cacce in rima”, composizioni poetiche e musicali metricamente affini
al madrigale, in cui è per lo più scritta o rappresentata una scena di caccia.
Folgore da San Gemignano, nella sua “corona” di sonetti detta “dei mesi” ed in quella “dei giorni
della settimana” associa la presenza dei rapaci a momenti di “diletto” ed “allegrezza”: “Di
settembre vi do diletti tanti/ falconi, astori, smerletti, sparvieri/ lunghe, gherbegli, geti con carnieri/
brachette con sonagli, pasto e guanti (…)” (cit. in Innamorati 1965: I, 122).
Boccaccio fa' del falcone (alter ego del nobile medioevale) un personaggio di due novelle del
Decameron, la nona della quinta giornata e la nona della settima giornata. Nella prima (V-9) il
nobile falcone viene immolato quale ultima e unica ricchezza rimasta a Federigo degli Alberghi e
offerto in pasto a monna Giovanna, ignara di mangiarsi proprio il rapace che era andata a chiedere
in dono per il figlio malato. Nella seconda (VII-9) lo sparviero del nobile, vecchio ed impotente
Nicostrato viene barbaramente ucciso sotto i suoi occhi dalla moglie Lidia, decisa a beffarsi della
sua impotenza, dando allo stesso tempo una prova d'amore all'amante Pirro, il servitore di
Nicostrato. Il sacrificio dei due rapaci è fortemente legato alla simbologia dell'animale, “attributo
altamente significativo del proprio status sociale” (Trombetti Budriesi 2000: XXXV), segno di
potere, nobiltà, forza, virilità. Durante tutto il Medioevo il falco diviene stabilmente e
pregnantemente emblema di nobiltà d'animo, e araldica.
Il falco è presente anche in alcuni canti della Divina Commedia. Dante mostra di conoscere la
falconeria e le tecniche di addestramento del rapace, citando il volo del falcone in alcuni passi
dell'Inferno ed inserendolo all'interno di similitudini memorabili, come quella di queste terzine:
Come 'l falcon ch'è stato assai su l'ali,
che sanza veder logoro o uccello
fa dire al falconiere «Omè, tu cali!»,
discende lasso onde si move isnello,
per cento rote, e da lunge si pone
dal suo maestro, disdegnoso e fello;
così ne puose al fondo Gerïone
al piè al piè de la stagliata rocca,
e, discarcate le nostre persone,
si dileguò come da corda cocca.
(Inf. XVII: 127-136)
Gli scrittori italiani non sono i soli ad inserire riferimenti venatori nelle loro opere; la fortuna
letteraria del falco non conosce frontiera.
Kriemhilde sogna di addomesticare un falco (stiamo parlando della saga dei Nibelunghi); i dieci re
invitati da Re Artù alle nozze tra Erek e Enide (nell' Erek di Hartmann von Aue) si presentano a
cavallo col loro falco in pugno.
E chi non ricorda le lacrime del Cid Campeador , Rodrigo Díaz de Vivar, in partenza per l'esilio?
L'incipit del primo grande poema epico spagnolo canta il dolore di un uomo che per prima cosa si
ricorda di essere falconiere: lo sguardo di Rodrigo, rivolto alle voliere vuote, ai posatoi
abbandonati, tradisce il legame che lo lega ai suoi falchi:
De los ojos tan fuertemientre llorando,
tornaba la cabeça i estábalos catando.
Vio puertas abiertas e uços sin cañados,
alcándaras vazias sin pielles e sin mantos
(5) e sin falcones e sin adtores mudados.
Sospiró mio Çid, ca mucho habié grandes cuidados.
(ed. Lázaro & Tusón 1988: 33)
I rapaci a corte: la gerarchia sociale
In tutte le corti europee falchi, falchetti, smerigli ed altri rapaci attiravano l'attenzione di cavalieri,
principi, baroni, re e regine; il dono di un falcone era una tecnica di corteggiamento molto
apprezzata dalle dame di palazzo, basti pensare che i falchi, come già accennato, venivano offerti
come dote di nozze negli sposalizi regali. Ogni gradino della scala sociale aveva come simbolo del
proprio rango un rapace: l'aquila reale era riservata all'imperatore; il girfalco era prerogativa del re;
il falcone gentile spettava al principe; il pellegrino femmina ai duchi e ai conti; il terzuolo di
pellegrino (il pellegrino maschio, di dimensioni di 1/3 inferiori a quelle della femmina) al barone; il
falco sacro al cavaliere; il lanario al nobile di campagna; lo smeriglio alla dama; il lodolaio ai paggi.
Ai piccoli proprietari terrieri era destinato l'astore femmina, l'astore maschio era assegnato ai
poveri, la femmina di sparviere ai preti ed il moschetto (lo sparviere maschio) ai chierici di rango
inferiore.
Diplomazia e politica: il ruolo del falcone
Carico della sua simbologia il falcone svolgeva un ruolo politico di prim'ordine: una delegazione di
falconieri era presente durante la stipula di importanti trattati e in più di un'occasione si rivelò
fondamentale per una soluzione pacifica di controversie tra regnanti. L'esempio più eclatante del
valore che non solo i popoli d'Occidente ma anche quelli d'Oriente attribuivano al falco e all'arte
della falconeria è senza dubbio la tregua chiesta ed ottenuta, in piena crociata, durante la battaglia di
Tolemaide, dal monarca francese Filippo Augusto: il suo girfalco preferito era andato a posarsi
all'interno del baluardo nemico e per permettergli di recuperarlo i fedeli della mezzaluna
accettarono di sospendere lo scontro. Il riscatto pagato sarebbe bastato per liberare più di
cinquecento prigionieri cristiani.
Tre secoli più tardi, reduci anch'essi dalle crociate, i Cavalieri di San Giovanni invieranno in dono
un falcone a Carlo V re di Spagna, quale ringraziamento per aver concesso all'Ordine, rimasto senza
sede dopo la disfatta di Rodi, l'isola di Malta, Gozo e la base di Tripoli.
L'impiego strategico del falcone nei rapporti diplomatici si è dimostrato così efficace da essere
riproposto ai giorni nostri: solo qualche decennio fa il celebre falconiere e naturalista Félix
Rodríguez de la Fuente saliva a bordo di un aereo in compagnia di due falchi pellegrini, dono della
corona di Spagna al monarca saudita Saud Ibn Abdul-Aziz.
Uno sguardo alle origini: dal II Millennio a. C. alle Crociate
L'incontro-scontro tra Oriente e Occidente nel periodo delle crociate modificò inevitabilmente i
rapporti tra le due culture, favorendo gli scambi ed arricchendo le conoscenze di entrambi gli
schieramenti. Questo periodo storico significò l'incontro tra i due grandi filoni della Falconeria,
quello orientale e quello nordico: sebbene gli studiosi concordino nel situare le origini di quest'arte
in Asia, intorno al II millennio a.C., i primi contatti dei popoli europei con la falconeria si devono
probabilmente alle invasioni barbariche. Le tribù dei popoli germanici praticavano infatti una sorta
di rudimentale basso volo (tipo di caccia esercitata in zone boschive ed effettuata storicamente con
l'impiego di astori e sparvieri, grandi inseguitori, capaci di rincorrere la preda fra i rami degli alberi
riuscendo a raggiungerla e bloccarla con estrema rapidità), tecnica che ben si conciliava con le
caratteristiche geologiche delle terre da loro abitate.
Il reperto più antico che attesta l'esercizio dell'arte della falconeria è un bassorilievo rinvenuto tra le
rovine della città mesopotamica di Khorsabad, raffigurante un uomo con un falco in pugno e datato
intorno al 1400 a .C.
Resti iconografici a tema falconario sono stati scoperti anche in Turchia ed in Cilicia: un
bassorilievo recuperato nelle rovine di Bogazkab rappresenta un falconiere con un rapace sul pugno
destro, intento a sorreggere la lunga con la mano sinistra ( 1300 a .C.); una stele ittita datata intorno
al XIII sec. a.C. riproduce la figura dello scriba Tarhunpiya bambino, che prende in mano i geti di
un falcone posato sul suo blocco.
Altri reperti archeologici provengono dall'arte assira e da quella greca. Intorno al VI sec. d.C. viene
trovato nella cosiddetta “Villa del Falconiere” di Argos, nel Peloponneso, un mosaico raffigurante,
con dovizia di dettagli, scene di caccia col falcone. E' forse questa la prima testimonianza
dell'esercizio di quest'arte in Europa.
La prima metà del secolo VIII, segnata in Oriente dal califfato abbasside di Baghdad, rappresenta
“l'età d'oro della caccia al volo nel mondo islamico” (Trombetti Budriesi 2000: XXII). E' durante
questo periodo che si realizza la stesura dei due primi e più significativi trattati di falconeria in
lingua araba, punto di riferimento per gli studiosi di cinegetica orientali e ispirazione degli scrittori
occidentali nei secoli successivi. Il primo è il trattato di falconeria di al-Ghitrif ibn Qodama alGhassani, conosciuto in Occidente come Ghatrif. Gran falconiere del decimo califfo ommayade di
Damasco, Hicham ibn ‘Abd el-Malik (724-743), e del primo califfo abbasside, elaborò la sua opera
tra il 783 e il 785. L'altra opera di considerevole importanza è il Kitab al-mutawakkili (Trattato di
Falconeria) del famoso medico Abou Zayd Hounayn ibn Ishaq al-‘Ibadi, conosciuto come il
Moamin . La versione più fedele del trattato “è contenuta nel Kitab al-djawarih ( Trattato sugli
uccelli che cacciano al volo ) dovuto ad al-Hadjdjadi ibn Khaythama, compilato durante il califfato
di Haroun al-Rachid (786-809)” (Trombetti Budriesi 2000: XXIII).
Nel 1116 viene realizzato quello che si considera il più antico ricamo arabo che si conosca in tutto il
mondo: un manto regale con medaglioni ricamati in seta ed oro recanti varie raffigurazioni, tra cui
cavalieri e falconieri che portano in pugno il loro rapace pronto alla caccia. Il tessuto, proveniente
dalle manifatture arabo-ispane di Almería e conservato attualmente nella sacrestia della Cattedrale
di Fermo, è stato utilizzato per farne un paramento sacro ed è noto come la “Casula di S. Tommaso
Becket”. Fu proprio il santo martire inglese, secondo antiche fonti, a donarlo al vescovo di Fermo,
Presbitero, suo amico e compagno di studi all'Università di Bologna.
L'incontro tra le due tradizioni, quella orientale e quella occidentale durante il periodo delle crociate
produrrà una evoluzione tra le tecniche di caccia e di addestramento. Nella falconeria occidentale vi
sarà l'introduzione del cappuccio, scomparirà gradualmente la cigliatura, saranno perfezionate le
tecniche di caccia, in funzione delle differenti prede, e si sostanzierà un travaso di esperienze.
Questo scambio sarà reso patrimonio stabile da Federico II.
L'imperatore si preoccupò di riunire i migliori maestri dell'arte, provenissero anche dalla Terra
Santa o dall'oriente, presso la sua corte, proponendo un'esperienza culturale senza alcun possibile
paragone nei periodi storici successivi. Un centro di ricerca multietnico, professionale, produttivo di
stimoli e spunti scientifici sviluppati nel De arte venandi cum avibus.
Nell' arco di tempo attraversato dalle crociate, ampio in verità, si codifica e si impone la
differenziazione gerarchica delle differenti specie di rapaci.
L'aneddoto dell'imperatore Federico II (novella XC del Novellino ), costretto a giustiziare il suo
falco preferito, un girfalco, perché “avea morto lo suo signore”, un'aquila, è esemplificativo
dell'impossibilità a perdonare il tradimento del vassallo più alto in rango (il girfalco), verso
l'imperatore (l'aquila). Non è casuale la scelta del giustiziere, il boia, per la decapitazione del
girfalco.
L'incontro delle due tradizioni non comporterà la loro fusione. Permarranno differenze
metodologiche notevoli, come l'utilizzo frequente delle albanelle nella falconeria mediorientale, che
non saranno assimilate.
Il Quattrocento, secolo del Magnifico
La migliore interpretazione dell'arte della falconeria, durante il Quattrocento è legata alla figura di
Lorenzo il Magnifico. Grande nelle sue passioni, accorto politico, oggetto delle attenzioni non
proprio benevole degli altri signori dell'epoca, ha legato la sua figura alle grandi partite di caccia
quattrocentesche, lasciando testimonianza di questo suo interesse in un lungo ed impaziente
carteggio intrattenuto con i nobili del tempo. Citiamo ad esempio una lettera indirizzata al duca
Ercole D'Este, il 9 gennaio 1482, in cui Lorenzo de' Medici chiede con urgenza due falchi “boni da
aironi”. Il magnifico è anche inconsapevole argomento epistolare fra Angelo Poliziano e Clarice
Orsini, per la sua predilezione nei confronti di un pellegrino, pronto al richiamo del logoro.
Il signore di Firenze non costituisce un'eccezione nel panorama della penisola, il clima culturale e
storico è l'humus che nutrirà le grandi cacce del Cinquecento, ma è senza dubbio il più composto, il
più solenne, e di maggior rilievo.
Le grandi cacce signorili del Cinquecento
In questo periodo si raggiunge “il vertice della grandiosità spettacolare”, citando Innamorati, poiché
confluiscono elementi di mondanità tipici delle feste a corte, e un gusto scenografico per i luoghi e
le strategie di caccia che mai più si ripeterà. E' una dimostrazione di sfarzo, di ricchezza, ed un
esercizio di gusto e sensibilità individuale, che trova coinvolti tutti i maggiori personaggi del
periodo. Leone X, gli Este, i Gonzaga, che gareggiano per rendere tali cacce indimenticabili e
oggetto di pettegolezzo e invidia nelle altri corti europee.
L'avvento delle armi da fuoco e il declino della Falconeria
Il declino della falconeria è direttamente collegato all'avvento e alla diffusione delle armi da fuoco,
che costituiscono nella caccia un mezzo più rapido e sicuro per assicurarsi risorse alimentari; quali
concause, possiamo menzionare la maggior estensione dei coltivi, l'accresciuta pressione
demografica, e la diminuzione della selvaggina. Fattori tecnici connessi ad uno culturale: in tutte le
corti europee si costituiscono centri importanti di allevamento e di addestramento, le cui
fondamenta erano potenti ed esclusive scuole di allevatori. Questi ultimi, costituiti in casta,
difendevano con tutti i mezzi a loro disposizione i privilegi acquisiti, trasformando l'addestramento
in un prolungato e indefinito approccio di formazione per il falco, nel tentativo, riuscito, di rendersi
indispensabili. Queste considerazioni riportate nell'antologia di Giuliano Innamorati, lasciano
intuire come la rivoluzione delle armi da fuoco, abbia segnato il declino della tradizione falconaria,
sclerotica, e incapace di reinterpretarsi per sopravvivere. La comparsa di moschetti e pistole nel sec.
XVI, unitamente agli altri fattori, causerà una lenta asfissia e l'arte della falconeria perderà il suo
splendore, per poi venir riscoperta secoli più tardi.
L'impronta del falconiere
Le polemiche e le accuse, fra le associazioni ambientaliste e le associazioni di falconeria sono
ancora lontane dalla conclusione, ed una prospettiva “terza”, il più possibile imparziale su tanta
contesa, valuta positivamente la strada sin qui percorsa. I falconieri non possono più essere tacciati
di contrabbando, il documento CITES, applicato, lo rende impossibile. Da ciò tutti hanno tratto
vantaggio: depredare nidi costituiva una condotta deprecabile, oltre che pericolosissima per le
specie coinvolte. Oggi i centri di riproduzione soddisfano la domanda del mercato, composto da
soggetti che non si improvvisano esperti, ed esemplari vincitori di competizioni assicurano linee di
sangue molto apprezzate.
Il concetto di falconeria, nei suoi millenni di storia, ha naturalmente subito delle modificazioni. Al
giorno d'oggi i falconieri che praticano l'arte venatoria sono un numero esiguo rispetto al numero
totale. Per i falconieri disinteressati all'attività venatoria, l'esercizio al logoro, o al pugno, è il
simulacro della caccia con il loro compagno e se si obietta come “contra naturam” questa condotta,
essendo i rapaci animali predatori che cacciano per istinto, vale la pena ricordare che la
consuetudine fra falco e uomo in Europa ha solo 1600 anni, ed è continua la ricerca di equilibri e
interazioni migliori, ma le esperienze pregresse, rispetto ad un'ipotetica perfezione, devono pur
esser compiute. Il falconiere incappuccia il suo falco, ed è contento dell'espressione del volo del suo
pellegrino, o del suo lanario, o di entrambi, se privilegiato. La giornata è conclusa, il carniere
scarso, o vuoto. Non si può addebitare loro la dispersione nell'ambiente di tonnellate di piombo, i
pallini esplosi. L'impronta del falconiere, se espressa in queste modalità, è sull'ambiente circostante
leggera, e rispettosa della selezione naturale nel prelievo venatorio.
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© Isabella Oss Pinter 2009