Arafat e il mistero della sua morte

Transcript

Arafat e il mistero della sua morte
Arafat e il mistero della sua morte
Venerdì 05 Agosto 2011 23:00
di Eugenio Roscini Vitali
Ogni anno la Palestina commemora l’anniversario della morte di Yasser Arafat, deceduto alle
3:30 dell’11 novembre 2004 nel reparto di ematologia dell’Hopital d’instruction des armees
Percy (HIA Percy), a Clamart, comune della “petite couronne” parigina. Le condizioni di Abu
Ammar – come lo hanno sempre chiamato i palestinesi – si erano bruscamente aggravate il 4
novembre, con un repentino peggioramento del quadro clinico che lo aveva fatto precipitare in
uno stato di coma profondo. Sulla scomparsa del simbolo della lotta palestinese si sono fatte
mille supposizioni, ipotesi che aldilà delle convenienze politiche hanno suscitato non pochi
dubbi: sia sul ruolo svolto dall’allora premier israeliano Ariel Sharon, sia sulle possibili trame
interne agli stessi vertici palestinesi. Ma a sette anni di distanza, in un articolo pubblicato dal
quotidiano Hareetz, il giornalista investigativo Yossi Melman prova a smontare la teoria del
complotto e avvalendosi della testimonianza dell’allora capo di gabinetto dell’ex premier
israeliano rilancia l’ipotesi della morte dovuta ad un male incurabile.
Yasser Arafat fu sepolto a Ramallah il 12 novembre 2004, nel quartier generale dell’Autorità
Nazionale Palestinese, il luogo dove aveva vissuto da confinato gli ultimi anni della sua vita. Ad
accogliere il feretro, proveniente dal Cairo dove in mattinata aveva avuto luogo la cerimonia funebre, c’erano decine di migliaia di palestinesi, confluiti nel piazzale della Muqata’a per
rendere l’ultimo omaggio al rais. A causa dell’enorme folla, la sepoltura, frettolosa e in
disaccordo con i riti religiosi islamici, fu però ripetuta il giorno seguente, con la salma
disseppellita come deciso dalla massima autorità religiosa palestinese, lo sceicco Taissir
Tamimi. La prova scientifica che Abu Ammar non sia morto di morte violenta quindi non esiste:
l’equipe medica dell’ HIA Percy ammise di non conoscere il reale motivo della decesso e non
bastò un dettagliato rapporto di 558 pagine a dipanare i dubbi di chi, sin dal primo minuto,
sostenne la tesi dell’omicidio; nel referto, i medici francesi descrissero una sopravvenuta
complicazione dovuta ad un complesso disturbo del sangue che chiamarono “coagulazione
disseminata intravascolare”.
1/3
Arafat e il mistero della sua morte
Venerdì 05 Agosto 2011 23:00
Tra le varie ipotesi si parlò anche di AIDS e di Parkinson, ma il dottor Ashraf Al Kurdi, medico
personale del leader palestinese, dichiarò che Arafat non era affetto da alcun mordo e che i
diversi test HIV ai quali era stato sottoposto erano sempre risultati negativi. Tuttavia, la cosa
che più alimentò il fronte degli scettici fu il fatto che nessuno autorizzò mai l’autopsia: qualche
anno dopo Kurdi spiegò che il successore alla presidenza dell’ANP, Mahmoud Abbas, aveva
giustificato la decisione con la possibilità che ciò avrebbe potuto incrinare i rapporti con la
Francia, in quanto avrebbe costretto Parigi ad agire contro gli interessi di Israele e degli Usa.
Questa eventualità però fu fortemente criticata dallo stesso Kurdi che in più occasioni ebbe
modo di ricordare come in Giordania le autopsie su dubbi casi di morte violenta fossero
obbligatorie e come gli esami post mortem non sono mai stati contrari alla legge islamica, che al
contrario ne permette l’esecuzione a patto che vengano effettuati al più presto e con grande
rispetto per il defunto.
Nel 2006 l’ipotesi dell’omicidio è stata anche confermata dallo scrittore israeliano Uri Dan,
persona particolarmente vicina all’ex premier ed autore del libro “Ariel Sharon: un ritratto
intimo”. Dan afferma con certezza che Arik [Sharon] ricevette l’approvazione telefonica del
presidente americano George W. Bush e che la decisione di liquidare il leader palestinese fu
presa per rimuovere “l’ultimo” ostacolo alla politica di colonizzazione israeliana in Cisgiordania.
D’altronde, la lunga e scomoda storia israeliana di omicidi mirati era tornata a galla nel
settembre 2003, con Ehud Olmert, allora vice primo ministro, che parlando di Arafat aveva
dichiarato alla radio israeliana: «La domanda è: come dobbiamo farlo? L'espulsione è
certamente una delle opzioni, così come l’omicidio». Parole quantomeno “avventate” che fecero
infuriare i palestinesi e scatenarono la reazione delle stesse organizzazioni pacifiste israeliane,
da Gush-Shalom al noto attivista Uri Avnery.
Ora, a qualche anno di distanza, a dare la sua versione dei fatti è Dov Weissglas, ex capo di
gabinetto dell’allora primo ministro Ariel Sharon, che in un articolo di Yossi Melman parla di vera
e propria speculazione costruita intorno alla morte del leader dell’OLP. In una delle rare
dichiarazioni concesse alla stampa, Weissglas dissipa le voci di corridoio e rivela che
l’intenzione dell’ex premier israeliano non era quella di ucciderlo, ma di isolarlo politicamente.
Per l’avvocato israeliano, nei mesi successivi alla morte di Arafat i media palestinesi invocarono
fatti circostanziali che non giustificarono in alcun modo la teoria del complotto: primo fra tutti il
commento sussurrato nell’aprile 2002 dal ministro della Difesa israeliana al premier Sharon.
Durante una conferenza stampa tenuta dopo la cattura della nave Karin A, in rotta dall’Iran per
Gaza con 50 tonnellate di armi a bordo, Shaul Mofaz si lasciò sfuggire, a microfoni aperti, la
frase «dobbiamo sbarazzarci di lui». Un episodio che avrebbe giustamente dato adito alle più
sfrenate speculazioni.
La teoria dell’omicidio guadagnò poi credibilità a causa delle rivelazioni del giornalista Uri Dan
e per il fatto che già in passato l’intelligence israeliana aveva fatto largo uso di veleno. Basti
ricordare come nel 1978 il Mossad eliminò Wadia Hadad inviandogli un pacchetto di cioccolatini
avvelenati; il leader della fazione palestinese responsabile del dirottamento del volo Air France
139 su Entebbe, morì alcuni mesi dopo in un ospedale di Berlino Est dopo aver sviluppato una
malattia del sangue molto simile alla leucemia. Stessa sorte sarebbe dovuta capitare a Khaled
2/3
Arafat e il mistero della sua morte
Venerdì 05 Agosto 2011 23:00
Meshaal, leader di Hamas ad Amman, quando il 25 settembre 1997 due agenti israeliani con
passaporto canadese cercarono di ucciderlo mentre si recava in ufficio spruzzatogli sul lobo
dell’orecchio uno spray tossico; ricoverato in ospedale, Meshaal fu salvato solo grazie
all’intervento di re Hussein di Giordania e del presidente americano Bill Clinton che fecero
pressioni su Benjamin Netanyahu affinché inviasse nella capitale giordana un antidoto capace
di salvare la vita del leder palestinese.
Pur ammettendo quanto Sharon disprezzasse Arafat, Weissglas è certo che il premier
israeliano non abbia mai pensato ad una soluzione cruenta: «Lo considerava il più grande
nemico di Israele e un ostacolo a qualsiasi accordo di pace. Ecco perché ha ostinatamente
rifiutato un incontro. Ma nonostante tutto, non ha mai pensato alla possibilità di causargli danni
fisici». La scomparsa politica di Arafat era già iniziata nel gennaio 2002, con il coinvolgimento
diretto dell’Autorità Nazionale Palestinese nel traffico di armi con l’Iran, e quattro mesi dopo «il
Segretario di Stato Usa, Condoleezza Rice, ci informò che il presidente stava per pronunciare
un discorso che avrebbe definito la politica americana in Medio Oriente». Di li a poco Israele e
Stati Uniti avrebbero spiegato al mondo il ruolo negativo di Arafat nel processo di pace
israelo-palestinese e il suo coinvolgimento nelle decisioni riguardanti il finanziamento al
terrorismo; una posizione che il presidente americano George W. Bush avrebbe ufficializzato il
24 giugno 2002 durante la presentazione della Road Map, il piano di pace promosso da Stati
Uniti, Russia, Unione Europea e Nazioni Unite.
Per due anni lo Stato ebraico e gli Usa continuarono a boicottare Arafat, ad assediare il quartier
generale di Ramallah e ad isolare il leader dell’OLP; alla fine di ottobre Javier Solana chiese ad
Israele di autorizzare Arafat a lasciare il compaund per una visita medica. Le condizioni fisiche
del leader palestinese era peggiorate notevolmente e fu Weissglas a contattare Sharon per
l’autorizzazione: «il giorno dopo Solana mi chiamò per dirmi che, anche se non era chiaro quale
malattia avesse, i test avevano rivelato che le condizione di Arafat erano serie». Solana riferì
inoltre che il leader palestinese aveva chiesto che il permesso di poter ottenere un trattamento
migliore in un ospedale europeo. La richiesta fu subito discussa in un meeting al quale
parteciparono il premier, rappresentanti del governo e ufficiali dell’intelligence e delle Forze di
Sicurezza Israeliane.
Furono proprio i servizi segreti e l’esercito ad avanzare non poche perplessità, ma nonostante
l’opposizione dei militari Sharon diede l’autorizzazione al trasporto: «vista la richiesta di Solana
e dei palestinesi, Arik decise di consentire un ponte aereo immediato con Francia per il
trasporto di Arafat»; era preoccupato per il fatto che la morte del leader palestinese all’interno
della Muqata’a potesse danneggiare seriamente l’immagine stessa di Israele, soprattutto se
non gli fosse stato permesso di ricevere i trattamenti medici necessari.
3/3