Palestina, due popoli due stati - VIS
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Palestina, due popoli due stati - VIS
Mappamondo Mappamondo PALESTINA DUE popoli DUE stati: la politica Gianni Vaggi L La tragedia israelo-palestinese ha una storia lunga, ma vi è un’unica possibile soluzione che essa si basa su due principi. Primo, vi saranno due stati e due popoli con uguali dirittidoveri, il che implica “pace contro territorio”. Secondo, a questa soluzione si arriva con il dialogo e il negoziato. Questa è stata la base degli accordi fra Rabin ed Arafat, questi erano i termini del problema non risolto a Camp David nell’estate del 2000. Se non esiste il dialogo e se non esiste il suo presupposto, cioè l’accet- Due principi per una possibile soluzione al conflitto israelo-palestinese. tazione reale di quello scambio, il resto è tragedia e allontana la soluzione. Se vogliamo esaminare le posizioni politiche nei due campi dobbiamo farlo rispetto a quei due elementi, perché solo da essi, e soprattutto dal dialogo, può venire una soluzione giusta. Dal punto di vista di questi due principi Arafat e Sharon non sono sullo stesso piano. La “colomba” Peres ha sempre accettato quei due punti, Rabin e Barak li hanno accettati in una fase della loro storia politica. Lo stesso ha fatto Arafat: prima ha minacciato la distruzione dello stato di Israele, poi ha siglato gli accordi di Oslo e ha stretto la mano di Rabin alla Casa Bianca. Arafat non ha mai rifiutato di incontrare Sharon. Di Sharon non ricordo alcuna dichiarazione esplicita a favore di uno stato palestinese che " 5/02 3 5/02 4 Mappam Foto: R. Siciliani Mappamondo Meah Sharim. Il quartiere ortodosso ebraico di Gerusalemme includa la grandissima parte della Cisgiordania. Fin dall’inizio del suo governo la strategia politica dichiarata è stata quella di indebolire sia Arafat che l’Autorità Nazionale Palestinese. Prima non riconoscendo Arafat come interlocutore, poi accusandolo di essere direttamente responsabile degli atti terroristici e usando la mano militare pesante soprattutto contro di lui e l’Autorità Nazionale Palestinese. Tutti sanno che fra i Palestinesi non vi è alcun leader che sia al tempo stesso più disponibile al dialogo di Arafat e, contemporaneamente, politicamente forte credibile. Senza Arafat e ANP il dialogo politico si interrompe. Sharon ha rifiutato la presenza di osservatori internazionali. Si dice che questa iniziativa non è possibile date le condizioni sul terreno, ma questo è falso perché i confini fra Israele e le “zone A” controllate dai Palestinesi esistono abbon- dantemente testimoniati dai check point. Ovviamente ci sono “falchi” anche in campo palestinese, coloro che pensano ancora ad una soluzione di forza, Hamas e dall’inizio della seconda intifada le brigate di Al Aqsa che provengono dalle file di Al Fatah. Il problema oggi è la ripresa di un dialogo sincero, che ormai può essere garantito solo dalla comunità internazionale, Stati Uniti in testa. Sharon rifiuta di riconoscere come interlocutore l’Unione Europea, all’ONU neppure si rivolge, riconosce solo gli Stati Uniti ma non accoglie i loro inviti, per quanto timidi. La politica è mediazione, ma come è possibile giungere ad una pace giusta se si disconoscono tutti gli interlocutori? Con chi costruire il futuro? Criticare la linea politica di un governo non è antisemitismo, questo è banale, i fatti citati sono facilmente riscontrabili e sono quotidianamente sottolineati da molti israeliani. Il diritto di Israele all’esistenza in un territorio sicuro è fuori discussione, ma questo vale anche per i Palestinesi. Se davvero Israele fosse in pericolo molti pacifisti occidentali e palestinesi si schiererebbero a suo favore. Il pacifismo internazionale sta sempre dalla parte del più debole; la storia degli ultimi dieci anni nei Balcani ne fornisce abbondanti prove. Basta vedere i dati sullo sviluppo economico ed umano dei due popoli per vedere di quanto abbiano bisogno i palestinesi. La sicurezza di Israele sta nella pace, non nell’intervento militare nei campi profughi. Il terrorismo in Medio Oriente nasce dopo la guerra del 1967 e dopo quella in Libano nel 1982. La situazione migliora con gli accordi di pace con Egitto e Giordania e gli accordi di Oslo. Con il piano del Principe Abdullah dell’Arabia Saudita questa pace si può estendere a quasi tutti i paesi arabi. Questa è la strada per fermare gli attentati suicidi-omicidi, non quella dei carri armati. Gli errori della politica Il fallimento di Camp David nell’estate del 2000 è una tragedia annunciata. L’amministrazione americana ha sottovalutato le distanze che ancora separavano le due parti e l’esa- mondo Barak può segnare un punto di svolta terribile per i due popoli. Quel negoziato è stato per molti versi un tragico azzardo. La passeggiata di Sharon sulla spianata del tempio del settembre 2000 non ha nulla a che vedere con la sicurezza di Israele, ma fa traboccare il vaso ed inizia l’ennesima tragedia. Le speranze: i popoli Come è possibile che i palestinesi applaudano i giovani kamikaze e le stragi di civili inermi israeliani, e come è possibile che l’opinione pubblica israeliana accetti Jenin ed i massacri dei campi profughi? Dopo l’inizio della seconda intifada, Barak perde le elezioni e Sharon va al governo. Come è possibile che il popolo israeliano che, pure secondo i sondaggi del settembre del 2000 era ancora per il 60% a favore del principio “terra contro pace”, dopo pochi mesi cacci Barak e dia una larga Foto: FTP/SIR Betlemme, 5 marzo 2002. Palazzi distrutti dai bombardamenti israeliani 5 Foto: FTP/SIR sperazione che soprattutto dopo la morte di Rabin covava fra i palestinesi per la mancanza di progressi nel processo di costruzione del loro stato. Barak arriva ai negoziati con all’attivo il ritiro dal Libano, ma con una situazione debolissima nel governo e all’interno del partito laburista, per lui il negoziato di pace è quasi un’ultima spiaggia politica, ma non sa quanto siano esasperati i Palestinesi. Anche Arafat è assai debole, criticato per come amministra l’ANP e indebolito dal radicamento di Hamas sul territorio. Ci sono molti lati oscuri del negoziato e su che cosa davvero Barak abbia offerto come territorio, ma Arafat sbaglia nel non accettare. È pressato dall’esasperazione del suo popolo e da chi è in favore di una qualche forma di lotta di liberazione, non capisce ciò che sta avvenendo nella società israeliana; proprio la debolezza politica di 5/02 Haifa - Israele, 10 aprile 2002. I resti dell’autobus, su cui un kamikaze si è fatto saltare in aria maggioranza a Sharon? Uno Sharon non amato, anzi condannato per non avere impedito le stragi di Sabra e Chatila. È un baratro senza fine? Non necessariamente ci sono ragioni di speranza, che però debbono accompagnarsi allo sforzo di comprendere le posizioni di questi due popoli. La maggioranza degli israeliani accetta i due principi elencati all’inizio. Il popolo israeliano vuole essere un popolo che vive nella sicurezza ma che vive una vita normale, che fa progetti per i propri figli. Per fare questo sa che non può essere un popolo che occupa un altro popolo, molti intellettuali israeliani hanno già detto che la normalizzazione passerà anche attraverso il riconoscimento dei torti che sono stati fatti ai palestinesi. Eppure l’opinione pubblica israeliana è estremamente influenzabile dagli eventi che riguardano la sicurezza. Le stragi nei supermercati di Gerusalemme determinano paura e sgomento, più che rabbia. Tutti sanno che è la pace, e non Sharon, la vera si- " 5/02 6 Mappam Foto: Simona Granati Mappamondo Medico palestinese mostra il passaporto ad un posto di controllo curezza di Israele, ma nel momento dello sgomento prevale il sentimento di richiudersi su se stessi. Eppure ricordiamo il forte impatto emotivo della visita di Sadat a Gerusalemme e della stretta di mano di Rabin ed Arafat. Il popolo israeliano può rapidamente cambiare i suoi sentimenti, questo popolo ha bisogno di sicurezza, ma forse ancora di più di essere rassicurato. La maggioranza dei palestinesi desidera anch’essa una vita normale per sé e per i propri figli, ma in questo caso il sentimento prevalente è l’esasperazione, la mancanza di prospettive, le umiliazioni quotidiane. E soprattutto l’arresto di un processo di pace iniziato nel 1993 che per loro significava avere uno stato proprio. Anche questo la storia ci ricorda, il processo “pace contro terra” era già iniziato, ma si è interrotto con il governo di Ne- tanyau, che ha continuato a realizzare nuovi insediamenti nei territori palestinesi. Ogni popolo vive e soffre i suoi sentimenti e spesso non conosce quelli dell’altro popolo. Ci sono tante “colombe” nei due campi, ma quando la politica lascia spazio alla guerra sono le voci dei “falchi” a prevalere; le voci del dialogo sono soffocate dalle immagini di morte. L’abbiamo già visto nell’ex-Jugoslavia, la guerra ha fatto prevalere i Milosevic, i Karadzic, i Tudjman; le situazioni di conflitto danno voce agli estremisti, eppure anch’essi sono passati. Ma viene un giorno in cui il dialogo riprende e ciò che sembrava impossibile diviene possibile. Per quel giorno la politica è necessaria, ma il giorno del dialogo che viene dipende anche dai canali di comunicazione fra i due popoli; la conoscenza e la comprensione dell’altro sono un antidoto contro i “falchi” della politica. Oggi per israeliani e palestinesi è più facile incontrarsi al di fuori dei loro paesi che in casa; questo è triste ma ci richiama alle nostre possibilità. Laddove la fiducia è bene così raro, l’intervento esterno è essenziale. In quella terra troppo spesso funziona l’equazione: l’amico del mio nemico è un mio nemico. Eppure è possibile passare a: l’amico del mio nemico è mio amico. C’è sempre un “nemico” di troppo, ma anche quello può essere superato con il ! dialogo. PEACE Programme Il PEACE Programme (Palestinian European American Co-operation in Education) nasce nel 1991 durante la prima intifada per aiutare le università palestinesi allora chiuse; vedi: www.unesco.org/programmes/ PEACE Programme. Ne fanno parte oltre 50 università europee, moltissime di queste hanno accordi di cooperazione anche con università israeliane. Il prossimo 14 e 15 giugno si terrà a Pavia un incontro fra studiosi europei americani e del Medio Oriente sulle possibilità di sviluppo di quell’area. e-mail: [email protected]