DALIA: Donne Immigrate in Armonia fra Lavoro e

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DALIA: Donne Immigrate in Armonia fra Lavoro e
DALIA: Donne Immigrate in Armonia fra Lavoro e Impegni Familiari
Ricerca sui fabbisogni specifici di interventi finalizzati alla conciliazione
delle esigenze lavorative e familiari delle donne immigrate
Asse E - Misura E.1 Ob. 3 - Rif. P.A. 2003/0096
Relazione finale ricerca
1
Ente promotore ed attuatore
EFESO Soc. Coop. A.r.l. – Viale Aldo Moro 16 – 40127 Bologna
Tel. 051/60 23 111 – Fax 051/60 14 873
e.mail [email protected] - sito web: www.efeso.it
Alla realizzazione del Progetto DALIA (Donne Immigrate in Armonia fra lavoro e Impegni
fAmiliari), hanno partecipato, in qualità di componenti il Comitato di Pilotaggio:
Andrea Cerino (Responsabile di progetto)
Laura Cavina (Progettista e coordinatrice del progetto di ricerca)
Alain Goussot (Responsabile Tecnico-scientifico della ricerca)
Nicoletta Casadei (Resp.le Efeso Forlì)
Claudia Castellucci (Resp.le Centro Donna Forlì)
Carmela Grezzi (Referente Progetto DALIA Regione Emilia-Romagna).
Alla Fase di indagine sul campo hanno partecipato:
Alain Goussot (Responsabile tecnico-scientifico ricerca)
Cristina Ghitescu (Intervistatrice – Territorio di Rimini)
Aitoubih Khadija (Intervistatrice – Territorio di Imola)
Cinzia Zavatti (Intervistatrice – Territorio di Forlì)
Cristina Piccinini (Intervistatrice – Territorio di Modena )
Nishu Varma (Intervistatrice – Territorio di Reggio-Emilia)
Alla Redazione del Rapporto di ricerca hanno partecipato:
Alain Goussot (Responsabile tecnico-scientifico ricerca)
Laura Cavina (Efeso)
Andrea Cerino (Efeso)
Si ringraziano per la preziosa collaborazione prestata nell’attività di ricerca:
Modena Formazione
Associazione Trama di Terre – Imola
Cooperativa Spazi Mediani - Forlì
2
Indice
Premessa
pag. 05
1. Il Progetto integrato DALIA
pag. 06
1.1 Progetti che compongono il progetto integrato DALIA
1.2 Contesto di riferimento
1.3 Finalità e obiettivi del progetto integrato
pag. 06
pag. 08
pag. 12
2. Il progetto di ricerca DALIA
pag. 15
2.1
2.2
2.3
pag. 15
pag. 19
pag. 21
Contesto di riferimento
Finalità e obiettivi
Fasi della ricerca
3. Ricerca desk: studi ed esperienze realizzate
pag. 22
3.1
3.2
3.3
3.4
3.5
3.6
3.7
pag. 22
pag. 24
pag. 26
pag. 28
pag. 31
pag. 33
pag. 37
Conciliazione fra tempi di lavoro e impegni familiari
Fattori che rendono difficile la conciliazione
Donne immigrate e conciliazione delle esigenze lavorative e familiari
Donne immigrate tra famiglia e lavoro: la conciliazione possibile
Donne immigrate e conciliazione: variabili di contesto
Esperienze di buone pratiche in tema di conciliazione
Schede di esperienze di buone pratiche in tema di conciliazione
4. Metodologia della ricerca
pag. 44
4.1
4.2
4.3
4.4
4.5
pag. 44
pag. 45
pag. 47
pag. 51
pag. 52
Premessa metodologica
Modalità di conduzione delle interviste alle donne immigrate
Il campione
Tipologie dei servizi territoriali presi a campione
Elaborazione ed analisi dei dati
5. L’analisi dei dati raccolti: le donne immigrate
5.1
5.2
5.3
5.4
5.5
Ripartizione quantitativa del campione intervistato per “criteri di selezione”
Codifica dei dati rilevati
Fattori critici in materia di conciliazione lavoro-famiglia
Brevi storie di vita di donne immigrate
Difficoltà e problematiche emergenti: considerazioni e proposte
pag. 55
pag. 55
pag. 61
pag. 64
pag. 69
pag. 77
3
6. L'analisi dei dati raccolti: operatori dei servizi territoriali
pag. 98
6.1
6.2
6.3
pag. 98
pag.100
pag.104
Ripartizione per tipologie di servizio e figure professionali
Le problematiche emerse nella relazione con le donne immigrate
Le proposte degli operatori dei servizi per favorire la conciliazione
7.Considerazioni finali
pag.107
8. L'interculturalità al centro della conciliazione
pag.111
Note bibliografiche
pag.115
Appendice
Strumenti di rilevazione: questionari d'intervista
4
PREMESSA
La scelta del fiore della Dalia, come acronimo, che dà il titolo al progetto, non è stata casuale: in
un momento in cui era forte la tendenza a intitolare i progetti con i nomi dei fiori, la Dalia ci è
sembrata essere quella che maggiormente si identificava con il target del progetto, le donne
immigrate e la problematica indagata, i problemi che incontrano le donne immigrate ad
adattarsi e integrarsi su un determinato territorio a causa soprattutto delle difficoltà di conciliare
i tempi di lavoro e di cura.
La Dalia, infatti, è originaria del Messico, paese dal quale fu importata in Europa, probabilmente
da un botanico svedese, con grandi difficoltà dovute al lungo viaggio che i bulbi erano costrette
ad affrontare; arrivata nel nostro continente incontrò inoltre molte difficoltà di adattamento.
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1. IL PROGETTO INTEGRATO DALIA
1.1
PROGETTI CHE COMPONGONO IL PROGETTO INTEGRATO DALIA
Il progetto integrato “DALIA – Donne immigrate in Armonia fra Lavoro e Impegni Familiari”,
nella sua articolazione originaria, prevedeva complessivamente tre progetti, uno in capo al
proponente originario, Modena Formazione, e due al partner di progetto EFESO.
Il progetto nasce, infatti, dalla progettazione congiunta, nell’ambito del POR 2003, di EFESO e
Modena Formazione, che ne è stato inizialmente il capofila proponente. Successivamente, in
sede di valutazione ed approvazione delle proposte progettuali da parte dell’Amministrazione
regionale – “Assessorato Scuola, Formazione professionale, Università, Lavoro e Pari
opportunità”, l’integrato è stato approvato con modifiche rispetto all’articolazione originaria: il
progetto in capo a Modena Formazione (la messa a punto di un modello di sportello di
accoglienza e consulenza rivolto a donne immigrate) non ricevendo approvazione né totale né
parziale, ha fatto sì che la titolarità del progetto integrato (formato quindi dai due progetti
rimanenti) passasse al partner EFESO, che ha assunto definitivamente e a tutti gli effetti il ruolo
di capofila del progetto stesso.
Più specificatamente, con Delibera di Giunta Regionale n. 1168 del 23/06/2003 sono state
approvate le 2 seguenti attività progettuali, la prima da classificarsi nell’ambito delle Azioni di
Sistema, la seconda in quello degli Aiuti alle Persone:
1. “DALIA: ricerca sui bisogni specifici di interventi finalizzati alla conciliazione
delle esigenze lavorative e familiari delle donne immigrate” (rif. P.A. 2003-0096), di
cui tale report rappresenta la conclusione e il supporto di diffusione dei risultati;
2. “DALIA: interventi formativi per donne immigrate” (rif. P.A. 2003-0097), attualmente
in corso di svolgimento presso la sede territoriale di EFESO – Forlì.
I territori inizialmente indicati nel progetto originario come territori cui rivolgere la globalità delle
azioni progettuali (di ricerca e di formazione) erano quelli di Bologna, Modena, Parma,
Forlì-Cesena e Rimini; venendo a mancare il proponente originario della proposta progettuale,
comunque coinvolto sin dall’avvio del progetto di ricerca nelle attività di realizzazione delle
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interviste per il territorio di Modena, sono stati variati anche i territori sui quali si era previsto di
svolgere la ricerca stessa, anche alla luce delle osservazioni e delle riflessioni fatte durante la
prima riunione del progetto dalla persona designata da EFESO quale Responsabile tecnico
della ricerca, che ha reputato maggiormente interessante, per il focus specifico della stessa, il
coinvolgimento del territorio di Reggio-Emilia, al posto di quello di Parma, e del territorio di
Imola e dintorni piuttosto che quello dell’intera provincia di Bologna.
Con riferimento al primo progetto (1), la tipologia di ricerca, assai innovativa per gli ambiti che
indaga ed i contenuti che tratta, ha inteso caratterizzarsi sin dalla fase della sua progettazione
come ricerca azione partecipata, come attività, quindi, che consente al tempo stesso di
indagare l’ambito prescelto, cioè i tempi di lavoro e cura delle donne immigrate e la loro
possibile conciliazione, e di stimolare il più possibile il coinvolgimento delle stesse, dei referenti
istituzionali e dei rappresentanti di organismi associativi di varia natura. Scopo fondamentale di
questo tipo di ricerca non è solo quello di ottenere una semplice fotografia del contesto definito
come ambito di indagine, ma di avviare delle dinamiche che tendano alla soluzione dei
problemi e ad evidenziare potenzialità latenti ed inespresse di persone, istituzioni e gruppi
presenti sul territorio.
In questa ottica, gli strumenti tradizionali di ricerca utilizzati nel corso dell’intervento (interviste e
focus group) devono essere interpretati come veicoli di trasmissione di messaggi, più che come
mezzi per la rilevazione oggettiva di dati e raccolta di informazioni e in tale senso la ricerca
azione rappresenta un approccio fondamentale di animazione all’interno di un territorio o di un
ambito sociale. Il taglio che si è inteso dare alla ricerca all’interno del progetto Dalia è quello di
“ricerca sociale attivante”, ossia un tipo di indagine che voglia farsi spunto di riflessione e
motore di cambiamento.
A tal fine l’impostazione che si è voluta dare sin dall’inizio è altamente operativa e le attività
sono state pensate in modo da coniugare indagine, mirante a far emergere le problematiche
riguardanti la conciliazione dei tempi, di lavoro/formazione e cura della propria famiglia, delle
donne immigrate, ed intervento, mirante a definire le soluzioni adeguate creando un terreno
fertile per la loro attuazione. Il progetto ha quindi previsto un’attività sperimentale (fase 6), con
l’obiettivo di fornire una prima risposta concreta al problema oggetto di indagine. Tale attività
sperimentale, unitamente agli “interventi formativi per donne immigrate” (2), sono stati affidati
alla sede operativa di EFESO Forlì in virtù della ricca esperienza maturata sulle specifiche
tematiche di genere e dell’immigrazione al femminile.
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La fase 6 si colloca all’interno del progetto di ricerca, anche se è tuttora in atto poiché la
sperimentazione sul territorio di Forlì è stata solo recentemente avviata.
Entrambe le attività progettuali sopracitate, hanno richiesto alcune modifiche nelle loro
caratteristiche essenziali: per quanto riguarda gli Interventi formativi per donne immigrate” è
stato modificato il numero di partecipanti per ciascuna edizione in maniera da consentire
raggruppamenti più snelli ed agevolare in tal modo lo svolgimento dei colloqui orientativi, inoltre
due dei quattro sottoprogetti previsti sono stati riaccorpati in un unico sottoprogetto; la fase 6
della ricerca, che originariamente doveva prevedere la sperimentazione di uno “spazio
maternage”, è stata invece modificata ed ampliata in funzione dell’apertura del Centro
Multiculturale per Donne “Casa del Gelsomino”, inaugurato da poche settimane presso il
Comune di Forlì (partner di progetto), grazie alla preziosa collaborazione del Centro Donna
della medesima istituzione, che vanta una grande esperienza nell’ambito delle attività a favore
dell’integrazione delle donne immigrate sul territorio forlivese.
1.2. CONTESTO DI RIFERIMENTO
La suddivisione totalmente squilibrata del lavoro di cura all'interno della famiglia fra uomini e
donne è oggi uno dei più forti elementi di disuguaglianza nello scenario sociale italiano. Le
donne "multiruolo", come le chiama l'Istat, sono quelle che sommano le ore di lavoro familiare a
quello extradomestico: più della metà delle occupate con figli raggiunge 60 ore di lavoro
complessivo per settimana e il 38% arriva a cumulare oltre le 70 ore settimanali. Fra gli uomini
solo il 15% raggiunge la soglia delle 60 ore e risulta essere il 21,4% dei padri con bambini fino a
due anni, che si occupa quotidianamente di loro.
Le analisi e le ricerche economiche stentano a inserire fra gli indicatori economici quello di
genere, ma studi recenti hanno stabilito che il lavoro non retribuito, quello destinato, cioè, alla
gestione della vita quotidiana, equivale economicamente al lavoro remunerato, e ciò permette
una quantificazione del contributo che le donne apportano al cosiddetto "reddito esteso" della
famiglia.
In questi anni il lavoro di cura ha subito profonde trasformazioni: nel senso comune viene
considerato in diminuzione, ma il senso comune tende ancora e sempre a minimizzare,
sottovalutare, non vedere il lavoro di cura. Il fatto che sia cambiato non significa affatto che sia
diminuito, al contrario, bisogna partire dalla presa di coscienza di una aumento forte della
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complessità del lavoro familiare avvenuta in questi anni. Da un lato sono aumentati i soggetti
che richiedono attività di cura: i figli continuano a vivere con i genitori nella famiglia d’origine e
gli anziani non autosufficienti hanno bisogno di un sistema di copertura continuo che nella
stragrande maggioranza dei casi è fornito dalle famiglie. Dall’altro lato le operazioni di cura
stanno diventando sempre più complesse.
Se si tentasse di disaggregare tale tipologia di lavoro nelle sue molte mansioni, funzioni ed
azioni di cui è formato si potrebbe addivenire ad una definizione di “lavoro multiplo”: lavoro
materiale della cura della casa, lavoro di consumo (le donne come mediatrici tra mercato
privato e bisogni della famiglia), lavoro di relazione (attenzione, risoluzione dei conflitti interni
alla famiglia e con l’esterno), lavoro di manutenzione dell’apparato tecnologico domestico,
lavoro di mediazione con le istituzioni e le agenzie del welfare (nidi, scuole, ospedali, ecc.),
lavoro di amministrazione e lavoro soprattutto di organizzazione complessiva delle diverse voci
che lo compongono.
Si tratta di un lavoro che ritaglia le sue continue ridefinizioni sui cambiamenti demografici e
quindi ha a che fare con il ciclo di vita sia delle famiglie sia degli individui. Se consideriamo le
due punte estreme della popolazione, i bambini e gli anziani, i bambini sono sempre di meno,
gli anziani sempre di più.
Specularmente, l’altro grande evento demografico, cioè l’aumento esponenziale della durata
della vita, espone gli anziani ad un’ultima fase di vita ad alto rischio di non autosufficienza e
quindi a richieste di cura costanti, ineludibili, totalizzanti.
Più che in altri Paesi europei (e il Rapporto Onu per la Conferenza di Pechino l’ha ampiamente
dimostrato), in Italia scontiamo non solo una reale arretratezza nella condivisione del lavoro di
cura, ma questo "lavoro in più" viene scarsamente tematizzato, non diventa motivo di
interrogazione e di scandalo, è un dato acquisito. Non esiste una visione sociale condivisa, una
rappresentazione innovatrice dei rapporti tra famiglia e lavoro: le eventuali contraddizioni sono
patrimonio sofferto delle soggettività femminili o interrogazioni retoriche sul perché le donne
non fanno più figli e gli uomini appaiono più come soggetti passivi che come soggetti attivi di
cambiamento.
Se si prende come perno centrale la qualità della vita quotidiana di uomini e donne, di bambini
e anziani, tenendo fermo l’assunto che la qualità della vita non si gioca più solo sul reddito ma
anche e fondamentalmente sul tempo, è evidente che attorno ad esso si dispongono, in modo
sinergico o oppositivo, i fattori o i sistemi di fattori che vi interagiscono in modo diretto. Da un
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lato i tempi e le forme dell’organizzazione del lavoro per il mercato, dall’altro i tempi e le forme
del lavoro di cura e le modalità di condivisione tra uomini e donne. Dall’altro ancora i tempi e le
forme della vita sociale allargata, i tempi della città e le modalità dei servizi.
Spesso sia nelle ricerche sia nel dibattito pubblico i diversi fattori vengono analizzati
isolatamente:
i tempi e gli orari di lavoro interessano le aziende, i lavoratori e le lavoratrici;
i tempi e gli spazi delle città interessano gli urbanisti, i cittadini, soprattutto le donne, e le
amministrazioni pubbliche
i tempi della condivisione della cura investono le relazioni private e gli equilibri privati che le
coppie e le famiglie cercano faticosamente di costruire
In realtà la vera novità di oggi sta nella fine del regime separato dei tempi e quindi nella
necessità di mettere a punto una convergenza favorevole delle politiche che riguardano la vita
quotidiana delle donne e degli uomini. Da qui l’urgenza di "misure di conciliazione", che
consistono in tutte quelle facilitazioni che intenzionalmente o no, sostengono la combinazione
di “lavoro pagato” e responsabilità di cura (che può essere, a ragione, inteso come “lavoro non
pagato”).
All’inizio degli anni ‘90 comincia ad essere introdotto nei documenti ufficiali della Unione
europea il termine “conciliazione”, intendendo per conciliazione la volontà di predisporre
direttive, informative, raccomandazioni, suggerimenti ai diversi Paesi perché adottino misure in
grado di salvaguardare la possibilità di conciliare la vita famigliare con la vita lavorativa.
La “conciliazione” rappresenta una grande opportunità per tutti, donne e uomini, per cominciare
a riprogettare un modello di vita che sia più compatibile ed equilibrato, anche rispetto all'uso
delle risorse personali, il tempo in primo luogo. Tra gli strumenti che sono stati studiati, messi a
punto e sperimentati, si possono citare:
-
strumenti che riducono o articolano diversamente il tempo di lavoro (part-time nelle sue
diversissime articolazioni; job sharing, banche del tempo; flessibilità in entrata e uscita,
telelavoro, lavoro a term-time, ecc…
-
strumenti che liberano tempo (articolazioni differenziati dei congedi parentali, congedi di
paternità, schemi di interruzione di carriera, nidi aziendali, strutture di supporto aggiuntive
per bambini e anziani ecc. ecc.)
-
strumenti che formano una diversa cultura sul tempo (formazione, mentoring sulle carriere
in relazione alle responsabilità di cura,presenza in azienda di coordinarori work-familiy, ecc)
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Se molte sono le iniziative a favore della conciliazione dei “tempi delle donne”, nulla, però, è
stato studiato e sperimentato per una nuova tipologia di utenza che negli ultimi anni merita di
essere considerata, perché in netta crescita e perché bisognosa di aiuto e di interventi ad hoc:
le donne immigrate.
La presenza femminile è ormai diventata una componente importante del mondo
dell'immigrazione: attualmente le donne immigrate rappresentano più del 40 % della
popolazione straniera della nostra Regione, che in questo riflette la tendenza generale a livello
nazionale.
La “stanzializzazione” degli immigrati ed i conseguenti ricongiungimenti familiari avvenuti negli
ultimi anni, ma anche l’arrivo di numerose donne singole dall’est dell’Europa, dall’Asia, dal Sud
America, dal Nord Africa e dall'Africa subsahariana, rappresenta un fenomeno irreversibile. Le
traiettorie migratorie di queste donne sono differenziate; dipendono dal punto di partenza, dalle
condizioni dell’emigrazione e dalle difficoltà dell’immigrazione.
Se la conciliazione tra tempi di lavoro e tempi di cura risulta una meta difficile da raggiungere
per le donne italiane, lo è ancora di più per le donne immigrate.
La migrazione, anche condotta nelle migliore condizioni e non spinta dall'emergenza
economica o materiale, rappresenta sempre un momento di sofferenza poiché implica una
ridefinizione del proprio progetto esistenziale, mettendo spesso in discussione la struttura
“identitaria” della personalità. Questa problematica è spesso ancora più forte per le donne
migranti che si trovano a doversi ridefinire nelle relazioni e negli affetti
Per rispondere ai bisogni delle donne migranti diventa fondamentale un ripensamento del
legame vita affettiva, famiglia e lavoro; spesso queste donne, esattamente come molte donne
italiane in condizioni sociali simili, si trovano ad avere difficoltà a gestire la vita familiare se
decidono di lavorare, lavoro spesso necessario per il sostegno economico dell’intero gruppo
familiare, poiché le condizioni di lavoro presentano degli orari incompatibili con la vita familiare.
La donna immigrata ha, come la donna italiana e forse ancora di più, un ruolo determinante
all’interno del nucleo familiare: dà cura a tutti i familiari, garantisce la trasmissione tra
generazioni delle conoscenze e delle pratiche ed opera in molti casi quale figura di integrazione
sociale per l’intera rete di appartenenza, assicura i legami con la comunità di riferimento ed è
maggiormente “flessibile” ai cambiamenti e “curiosa” nei confronti del mondo esterno che
l’accoglie: è quindi una figura strategica all’interno della comunità, su cui è opportuno investire.
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La situazione delle donne, soprattutto di quelle musulmane, sta indubbiamente migliorando, le
donne stanno prendendo in mano la situazione, si muovono, escono di casa, vogliono lavorare,
essere formate, diventare, insomma, soggetti attivi.
Sta cambiando il loro ruolo e la loro posizione sia nella società di origine che in quella di
accoglienza.
Il fallimento di numerosi corsi di formazione rivolti a donne immigrate è legato al fatto di non
riuscire a conciliare lavoro e vita familiare.
A
ciò
occorre
aggiungere
l’assenza
di
un
lavoro
di
supporto-accompagnamento
psico-relazionale di queste donne durante il percorso: sostegno fondamentale per creare
ascolto, senso di sicurezza e recupero dell’autostima.
Il progetto di ricerca, nell’ambito del progetto integrato DALIA – Donne immigrate in Armonia fra
Lavoro e Impegni Familiari, di cui tale report ne rappresenta la fase conclusiva, ha inteso
focalizzarsi proprio sugli specifici fabbisogni delle donne immigrate della nostra regione in
termini individuazione di possibili interventi di accompagnamento e di informazione che
possano permettere a questa particolare e delicata tipologia di utenza di accedere al lavoro ed
alla formazione, conciliano al contempo lavoro e vita familiare.
L’intento era, inoltre, quello di estrapolare delle linee guida utili per gli operatori dei servizi che si
occupano, direttamente o indirettamente di immigrazione al femminile, fine di identificare quali
metodologie di inserimento lavorativo, ma soprattutto quale tipologie di servizi debbano essere
create al fine di favorire la conciliazione dei tempi anche per le donne immigrate.
1.3
FINALITÀ E OBIETTIVI DEL PROGETTO INTEGRATO
La finalità generale ed originaria del progetto integrato può essere riassunta nella messa a
punto ed implementazione di misure attive atte a favorire l’inserimento lavorativo delle donne
immigrate nel mercato del lavoro ufficiale, favorendo, o per lo meno indagando e proponendo,
possibili modalità e forme di conciliazione dei tempi delle donne stesse, e fornendo, al
contempo, un apporto allo sviluppo di una politica organica per l’immigrazione che è stata
indicata dalla Regione Emilia-Romagna come un obiettivo prioritario della sua azione.
Ricordando che la Regione Emilia-Romagna stessa ha indicato, fra i tre macro-obiettivi di
riferimento della propria politica, la costruzione di relazioni positive, la garanzia di pari
opportunità di accesso al mercato del lavoro e la tutela delle differenze di genere, al momento
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della progettazione dell’integrato, si è ritenuto che intervenire in questo ambito rispondesse,
appunto, essenzialmente a due aree di interesse che la Regione Emilia-Romagna indicava
come prioritarie e sulle quali, di conseguenza, attraverso il bando regionale 2003 ha inteso
“attirare” l’attenzione degli enti di formazione proponenti e richiedere loro la formulazione di
proposte coerenti, ossia:
1. Le azioni per favorire l’occupabilità delle donne
2. L’emersione dal lavoro nero delle persone (in maggioranza donne straniere) che operano
soprattutto nell’assistenza a domicilio alle persone
1. Di tutti i cambiamenti che hanno attraversato il mondo e l’Europa in particolare, negli ultimi
20 anni, la trasformazione nell’identità e nell’esperienza delle donne rappresenta uno dei
fenomeni più significativi e diffusi, tanto che si può affermare che oggi le donne si trovano
sicuramente in una condizione di vita migliore di quella delle proprie madri, sia dal punto di
vista economico-sociale che per la possibilità di scelta autonoma nei percorsi personali,
familiari, procreativi e di accesso alla formazione ed al lavoro..
In Italia e, in forma maggiore in Emilia Romagna, in quest’ultimo decennio è in costante
aumento il tasso di attività femminile: sono aumentate sia le donne occupate che le
disoccupate, ma l’accesso delle donne al mercato del lavoro retribuito è ancora
estremamente complesso e variegato
Gli aspetti di criticità collegati allo sviluppo dell’occupabilità femminile sono strettamente
collegati al bisogno di conciliazione tra tempo di lavoro e tempi di vita, tra genitorialità e
lavoro, che le donne manifestano. Sono criticità, infatti, che incidono pesantemente sulla
dimensione soggettiva del lavoro e che, pur non rappresentando una problematica
esclusivamente femminile, sono rilevanti soprattutto per le donne, in ragione del maggior
carico che tuttora sostengono nell’attività di cura o nella vita familiare.
Le donne immigrate, che molto spesso non possono nemmeno contare sulla presenza di
una rete familiare cui appoggiarsi, in alcuni momenti particolarmente critici (come ad
esempio la partecipazione ad attività formative o di istruzione) esprimono in modo
certamente più enfatico questo bisogno anche se è facile pensare che esse rappresentino
la punta dell’iceberg di questo bisogno di conciliazione.
2. L’analisi dei dati nel contesto regionale evidenzia che il fenomeno dell'immigrazione
straniera è in crescita costante in Emilia Romagna. All’interno di questo fenomeno le donne
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straniere rappresentano una percentuale continuamente in crescita sia per l’effetto dei
ricongiungimenti familiari, sia per la domanda specifica rivolta espressamente a personale
femminile, soprattutto nell’area dell’assistenza alle persone, anch’essa in costante aumento
e che tende a caratterizzarsi come lavoro legalmente non riconosciuto.
Tutto ciò provoca ricadute sia sulla necessità di qualificare il lavoro di cura (attraverso ad
esempio lo strumento della formazione) sia sul favorire l’emersione dal lavoro irregolare
attraverso l’individuazione di opportunità riconoscibili per la lavoratrice ed i datori di lavoro
sia offrendo strumenti e servizi di sostegno accettabili per le lavoratrici immigrate.
Sostanzialmente, nella sua formulazione ed articolazione originaria (i tre progetti) il progetto
integrato DALIA intendeva perseguire la prima finalità, ossia il favorire l’occupabilità delle
donne immigrate, attraverso l’indagine di nuove possibilità di conciliazione dei tempi ed
attraverso l’implementazione di uno sportello di consulenza e informazione, mentre la seconda
finalità, l’emersione dal lavoro nero delle donne straniere, attraverso interventi formativi
specifici e la sperimentazione di nuove forme di conciliazione dei tempi.
Più specificatamente, il progetto integrato intendeva raggiungere i seguenti obiettivi generali:
Analizzare i bisogni specifici delle donne immigrate in termini di conciliazione individuando
possibili ambiti e strumenti di intervento sperimentale
Mettere a disposizione servizi preparati e competenti in grado di rispondere ai bisogni
espressi dalle donne immigrate che si affacciano al lavoro o vogliono acquisire una
condizione lavorativa più regolare
Favorire la crescita della competenza delle strutture di servizio che operano nel settore, al
fine di renderle maggiormente capaci di fornire informazioni, supporto e guida
Contribuire a sviluppare una rete di servizi ed un sistema complessivo che accetti di
confrontarsi con le necessità di conciliazione che queste persone esprimono
Individuare strumenti, buone prassi e metodologie di lavoro trasferibili e compatibili con i
nuovi sistemi di welfare locale che si stanno costruendo
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2. IL PROGETTO DI RICERCA DALIA
2.1
CONTESTO DI RIFERIMENTO
L’oggetto principale della presente ricerca è la problematica della conciliazione tra tempi di
lavoro e vita familiare delle donne immigrate.
Tale indagine qualitativa parte dalla considerazione generale, e di notevole importanza al
momento attuale, dell’aumento della presenza delle donne immigrate sul nostro territorio
regionale.
I vari studi sul fenomeno migratorio in Italia, ed in particolare nella Regione Emilia-Romagna,
dimostrano l'importanza crescente della componente femminile.
Si tratta di una tendenza generale ma anche di un dato strutturale: effettivamente, negli ultimi
cinque anni, nella nostra Regione si è assistito ad un progressivo riequilibrio tra la componente
maschile e quella femminile nel mondo dell'immigrazione; l'arrivo delle donne attraverso il
ricongiungimento familiare o attraverso la figura dello sponsor, in particolare tra il 1999 e il
2001, dimostra una tendenza progressiva al radicamento sul territorio delle comunità
immigrate.
L'arrivo delle donne, spesso accompagnate dai figli, indica un investimento sul futuro e sul
nostro territorio da parte di numerose comunità immigrate, processo nel quale le donne hanno
anche una funzione importante nel rendere stabile e radicato il fenomeno migratorio.
Sul territorio regionale emiliano-romagnolo si trovano donne provenienti ormai da tutti i
continenti con alcune provenienze geo-culturali più significative di altre: è il caso delle donne
maghrebine musulmane, delle donne dell'Europa orientale, delle donne cinesi e indiane ma
anche delle donne dell'Africa nera subsahariana, e ciò indica senza dubbio che l'universo
femminile dell'immigrazione è variegato, articolato, differenziato al suo interno ed
estremamente eterogeneo.
Le donne immigrate, nella misura in cui sono portatrici di due “differenze”, quella relativa al
sesso e quella culturale, rappresentano spesso un indicatore della condizione femminile più in
generale: differenze che si incrociano e si sommano, rappresentando talvolta un impedimento
all'inclusione sociale.
Rispetto al “percorso migratorio” al femminile, compiuto dalle donne per arrivare nel nostro
Paese, le donne immigrate, indipendentemente dall'origine e dal tipo di percorso migratorio che
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le caratterizza, presentano anche punti in comune: tutte hanno vissuto la partenza, lo
sradicamento, il viaggio e le difficoltà dell'inserimento nel territorio di arrivo e, nella maggior
parte dei casi, si ritrovano al centro di un processo di riorganizzazione del sistema familiare, del
rapporto di coppia e di quello con i figli.
Catalogando e incrociando le diverse condizioni,è possibile individuare e prendere in esame
molteplici tipologie di percorsi migratori e di situazioni, quali:
la donna già sposata e con figli nati dal Paese di origine, arrivata in Italia per via del
ricongiungimento familiare (in questo caso è il marito che, dopo essersi sistemato sul piano
lavorativo e abitativo, si fa raggiungere dalla moglie rimasta nel Paese di origine);
la donna giovane, appena sposata con un uomo del proprio Paese (il quale vive e lavora in
Italia), che raggiunge il marito subito dopo il matrimonio (in questi i casi i figli nascono in
Italia);
la donna non sposata, arrivata da sola con l’aiuto dello “sponsor” (parenti o amici)(ex legge
40), la quale spesso conosce un connazionale che sposa in Italia;
la donna arrivata da sola per motivi di lavoro che si sposa in Italia con un connazionale;
la donna arrivata da sola per motivi di lavoro e si sposa con un altro immigrato (non
necessariamente del proprio Paese di origine);
la donna che si sposa nel proprio Paese con un Italiano e viene con lui a vivere in Italia;
la donna che arriva da sola per motivi di lavoro e si sposa in Italia con un Italiano;
la donna arrivata da sola, come irregolare, che si regolarizza attraverso la sanatoria (l’ultima
possibilità di regolarizzazione per le cosiddette “badanti”);
la donna arrivata da sola per motivi di lavoro, la quale dopo essersi sistemata sul piano
lavorativo e abitativo si fa raggiungere dal marito rimasto nel Paese di origine e dai figli
(spesso si tratta di donne provenienti dell'Europa orientale o dalle Repubbliche
dell’ex-Unione Sovietica).
Quelle elencate sopra costituiscono solo alcune delle possibili tipologie di “percorsi migratori
femminili” che rivestono una forte importanza nel processo di inserimento sociale e lavorativo
delle donne immigrate su un territorio, impattando sia come elementi a favore (fattori
propulsivi), che come elementi di ostacolo (vincoli).
16
Ad oggi, la componente femminile rappresenta circa il 50% del fenomeno migratorio in Italia: le
donne svolgono, infatti, un ruolo importante sotto diversi aspetti:
a)
costituiscono spesso manodopera disponibile a basso costo;
b)
sono il centro vitale della riorganizzazione familiare;
c)
rappresentano il sostegno fondamentale sul piano della cura e dell'educazione dei figli;
d)
costituiscono il vettore più importante del radicamento e della stabilizzazione del
fenomeno migratorio sul nostro territorio.
Le donne immigrate incontrano però notevoli difficoltà d'inserimento sia sul piano sociale che
su quello lavorativo: spesso sono, infatti, quelle che hanno maggiori difficoltà linguistiche
poiché molte di loro provengono (soprattutto per quanto riguarda le donne maghrebine,
africane e asiatiche) da ceti con un basso livello di scolarizzazione, hanno quindi minori
occasioni di socializzazione e spesso vivono una qualche forma di isolamento.
Sul piano lavorativo devono fare i conti con la vita familiare, i figli e la gestione della casa; per la
maggioranza di loro il doppio lavoro (all’interno e all’esterno della casa) è una costante e ciò
tende in molti casi ad ostacolare la possibilità di conciliare casa e lavoro.
Non si può tuttavia generalizzare, nella misura in cui ogni donna ha una sua storia personale,
un suo vissuto “particolare”, una sua traiettoria migratoria specifica ed anche il fatto di provenire
dallo stesso Paese o dalla medesima area geo-culturale, non significa necessariamente
incontrare le stesse difficoltà: così, si può incontrare la donna marocchina sposata, con figli, e
arrivata all'età di 38 anni in Italia, con un basso livello di scolarizzazione e proveniente da una
zona rurale, e la giovane donna marocchina con titolo di studi superiori, arrivata sola in Italia per
motivi di lavoro, come anche la donna marocchina arrivata dalla città, giovane e scolarizzata,
ecc…
Questi esempi possono essere moltiplicati all'infinito per tutte le donne immigrate provenienti
da tutti gli orizzonti culturali: ciò vale infatti anche per le africane nere, le cinesi, le indiane, le
sud-americane, e in una certa misura anche per le donne provenienti dall'Europa orientale.
Tra queste ultime troviamo spesso donne con un buon livello di scolarizzazione e con modelli
culturali non troppo lontani da quelli italiani.
In breve, per ragionare sulla conciliazione tra lavoro e vita familiare, non si può prescindere
dalla considerazione e dall’analisi di tutte queste variabili.
17
La maggior parte delle ricerche sull'immigrazione al femminile hanno anche dimostrato il fatto
che le donne immigrate, indipendentemente dal titolo di studio, si collocano molto spesso sui
segmenti bassi del mercato del lavoro: in genere svolgono i lavori più umili, meno qualificati e
spesso più pesanti (è il caso delle cosiddette badanti). E’ quanto ha analizzato molto bene la
sociologa Saskia Sassen nel suo recente libro "Globalizzati e scontenti - il destino delle
minoranze nel nuovo ordine mondiale"; in un capitolo dedicato alla nuova domanda di lavoro, la
scrittrice parla delle condizioni per l'assorbimento sociale e l’inserimento lavorativo delle donne
immigrate in Occidente e negli Stati Uniti, mettendo in evidenza la transizione da un'economia
dominata da un settore industriale forte ad una economia di servizi; questa ultima aumenta la
quota dei posti di lavoro a bassa retribuzione e ad alto tasso di precarietà. Per Saskia Sassen:
"l'occupazione salariata nell'economia dei servizi rappresenta per molte donne immigrate una
prima esperienza di mercato del lavoro" e questo tipo di domanda avviene nei settori più
precari, dequalificati e a basso costo.
"Oggi - scrive la Sassen - l'immigrazione delle donne non è più, come una volta, portato dalla
parentela. Esistono condizioni oggettive che creano una domanda di manodopera femminile,
data la tipizzazione delle mansioni a secondo del sesso e minori livelli retributivi delle donne.
La transizione all'economia dei servizi e la dequalificazione di molte mansioni indotta dalla
tecnica hanno determinato l'espansione di tipologie di lavoro “associate” alla manodopera
femminile. Usando il termine liberamente, si potrebbe dire che si è verificata non soltanto una
crescente partecipazione femminile alla forza lavoro, ma anche una "femminilizzazione" dei
posti di lavoro offerti”. Il mercato e la sua domanda svolgono una funzione di attrazione della
manodopera immigrata femminile.
Questa analisi di Saskia Sassen descrive molto bene quello che succede anche in Italia, e in
particolare in Emilia-Romagna, cioè l'assorbimento della forza lavoro femminile immigrata nei
segmenti dell'economia dei servizi a basso costo, scarsamente tutelato e precario. I lavori di
"badante", di “donna delle pulizie” o di “assistente agli anziani” esprimono una condizione assai
diffusa della situazione lavorativa di molte donne immigrate ma, al contempo, esprimono anche
una domanda.
18
2.2
FINALITA’ E OBIETTIVI DELLA RICERCA
In questi ultimi anni, molte ricerche si sono concentrate sull'inserimento al lavoro degli immigrati
in generale, e delle donne in particolare: la ricerca in questione non è tuttavia incentrata
sull'oggetto lavoro ma sulla relazione tra lavoro e famiglia, e, più specificatamente, sulle
possibilità di conciliare i tempi che le donne immigrate dedicano alla cura della famiglia, spesso
di tipo “allargato”, quelli dedicati al lavoro ed alla propria formazione.
La presente ricerca ha quindi l'obiettivo di indagare e comprendere, partendo da queste diverse
variabili, quali sono i problemi che le donne immigrate incontrano nel conciliare lavoro e vita
familiare, quali i nodi critici e quali possano essere le possibili soluzioni a tali problematiche.
Il tema della conciliazione è un tema che riguarda tutte le donne, immigrate e autoctone: si
tratta anche di una questione antica della condizione sociale della donna, dei suoi diritti come
cittadina e lavoratrice. Nel caso delle donne immigrate ci troviamo di fronte ad un fenomeno
prodotto dalla globalizzazione capitalistica: migliaia di donne arrivate da tutti i continenti per
ricongiungimento o per lavoro tentano di essere insieme donne, cittadine e lavoratrici, cercando
di vivere con dignità la loro condizione di migranti nel nostro paese e nella nostra Regione.
Le finalità della ricerca sono quindi, al contempo, di natura fenomenologica e di natura
propositiva: l’intento è quello di indagare i vari aspetti della tematica della conciliazione
nell'universo delle donne immigrate, le difficoltà e le cause che le hanno generate, le forme
della conciliazione nella vita di queste donne e anche le possibili indicazioni per superare, per
quanto possibile, gli ostacoli.
La ricerca intende fornire un contributo ad una maggiore e migliore comprensione delle
difficoltà che incontrano le donne immigrate nel conciliare lavoro e vita familiare; difficoltà che
accentuano la loro situazione di isolamento sociale e di marginalizzazione e che rivelano anche
carenze in materia di accompagnamento e sostegno da parte dei servizi territoriali ed una forte
chiusura da parte del mercato del lavoro a recepire la doppia differenza, di sesso e culturale.
Gli obiettivi principali della ricerca sono dunque i seguenti:
comprendere. nei suoi vari aspetti ed articolazioni, il nesso tra donne immigrate e
conciliazione lavoro-vita familiare;
fornire un quadro sufficientemente esaustivo delle cause e dei fattori che rendono
particolarmente difficile alle donne immigrate la conciliazione dei tempi di lavoro e di
19
cura/vita familiare;
realizzare una ricerca di tipo qualitativo attraverso:
un’indagine desk in grado di analizzare e sistematizzare i risultati di precedenti ricerche,
esperienze e buone prassi riguardanti la conciliazione;
un’indagine sul campo mediante interviste a donne immigrate ed operatori dei servizi
che si occupano di problematiche migratorie;
fornire informazioni agli organismi di formazione per permettere loro di progettare
e
programmare percorsi formativi specifici per le donne immigrate;
fornire indicazioni agli Enti locali affinché possano impostare meglio le politiche di
accompagnamento mirate a favorire per le donne immigrate la conciliazione dei tempi;
arricchire e potenziare il quadro di conoscenza sull'immigrazione al femminile per avviare
politiche attive di sostegno alla conciliazione;
fornire informazioni utili al mondo imprenditoriale per capire meglio i problemi che vivono le
donne immigrate nel conciliare lavoro e vita familiare;
Attualmente, mentre esistono diversi studi sulla conciliazione riferita alle donne italiane nel
caso delle donne immigrate il materiale a disposizione è molto più scarso; inoltre le ricerche
sull'immigrazione al femminile riguardano soprattutto le tipologie di lavoro, gli aspetti abitativi e
lo status della donna migrante ma non esiste nulla, o quasi, sulla conciliazione, che
rappresenta, tuttavia, una questione centrale nella vita di molte donne immigrate oggi, una
questione che, per molte di loro, riguarda anche la dignità personale.
Laddove la conciliazione non è possibile la donna vive spesso una condizione di “non diritto”: si
tratta quindi di un argomento che riguarda i diritti delle donne in generale, e nel nostro caso
specifico quello delle donne immigrate.
20
2.3
FASI DELLA RICERCA
L’attività di ricerca si è articolata nelle seguenti 5 fasi fondamentali, a loro volta suddivise in
sottofasi:
1. RICERCA DESK SUL TEMA DELLA CONCILIAZIONE E SULLE ESPERIENZE DI BUONE PRASSI
2. PROGETTAZIONE DI DETTAGLIO DELLA RICERCA E COSTRUZIONE DEGLI STRUMENTI D'INDAGINE E DI
RILEVAZIONE CON IL GRUPPO DELLE RICERCATRICI: FASE DI TESTING DEGLI STRUMENTI SU CAMPIONE
3.
RISTRETTO E RITARATURA DEGLI STRUMENTI DI INTERVISTA E DEFINIZIONE DEL CAMPIONE DI
INDAGINE
RILEVAZIONE SUL CAMPO E PROCESSO OPERATIVO D'INDAGINE (RILEVAZIONE CON QUESTIONARIO
D'INTERVISTA E MONITORAGGIO DELL'ANDAMENTO DELLA RICERCA SUL CAMPO)
4.
ELABORAZIONE DEI DATI, REDAZIONE DEL REPORT DI RICERCA E DELLE CONSIDERAZIONI FINALI
5.
DIFFUSIONE DEI RISULTATI
21
3. RICERCA DESK: STUDI ED ESPERIENZE REALIZZATE
3.1 CONCILIAZIONE FRA TEMPI DI LAVORO E IMPEGNI FAMILIARI
Esiste una lunga bibliografia di analisi sociologiche legate ai mutamenti della struttura familiare
e della condizione della donna e dedicata al tema della conciliabilità e della difficoltà delle
donne di potere trovare una certa "armonia tra lavoro e famiglia". Nel 1978 Laura Balbo parlava
di "doppia presenza" per definire la situazione delle donne che avevano cominciato a lavorare
fuori casa mentre continuavano a dover gestire il carico del lavoro familiare.
Il "doppio carico" o "doppio lavoro" - lavoro retribuito fuori casa e lavoro domestico in casa rappresenta ancora oggi il nodo cruciale per molte donne lavoratrici.
Negli anni ‘70 si pensava che i servizi sociali avrebbero reso più leggero il lavoro domestico e
che l'uomo si sarebbe assunto la sua parte di carico familiare. Ma ciò è avvenuto solo
parzialmente e per di più la crisi del Welfare ha provocato lo smantellamento dei servizi e anche
un costo spesso troppo elevato da sostenere per le famiglie. Inoltre, in molti casi, la mentalità
maschile rispetto alla gestione domestica e della quotidianità è cambiata solo in parte,
lasciando in gran parte il lavoro di cura “sulle spalle delle donne”.
Analizzando la questione dal punto di vista del mercato del lavoro e dell'impresa, molte ricerche
forniscono indicazioni relativamente al fatto che l'impresa non ha saputo, o voluto, rispondere
alle esigenze delle donne lavoratrici (come per esempio stabilire/concedere orari di lavoro
meno rigidi): negli ultimi anni “flessibilità” è diventata la parola magica, eppure l'Italia rimane
uno dei paesi europei a più basso livello di occupazione femminile.
Alcuni dati allarmanti dimostrano le ricadute derivanti dalla “non conciliabilità lavoro-famiglia”:
molte donne continuano ad abbandonare il lavoro alla nascita del primo figlio per la rigidità
degli orari di lavoro e le difficoltà di inserimento dei figli presso i servizi per l'infanzia, non
abbastanza numerosi rispetto al numero di bambini da accogliere, o troppo costosi;
sta tornando in auge una vecchia pratica che si sperava dimenticata, quella cioè, di far
firmare alla donna che viene assunta presso un’azienda una lettera di dimissioni con la
data in bianco, da utilizzare nel caso in cui dovesse rimanere incinta;
in Italia lavora solo il 42% delle donne, la percentuale più bassa d'Europa;
siamo ancora lontani dalla dichiarazione del "Libro bianco" di Jacques Delors, del 1994, nel
quale si riconosceva a livello europeo il tempo di vita come “Diritto di cittadinanza”;
nonostante i cambiamenti avvenuti nei rapporti tra i sessi, nella società attuale, il tema della
22
conciliazione non ha ancora visto un vero “ripensamento dei ruoli di genere”: la
conciliazione tra responsabilità familiari e partecipazione al mercato del lavoro continua ad
essere considerata non solo un "affare di donne" ma un "affare privato" (questo spiega
anche perché l'abbandono del lavoro è legato quasi sempre alla nascita dei figli);
le donne coniugate con figli presentano tassi di disoccupazione più elevati non solo degli
uomini, ma anche delle donne senza figli;
si nota una forte e progressiva “femminilizzazione” dell'aumento dell’occupazione
part-time;
l'effetto negativo della presenza di responsabilità familiari è più elevato per le donne con
basse qualifiche professionali e con un basso livello di scolarizzazione. L'istruzione appare
ancora più importante per gli uomini, sia a fini occupazionali che come fattore di
differenziazione sociale;
le donne con un livello di istruzione più elevato, che vivono nel Centro-Nord, sono
maggiormente in grado delle altre di rimanere nel mercato del lavoro lungo tutto il ciclo della
vita familiare.
Sulla base di queste considerazioni, ricavate da diversi studi recenti, si può affermare che il
genere, ossia l'essere donne, lo status familiare, cioè l'essere sposata e l'essere madre,
riducono le chances occupazionali future di questa particolare categoria di lavoratrici.
Come conciliare dunque, in un tale contesto, responsabilità lavorative e impegni familiari?
23
3.2
FATTORI CHE RENDONO DIFFICILE LA CONCILIAZIONE
Le ricerche realizzate sul tema della conciliazione, spiegano che conciliare responsabilità
familiari e lavorative per le donne immigrate, è reso ancora più difficile da una molteplicità di
fattori, quali:
gli orari di lavoro troppo rigidi;
la mancanza di adeguati servizi sociali e di sostegno per la famiglia;
i comportamenti familiari nel rapporto tra moglie e marito (le donne che lavorano hanno
tutto il carico del “lavoro di casa”, il che comporta un monte ore lavorativo complessivo
dalle 9 alle 15 ore al giorno),all’interno del quale la donna si trova spesso a dover svolgere
tutto il lavoro di cura della casa senza il sostegno del marito;
il maggior carico di lavoro familiare per le donne, riduce il tempo che esse possono
dedicare al lavoro retribuito e anche la possibilità di scelta del tipo di occupazione che le
stesso possono prendere in considerazione in relazione ad elementi ostacolanti, quali: la
distanza da casa, i particolari turni ed orari di lavoro previsti, ecc…;
lo scarto tra le aspettative e la realtà produce spesso nella donna una calo della propria
autostima e quindi un calo del funzionamento delle proprie capacità (per dirla come
Martha Nussbaum "la donna diventa meno libera, meno persona").
Ci si interroga quindi su quali siano gli interventi che possono modificare i meccanismi
economici, sociali e culturali, che continuano a riprodurre la diseguaglianza di genere.
Spesso si parla di intervenire su tre livelli:
1) le forme di regolazione del mercato del lavoro
2) l'offerta di servizi
3) i modelli culturali
Nonostante la recente legge 53/2000 sui congedi parentali, si nota come la divisione del lavoro
nella struttura familiare non sia cambiata molto e di fronte alla impossibilità di avere dei sostegni
alla nascita del primo e del secondo figlio, è quasi sempre la donna che rimane a casa.
Da un recente studio sui servizi per la primissima infanzia emerge che solo una minima parte
del fabbisogno delle famiglie viene soddisfatto; laddove non esistono reti parentali che fungano
da supporto (è questo spesso il caso di chi si trasferisce per lavoro dal sud al nord Italia e oggi,
sempre di più, degli immigrati non comunitari), diventa molto difficile combinare lavoro e
24
impegni familiari.
Se a ciò si aggiunge il fatto che le donne continuano ad assistere e curare gli anziani fragili e
non autosufficienti, ci troviamo di fronte ad un quadro piuttosto fosco della situazione.
I lavori di Marzio Barbagli e Chiara Saraceno evidenziano la necessità del rendere di rendere
meno difficili le condizioni di vita legate all'essere madre e di ridurre i costi connessi alla cura dei
figli. Ma in che modo?
Per ragionare sulla conciliabilità tra famiglia, lavoro di cura e lavoro retribuito, occorre costruire
degli indicatori che devono rispettare alcune regole: il loro numero deve essere limitato, devono
essere di facile lettura e significativi per la variabile di riferimento che si indaga (nel nostro caso
le donne immigrate) e congruenti tra di loro, sufficientemente flessibili per consentire
aggiustamenti, essere comparabili e provenire da fonti omogenee.
Occorre innanzitutto partire dal concetto stesso di conciliazione in ambito familiare:
"armonizzare diverse attività o interessi in modo che essi possano coesistere senza troppe
frizioni, stress o svantaggi per i componenti della famiglia”.
Al fine di favorire la conciliazione fra lavoro e famiglia, le varie ricerche esistenti ci dicono che
possono essere pensate e messe in atto politiche diverse, quali ad esempio:
politiche di pari opportunità
politiche per l'infanzia
politiche per la famiglia
politiche per il lavoro e la formazione.
Nel quadro di tali possibili politiche a favore della conciliazione, occorre tenere in debito conto,
quale aspetto di notevole importanza, la variabile “tempo”.
In tal senso si dovrebbero prevedere:
interventi o strumenti di riduzione o di diversa articolazione del tempo di lavoro per le
donne;
strumenti che permettano di “liberare il tempo”, quali: servizi, supporti, banche del
tempo, ecc…;
una maggiore condivisione del lavoro familiare da parte dei padri.
E’ necessario che le “politiche dei tempi” e i servizi per l'infanzia si combinino al fine di favorire
la conciliazione e occorre anche che vengano introdotte politiche aziendali diverse (tempi di
lavoro, flessibilità) e una rete di servizi in grado di rispondere ai molteplici bisogni in orari
diversificati.
25
L’attuale situazione corrisponde a quella che Chiara Saraceno ha chiamato "l'impotenza
repressiva" cioè il fatto che la donna finisce spesso per reprimere le proprie aspettative di fronte
al suo senso d'impotenza in un mondo che non prende in considerazione la differenza di
genere come differenza strutturale della società: "E ormai troppo evidente - scrive Chiara
Saraceno in “Anatomia della famiglia” - come l'emancipazione femminile (anche nei ristretti
limiti delle "eguali possibilità") sia rimasta a livello astratto di una proclamazione ideale di
principi e, nel migliore dei casi, di una formulazione giuridica (la parità salariale, la
liberalizzazione dell'accesso agli studi e alle professioni, il nuovo diritto di famiglia).
Quando invece, nella pratica quotidiana e di riproduzione , cioè nel mercato del lavoro e nella
famiglia, la posizione della donna, subalterna perché legata alla sua condizione sessuale e
riproduttiva, permane sostanzialmente la stessa, come ben testimoniano le due condizioni più
diffuse tra le donne in Italia (e non solo in Italia): la casalingicità coatta in mancanza di
alternative soddisfacenti, sia in sede di lavoro che in sede di gestione familiare, e il doppio
lavoro delle donne operaie e impiegate le quali, costrette al lavoro (non certo di tipo
emancipativo), non possono neppure viverne fino in fondo la dimensione collettiva
socializzante perché continuamente rimandate nel privato dai problemi di gestione familiare,
che rimangono materialmente, psicologicamente e culturalmente sulle loro spalle. Per non
parlare del lavoro a domicilio il quale, lungi dallo sparire, diviene sempre più una tipica forma di
sfruttamento del lavoro femminile fondato sulla funzione domestico-familiare della donna”.
3.3
DONNE IMMIGRATE E CONCILIAZIONE DELLE ESIGENZE LAVORATIVE E FAMILIARI
Anche per le donne immigrate ritroviamo le stesse problematiche, con in più il fatto che sono
migranti, cioè che sono, per dirla come Abdelmalek Sayad, “emigrate-immigrate”.
Hanno vissuto la separazione, la partenza e lo sradicamento dalla terra di origine, spesso non
hanno scelto loro di venire in Italia e vivono il viaggio e le difficoltà dell'inserimento lavorativo e
sociale.
In un saggio sugli aspetti psicologici della migrazione femminile, Cecilia Edelstein scrive che "la
maggior parte delle donne migranti non percepisce il progetto migratorio come proprio, ma lo
adotta, lo esegue oppure lo subisce".
Nel suo lavoro con gruppi di donne migranti utilizza soprattutto il metodo narrativo che permette
di fare emergere le esperienze vissute, le diverse fasi del percorso migratorio e l'impatto con la
26
società italiana. Esattamente come Sayad, la Edelstein sottolinea l'importanza delle fasi
precedenti all'arrivo al paese di destinazione (fasi che vengono sottovalutate sistematicamente
da chi si occupa di immigrazione). Il metodo narrativo permette il racconto della “storia di vita”,
osservata dal punto di vista della donna.
Per il tema oggetto della nostra ricerca, diventa importante cogliere questo aspetto perché il
modo di porsi della donna migrante rispetto al lavoro e al suo rapporto con le responsabilità
familiari sarà fortemente condizionato da tale storia, che è insieme storia sociale e culturale.
La cultura di appartenenza, il modello familiare, la religione, l'assenza della rete familiare di
origine ma anche la presenza del "fantasma della famiglia lontana" che agisce come "ricatto
psicologico”, il senso di colpa che può vivere la donna, le questioni legate alla conoscenza della
lingua e alla paura di cambiare con la migrazione, il livello di scolarizzazione, le aspettative e lo
scontro con la realtà, rappresentano tutti fattori che intervengono nel determinare la possibilità
di conciliare lavoro e vita familiare.
Rispetto a quanto scritto per le donne in generale, in riferimento alle donne immigrate, occorre
considerare il fattore discriminazione che può intervenire per il semplice fatto di essere
straniera o di essere una straniera “diversa” (vedi le donne musulmane).
Se si parla di conciliazione si ragiona necessariamente sulla relazione tra vita familiare e
lavoro, quindi sul rapporto tra l’organizzazione familiare e l'organizzazione del mondo del
lavoro; nel caso delle donne immigrate si pone anche il problema del modello familiare
interiorizzato, della famiglia interiorizzata attraverso l’educazione ma anche della famiglia
destrutturata che cambia attraverso la migrazione.
Molte donne immigrate vivono traumaticamente il cambiamento della struttura familiare
attraverso la migrazione e ricercano per se stesse un ruolo nuovo ed una nuova organizzazione
del sistema di relazione familiare. La donna immigrata che decide di lavorare deve fare i conti
con questa doppia dimensione del cambiamento radicale del modo di vita familiare e di un
mercato del lavoro che tende a non recepire la differenza sessuata e ancora meno quella
culturale (nel caso delle immigrate alle aziende interessa solo l'iperflessibilità della forza
lavoro).
Per molte donne provenienti da aree geo-culturali molto lontane, la transizione dal modello
familiare patriarcale a struttura allargata ad un modello mono-nucleare rappresenta spesso uno
"shock psico-culturale" e ciò è maggiormente vero per le donne con figli che provengono dalle
zone rurali. La possibilità di un adattamento e di una rielaborazione del passaggio dalle
27
campagne marocchine, o del Punjab in India, all'Italia è difficile e spesso lacerante. Cambia il
contesto sociale e culturale ma cambia anche la vita familiare; spesso la donna in Italia si trova
a dover lavorare per necessità, non per scelta, e tale scelta quasi forzata si somma al vissuto
dello sradicamento dal paese di origine nella misura in cui molte di queste donne sono state
obbligate a seguire i mariti.
Tutto ciò complica ulteriormente le cose e la possibile conciliazione tra un lavoro (spesso
“subito” per necessità materiali) e una vita familiare radicalmente cambiata in seguito alla
migrazione.
Tuttavia, si assiste anche alla presenza di un numero crescente di donne immigrate che
arrivano per lavoro, e non attraverso i ricongiungimenti familiari: sono donne più giovani, con un
livello più alto di scolarizzazione e che magari si costruiscono una famiglia in Italia. In questi
casi la donna è protagonista, è attore della propria vita ed è lei a decidere. In queste diverse
situazioni la conciliabilità tra lavoro e vita familiare si presenta in modo diverso e queste
diversità riflettono la grande varietà di percorsi migratori delle donne.
Un altro fattore che emerge dalle ricerche sull'immigrazione al femminile è il fatto che, in
genere, le donne migranti occupano i segmenti bassi della divisione sociale del lavoro,
ricoprono spesso lavori di basso profilo e bassa qualifica, mal retribuiti e in situazioni di
precarietà. La presenza delle donne immigrate nel mercato del lavoro è legata alla domanda di
quest’ultimo soprattutto nell'economia/mercato dei servizi: assistenza domiciliare, assistenza
agli anziani, pulizie ecc… .
Le tipologie di lavoro con orari frammentati, iperflessibili, precari e senza tutela caratterizzano
spesso il lavoro delle migranti e questo incide negativamente sulla possibilità di conciliare
lavoro e famiglia.
3.4
DONNE IMMIGRATE TRA FAMIGLIA E LAVORO: LA CONCILIAZIONE POSSIBILE
Parlare di conciliazione riferendosi alle donne immigrate implica anche una conoscenza più
ampia ed approfondita della condizione della donna nell'immigrazione, condizione che
presenta delle costanti ma anche delle variabili non trascurabili, perché legate al tipo di storia
migratoria e al modello culturale di riferimento.
Sono stati già indicati alcuni elementi di comprensione della condizione femminile
nell'immigrazione: tutte le donne migranti conoscono e vivono la partenza, lo sradicamento, il
28
viaggio, l'ansia, le aspettative e le difficoltà dell'inserimento. Si trovano a dover integrare il
modello femminile appreso nella società di origine con il modello che trovano qui in Italia:
cambiano i ruoli e le rappresentazioni sociali del sé. Molte donne provengono spesso da mondi
lontani dove c'è miseria, sottosviluppo e spesso assenza dei diritti minimi.
Come scrive Martha Nussbaum nel suo "Women and human development. The capabilities
approach", "In molte parti del mondo le donne non hanno sostegni per le funzioni fondamentali
della vita umana. Sono infatti meno nutrite degli uomini, meno sane, più vulnerabili alla violenza
fisica e all'abuso sessuale. E più difficile che siano scolarizzate, ed è ancora più raro che
abbiano una formazione professionale o tecnica. Se decidono di entrare nel mondo del lavoro
incontrano gravi ostacoli, tra cui l'intimidazione da parte della famiglia o del consorte, la
discriminazione sessuale nel reclutamento, le molestie sessuali sul posto di lavoro, spesso
senza possibilità di ricorrere efficacemente alla legge. Il più delle volte ostacoli simili
impediscono la loro effettiva partecipazione alla vita politica. In molti stati le donne non godono
di piena eguaglianza di fronte alla legge... Esse sono sopraffatte, spesso, dalla "doppia giornata
lavorativa", che somma la fatica del lavoro esterno con la piena responsabilità del lavoro
domestico e della cura dei bambini, così che non trovano momenti ricreativi ed espressivi
destinati a coltivare le loro facoltà immaginative e cognitive: tutti questi fattori incidono sul loro
benessere emotivo".
Questo quadro abbastanza negativo riguarda numerosi paesi dell'Africa, dell'Asia e
dell'America Latina; è sufficiente leggere i documenti aggiornati dello Human Development
Report, redatto annualmente dal Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite, per rendersi conto
che sono pochissimi i paesi che trattano le donne al pari degli uomini, come si può verificare dai
dati sulla durata della vita, sul benessere soggettivo e sull'educazione.
Nei paesi poveri dai quali provengono molte donne immigrate si sommano fattori sociali, dovuti
alle grandi disuguaglianze, e fattori culturali: come dice la Nussbaum "quando i due fattori si
sovrappongono (povertà e diseguaglianza sessuale), il risultato é un grave crollo delle capacità
umane fondamentali".
Le donne immigrate, come gli uomini, provengono nella maggior parte dei casi da questi
continenti: Africa Nord occidentale (Maghreb: Marocco, Tunisia, Algeria), Africa nera (Senegal,
Nigeria, Costa d'Avorio, Burkina Faso, Congo), Asia (Cina, India, Bangladesh, Pakistan,
Filippine, Sri Lanka), America latina (Venezuela, Argentina, Perù, Colombia, Bolivia).
Ma ci sono anche molte donne immigrate che provengono dall'Est dell’Europa, da paesi oggi
29
ridotti alla povertà ma che hanno conosciuto, in passato, un certo sviluppo e anche un sistema
di protezione sociale con delle leggi sulla parità tra i sessi.
Per molte di queste donne l'arrivo nel nostro paese, rappresenta un miglioramento della propria
condizione di vita materiale, anche se molte di loro finiscono per trovarsi nei punti meno
qualificati del sistema produttivo locale. Tuttavia la necessità di doversi riadattare in un
ambiente nuovo che funziona con dei codici culturali diversi e che tende a tenere lontano chi è
troppo diverso, o per lo meno sentito come tale, produce sofferenza, lacerazione, difficoltà e
disorientamento.
E’ chiaro che tutto dipende dalla provenienza, dalle modalità della partenza, dal livello di
scolarizzazione, dal tipo di rapporto che esiste con il marito, dal numero dei figli a carico, dal
tipo di accoglienza all'arrivo, dal modello culturale di riferimento e dalle sue affinità con quello
italiano.
In molti casi le donne immigrate che provengono dalle zone più povere finiscono per ritrovarsi
nella condizione sociale d'inferiorità in cui si trovavano nei paesi di origine. Nel suo libro
dedicato recentemente alle domestiche "Les bonnes de Paris", la scrittrice e studiosa
marocchina Ghita El Khayat fa notare che molte donne immigrate, che lavorano nel settore
dell'assistenza, non solo rientrano nella categoria dello sfruttamento ma vengono confermate
nel fatto che l'unica cosa che possono fare è il lavoro di cura, riproducendo in questo modo e
nell’attività lavorativa il loro status d'inferiorità.
Le maghrebine o le africane che fanno questo tipo di lavoro riproducono la "funzione
tradizionale" della donna, appresa nei paesi di origine, e la trasferiscono nell'attività lavorativa
in Italia.
Le cose cambiano in parte per le donne dell'Europa orientale che spesso lavoravano
nell'industria e si ritrovano a fare le "badanti", in questi casi l'impatto è durissimo e la donna vive
un forte stato di frustrazione.
Insomma, per affrontare il tema della conciliazione non si possono ignorare le condizioni di
partenza, i paesi da cui provengono le donne, i modelli culturali che portano con sé, la traiettoria
e l'arrivo, il tipo di accoglienza ricevuta in Italia e le condizioni di vita materiale legate al lavoro
del marito.
30
3.5
DONNE IMMIGRATE E CONCILIAZIONE: VARIABILI DI CONTESTO
Le esperienze di sperimentazione di strategie di conciliazione per le donne migranti sono
ancora molto circoscritte e spesso frammentate, non inserite in un quadro strategico più
complessivo d'intervento che possa favorire l'integrazione sociale delle famiglie immigrate,
partendo da una politica di genere.
La realtà dell'immigrazione al femminile è ormai una realtà strutturale ed un indicatore di come
si sta evolvendo il fenomeno migratorio nella direzione di una sua stabilizzazione e di un suo
radicamento nella nostra regione. La condizione della donna migrante è molto legata alla sua
traiettoria, alle motivazioni e alle condizioni della partenza dal paese di origine, al suo livello di
scolarizzazione, alle sue aspettative ma anche alla sua cultura di provenienza.
Come già evidenziato nei paragrafi precedenti, si può senz’altro affermare che per quanto
riguarda la tematica della conciliazione esistono alcuni fattori trasversali che rendono la
posizione della donna straniera simile a quella della donna italiana, ma che esistono anche
fattori e/o variabili specifiche che riguardano e contraddistinguono la prima da quest’ultima.
Le variabili specifiche sono connesse ad alcuni aspetti del fenomeno migratorio, quali:
L'essere un’emigrata, prima di essere un’immigrata, cioè una donna con una storia
personale familiare, sociale, scolastica, culturale, e talvolta professionale, nel proprio paese
di origine. Storia che condiziona il percorso della migrante nella sua traiettoria e nel suo
inserimento nella nuova società.
Le condizioni e le motivazioni della partenza. La donna migrante può lasciare il proprio
paese di origine per ricongiungersi con il marito; in questo caso la scelta può essere
condivisa oppure imposta. Si tratta di due situazioni distinte che possono avere degli effetti
diversi sulle scelte che farà la donna una volta arrivata in Italia.
La condizione di radicamento sul territorio. La donna può anche essere arrivata sola per una
propria decisione e poi avere costituito una propria famiglia in Italia (oppure come nel caso di
molte donne provenienti dall'est europeo che arrivano sole e che hanno poi fatto venire figli e
talvolta il marito, rimasti nel paese di origine). Queste situazioni hanno una forte influenza
sulla capacità della donna di decidere, scegliere e muoversi in tutta autonomia;
Il livello di scolarizzazione e di istruzione della donna e il fatto che conosca o meno una
lingua europea che le permetta d'imparare l'italiano più facilmente. Tale conoscenza è
31
rilevante in particolare per chi viene dal mondo arabo, dall'Africa subsahariana e dall'Asia
(Cina, Bengladesh, Pakistan);
Il carico familiare, il numero dei figli e anche il fatto di essere arrivata con dei figli in giovane
età, può accentuare o meno la possibilità per la donna di conciliare lavoro e famiglia.
La cultura di provenienza può essere un fattore importante nella misura in cui veicola un
modello di organizzazione familiare ed un ruolo, nonché uno status specifico per la donna.
Questo ruolo e questo status incidono su come la donna si adatta alla società italiana che
funziona con altri codici.
Il ruolo nella società di partenza. Per coloro che provengono da società dove la donna ha
soprattutto un ruolo strettamente domestico e non ha un ruolo sociale importante, può
essere più difficile pensare che si ponga autonomamente l'obiettivo di lavorare e spesso se
lo fa è perché è costretta dalle necessità economiche. In molti casi il modello familiare
patriarcale introiettato dalle donne può funzionare come un freno: anche in questo caso le
situazioni sono complesse e i modelli culturali originari si trovano a fare i conti con una
situazione nuova.
L'assenza di una rete di riferimento familiare che potrebbe essere un supporto utile per la
gestione dei figli piccoli in età prescolastica.
I fattori ambientali legati all'alloggio e alla sua collocazione rispetto ai mezzi di trasporto, per
raggiungere l'eventuale sede di un lavoro o di un corso di formazione professionale per
l'avviamento al lavoro.
L'accoglienza del contesto locale. Si tratta di vedere quali sono le politiche a favore
dell’immigrazione/migratorie a livello locale, in particolare nei confronti delle donne e delle
famiglie immigrate, nonchè il tipo di reazione della popolazione autoctona alla presenza ed
inserimento delle famiglie migranti. Le donne migranti possono vivere episodi di razzismo o
xenofobia, nonché subire episodi di offesa della propria dignità come donne (accade spesso
per le donne africane nere e le donne provenienti dall'Europa dell'est).
Il mondo dell'immigrazione al femminile è un mondo variegato e spesso le donne migranti
presentano storie inedite che escono dalle stereotipie e dai luoghi comuni di una sociologia
superficiale. Non bisogna dimenticare la situazione delle coppie miste con donne immigrate
che si sposano o convivono con cittadini italiani; anche qui il tipo di risposta è diverso dalle
situazioni in cui la coppia è della stessa nazionalità e dove ambedue i coniugi sono immigrati;
quindi senza rete di riferimento familiare. A ciò occorre aggiungere le diverse situazioni in cui
32
intere comunità si sono trasferite dal paese di origine: in questi casi la comunità può svolgere
una funzione "cuscinetto" ed essere un supporto valido ma, talvolta, la stessa comunità può
diventare una trappola per la donna e non permettere la socializzazione e quindi non favorire
l'integrazione socio-lavorativa.
3.6
ESPERIENZE DI BUONE PRATICHE IN TEMA DI CONCILIAZIONE
Non è semplice individuare le buone prassi in materia di conciliazione per quanto riguarda le
donne immigrate; ovviamente in questi ultimi anni molti enti locali, molte commissioni per le pari
opportunità e diversi centri di servizi per immigrati, si sono posti il problema ma quello che ne
emerge è un quadro estremamente frammentato, fragile ed eterogeneo.
Ad una prima analisi delle esperienze realizzate si può a ragione affermare che il problema
della conciliazione è stato affrontato ad oggi mediante politiche: delle pari opportunità,
dell’infanzia, della famiglia, di accompagnamento dei percorsi femminili dell’immigrazione sia
rispetto al lavoro che alla formazione professionale.
A questo occorre aggiungere le varie esperienze realizzate da diverse Associazioni femminili
per offrire una serie di supporti alle donne migranti in difficoltà: il principio strategico di tutti gli
interventi sviluppati è stato quello dell’interconnessione tra quest’ultimi, l’implementazione e la
gestione cioè di una rete in grado di fare interagire servizi socio-assistenziali, servizi per
l’infanzia, consultori familiari, servizi per l’immigrazione, associazioni, realtà del terzo settore,
sindacati, centri di formazione professionale. All’interno di tale rete è però spesso venuto a
mancare il mondo delle imprese con le sue categorie di rappresentanza.
Analizzando le diverse esperienze realizzate sul territorio nazionale in tema di conciliazione,
sono state individuate alcune sperimentazioni particolarmente significative, di cui si riporta
il tema centrale:
“alfabetizzazione istituzionale” delle donne immigrate: informazioni sulle leggi in materia di
pari opportunità;
promozione dell’associazionismo delle donne come rete di mutuo-aiuto;
sostegno attraverso normative specifiche e finanziamenti alla genitorialità;
sostegno particolare alle donne migranti in difficoltà;
insegnamento della lingua italiana;
33
promozione di politiche di accompagnamento dei percorsi d’inclusione sociale delle donne
immigrate;
sviluppo delle iniziative delle donne immigrate nel movimento sindacale;
apertura di spazi nuovi riconosciuti per i bambini in età prescolastica, con l’obiettivo di
favorire la possibilità per le madri di frequentare corsi di formazione professionale e di
lavorare;
revisione degli orari e dei tempi della città e del mondo del lavoro tenendo conto della
differenza di genere nel mondo dell’immigrazione;
promozione di politiche aziendali “amiche” delle famiglie immigrate, per favorire
l’opportunità di un lavoro.
Dall’analisi di tali esperienze di conciliazione tra casa e lavoro per le donne immigrate, possono
essere individuati alcuni ambiti prioritari di intervento:
favorire la possibilità di accesso per le famiglie immigrate a servizi per la primissima
infanzia e extra-scolastici;
rompere l’isolamento attraverso la disponibilità di luoghi per socializzare con altre donne
immigrate e anche italiane. Luoghi che possono diventare degli spazi di aiuto reciproco;
promuovere politiche aziendali in grado di recepire la differenziazione dei tempi di lavoro e
facilitare le aspettative delle donne immigrate con l’attivazione di “micro-nidi aziendali”, di
sale attrezzate per brevi soggiorni di “emergenza” per i bambini;
fornire informazioni e strumenti di lettura e comprensione circa la rete dei servizi a supporto
delle donne immigrate.
Al fine di coniugare tempi familiari e di lavoro, si possono individuare cinque possibili
soluzioni:
1) soluzioni interne al posto di lavoro mediante misure che dovranno riguardare i tempi di
lavoro: part-time, flessibilità degli orari, congedi parentali e interventi per la rimozione degli
ostacoli di ordine culturale;
2) soluzioni interne alla famiglia stessa, mediante la promozione di forme di mutuo-aiuto
all’interno della famiglia (permettendo a madre e padre di dedicarsi di più alla cura dei figli
senza per questo sacrificare l’attività lavorativa);
3) soluzioni nell’ambito della comunità locale, attraverso lo sviluppo di reti di relazioni, la
costituzione di associazioni e la creazione di luoghi di discussione e analisi delle
34
problematiche che vivono le famiglie immigrate, in particolare le donne;
4) soluzioni urbanistiche, mediante l’apertura e la gestione di spazi rivolti ai bambini delle
famiglie immigrate, ubicati nei quartieri, nei condomini e anche nei posti di lavoro;
5) rafforzare l’offerta differenziata di servizi pubblici e privati di cura, assistenza e prevenzione
in età infantile dei figli degli immigrati.
Come già anticipato nelle pagine precedenti, la questione della difficoltà della conciliazione per
molte donne immigrate è anche un indicatore di disagio diffuso per le donne in generale;
difficoltà legate al non riconoscimento, di fatto, della “differenza sessuata” nell’organizzazione
del mondo del lavoro e nel funzionamento del sistema produttivo. Le donne immigrate hanno
una concezione talvolta diversa della famiglia, del rapporto tra i sessi, della relazione con i figli,
della concezione dei tempi di vita sociale e lavorativa. A ciò si aggiunge che l’assenza della rete
familiare rende più difficile la conciliabilità, soprattutto poi in una situazione di isolamento sul
piano logistico rispetto a possibili sedi di lavoro e di formazione professionale.
Le sperimentazioni condotte dipendono molto dalla rete che accompagna il percorso delle
famiglie migranti, ed in particolare delle donne.
Laddove esiste un sistema di relazioni tra servizi, comunità immigrate, famiglie, associazioni,
sindacati, centri di formazione ed imprese diventa più facile trovare delle soluzioni per rendere
possibile la conciliabilità. La rete funziona spesso come “sfondo integratore” e meccanismo
solidale nella misura in cui l’interazione tra i diversi attori valorizza la donna migrante come
risorsa e non come pura assistita.
In tutte le esperienze analizzate si rileva il rischio di concepire la donna immigrata come
soggetto passivo o come “assistita”, disattivando in questo modo ogni capacità di scegliere, di
muoversi con autonomia e di diventare anche agente di cambiamento del suo sistema di
relazioni e del contesto di vita sociale.
Le strategie di empowerment mirano a favorire lo sviluppo delle capacità autonome in termini di
autodeterminazione. Spesso, è nel percorso di acquisizione di conoscenze e di strumenti di
decodifica del contesto che la donna migrante prende coscienza delle sue potenzialità
trasformatrici, individuando soluzioni e risposte.
Rispetto alle politiche di supporto - accompagnamento alla famiglia occorre tenere conto di
come si è riorganizzato lo spazio familiare nel processo migratorio: per molte donne immigrate
arrivate attraverso il ricongiungimento familiare, la partenza, l’emigrazione, non è stata una
35
scelta autonoma ma una scelta obbligata o di necessità.
Non dimentichiamo che la donna è spesso al centro di tutte le tensioni intrafamiliari e che la
donna migrante si trova a dovere negoziare e rinegoziare i rapporti con i diversi membri della
famiglia, marito e figli.
Per molte donne che provengono dal Maghreb, o dall’Africa sub sahariana, lo spazio familiare,
vissuto come “spazio protettivo”, diventa lo spazio dei mutamenti e anche della precarietà,
quello dell’insicurezza che accompagna il percorso di emigrazione - immigrazione.
Tale aspetto è molto importante perché coinvolge la donna migrante come essere sociale che
si trova al centro del sistema famiglia ed è un aspetto che non viene preso molto in
considerazione quando si parla di conciliabilità; in effetti c’è anche la difficile conciliabilità nella
ridefinizione del proprio progetto di vita, tra modello familiare originario e nuova situazione
familiare nella migrazione, tra nuova condizione femminile e ruolo femminile legato all’area
culturale di provenienza.
Si può dire che sul piano socio-antropologico e psico-culturale cambiano i punti di riferimento
del modello culturale interiorizzato: la donna migrante vive questo passaggio, questa
transizione con grandi difficoltà soprattutto se la “scelta” della migrazione è stata imposta.
Per aiutare le donne migranti che vivono situazioni di questo genere (e sono tante!), occorre
pensare a degli spazi di comunicazione, di incontro, di scambio, dove possano parlare,
esprimersi e trovare insieme ad altre donne delle risposte e delle possibili soluzioni.
Attivare delle strategie di counselling interculturale con l’organizzazione di gruppi di donne da
realizzare attraverso lo sviluppo di attività concrete.
Le politiche attive del lavoro che mirano alla conciliazione non possono ignorare questa
dimensione del vissuto e della condizione psico-sociale di tante donne immigrate.
Proprio per non escludere tutti gli aspetti del vissuto della donna migrante, appare importante
aprire degli spazi per svolgere delle azioni di counselling interculturale sembra essere assai
importante per mettere le donne migranti nelle condizioni psico-relazionali di rielaborare i propri
vissuti, di decodificare la società dove si trovano e quindi operare delle scelte.
Come è nata l’idea di emigrare, di chi era stato il progetto migratorio, le ragioni e le cause di tale
migrazione , come è stata presa la decisione, quali sono state le emozioni vissute nel momento
della partenza, quali fantasie/aspettative avevano le donne riguardo al paese dal quale stavano
partendo, com’è stato il viaggio di emigrazione, il momento dell’arrivo in Italia, quale è stato il
suo vissuto durante la fase di sistemazione e di adattamento, come tutti questi elementi
36
influenzano le scelte attuali della donna migrante e, in particolare, il suo approccio al lavoro e la
possibile conciliabilità con gli impegni familiari.
Le esperienze sono molteplici, con vari tentativi di “accompagnamento” e supporto alle donne
migranti, ma manca tuttora un tentativo di sperimentare un’ “azione di sistema” in grado di
mettere insieme, sistematizzandole appunto, le diverse esperienze realizzate e mettere a
confronto fra loro i diversi attori della rete formale e di quella informale presente su un
determinato territorio.
3.7
SCHEDE DI ESPERIENZE DI BUONE PRATICHE IN TEMA DI CONCILIAZIONE
Come già è stato evidenziato, le iniziative realizzate in Italia sul tema della conciliazione tra
tempi di lavoro e casa per le donne immigrate, sono numericamente limitate, distribuite
sull’intero territorio nazionale, parcellizzate insomma, e soprattutto non collegate in rete
collegate tra loro.
Riportiamo di seguito alcune brevi schede di sintesi di esperienze di buone pratiche realizzate,
che hanno cercato in diverso modo, di fornire un contributo al problema della conciliazione.
Le schede evidenziano come una pluralità di soggetti pubblici e privati, quali: enti locali,
associazioni di donne immigrate, centri di formazione professionale, ecc…. abbia messo in
atto strategie in grado di accompagnare le donne immigrate nei percorsi di armonizzazione
“lavoro - famiglia”.
Centro di formazione professionale Csapsa (Centro studi analisi di psicologia e
sociologia applicate) (Bologna)
Azioni di formazione professionale rivolte a donne immigrate con inserimenti lavorativi mirati
all’assunzione. Apertura di “spazi maternage” durante il corso e abbinamento contesto
lavorativo e profilo della donna per favorire la possibile conciliazione lavoro- vita familiare.
Da diversi anni, più precisamente dal 1996, il Centro Csapsa svolge attività formative rivolte alle
donne immigrate con l’obiettivo di creare le condizioni di un inserimento lavorativo reale
prendendo in considerazione gli aspetti molteplici della vita della donna . Il modello formativo
prevede un “counselling psico-relazionale” continuo con le donne in formazione; tale dispositivo
fa del tutor del corso (un'altra donna con competenze nel campo della formazione,
dell’inserimento lavorativo e in quello del disagio e della psicologia interculturale) la figura di
37
supporto e di accompagnamento durante tutto il percorso.
Il tutor-counsellor svolge un lavoro basato sull’ascolto dei problemi relazionali concreti che
vivono le donne nel momento in cui iniziano l’esperienza formativa e, soprattutto nel momento
in cui inizia la parte di tirocinio pratico attraverso l’inserimento nelle aziende.
Durante il percorso, il tutor usa la tecnica del problem solving confrontandosi con le donne per
individuare i problemi e pensare con loro alle strategie possibili per trovare delle soluzioni
concrete. Viene anche fatto un grosso lavoro di mediazione sia nel rapporto con le aziende che
nel rapporto con i familiari (in particolare i mariti).
I percorsi formativi riproducono il modello della formazione in situazione di lavoro reale dove le
donne imparano lavorando (learning by doing) durante il processo di apprendimento
professionale vengono supportate sul piano psico-relazionale nell’affrontare i problemi che
incontrano.
Questo modello d’intervento permette di attivare nelle donne l’acquisizione di capacità di
negoziazione e di comprensione delle soluzioni possibili per conciliare attività lavorativa, vita
familiare e vita sociale.
Per questa ragione sono previsti nel dispositivo d’intervento sia dei colloqui individuali
permanenti che degli incontri di gruppo; in quest’ultimo viene utilizzata la tecnica rogersiana dei
gruppi d’incontro per fare emergere le difficoltà e trovare insieme le soluzioni (qui il gruppo
funziona come spazio di mutuo-aiuto).
Questo dispositivo è stato anche applicato con le situazioni più difficili dell’immigrazione al
femminile cioè con le donne che escono dalla “tratta”: in molti casi queste donne si trovano a
dovere ricostruire un proprio progetto di vita, ed alcune di loro hanno anche dei figli piccoli.
Esperienze di conciliazione in Trentino Alto-Adige
AFI-IPL: Istituto per la promozione dei lavoratori e della Ripartizione del lavoro della Provincia
Autonoma di Bolzano:
Apertura di spazi a sostegno delle donne con figli piccoli per favorire l’inserimento lavorativo;
politiche d’intervento a favore della formazione delle donne immigrate con elaborazione di
strategie in grado di sviluppare possibili percorsi di conciliazione da parte delle donne;
attivazione di spazi di counseling sulla conciliazione e di gruppi di mutuo aiuto per sostenere le
donne immigrate al lavoro con figli.
Questo progetto è stato realizzato nel 2000 con finanziamenti europei e finanziamenti della
38
provincia autonoma di Bolzano. Il progetto ha tentato di comprendere, attraverso una ricerca
dell’Università di Trento (Dipartimento di Sociologia e ricerca sociale) di capire le
problematiche legate alla conciliazione vita familiare – lavoro per le donne in generale.
Si è trattato di uno studio con elaborazione di possibili linee d’intervento in grado di favorire la
conciliazione. Il lavoro dei ricercatori di Trento ha individuato alcune linee d’intervento possibili
che hanno coinvolto diversi attori del territorio: aziende, famiglie, sindacati, servizi, città come
organizzazione urbanistica. Le soluzioni proposte riguardano:
1) soluzioni interne al posto di lavoro: misure che riguardano il tempo; il part-time, la flessibilità
degli orari, l’uso di strumenti quali congedi ed aspettative;
2) le soluzioni interne alla famiglia: sostenere la famiglia in modo che la madre o il padre
possano per scelta dedicarsi personalmente alla cura dei figli;
3) soluzioni comunitarie: reti dei servizi, associazioni e gruppi di mutuo-aiuto;
4) soluzioni urbanistiche: organizzare l’accoglienza per i bambini nei condomini e nei posti di
lavoro (“nidi aziendali”);
5) soluzioni per il sostegno all’infanzia: rafforzamento della rete dei servizi pubblici e privati per
la cura e la prevenzione in età infantile.
La Provincia di Bolzano, sulla base di questo lavoro, ha sperimentato alcuni percorsi nei
seguenti settori d’intervento:
a) promozione dell’associazionismo familiare;
b) lo sviluppo dei servizi di assistenza alla prima infanzia;
c) sostegno alla famiglia in difficoltà;
d) sostegno alla genitorialità;
e) revisione degli orari e dei tempi di vita nella città;
6) sviluppo di una maggiore equità tra donne e uomini nei compiti familiari
7) interventi di sostegno economico alle famiglie
8) agevolazione per l’accesso ai servizi per l’infanzia 9) promozione di politiche aziendali
“amiche” delle famiglie (apertura di nidi aziendali , flessibilità degli orari).
Uno dei problemi più frequentemente incontrati è stato il frequente isolamento sociale delle
famiglie, le scarse occasioni di socializzazione per i bambini e i genitori in contesti diversi: le
frequenti depressioni e malattie somatiche, sia presso le casalinghe che presso le donne
occupate e disturbi spesso legati al fardello del “doppio lavoro “ delle donne .
Il progetto ha sviluppato soltanto alcune di queste azioni ma il lavoro è comunque di un certo
39
interesse anche per quanto riguarda le donne immigrate che presentano le stesse difficoltà nel
conciliare vita familiare e lavoro.
Esperienza di conciliazione del Centro interculturale delle donne Alma Mater di
Torino
Il Centro Interculturale delle donne Alma Mater di Torino, è nata come semplice associazione
di donne immigrate e successivamente ha ampliato i propri scopi e finalità.
Oggi il centro è composto sia da donne immigrate che da donne italiane.
Il centro promuove diverse attività, quali: corsi di lingua italiana per le donne immigrate, corsi di
orientamento al lavoro, percorsi d’inserimento lavorativo, gestione di uno spazio nido per le
donne immigrate e italiane del quartiere, costituzione di una società cooperativa che gestisce
una lavanderia e un Bagno Turco e servizi di mediazione culturale, counseling interculturale,
consultorio.
Tutti i servizi del centro sono gestiti da mediatrici culturali.
Il Centro Interculturale delle donne Alma Mater di Torino ha due obiettivi:
1.
essere un luogo in cui le donne di qualsiasi provenienza ed estrazione sociale possano
imparare a vivere e lavorare insieme, ognuna con le proprie specificità, nel rispetto e per
la valorizzazione
2.
offrire alle donne immigrate relegate nella nichia del lavoro domestico la possibilità di
mettere a frutto le proprie esperienze lavorative , facendole diventare una risorsa per il
loro inserimento socio-professionale
Il Centro è diventato uno spazio di mutuo-aiuto tra donne, organizzato in diverse attività: lo
spazio bimbi, il centro di documentazione e la Biblioteca, gli spazi per incontri, corsi e
laboratori.
Le particolari attività del Centro sono: l’hammam, il laboratorio di sartoria, il laboratorio di
cucina, la lavanderia, il laboratorio teatrale, le attività corsuali e seminariali.
Quattro sono le grandi aree tematiche su cui il centro lavora:
1) attività sociale
2) attività culturali, formative e documentazione
3) la promozione e lo sviluppo di attività produttrici di reddito per le donne
4) le attività gestionali del Centro.
40
Trasversalmente a queste 4 aree è stata attivata la “Banca del tempo”: un luogo nel quale si
scambiano prestazioni misurate in ore (si depositano ore di disponibilità e si prelevano ore di
bisogno).
Il Centro offre diversi servizi alle donne:
1) accoglienza e mediazione culturale
2) consulenza legale
3) spazi bimbi
4) corsi di lingua italiana.
Ultimamente sono stati organizzati dei gruppi di formazione permanente alla pratica delle
relazioni di aiuto per favorire l’elaborazione e lo sviluppo tra le donne immigrate di strategie per
affrontare i problemi della vita familiare e lavorativa.
Un’esperienza di successo in Europa: Les Ateliers du Soleil (Bruxelles)
Si tratta di un Centro polivalente di attività a supporto dell'inserimento sociale e della
cittadinanza, degli immigrati della città di Bruxelles.
Il centro funziona dal 1974 e propone diverse attività a favore dell’integrazione degli immigrati,
quali: corsi di lingua francese, corsi di lingua materna, laboratori, teatro, corsi di formazione
professionale e di orientamento al lavoro, percorsi di cittadinanza, gruppi di mutuo-aiuto;
apertura di spazi per i bambini nella prima infanzia, sostegno psicologico per le madri in
difficoltà.
Le diverse attività svolte dall’associazione sviluppano azioni che favoriscono la conciliazione
per le donne immigrate che lavorano e viene svolto anche un importante lavoro con le famiglie
ed i mariti i quali vengono “educati” all’assunzione di responsabilità nel lavoro di cura ed
assistenza della famiglia.
Questo “Centro interculturale per la cittadinanza” è nato nel lontano 1974 per promuovere
l’inserimento socio-culturale dei cittadini di origine straniera e per una convivenza armoniosa
nella Città. I promotori sono cittadini stranieri e belgi come Dogan Ozguden (origine turca), Inci
Tugsavul (turca), Iuccia Saponara (origine italiana) e Marc Brunfaut (belga). Questo Centro si
definisce come “Carrefour des citoyens” cioè come un luogo aperto a tutti i cittadini stranieri e
belgi della Città di Bruxelles. I suoi obiettivi sono:
-
promuovere la presa di coscienza del “fattore interculturale”
41
-
sviluppare la capacità di analisi e di scelta dei cittadini stranieri nella città
-
promuovere il ruolo attivo delle donne immigrate
-
aiutare i giovani , e in particolare le giovani, nel loro percorso scolastico
-
stimolare l’autonomia e la partecipazione degli immigrati, e in particolare delle donne,
alla vita sociale
-
accompagnare ed aiutare chi è in difficoltà
-
sviluppare la creatività e valorizzare le culture di origine
-
promuovere la convivenza e la cooperazione interculturale nei quartieri della città
Le azioni con le donne immigrate:
Il Centro si propone di:
-
promuovere dei percorsi di emancipazione femminile attraverso l’eguaglianza tra i sessi
-
educare le donne immigrate a diventare cittadine attive
La donna immigrata soffre di un doppio “handicap” che va affrontato:
1) è sradicata in quanto immigrata
2) in quanto donna straniera è lacerata tra la sua cultura di origine e la cultura belga.
Nel lavoro del Centro emergono diverse problematiche che vengono affrontate attraverso
attività di vario genere: a) la ridefinizione dei rapporti con il marito e i figli
b) molte donne immigrate sono senza lavoro, con un basso livello di scolarizzazione e un ruolo
subalterno nella comunità di origine o nella famiglia
c) spesso i figli di queste famiglie sono orientati verso la formazione professionale e
“l’insegnamento speciale”
d) spesso le difficoltà della madre si ripercuotono sullo sviluppo psicologico dei figli.
Per queste diverse ragioni è nato il “Progetto giovani donne (16-18 anni)” con i seguenti
obiettivi: informare per orientare, aiutare a scegliere una formazione adeguata, acquisire
consapevolezza delle proprie capacità, “consapevolizzare” all’eguaglianza tra i sessi.
E stata scelta questa fascia di età perché si tratta di giovani donne che si formano ed entrano
progressivamente nel mercato del lavoro. L'obiettivo è quello di dotarle degli strumenti e delle
competenze necessarie per affrontare la vita.
Le azioni che si svolgono sono:
-
apprendere correttamente la lingua francese
42
-
acquisire autonomia e partecipare attivamente alla vita sociale
-
sapersi orientare e affrontare il mercato del lavoro
-
liberare la creatività attraverso laboratori espressivi
-
valorizzare le culture di origine per reinterpretare l’identità in un contesto altro
Tutto il progetto parte dalla convinzione che le donne immigrate devono “diventare cittadine” e
questo significa acquisire autonomia, indipendenza, spirito critico, senso di responsabilità e
impegno sociale. In diverse occasioni (la formazione, i laboratori, i gruppi d’incontro) si lavora
con le donne di tutte le età e di diverse nazionalità sul tema dell’identità femminile.
L’esperienza degli Ateliers du soleil dimostra che per le donne è fondamentale
acquisire una identità propria, distinta da quella del marito
lavorare in gruppo sulla percezione della propria identità come donna (prima che come
araba, africana o asiatica)
acquisire l’informazione necessaria sui propri diritti in quanto donne
acquisire l’autonomia necessaria sul piano materiale
conoscere e sapersi orientare nella rete dei servizi e delle istituzioni del territorio.
La tecnica del laboratori manuali ed espressivi diviene occasione per le donne di confrontarsi
sulle problematiche che vivono quotidianamente questi gruppi d’incontro mediati da attività
concrete permettono alle donne degli scambi di idee, di parlare della loro vita familiare,
dell’educazione dei figli e del lavoro. E sempre presente un animatore/trice che gestisce la
dinamica del gruppo per favorire il confronto (per esempio sui diversi modelli culturali di
famiglia).
Vengono organizzati dei percorsi di avviamento al lavoro nei quali si usa anche il modello dei
gruppi d’incontro: durante questi percorsi (aula, stage) le donne s’incontrano tra di loro con
l’animatore/rice e vengono discussi i temi specifici del lavoro e della conciliazione lavoro-vita
familiare. Ne emergono numerose e interessanti tematiche: la violenza razzista e sessista sui
luoghi di lavoro, l’imparare a parlare della propria esperienza lavorativa e le sue ricadute nella
vita familiare. Insieme si affrontano i problemi e si parla delle possibili soluzioni.
Tuttora, gli Ateliers du Soleil rappresentano la più grossa realtà interculturale del Belgio e una
delle più significative del Nord Europa.
43
4. METODOLOGIA DELLA RICERCA
4.1
PREMESSA METODOLOGICA
Al fine di rendere più efficace il lavoro di indagine, fin dall'inizio dei lavori è stato individuato uno
“staff di ricerca multiculturale” attraverso la selezione di un piccolo gruppo cinque di ricercatrici,
di cui 3 donne immigrate (una di origine rumena, una marocchina, una indiana) e 2 italiane. Il
perché di tale scelta è riconducibile principalmente all’esigenza di favorire il primo contatto con
le donne immigrate scelte quale campione cui somministrare il questionario di indagine,
facilitando, in tal modo, la comprensione del significato delle diverse domande poste alle
interlocutrici al fine di ottenere il maggior numero di informazioni dalle stesse.
Le ricercatrici “immigrate” hanno svolto un importante ruolo di collegamento con il campione di
donne individuato, contribuendo attivamente sia all’elaborazione, messa a punto e validazione
degli strumenti di rilevazione, sia alla conduzione delle interviste durante le quali hanno messo
in campo la propria esperienza personale, il proprio vissuto di donna immigrata.
Per ciò che concerne le ricercatrici italiane, la scelta è stata indirizzata verso persone che già
lavoravano a contatto con l'immigrazione e in particolare con l’immigrazione al femminile.
Anche in questo caso, il contributo in termini professionali ed esperienziali è stato prezioso sia
in fase di elaborazione degli strumenti di rilevazione, sia nella fase di indagine sul campo.
La fase precedente alla rilevazione sul campo è stata dunque caratterizzata da alcuni incontri
preliminari con le ricercatrici, svoltisi in forma di focus group, finalizzati alla messa a punto degli
strumenti di indagine e alla programmazione del lavoro di rilevazione, elaborazione e
restituzione delle informazioni raccolte.
Lo staff delle ricercatrici era composto, come già detto, da 5 persone, una in riferimento per
ciascuno dei 5 territori campione, individuati come territori di interesse per lo specifico tema
della conciliazione lavoro-famiglia, ovvero i Comuni di: Rimini, Forlì, Imola, Modena,
Reggio-Emilia.
Durante i focus group con le ricercatrici, sono anche stati definiti alcuni aspetti metodologici
fondamentali per la conduzione delle interviste ed in particolare le modalità di approccio
all’intervista, il come gestire la rilevazione dei dati forniti, il come utilizzare al meglio gli appunti
ed il registratore, al fine di raccogliere quanti più dati significativi possibile dalle donne
intervistate.
44
Sono stati definiti, inoltre, i criteri di selezione del campione di donne immigrate, la tipologia di
servizi per l’immigrazione operanti nei cinque territori comunali individuati e i ruoli professionali
degli operatori di tali servizi cui rivolgere l’intervista, le modalità di trascrizione dei dati relativi
alle interviste effettuate, nonché di stesura di una nota aggiuntiva con una breve descrizione del
profilo "biografico" della donna immigrata intervistata.
Allo scopo di uniformare le modalità di conduzione delle interviste ai fini dell’ottenimento di dati
significativi, il Responsabile Tecnico Scientifico ed il coordinamento di progetto hanno messo a
punto e fornito alle ricercatrici, un documento guida per la conduzione delle interviste
denominato: “Note metodologiche e criteri di selezione del campione”, a cui fare riferimento
durante la fase di rilevazione e quella successiva di trascrizione e rielaborazione dell’intervista.
Tale documento, unitamente all’abstract di presentazione del progetto, ai due questionari di
intervista, quello alle donne immigrate e quello agli operatori dei servizi, hanno costituito il
cosiddetto “kit di intervista” ad uso delle ricercatrici.
4.2
MODALITÀ DI CONDUZIONE DELLE INTERVISTE ALLE DONNE IMMIGRATE
Al fine di una più proficua conduzione dell’intervista è stato proposto alle ricercatrici l'uso di un
registratore, spiegando preventivamente che per poter condurre l’intervista con l’ausilio di un
registratore è necessario esplicitarne, sin dal principio, lo scopo e l’utilizzo che verrà fatto dei
dati rilevati, al fine di evitare nella donna immigrata intervistata l’insorgere del dubbio di essere
in qualche modo “controllata”. Molti immigrati, infatti, a causa dei numerosi controlli ai quali
sono sottoposti fin dal loro arrivo in Italia, vivono la cosiddetta “sindrome del sospetto” e si
dimostrano restii a fornire informazioni circa la loro situazione.
Per questo motivo è stato consigliato alle ricercatrici di spiegare loro nella maniera più accurata
possibile gli obiettivi della ricerca, sottolineando l’aspetto fondamentale della conciliazione ed
esplicitando in maniera chiara l’intento di individuare possibili soluzioni ad un problema attuale
che vivono molte donne immigrate.
La presenza di ricercatrici immigrate con una esperienza nel settore della mediazione culturale,
e di ricercatrici italiane, con precedenti esperienze di lavoro con le donne immigrate, è stata di
grande importanza per garantire accuratezze e correttezza nella conduzione delle interviste e
qualità dei dati raccolti. Le competenze delle ricercatrici di cogliere, intuire, la disponibilità o le
resistenze, manifeste o implicite, della donna intervistata, é stata fondamentale al fine di
45
instaurare e gestire la relazione e per creare le condizioni necessarie ad un colloquio proficuo.
Le ricercatrici hanno cercato il più possibile di “tradurre” o “semplificare” le domande,
soprattutto nelle situazioni di difficoltà di comprensione linguistica da parte della donna
intervistata: intervistando, infatti, una donna appartenente al proprio gruppo linguistico la
ricercatrice poteva ripetere, semplificare e specificare la o le domande nella sua lingua
d’origine.
E’ stata inoltre sottolineata alla ricercatrice l’importanza di gestire le proprie emozioni e di
“controllare” i propri pregiudizi nella conduzione delle interviste.
Le ricercatrici hanno quindi dovuto “gestire” i propri vissuti e le proprie proiezioni nella relazione
con le donne intervistate per riuscire a non “inquinare” con i propri sentimenti le risposte fornite
dalle donne intervistate.
Occorre inoltre aggiungere che l’indagine sul campo vera e propria è stata preceduta da una
fase di testing degli strumenti di rilevazione, cioè i due questionari di intervista, al fine di una
loro eventuale, qualora necessaria, successiva ritaratura finalizzata al raggiungimento degli
obiettivi della ricerca.
A tal fine sono state realizzate due interviste di prova per ciascun territorio interessato a seguito
delle quali è stato organizzato un incontro successivo con le ricercatrici per verificare le risposte
fornite dalle donne immigrate intervistate, al fine di poter, appunto, ritarare gli strumenti di
indagine: i questionari ottenuti dal processo di revisione e ritaratura alla luce dei primi risultati
provenienti dalle due interviste di testing sono stati quindi resi più incisivi, puntuali ed efficaci, in
riferimento alle necessità di rilevazione ed alla tematica specifica dell’indagine.
Sempre in riferimento alla metodologia di rilevazione e di redazione delle interviste, ed alle
modifiche apportate agli strumenti di intervista, alle ricercatrici è stato chiesto di approfondire il
colloquio d’intervista redigendo personalmente (sulla base di una griglia-guida) una breve
monografia dell’intervistata, una sorta di “racconto di vita”.
A tale scopo, al fine di permettere una miglior comprensione delle risposte fornite dalle donne
immigrate e quindi facilitare l’intervistatrice nel suo lavoro di ascolto e trascrizione della vita e
del percorso delle donne, al termine di ciascuna griglia di intervista è stato lasciato un apposito
spazio (sezione 8) di due pagine: tale spazio consentiva alle ricercatrici di annotare, sia al
momento dell’intervista, che successivamente durante il lavoro di sbobinatura della
registrazione effettuata, informazioni supplementari ritenute utili a complemento delle risposte
fornite dalla donna intervistata, permettendo così di collocare l’intervista nel contesto specifico
46
in cui si è svolta.
Attraverso il documento “Note metodologiche e criteri di selezione del campione”, si sono
invitate quindi le ricercatrici ad annottare una serie di considerazioni supplementari necessarie
e funzionali ad una migliore comprensione dell’intervista, quali: riflessioni,
impressioni,
valutazioni, della rilevatrice rispetto: al clima instauratosi, allo spazio concesso dall’intervistata,
al tempo dedicato, alla disponibilità dell’intervistata, all’eventuale suo atteggiamento di
reticenza, ai “silenzi significativi”.
4.3
IL CAMPIONE
Trattandosi di una ricerca qualitativa, si è pensato di indagare in profondità il fenomeno della
conciliazione lavoro-famiglia, su di un campione di 70 donne immigrate residenti nei cinque
territori presi in esame: Reggio-Emilia, Modena, Imola, Forlì, Rimini.
Al fine di indagare il fenomeno della conciliazione lavoro-famiglia, rispetto all’offerta di servizi di
supporto in ambito locale, l’indagine ha previsto inoltre uno specifico campione, costituito da
trenta operatori di centri di servizi per l’immigrazione, presenti nei cinque territori presi in
esame, incaricati di erogare specifici servizi di supporto, assistenza, orientamento anche a
favore delle donne immigrate.
Come precedentemente descritto, è stato redatto ad uso delle ricercatrici, un documento di
supporto allo svolgimento delle interviste, denominato “Note metodologiche e criteri di
selezione del campione”, contenente, appunto, indicazioni dettagliate sulle modalità di
conduzione dell’intervista, quali:
1. Le modalità di approccio e di conduzione delle interviste;
2. I criteri di selezione del campione di donne immigrate da intervistare;
3. La tipologia di centri servizi/operatori a supporto degli immigrati da intervistare;
4. Le modalità di trascrizione delle interviste e le considerazioni aggiuntive per una migliore
comprensione delle risposte fornite dal campione;
5. I tempi di lavoro e di restituzione dei risultati delle interviste al Responsabile tecnico
scientifico ed allo staff di coordinamento del progetto, al fine di analizzare i dati raccolti e
redigere il report finale della ricerca.
47
In particolare, in riferimento al punto 2, “Criteri di selezione del campione di donne immigrate da
intervistare”, è stato ritenuto opportuno e necessario tener conto, fra gli altri, dei seguenti criteri
di selezione:
Provenienza geo-culturale
Sebbene il campione fosse esiguo rispetto alla numerosità dei gruppi nazionali e culturali
individuabili nei territori interessati dalla ricerca, ogni ricercatrice ha dovuto tener presente, per
quanto possibile, la composizione geo-culturale di provenienza delle immigrate presenti sul
proprio territorio di riferimento (ad esempio, nel caso della provincia di Reggio-Emilia la
presenza degli indiani Sikh del Punjab è assai significativa, mentre le donne indiane sono
praticamente assenti su altri territori considerati).
E’ stato Inoltre chiesto alle ricercatrici di intervistare, pur sapendo che non sarebbe stato
semplice!, alcune donne cinesi, proprio per le caratteristiche di “chiusura” e di scarsa
conoscenza della componente femminile della comunità cinese.
Rispetto alla variabile geo-culturale, è stato indicato inoltre di tenere conto, nella medesima
proporzione, delle donne provenienti dalle zone dell’Africa nera subsahariana (Nigeria,
Senegal) poiché in queste realtà si individuano spesso difficoltà legate anche al colore della
pelle e, di conseguenza, problemi di discriminazione razziale.
Per la costituzione del campione qualitativo, per ciascun territorio si è dunque deciso di
considerare, un gruppo formato da donne immigrate provenienti dalle seguenti aree
geografiche:
Paesi del Maghreb (2/3 donne)
Paesi dell’est europeo (2/3 donne) (comprendenti alcuni dei nuovi Paesi entrati a fra
parte dell’Unione Europea, quali: Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica
Ceca, Slovacchia, Ungheria)
India, Pakistan, Sri Lanka (2/3 donne)
Cina (1/2 donne)
Aree Africa Subsahariana (1/2 donne)
48
Età delle donne intervistate
Nel docuemento è stato indicato alle ricercatrici di prendere in considerazione donne di età non
superiore ai 50 anni: in primo luogo per motivi legati al fatto che la maggioranza delle donne
immigrate presenti sui territori interessati dalla ricerca ha un’età tra i 20 e i 45 anni, in secondo
luogo perché, inserendo nel campione qualitativo una donna over 50 anni, viene introdotta una
ulteriore variabile che rischia di non essere utile per lo specifico oggetto della ricerca, in quanto
tale classe di età si trova spesso nella difficoltà di trovare lavoro per motivi legati porpio all’età
troppo elevata.
Il campione è stato suddiviso dunque nelle seguenti fasce d’età:
Da 20 a 25 anni:
Da 26 a 35 anni:
Da 36 a 45 anni
Da 46 a 50 anni
Livello di scolarizzazione
Al fine di ottenere dati significativi rispetto all’oggetto dell’indagine si è tenuto conto del livello di
scolarizzazione delle donne intervistate, ed in particolare di:
un certo numero di donne analfabete (soprattutto quelle provenienti dal Marocco,
dall’India o dalla Nigeria, poiché nel caso delle donne provenienti da Paesi dell’est si
riscontra un livello di scolarizzazione quasi sempre più elevato);
una parte consistente di donne alfabetizzate che potessero essere rappresentative di tre
distinte categorie:
a) chi ha frequentato solo la scuola elementare;
b) chi ha frequentato la scuola fino ai 16 anni circa;
c) chi ha svolto studi superiori o universitari (anche se non riconosciuti in Italia);
L’indicazione fornita a ciascuna ricercatrice circa la suddivisione percentuale delle donne da
intervistare rispetto al parametro “livello di scolarizzazione” è stata di 1/3 di donne analfabete e
2/3 di donne alfabetizzate (da ripartirsi a sua volta nelle categorie a, b, c.)
49
Esperienze lavorative
Sempre con riferimento alle domande contenute nel questionario di intervista, è stato chiesto
alle ricercatrici di tenere conto di:
donne in possesso di esperienze lavorative precedenti all’arrivo in Italia;
donne in possesso di esperienze lavorative acquisite solo dopo il loro arrivo in Italia.
Numero di figli e loro età
La composizione del campione indicato ha tenuto conto, inoltre, del numero dei figli e della loro
età e questo in proporzioni abbastanza equilibrate ed in particolare riferito a donne aventi:
un solo figlio (circa il 50% del campione)
più di un figlio (circa il 50% del campione)
Rispetto alle categorie di cui sopra l’età dei figli poteva essere compresa nelle seguenti fasce di
età:
da 0 a 3 anni
da 4 a 5 anni
da 6 a 11 anni
da 12 a 15 anni
da 16 a 18 anni
più di 18 anni
Sempre ai fini della composizione del campione, a ciascuna ricercatrice è stato chiesto di
considerare nei limiti del possibile, altre specifiche caratteristiche, quali:
Una donna che vivesse sola con dei figli perché divorziata o separata dal marito o
comunque con una situazione anomala rispetto alla famiglia “classica”;
Una donna nella cui famiglia vivessero anche altri familiari (intesa come famiglia
allargata), suoi o del coniuge, nei confronti dei quali lei prestasse attività di cura;
Una donna sposata ma senza figli.
Le risposte provenienti dalle donne immigrate in possesso delle caratteristiche sopracitate,
sono state utilizzate quale “elemento di comparazione” con le risposte fornite dalle altre donne
50
intervistate, al fine di evidenziare meglio gli elementi peculiari relativi al tema della
conciliazione.
Occorre inoltre precisare che, per motivi legati all’oggetto specifico della ricerca, ossia la
conciliazione tra tempi di lavoro e di cura della famiglia, sono state escluse dal campione:
le donne immigrate che vivono in Italia da sole (ad esclusione di quelle sposate ma
senza figli, le quali eventualmente posso essere state oggetto di intervista);
donne che abbiano esclusivamente figli di età maggiore ai 18 anni.
4.4
TIPOLOGIE DI SERVIZI TERRITORIALI PRESI A CAMPIONE
Il campione costituito da trenta operatori qualificati, in rappresentanza di altrettanti centri di
servizi che si occupano di problematiche legate all’immigrazione (ed in particolare di
immigrazione al femminile), ha ricompreso una pluralità di uffici, servizi, centri, enti,
associazioni, agenzie, classificati nel seguente modo:
a)
Amministrazioni Comunali
Servizio sociale per minori;
Servizio sociale per adulti;
Ufficio stranieri.
b)
A.S.L.
Poliambulatori: Servizio Maternità e Infanzia;
Consultorio familiare.
c)
CPI: Centri Provinciali per l’Impiego
d)
Centri di formazione professionale
che gestiscono percorsi di formazione e inserimento lavorativo per donne immigrate
e)
Associazioni di immigrati, di donne immigrate e di volontariato
che si occupano anche, e a volte nello specifico, di problemi delle donne immigrate.
51
f)
Cooperative sociali
che lavorano con, o intervengono a favore, delle donne immigrate.
g)
Sindacati:
in particolare i Centri “diritti per i lavoratori stranieri della CGIL e della CISL”.
4.5
ELABORAZIONE ED ANALISI DEI DATI
La scelta di privilegiare un’indagine di tipo qualitativo, che favorisse un’analisi più “in profondità”
del fenomeno della conciliazione delle esigenze lavorative e familiari delle donne immigrate, ha
permesso, fin dalla realizzazione dei focus-group, ai quali hanno preso parte le ricercatrici
successivamente coinvolte nella somministrazione ed elaborazione dei questionari di indagine,
di cogliere il “vissuto” di coloro fra queste che, essendo donne immigrate, hanno verificato sulla
propria pelle l’esperienza di situazioni di disagio e di difficoltà nel conciliare il lavoro con la vita
familiare. L’esperienza delle ricercatrici immigrate, unita a quella delle ricercatrici italiane
facenti parte di realtà che da tempo erogano servizi di supporto agli immigrati, ha consentito di
mettere a punto un modello di elaborazione ed analisi dei dati raccolti attraverso la
somministrazione dei questionari, funzionale al raggiungimento dei risultati della ricerca.
L'elaborazione e l'analisi dei dati porta sia sulle interviste alle donne immigrate che su quelle
agli operatori dei servizi: l'incrocio tra le risposte fornite dalle donne e quelle fornite dagli
operatori permette d'individuare difficoltà, criticità e possibili risposte.
I due punti di vista (quello delle donne immigrate e quello degli operatori dei servizi) forniscono
delle "variabili focali" in grado di speigare la complessità e la natura socio-culturale del
fenomeno della conciliazione lavoro-vita familiare.
Più precisamente il processo di elaborazione ed analisi dei dati si è articolato attraverso due
fasi distinte:
Fase I:
Ripartizione quantitativa del campione intervistato per “criteri di selezione”;
Codifica del materiale e dei dati rilevati;
Individuazione dei principali fattori critici rispetto all'oggetto della ricerca, cioè la
conciliazione tra tempi di lavoro e tempi dedicati alla cura della famiglia;
Elaborazione di alcune storie di vita delle donne intervistate: il metodo autobiografico
come strumento di ulteriore comprensione.
52
Fase II:
Definizione delle unità di classificazione (individuazione degli indicatori che determinano
l'appartenenza di un’unità ad una certa categoria piuttosto che ad un’altra)
Individuazione dei temi salienti della conciliazione dei tempi fra lavoro e famiglia:
a. parole chiave
b. lista di temi
c. tipologie
Definizione delle categorie di aggregazione dei dati:
provenienza
periodo precedente all'esperienza migratoria
livello di scolarizzazione
arrivo in Italia e difficoltà incontrate
conoscenza della lingua
numero ed età dei figli
aspetti culturali e religiosi
discriminazione, razzismo e xenofobia
influenza degli aspetti normativi
attività lavorativa e difficoltà incontrate
vita sociale: rete sociale di supporto
rapporto con i servizi a supporto degli immigrati
formazione professionale
altre proposte provenienti dalle donne immigrate
Individuazione di connessioni significative tra le diverse categorie di analisi
Durante il procedimento di riordino e classificazione dei dati rilevati si è tenuto conto dei fattori
ostacolanti (vincoli = punti di debolezza) e dei fattori favorevoli (opportunità = punti forza)della
conciliazione tempi di lavoro-famiglia.
53
Alcune connessioni significative fra le diverse categorie hanno riguardato: i figli, il numero di
figli, l'età, l’attività lavorativa, il livello di scolarizzazione, le esperienze lavorative precedenti, la
conoscenza della lingua italiana, ecc…
Con gli operatori dei servizi si è tenuto conto, invece, della collocazione del servizio e della sua
funzione sul territorio rispetto alla presenza del fenomeno migratorio, e di quello femminile in
particolare.
Si è partiti da domande sulla tipologia di utenza immigrata più frequentemente a contatto con il
servizio, sulla frequenza con cui si presentano al servizio le donne immigrate e sul tipo di
richieste di queste ultime. La griglia d'intervista si sofferma anche sulle difficoltà incontrate con
le donne immigrate e sul tipo di preparazione degli operatori.
Un altra domanda che è sembrato utile inserire ai fini della ricerca ha riguardato la presenza o
meno di mediatori culturali all'interno dei servizi (ruolo, funzioni e relazione con gli operatori).
In ultima analisi è stato chiesto agli intervistati di fornire dei suggerimenti in merito alle possibili
risposte all’utenza in materia di conciliazione.
Il confronto incrociato tra le risposte delle donne e quelle degli operatori ha fornito una serie di
elementi qualitativi per delle considerazioni finali e delle ipotesi d'intervento possibile in grado di
favorire la conciliazione lavoro-vita familiare per le donne immigrate.
54
5. ANALISI DEI DATI RACCOLTI : LE DONNE IMMIGRATE
5.1 RIPARTIZIONE
QUANTITATIVA DEL CAMPIONE INTERVISTATO PER
“CRITERI
DI
SELEZIONE”
Il numero complessivo di donne immigrate intervistate è stato di 70.
Nello specifico sono state intervistate 14 donne per ciascuna delle cinque aree territoriali
interessate dalla ricerca: Rimini, Forlì, Imola, Modena, Reggio Emilia.
Criterio di selezione “Nazione di provenienza delle intervistate per area territoriale di indagine”
Imola
Marocco:
Algeria:
Tunisia:
Albania:
Bielorussia:
Nigeria:
Senegal:
5
2
1
2
1
2
1
Forlì
Marocco:
Tunisia:
Romania:
Albania:
Polonia:
Costa d'Avorio:
Burkina Faso:
Senegal:
Nigeria:
India:
Cina:
1
1
1
2
1
2
2
1
1
1
1
Rimini
Marocco:
Tunisia:
Senegal:
2
1
1
55
Nigeria:
Romania:
Albania:
Ukraina:
Messico:
Perù:
Colombia:
Cina:
1
2
1
1
1
1
2
1
Modena
Marocco:
Romania:
Albania:
Ungheria:
Moldavia:
Mauritania:
Nigeria:
Sri Lanka:
6
1
1
1
1
1
2
1
Reggio-Emilia
India:
Pakistan:
Cina:
Isole Mauritius:
Brasile:
Marocco:
Russia:
Kenya:
Costa d'Avorio:
6
1
1
1
1
1
1
1
1
Criterio di selezione : “Aree geo-culturali di provenienza delle donne intervistate”
Per lo sviluppo della ricerca si è deciso di utilizzare il concetto di "area culturale" elaborato
dall'antropologo americano Alfred Kroeber (fondatore della scuola “Cultura e personalità”), più
adeguato rispetto a quello di origine etnica, vista l'ambiguità del concetto stesso del termine
“etnico”.
La categoria denominata "area culturale" ha il vantaggio di fare riferimento ai sistemi linguistici,
56
ai costumi, alle culture religiose di riferimento di vaste aree geografiche. Per Kroeber quello che
conta è il sistema di connessioni culturali che permette di comprendere atteggiamenti e
comportamenti; in tal modo si può prendere in considerazione la grande varietà dei modelli
culturali nonché le costanti che caratterizzano queste zone di aggregazione culturale.
Pertanto le aree geo-culturale di provenienza delle donne immigrate facenti parte del
campione, sono state:
Europa Orientale: 16 donne
Albania:
Romania:
Polonia:
Ungheria:
Bielorussia:
Moldavia:
Ucraina:
Russia:
6
4
1
1
1
1
1
1
Nord Africa occidentale (Maghreb): 21 donne
Marocco:
Algeria:
Tunisia:
Mauritania:
13
2
3
1
Africa nera (sub-sahariana): 16 donne
Costa d'Avorio:
Senegal:
Burkina Faso:
Nigeria:
Kenya:
Isole Mauritius:
3
3
2
6
1
1
America centrale e Sud America: 5 donne
Brasile:
Messico:
Perù:
Colombia:
1
1
1
2
57
Asia:12 donne
Cina:
India:
Sri Lanka:
Pakistan:
3
7
1
1
Criterio di selezione: “Fasce di età delle donne intervistate” (% sul campione complessivo)
Da 20 a 25 anni:
10%
Da 26 a 35 anni:
70%
Da 36 a 45 anni:
15%
Da 46 a 50 anni:
5%
Criterio di selezione: “Livello di scolarizzazione” (% sul campione complessivo)
scuola elementare:
8%
scuola media inferiore:
60%
scuola media superiore:
25%
università:
7%
Criterio di selezione: “Numero di figli” (% sul campione complessivo)
0 figli:
4%
1 figlio:
32%
2 figli:
50%
più di 2:
14%
58
Criterio di selezione: “Età dei figli” (% sul campione complessivo)
da 0 a 3 anni:
12%
da 4 a 5 anni:
10%
da 6 a 11 anni:
45%
da 12 a 15 anni:
15%
da 16 a 18 anni:
12%
più di 18 anni:
6%
Criterio di selezione: “Percentuale delle intervistate per stato civile”
coniugate:
90%
separate o divorziate(sole con figli):
10%
Criterio di selezione: “Motivo dell’arrivo in Italia” (% sul campione complessivo)
ricongiungimento familiare:
75%
sponsor (ex legge 40/98)
6%
lavoro:
14%
studio:
5%
Criterio di selezione: “Livello di conoscenza della lingua italiana”*
(*valutazione soggettiva effettuata da ciascuna delle ricercatrici coinvolte sul campo)
scarso:
20%
sufficiente:
10%
discreto:
15%
buono:
50%
ottimo:
5%
59
Criterio di selezione: “Tipologia di lavoro svolto al momento dell’intervista” (% sul campione
complessivo)
operaie:
20%
lavoratrici autonome:
10%
libere professioniste:
5%
assistenti di base o domiciliari:
25%
addette alle pulizie:
30%
mediatrici culturali:
10%
Criterio di selezione: “Frequenza a corsi di formazione in Italia” (% sul campione intervistato) **
corsi di lingua italiana:
80%
corsi di formazione professionale:
50%
** percentuali non complementari (= la cui somma non è uguale a 100) poiché le intervistate
potevano rispondere affermativamente ad entrambe le domande poste
Criterio di selezione: conoscenza dei Servizi territoriali per immigrati
intervistato)**
Centri per l’Impiego:
85%
Servizi sociali:
70%
Servizi sanitari:
30%
(% sul campione
** percentuali non complementari (= la cui somma non è uguale a 100) poiché le intervistate
potevano rispondere affermativamente ad entrambe le domande poste
60
5.2
CODIFICA DEI DATI RILEVATI
I dati quantitativi derivanti dalle interviste sono stati dapprima codificati e successivamente, in
alcuni casi di particolare interesse, incrociati fra loro, al fine di estrapolarne chiavi di lettura e
riflessioni utili alla comprensione della particolare problematica indagata: la conciliazione dei
tempi lavoro-famiglia per le donne immigrate.
Occorre tenere presente che il campione, come già accennato precedentemente, per quanto di
ridotte dimensioni è stato costruito affinché potesse rispecchiare il più possibile la realtà
dell'immigrazione al femminile sul territorio regionale. L'incrocio tra dati numerici (per quanto
significativi in un’indagine a valenza soprattutto qualitativa) con alcune "variabili focali", quali la
provenienza geo-culturale, il livello di conoscenza della lingua italiana, il livello di
scolarizzazione, il numero dei figli, l'età dei figli, la tipologia di lavoro svolto, permette
d'individuare i fattori che hanno un’incidenza importante sulla possibilità di conciliare lavoro e
vita familiare (sia in positivo che in negativo).
La provenienza geo-culturale
Analizzando la provenienza geo-culturale delle donne facenti parte del campione notiamo che
la parte più consistente proviene dall'Africa Nord occidentale cioè dal Maghreb, con il Marocco
come Paese maggiormente rappresentato rispetto alla Tunisia e all'Algeria. Questi dati
rispecchiano fedelmente la realtà, caratterizzata da una consistente presenza della comunità
maghrebina musulmana nel territorio della regione.
L'area geo-culturale di provenienza ha una considerevole importanza per le implicazioni che da
essa derivano in merito alla conciliazione del rapporto lavoro-famiglia per la donna immigrata.
Per molte donne maghrebine infatti, non è semplice dover combinare attività familiare e lavoro
tenendo conto dell'habitus (quello che Pierre Bourdieu chiama le "disposizioni socio-culturali
interiorizzate") che determina mentalità e comportamenti.
Il modello sociale del ruolo della donna nel Maghreb musulmano viene riprodotto
nell'immigrazione da parte delle donne stesse, che tentano di conciliare il modello culturale
della società accogliente con quello della società di origine.
Il secondo gruppo in termini numerici, presente nel campione, è quello costituito dalle donne
dell'Europa Orientale, soprattutto dall’Albania e Romania. Anche questo dato rispecchia la
tendenza in atto nella regione che vede una forte presenza di immigrate provenienti dall’est
61
Europa.
L'Africa nera subsahariana, con Nigeria, Senegal e Costa d'Avorio, è ugualmente
rappresentata nel nostro campione; per le donne dell'Africa francofona la conoscenza del
francese è spesso un ottimo strumento di mediazione per imparare rapidamente l'italiano. Nello
sviluppo dell’indagine si vedrà come le donne africane nere pongano il problema del colore
della pelle come fattore di discriminazione per la ricerca del lavoro.
Per quanto riguarda l’Asia, il campione è rappresentato da donne cinesi e da indiane di
religione sikh, soprattutto perché, come già accennato, si è scelto di realizzare parte delle
interviste nel territorio reggiano dove da tempo si è insediata una significativa comunità sikh,
con il suo Tempio (che svolge una funzione aggregante e socializzante molto importante per la
comunità locale) e con un notevole impatto sul territorio dove essa insiste: anche in questo
caso dall’indagine emergono dati interessanti nella misura in cui molte di queste donne
risolvono, in qualche modo, il problema della conciliazione lavoro-famiglia lavorando presso la
propria abitazione.
Per quanto riguarda il campione di donne provenienti dal Sud America (localizzate ai fini
dell’indagine soprattutto nella zona di Rimini), si è notato che un numero importante è
coniugato con un cittadino italiano e molte dichiarano, in genere, di non avere avuto grossi
problemi d’inserimento sociale sia per la facilità di apprendimento della lingua - lo spagnolo
come il francese è uno strumento di mediazione che facilita l’apprendimento dell’italiano - che
per le differenze culturali, minori e di minore impatto rispetto a quelle che si presentano per le
donne africane o asiatiche. Il fatto poi di essere sposate con uomini italiani ha, in molti casi,
consentito un migliore inserimento sociale. Diversamente, sul piano dell’inserimento lavorativo
queste donne incontrano gli stessi problemi di quelle proveniente da altre parti del mondo.
Tenuto conto dell’estrema importanza di tale indicatore, il dato relativo alla provenienza
geo-culturale delle donne immigrate, è stato successivamente incrociato con altre variabili di
interesse per l’indagine. Da tale operazione sono scaturite interessanti informazioni che hanno
permesso di analizzare il fenomeno della conciliazione lavoro-famiglia, da angolature nuove e
assolutamente pertinenti al tema in questione, che hanno fornito ulteriori elementi di
approfondimento e valutazione.
Vediamo in sintesi i principali risultati di tale operazione di incrocio.
62
Provenienza geo-culturale della donna e Livello di conoscenza dell'italiano
Dal Marocco: livello di conoscenza dell’italiano tra discreto e buono
Dall’Albania: livello di conoscenza dell’italiano tra buono e ottimo
Dall’India: livello di conoscenza dell’italiano scarso o discreto
Dalla Cina: livello di conoscenza dell’italiano scarso o discreto
Dalla Nigeria: livello di conoscenza dell’italiano tra discreto e buono
Provenienza geo-culturale della donna e Livello di scolarizzazione medio
Dal Marocco: scuola elementare/scuola media
Dall’Albania: scuola media
Dall’India: scuola elementare/scuola media
Dalla Cina: scuola media
Dalla Nigeria: scuola elementare/scuola media
Provenienza geo-culturale della donna e Numero di figli
Dal Marocco: 2 figli o più di 2 figli
Dall’Albania: 1 figlio
Dall’India: 2 figli o più di 2 figli
Dalla Cina:1 figlio
Dalla Nigeria: 2 figli o più di 2 figli
63
Provenienza geo-culturale della donna ed età dei figli
Dal Marocco: da 0 a11 anni
Dall’Albania: da 0 a 5 anni
Dall’India: da 0 a 15 anni
Dalla Cina: da 0 a 5 anni
Dalla Nigeria: da 0 a 11 anni
Provenienza geo-culturale della donna e tipologia di lavoro svolto
Dal Marocco: Addetta alle pulizie e Operaia
Dall’Albania: Assistente di base o domiciliare e mediatrice culturale
Dall’India: Lavoratrice autonoma
Dalla Cina: Lavoratrice autonoma
Dalla Nigeria: Assistente di base o domiciliare e Addetta alle pulizie
5.3
FATTORI CRITICI IN MATERIA DI CONCILIAZIONE LAVORO-FAMIGLIA
Dalle risposte fornite nei questionari emergono, per tutte le donne immigrate intervistate,
alcune opinioni ricorrenti sulla possibilità o meno di conciliare tempi di lavoro e impegni
familiari.
Nella maggior parte dei casi vengono espressi aspetti problematici, critici. Tali difficoltà
possono essere ricondotte ai seguenti fattori:
Fattore Figli
Per la maggioranza delle donne intervistate l'età dei figli incide fortemente sulla possibilità di
combinare l'attività lavorativa e la vita familiare. La maggioranza delle donne immigrate, infatti,
non può contare sul supporto della propria rete familiare e non riesce a far coincidere gli orari
dell'attività lavorativa con gli orari degli asili nido o delle scuole materne.
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Diverse donne, inoltre, in particolare quelle che provengono dall'Africa, esprimono il forte
bisogno di passare più tempo con i bambini e quindi di disporre di orari maggiormente flessibili.
Questo bisogno è fortemente radicato nelle donne africane (provenienti dal maghreb e
dell’Africa nera), poiché per queste persone la cura dei figli rappresenta una priorità.
Tale aspetto non può essere trascurato se si vuol favorire l'inserimento al lavoro di queste
donne; psicologicamente condiziona fortemente la concezione che la donna ha del rapporto
con il proprio lavoro. Inoltre, nel caso in cui la donna abbia più di un figlio, le cose si complicano
ulteriormente.
L'età dei figli incide fortemente. Se questi ultimi hanno un’età inferiore ai 5 anni vi è la necessità
di avere un posto presso l’asilo nido o la scuola materna, ma spesso nei nidi i posti disponibili
sono scarsi e per di più costosi. Molte donne immigrate si ritrovano quindi nell’impossibilità di
collocare i propri figli e quindi di pensare ad un lavoro anche part-time.
Nel caso di figli in età scolastica il problema è legato alla difficoltà di conciliare gli orari di
ingresso e di uscita dalla scuola con quelli lavorativi.
Fattore Organizzazione familiare
Per la maggior parte delle donne immigrate intervistate, l’elemento di maggiore difficoltà nel
conciliare i tempi di lavoro con quelli familiari è rappresentato dall'assenza della rete familiare di
origine (genitori e parenti, i quali potrebbero fornire un sostegno indispensabile alla donna che
lavora). A tutto ciò si aggiunge l’insufficienza o la totale assenza di un aiuto per il disbrigo delle
pratiche familiari e la gestione dei figli da parte del marito. In molti casi la gestione degli
impegni familiari in comune fra i coniugi presenta notevoli difficoltà poiché il marito lavora in
fabbrica o in una azienda organizzata per turni lavorativi con non si conciliano al dover
affrontare pratiche lavorative quotidiane in famiglia . In altre situazioni le donne immigrate
lamentano lo scarso atteggiamento collaborativo dei mariti per una presunta ripartizione dei
ruoli che vede la donna come unica responsabile del “focolare domestico”.
La situazione si presenta sostanzialmente in modo diverso qualora la donna immigrata possa
contare sull’aiuto della propria madre o della madre del marito, la quale può supportare in
maniera significativa la donna nell’espletamento delle diverse attività domestiche e di cura dei
figli. Le persone intervistate evidenziano in maggioranza come con l’attuale legislazione
nazionale
sull’immigrazione
(legge
Bossi-Fini),
sia
quasi
impossibile
ottenere
il
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ricongiungimento familiare con i propri genitori, i quali garantirebbero un prezioso contributo al
fine di favorire l'avvio al lavoro, nonché la conciliazione dei tempi lavoro-famiglia per le donne
immigrate.
Fattore Linguistico
La conoscenza della lingua italiana viene considerato un fattore strategico per l’inserimento
sociale e lavorativo delle donne immigrate. La maggior parte delle donne intervistate dichiara
infatti di aver seguito un corso d'italiano una volta giunte in Italia. Dalle interviste effettuate,
risulta inoltre come sia stato più semplice imparare l'italiano per le donne provenienti dai paesi
africani francofoni (Maghreb, Senegal, Costa d'Avorio), rispetto alle altre (si presume che ciò
sia dovuto ad una precedente conoscenza della lingua francese la quale agevola
l’apprendimento dell’italiano).
Un ulteriore elemento favorevole all’apprendimento linguistico risulta essere legato al livello di
scolarizzazione delle donne all’arrivo in Italia.
Fattore Culturale-Religioso
I fattori culturale e religioso sono molto importanti per alcune donne immigrate. Ad esempio per
alcune che provengono dal Maghreb arabo-musulmano (non per tutte ovviamente) si pone la
questione del velo, cioè il fatto di non volersi togliere un elemento ritenuto parte importante
della propria identità. Altra questione riguarda il fatto che per molte donne musulmane la
famiglia è la priorità assoluta, pertanto, quando decidono di cercare un lavoro si tratta spesso di
una scelta dovuta ad una necessità economica e non necessariamente ad un’esigenza di
emancipazione e di autonomia.
Molte donne intervistate inoltre, hanno messo in evidenza alcune difficoltà al loro arrivo in
Italia: il senso di spaesamento, di disorientamento e di solitudine, dovuto alle abitudini diverse
incontrare nel nostro Paese.
Alcune di queste risolvono il problema rimanendo all'interno della comunità locale di origine che
funziona come mediatore culturale e punto di accoglienza/sostegno. Si tratta per esempio della
comunità sikh indiana della Provincia di Reggio-Emilia. In questa comunità le donne trovano
una soluzione lavorativa (lavoro autonomo svolto a domicilio), che riproduce le abitudini del
paese di origine, essendo tutto realizzato all'interno della comunità.
Anche per le donne africane nere e per le cinesi sono emersi problemi di carattere culturale. Le
66
prime hanno manifestato il disagio e la difficoltà di farsi comprendere, le seconde cercano
soluzioni ai problemi di integrazione all'interno della comunità cinese.
Tutti questi elementi incidono negativamente sulla possibilità di conciliare il proprio percorso
lavorativo con la vita familiare. Talvolta il lavoro non è visto come un elemento positivo per la
donna (soprattutto per chi viene dall'India o dal Maghreb), poiché si pensa che possa incidere
negativamente nel rapporto con il marito e nella cura dei figli.
Fattore “Discriminazione: sessismo e razzismo”
In alcuni casi, e soprattutto per le donne provenienti da determinati Paesi o aree geografiche, le
intervistate lamentano di aver subito atteggiamenti discriminatori dovuti al fatto di essere, al
contempo,
donne
e
straniere.
Molte
delle
donne
intervistate
hanno
raccontato
dell'atteggiamento assunto da parte di potenziali datori di lavoro nel prendere in considerazione
l'età della donna, e l’eventuale rischio gravidanza, come elemento discriminante per
un’eventuale assunzione e nel richiedere esplicitamente donne immigrate senza figli (perché i
figli si ammalano e le madri devono rimanere a casa ad accudirli).
Inoltre le donne africane, maghrebine, musulmane e nere, hanno messo in evidenza il fatto di
sentirsi vittime di casi di intolleranza razziale e di comportamenti esplicitamente razzisti.
Le donne musulmane hanno evidenziato come sia radicata una cultura del sospetto verso
l'islam e una conseguente non accettazione del velo da parte di molti datori di lavoro.
Per le donne dell'Africa nera, il problema è dovuto alla non accettazione del colore della pelle.
Questo ultimo problema viene riferito soprattutto da quelle che si occupano di assistenza agli
anziani, le quali hanno affermato di essere spesso maltrattate dai loro stessi assistiti; hanno
inoltre affermato di ricevere spesso commenti negativi sulle loro origini e di essere osservate
negativamente nell'autobus e sul posto di lavoro.
Fattore “Età”
Come già precedentemente riportato, molte donne intervistate hanno messo in evidenza come
l'età rappresenti una discriminante per trovare e mantenere un posto lavoro. Raggiunta una
certa età (le donne intervistate sostengono superati i 30 anni), i potenziali datori di lavoro
tendono ad escluderle da possibili assunzioni a causa dei figli avuti o delle possibili maternità
future. Raggiunti i 40 anni le donne immigrate del campione hanno sostenuto in maggioranza
come sia praticamente impossibile trovare un lavoro.
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Fattore “Livello di istruzione”
Un basso livello di istruzione comporta per la donna immigrata maggior difficoltà sia sul piano
dell’apprendimento della lingua italiana, sia in merito alla possibilità di trovare un lavoro. Più è
elevato il livello di istruzione della donna immigrata, maggiori saranno per lei le possibilità di
inserirsi con successo nel mondo del lavoro.
Fattore “Rete di servizi a supporto dell’immigrazione”
Laddove non sono presenti, o se presenti non vengono adeguatamente utilizzati i servizi
(sociali e sanitari) a supporto delle donne immigrate, diventa difficile realizzare buone pratiche
di conciliazione lavoro-famiglia. Molte donne intervistate (circa l'80% del campione), ha
dichiarato di conoscere e di aver fatto uso dei servizi per immigrati erogati dai Centri Provinciali
per l'Impiego, ma afferma anche di non avere mai trovato lavoro attraverso tali strutture
pubbliche.
Le intervistate inoltre lamentano l'assenza di supporti di carattere economico per la cura e
l’istruzione dei propri figli, quali: contributo per abbattere la retta dell’asilo o della scuola
materna, contributi per l’acquisto di libri scolastici ecc...
Fattore “Organizzazione del lavoro”
Molte donne intervistate hanno lamentato la scarsa disponibilità da parte delle aziende nel
considerare la possibilità di orari di lavoro più flessibili per permettere loro di conciliare
quest’ultimo con gli impegni familiari.
Hanno sostenuto quasi sempre le aziende non tengono in considerazione il problema e
nemmeno il fatto che le donne migranti non dispongono di una rete familiare di supporto. Un
ulteriore aspetto critico evidenziato è stato riferito al contratto di lavoro che propone condizioni
di elevata precarietà e senza garanzie per chi deve rinnovare periodicamente il permesso di
soggiorno.
Fattore “Logistica degli spostamenti”
Per molte donne che non hanno la patente o un mezzo proprio di locomozione diventa talvolta
difficile raggiungere la sede lavorativa, anche per l'assenza nel territorio di mezzi e servizi
pubblici adeguati. La distanza presente tra la scuola o l'asilo dei figli, l'abitazione ed il luogo di
lavoro spesso costituisce un serio problema di conciliazione dei tempi.
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5.4 BREVI STORIE DI VITA DI DONNE IMMIGRATE
Per comprendere meglio l'oggetto della presente indagine, la conciliazione dei tempi di lavoro e
quelli dedicati alla vita familiare delle donne immigrate, si è pensato di riportare alcune "brevi
storie di vita" estrapolate dalle risposte fornite dalle donne immigrate prese a campione e dai
profili biografici delle stesse tracciati dalle ricercatrici.
Storia di K
K. viene dal Marocco, da Agadir, ha 30 anni, è in Italia da 9 anni, è coniugata e i due figli sono
nati in Italia. Ha una laurea in biologia conseguita nel Paese di origine. A proposito della
partenza, concordata con il marito (ma tutte dicono di averlo concordato, più difficile è sapere
quale peso reale abbia avuto la donna in questa decisione) dichiara: "ero dispiaciuta per
l'abbandono dei miei familiari e per tutto quello che lasciavo in Marocco".
Nessuna esperienza lavorativa nel proprio paese di origine. Del suoi arrivo in Italia racconta:
"Mi sentivo spaesata soprattutto perché non riuscivo a comunicare con le altre
persone".
Dapprima segue un corso d'italiano, poi un corso per mediatrici culturali e a tale proposito ella
spiega l'importanza di programmare le attività formative tenendo in debito conto: sia gli orari di
frequenza delle lezioni, che devono essere compatibili con la gestione dei figli, sia la concreta
possibilità di opportunità lavorative al termine del corso.
Da quando K lavora come mediatrice culturale presso alcune scuole, afferma di essersi
“arrangiata” senza un aiuto o un supporto da parte di nessuno: "non ho avuto nessun aiuto
esterno, ciononostante sono riuscita a conciliare lavoro e famiglia anche se con molte
difficoltà. Quando il mio primo figlio era piccolo facevo un lavoro a tempo pieno in una
stireria. Per fortuna ho potuto usufruire di un orario flessibile sul lavoro".
K mette anche in evidenza la mancanza di collaborazione da parte del marito e quindi il fatto
che in questo modo si sobbarca del peso un doppio lavoro: lavoro in azienda e lavoro in
famiglia. Non dispone di una grande vita sociale, anche perché non ha tempo per coltivarla,
frequenta alcune amiche connazionali e si lamenta delle difficoltà enormi che incontra nel
gestire ritmi e tempi di vita e di lavoro: "qui non è come da noi, si corre sempre".
Alcune proposte di K. per migliorare la situazione delle donne immigrate sul tema della
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conciliazione, sono state:
"adoperarsi per generare un effettivo cambiamento di mentalità nel maschio immigrato,
oggi decisamente arretrata e radicata su posizioni maschiliste";
"garantire alla donna immigrata un impegno lavorativo che le permetta di gestire anche la
propria vita familiare";
"individuare delle forme di organizzazione del lavoro più flessibili rispetto alle attuali" (K. ha
il rimpianto di non avere potuto spendere il proprio titolo di studio in Italia).
Storia di M.
M. viene dalla Romania, ha 25 anni, sposata, è in Italia da 3 anni. Racconta di essere stata lei
ha richiedere il ricongiungimento familiare per farsi raggiungere dal marito e dal figlio in Italia.
Ha fatto la terza media e ha lavorato in Romania come operaia presso una azienda
metalmeccanica per 2 anni. Ha inoltre lavorato in patria presso una tipografia.
Come molte altre donne immigrate non conosceva la lingua all’arrivo in Italia. Del suo arrivo
direttamente con il pullman a Bologna (dove l'aspettava la sorella precedentemente immigrata),
racconta: "I primi due giorni ero sconvolta, non parlavo e non capivo niente. Decisi di
non ritornare in Romania solamente perché non avevo abbastanza soldi". Poi aggiunge:
"Da noi in Romania si sente dire che chi viene qui in Italia – “fa la strada” - per questo
motivo mio marito aveva paura ad acconsentire alla mia partenza".
Sottolinea inoltre la difficoltà incontrate nel trovare casa: "Quando andavo a cercare casa,
appena sentivano che ero una straniera immigrata nessuno voleva più affittarmi
l’appartamento. Nessuno mi dava fiducia".
Oggi M. lavora come Assistente di base. Per gli spostamenti in città usa la bicicletta. Suo marito
(che lavora come operaio in una fabbrica ceramica), l’aiuta nell’accompagnare i bambini a
scuola.
M. spiega le difficoltà di conciliare lavoro e gestione dei figli e come ha cercato di
responsabilizzare il suo bambino affinché in alcuni momenti della giornata provvedesse a se
stesso autonomamente:
"Ritengo che sia importante insegnare ai bambini a stare da soli facendo attenzione, ad
esempio, a non aprire ad estranei quando i genitori non sono in casa e ad abituarsi a
70
comportamenti di gestione partecipativa della vita familiare. A tale scopo ho insegnato a
mio figlio, che ha soli 5 anni, a scaldare il latte per la colazione o la merenda".
M. accenna alle difficoltà economiche incontrate dall’arrivo in Italia, ma sottolinea anche le
paure collegate al rischio di perdita del permesso di soggiorno.
Tuttavia, aggiunge: "Avere maggiori informazioni ti aiuta a non avere paura".
Storia di T.
T. viene dalla Nigeria, ha 39 anni, è sposata, è in Italia da 17 anni, ha tre figli (di 10, 7 e 2 anni
e mezzo). Si è laureata in filosofia all'Università Pontificia. La sua aspirazione iniziale era di
diventare suora, poi cambia idea e acquisisce un diploma in comunicazione sociale.
Successivamente frequenta in Italia un corso per operatore socio-sanitario.
T. oggi lavora, in due aziende diverse, come assistente domiciliare e come addetta alle pulizie.
Il marito partecipa attivamente alla gestione dei figli fornendo un prezioso contributo in tal
senso.
Tra le problematiche da affrontare quotidianamente, T. sottolinea quella connessa al colore
della pelle: "Ci sono serie difficoltà dovute al colore della pelle. Questo fa sì che appena i
potenziali datori di lavoro ti vedono, cambiano idea e non ti danno il lavoro…forse
pensano che sei una incapace in quanto nera”.
Rispetto al suo rapporto con le donne italiane, come possibile mezzo per organizzare delle
forme di mutuo-aiuto, T. ritiene che: "Bisogna favorire la conoscenza fra donne immigrate
e donne italiane. Se ci si conosce bene l'integrazione è possibile. Diversamente, se non
hai la possibilità di avvicinarti a loro, esse pensano che sei una che viene a disturbare a
creare problemi, a rubare il lavoro alle italiane, o addirittura a portare malattie infettive.
Anche per questo la conoscenza reciproca è importante."
A proposito dell'aiuto ricevuto dai servizi per immigrati, afferma: "Sui servizi sociali, dove
abito io, c'è da contare poco. Forse perché non sono abituati agli stranieri. I servizi
dovrebbero aiutare le madri a collocare i figli in orari prolungati a scuola".
Storia di X.
X. viene dallo Sri Lanka; ha 30 anni, una figlia di 5 anni e mezzo; è in Italia da 9 anni. Nel suo
paese ha studiato fino alle medie superiori. Tra le altre attività svolte, X. ha lavorato come
impiegata presso un’azienda commerciale. Ha imparato l'italiano guardando la televisione.
71
In Italia X. ha conseguito il Diploma di 3a media. Successivamente ha svolto un corso per
Addetti all’assistenza di Base (ADB). A tale proposito X. afferma di aver avuto non poche
difficoltà a frequentarla per via degli orari non congeniali con gli impegni personali e per il
linguaggio di difficile comprensione usato dai docenti.
Attualmente lavora come ADB presso una cooperativa sociale.
Durate l’intervista, X. sottolinea come la maggior parte delle donne del suo Paese se lavora lo
fa solo unicamente per fare fronte a necessità di carattere economico, poiché normalmente si
occupano solo ed esclusivamente dei bambini e delle faccende domestiche.
X. è buddista ed è sposata con un uomo cattolico del suo Paese.
Una sua ulteriore annotazione riguarda le notevoli difficoltà di apprendimento della lingua
italiana da parte delle donne che vengono dallo Sri Lanka, di conseguenza suggerisce agli enti
di formazione preposti di organizzare un maggior numero di corsi di italiano (alfabetizzazione
linguistica) per le donne. Sempre rispetto alla formazione delle donne immigrate, pone come
problema
importante
la
sensibilizzazione
dei
mariti:
"Agli
incontri
di
socializzazione/valutazione dell’attività corsuale devono partecipare anche i mariti, per
fare capire loro l'importanza della formazione per la donna immigrata. Non tutti i mariti
sono d'accordo con il fatto che la donna lavori….. anch'io all'inizio ho litigato con mio
marito, per poter andare a lavorare ho dovuto rompere gli indugi e fare di testa mia”.
Storia di M.
M. viene dal Marocco e ha 30 anni, è coniugata ed ha una figlia di 4 anni, parla un italiano
discreto. E’ in Italia da 6 anni.
In Marocco ha conseguito il Diploma di Maturità e ha frequentato per un anno l’Università
presso la Facoltà di Filosofia di Casablanca. Non ha avuto esperienze lavorative nel suo paese.
Il suo primo impatto con l'Italia è stato molto duro. Ella infatti lo ricorda così: "Il primo impatto è
stato abbastanza duro. Mi sentivo isolata, non conoscevo nessuno, mentre in Marocco
c'era sempre tanta gente in casa. Ho avuto grosse difficoltà dovute alla non
conoscenza della lingua italiana. Tra l’altro sono rimasta incinta dopo 15 giorni dal mio
arrivo in Italia e mi era difficile comunicare quando mi recavo al Consultorio durante la
gravidanza".
M. sottolinea inoltre le difficoltà di carattere culturale: "…..ho avuto anche delle difficoltà di
tipo culturale. Io vesto abitualmente all’occidentale ma mi copro la testa. Appena
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arrivata in Italia, la figlia del proprietario della casa in cui vivo chiese a mio marito il
perché di questa abitudine ricordando che tale usanza è tipica delle prostitute, tale
affermazione creò in me un forte disagio. ……anche quando vado in autobus la gente mi
guarda in modo strano".
M. ha trovato un lavoro come cameriera ai piani, presso un albergo, durante la stagione
turistica. Per svolgere al meglio il lavoro ha dovuto organizzarsi per i turni, ma a tale proposito
afferma: "…per le donne musulmane sono presenti maggiori difficoltà. I mariti sono
particolarmente gelosi e non vogliono che le loro mogli parlino con altri uomini, per cui
non sono d'accordo che facciano lavori che prevedano il contatto diretto con molte
persone".
M. racconta delle sue difficoltà nel rapporto con il marito che, contrariamente alle storie
precedenti, non l'aiuta nella gestione della figlia e dell’attività domestica.
Della sua esperienza di relazioni con i servizi a supporto degli immigrati, dichiara di aver avuto
delle difficoltà: "…..ho avuto difficoltà di relazione dovute alla scarsa conoscenza della
lingua italiana e anche l'atteggiamento dell'assistente sociale preposto al servizio è
stato negativo, ad esempio: quando è nata la bambina, nella casa dove abitavamo era
presente molta umidità, pertanto abbiamo chiamato l'assistente sociale affinché ci
aiutasse a risolvere il problema, questi non ha fatto niente e tra l’altro mi ha risposto
dicendo che se non mi piaceva la casa potevo tornarmene in Marocco":
Sul tema dei rapporti con le donne italiane mette in evidenza due diversi tipi di problemi:
"difficile la collaborazione tra donne musulmane e donne italiane perché vi è un
atteggiamento di timore e di scarsa fiducia dovuto a percezioni negative radicate in
entrambi i gruppi (donne musulmane = Islam= terrorismo; donne italiane = poca moralità =
facili costumi);
"i mariti delle donne musulmane non sono d'accordo rispetto all’utilità sociale del fatto che
le proprie mogli facciano amicizia con donne italiane, perché queste ultime godono, a loro
opinione, di troppa libertà che potrebbe influenzare le donne musulmane e incrinare così i
rapporti all’interno della famiglia".
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Storia di P.
P. viene dall'India, dalla regione del Punjab a maggioranza sikh (religione sincretica tra
l’induismo e l’islam), ha 42 anni, è sposata con 2 figli (di 15 e 10 anni), è in Italia da 16 anni, i figli
sono nati in Italia, ha una laurea breve conseguita in Punjab.
P. afferma che le maggiori difficoltà da lei incontrate in Italia sono di ordine linguistico: “…nella
mia casa le donne non parlano in italiano, parlano sempre in Punjabi” e di gestione del
rapporto di coppia con il marito: “…nei primi tempi in Italia andavo a fare la spesa sempre
e solo con mio marito, tutta la mia vita era regolata secondo le esigenze e gli orari del
marito…….spiegare al coniuge che il lavoro può essere un modo per la donna di
ritrovare se stessa e spiegare ai figli che la vita della madre non appartiene a loro, che è
necessario che la donna possa disporre di un suo spazio, è stato molto
difficile…..spesso tra i parenti c'è la paura di: “cosa dirà e penserà la gente se quella
donna va a lavorare fuori di casa…".
P. fa
anche notare che molto spesso la possibilità di organizzare diversamente la vita
domestica, conciliando lavoro e gestione familiare, dipende dalla donna stessa: "…per prima
cosa la donna deve avere la convinzione di fare qualcosa di giusto e di potercela fare a
vincere l’indifferenza e la contrarietà della propria famiglia. Una volta convinta troverà
anche il modo per spiegare il suo punto di vista al marito e ai parenti e trovare il loro
consenso".
P. esprime una grande consapevolezza delle difficoltà della donna immigrata in Italia e
attualmente lavora come mediatrice culturale.
Storia di Y.
Y. viene dall'India, dalla regione del Punjab a maggioranza sikh, è sposata con due figli ( di 16
e 15 anni), parla un discreto italiano, è in Italia da 5 anni, è in possesso del Diploma di scuola
media. Al suo arrivo in Italia ha ritrovato alcune persone del suo villaggio natio, pertanto non si
è sentita spaesata e sola.
Attualmente lavora a domicilio per conto terzi nell’ambito delle confezioni: è specializzata nel
confezionamento di asole e bottoni per le maglie.
La sua vita sociale si svolge tutta all'interno della comunità sikh a cui appartiene e della
famiglia. In merito al rapporto con il marito, durante l’intervista afferma: "… la donna deve
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spiegare al marito con calma, pazienza e tenacia, la necessità di ciò che vuol fare. Deve
cercare di renderlo partecipe di questa importante scelta. Quando il marito riesce a
capire la situazione e l’esigenza della moglie, poi diventa collaborativo e l’aiuta nella
soluzione dei problemi".
Y. ritiene che anche le donne italiane abbiano, seppure in misura ridotta rispetto alle immigrate,
lo stesso tipo di problemi legati alla conciliazione dei tempi di lavoro-famiglia.
Storia di R.
R. viene dall'India, dal Punjab a maggioranza sikh, ha 32 anni, è sposata con 2 figli (di 10 e 8
anni), è in Italia da 9 anni.
Del suo arrivo in Italia ricorda, durante l’intervista: "… all'arrivo in Italia ero scioccata nel
vedere la libertà concessa alle donne italiane, poi mi sono rassicurata della cosa,
dicendomi che tale situazione non mi avrebbe mai riguardata".
R. pone in evidenza le resistenze da parte del marito: "la maggiore difficoltà è dovuta
dall'incomprensione da parte del marito verso le necessità della moglie di spazi di
autonomia decisionale e di emancipazione. Io non sono molto istruita e lavoro come
addetta presso una azienda di pulizie, ma tengo molto al mio lavoro e questo è una cosa
che mio marito non riesce a comprendere. Mi sostiene nell’impegno lavorativo solo
perché abbiamo bisogno del mio stipendio. Sono sicura che se lui guadagnasse a
sufficienza non mi permetterebbe di andare a lavorare".
R. sottolinea anche come la donna sia spesso costretta a fare grossi sacrifici e rinunce per il
bene della famiglia e, in certi casi, per evitare eventuali atti di violenza domestica da parte del
marito... “…se riuscissimo in qualche modo ad inculcare nella mente dei nostri uomini
che una donna è una persona con delle aspettative, dei desideri, delle aspirazioni, di
tipo sociale e professionale, il problema sarebbe risolto. Ma credo sia una sfida
impossibile da vincere":
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Storia di L.
L. viene dalla Cina, ha 47 anni, è in Italia da 23, ed ha un figlio di 10 anni.
E’arrivata in Italia per motivi di studio. In Cina ha frequentato le scuole medie superiori e
successivamente ha lavorato come impiegata presso una azienda cinese.
In Italia ha studiato presso una scuola di lingua per stranieri a Perugia , poi ha frequentato la
Scuola Alberghiera di Rimini. Durante l’intervista afferma di aver avuto grosse difficoltà per
imparare l'italiano.
Dopo aver frequentato uno specifico corso, attualmente lavora come mediatrice culturale
presso il Consultorio locale, l'Ospedale, le scuole e inoltre collabora con la Caritas.
L. fa notare come molti lavoratori e lavoratrici cinesi non hanno una propria vita familiare. Gli
imprenditori cinesi infatti offrono vitto e alloggio solo per chi lavora, non per i figli, perciò molti
genitori una volta arrivati in Italia, nell’impossibilità di disporre di una propria abitazione
rimandano i figli in Cina. Una donna cinese che lavora presso una azienda cinese in Italia non
ha orari regolari e può lavorare fino a 16 ore al giorno.
X. è sposata con un italiano, dice di avere avuto difficoltà con i familiari del marito che la
accusavano di fare crescere il bambino senza principi religiosi.
Mette in evidenza la chiusura della comunità cinese che non aiuta le donne immigrate.
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5.5 DIFFICOLTÀ E PROBLEMATICHE EMERGENTI : CONSIDERAZIONI E PROPOSTE
Quelle appena descritte rappresentano soltanto una piccola parte delle numerose storie
raccontate dalle donne immigrate, ricavate dalle risposte fornite durante le interviste sul campo
alle donne che costituivano il campione di ricerca.
Pur nella loro semplicità espositiva e limitatezza espressiva tali racconti appaiono comunque
interessanti perché, ancora una volta, confermano come, nella difficoltà di conciliare lavoro e
vita familiare, siano responsabili fattori legati sia alla reazione del contesto locale italiano nei
confronti degli immigrati, in particolare di alcune categorie (musulmane o africane nere), che
alle difficoltà di carattere linguistico-culturale che le donne immigrate incontrano nel nostro
Paese.
La difficoltà di apprendimento della lingua italiana, l'assenza di una rete familiare di riferimento,
la solitudine, le resistenze da parte dei mariti ad accettare il fatto che la moglie lavori, la
discriminazione vissuta a causa del colore della pelle o dei costumi religiosi, la presenza di una
comunità di connazionali organizzata (es. sikh, cinesi) che rappresenta un’opportunità, un
valido supporto, nella fase del primo impatto con la società italiana, ma che successivamente
diventa anche una via senza uscita, un elemento di costrizione alla libertà di espressione e
relazione, sono solo alcuni dei numerosi fattori che fanno comprendere le difficoltà che
possono incontrare le donne immigrate nel conciliare lavoro e famiglia.
Quando si parla di conciliazione fra lavoro e impegni familiari, non si possono ignorare i vissuti,
le storie personali delle donne immigrate: le origini sociali, il livello di scolarizzazione, le
modalità della partenza e dell’arrivo in Italia, i tratti culturali, le aspettative iniziali e quelle
maturate in Italia, la conoscenza della lingua italiana, il numero e l’età dei figli, la qualità della
relazione di coppia ed il livello di collaborazione nella gestione familiare fornito dal marito, le
iniziative e i servizi di accoglienza e di supporto attivi al suo arrivo in Italia.
Quello che Abdelmalek Sayad nel suo libro "La doppia assenza. Dall'illusione dell'emigrazione
alla sofferenza dell'immigrazione", chiama "la traiettoria dell'emigrante - immigrante", è un
aspetto fondamentale per comprendere anche il modo in cui la donna affronta la nuova
situazione e come gestisce il nesso lavoro-vita familiare. Qualsiasi lavoro di sostegno e di
accompagnamento per la donna migrante deve partire da questa sua traiettoria che è la sua
storia.
Una traiettoria tracciata a partire dalle modalità della partenza (in molti questionari le donne
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spiegano il sentimento di profonda tristezza e malinconia generato dall'avere lasciato affetti e
familiari in patria), dalle caratteristiche del viaggio intrapreso, nonché dal tipo di accoglienza
ricevuta all'arrivo in Italia.
Spesso, per coloro arrivate in Italia per motivi legati al ricongiungimento familiare, l'esperienza
migratoria diventa una scelta obbligata nella misura in cui la donna è in un rapporto di
dipendenza nei confronti del marito. Le modalità della partenza e del viaggio, il come ed il
perché della scelta iniziale di partire per l’Italia, il tipo di accoglienza ricevuta all'arrivo, sono
elementi che influenzano fortemente la condizione della donna immigrata, la sua percezione
del suo nuovo mondo, il suo vivere quotidiano questo forte impatto con la nuova vita, il suo
atteggiamento nel gestire il rapporto tra lavoro e vita familiare.
In tutti i racconti delle donne intervistate, emerge come lo stile di vita del nucleo familiare
costituitosi precedentemente all’arrivo in Italia cambi e come il rapporto tra moglie e marito e tra
madre e figli subisca dei mutamenti che possono essere fonte di disaccordi, conflitti, violenze.
La donna migrante che arriva quindi per motivi di ricongiungimento familiare si trova spesso in
una situazione delicata di ridefinizione della sua esistenza come soggetto sociale del suo ruolo
in famiglia. Tale problematica deve essere presa in seria considerazione dai diversi Centri di
servizi per immigrati, al fine di impostare una strategia di supporto e accompagnamento che
permetta alla donna di trovare un nuovo equilibrio in un nuovo contesto e di poter acquisire una
maggiore consapevolezza di sé al fine di poter operare delle scelte in prima persona.
Ciò che emerge dalle interviste effettuate e dalle storie raccontate dalle donne immigrate è
molto vicino a quanto scritto dalla studiosa americana Martha Nussbaum quando afferma, per
quanto riguarda la condizione della donna in generale, nel suo libro "Diventare persone. Donne
e universalità dei diritti", che "la famiglia favorisce le capacità umane e insieme le ostacola".
Aggiunge, inoltre, che "la famiglia ha una profonda influenza sullo sviluppo umano, un'influenza
che è presente fin dal primo momento della vita umana. Essa ha tutti i diritti per essere
considerata parte delle strutture fondamentali della società, e tra quelle istituzioni che devono
essere più direttamente regolate da principi fondamentali di giustizia". Parlando delle donne dei
paesi del cosiddetto Terzo Mondo, in particolare di quelle indiane, e delle donne migranti, la
Nussbaum mette in evidenza come sia fondamentale garantire ad ogni donna un "livello
minimo di soglia di capacità" cioè un "minimo sociale di base nell'area delle competenze
fondamentali" per garantire dignità, autonomia, eguaglianza e giustizia sociale.
E’ sufficiente leggere molte delle interviste alle donne effettuate nel corso dell’indagine, per
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rendersi conto come queste ultime mettano sotto accusa diverse “strutture di riferimento”, quali:
la famiglia, i servizi di supporto per gli immigrati, l’organizzazione del mondo del lavoro, per
sottolineare le enormi difficoltà concernenti l’essere allo stesso tempo, cittadina, donna, madre,
moglie o compagna e lavoratrice.
Una critica alla società italiana in generale, alla scarsa attenzione da parte dei servizi sociali,
all'assenza di un sistema di accoglienza in grado di intercettare e dare risposte alla domande
specifiche di cui sono portatrici le donne immigrate, ma anche la percezione di scarsa efficacia
da parte dei Centri per l'Impiego che tutte le intervistate conoscono e i cui servizi hanno
utilizzato, senza però averne ricavato informazioni veramente utili per trovare un lavoro.
Una critica rivolta all'atteggiamento di chiusura, ed esclusivamente centrato sul "profitto", del
mondo imprenditoriale, che vede con diffidenza le donne immigrate con figli a carico, come
quelle in età per poter diventare madri.
Come abbiamo evidenziato nel paragrafo relativo alle finalità della ricerca, sono presenti
diverse situazioni di migrazione femminile, e quindi anche diverse tipologie di donne migranti,
tra le quali:
la donna già sposata e con figli nati dal Paese di origine, arrivata in Italia per via del
ricongiungimento familiare (in questo caso è il marito che, dopo essersi sistemato sul piano
lavorativo e abitativo, si fa raggiungere dalla moglie rimasta nel Paese di origine);
la donna giovane, appena sposata con un uomo del proprio Paese (il quale vive e lavora in
Italia), che raggiunge il marito subito dopo il matrimonio (in questi i casi i figli nascono in
Italia);
la donna non sposata, arrivata da sola con l’aiuto dello “sponsor” (parenti o amici)(ex legge
40), la quale spesso conosce un connazionale che sposa in Italia;
la donna arrivata da sola per motivi di lavoro che si sposa in Italia con un connazionale;
la donna arrivata da sola per motivi di lavoro e si sposa con un altro immigrato (non
necessariamente del proprio Paese di origine);
la donna che si sposa nel proprio Paese con un Italiano e viene con lui a vivere in Italia;
la donna che arriva da sola per motivi di lavoro e si sposa in Italia con un Italiano;
la donna arrivata da sola, come irregolare, che si regolarizza attraverso la sanatoria (l’ultima
possibilità di regolarizzazione per le cosiddette “badanti”);
79
la donna arrivata da sola per motivi di lavoro, la quale dopo essersi sistemata sul piano
lavorativo e abitativo si fa raggiungere dal marito rimasto nel Paese di origine e dai figli
(spesso si tratta di donne provenienti dell'Europa orientale o dalle Repubbliche
dell’ex-Unione Sovietica).
Si tratta in tutti i casi elencati, di situazioni tra loro assai diverse, con vissuti personali e
condizioni di esperienza migratoria diversi, che incidono fortemente, e in modo non prevedibile,
sulla capacità stessa delle donne di riprogettare la propria condizione di vita e di cercare
soluzioni ottimali per conciliare il rapporto tra lavoro e vita familiare.
Chiunque si occupi di relazioni di auto-aiuto, di attività di supporto o accompagnamento a
favore di donne immigrate per favorirne l'inserimento socio-lavorativo, deve assolutamente
tenere conto del tipo di traiettoria migratoria compiuta.
In alcuni gruppi di immigrati, risulta ben evidente la resistenza culturale da parte dei mariti nel
concedere autonomia lavorativa alla donna e offrire collaborazione nella gestione familiare.
Questa resistenza culturale, tuttavia, non è solo il frutto dell'atteggiamento di stampo
maschilista dei coniugi, ma è spesso anche un dato interiorizzato dalle stesse donne nella
misura in cui questo dato entra a far parte dell’"habitus", cioè di quell’insieme di disposizioni
socio-culturali strutturate nella personalità e appreso nella società di origine. Ciò emerge con
particolare evidenza in diverse interviste fatte a donne maghrebine, cinesi o indiane sikh.
In diverse interviste realizzate, le donne hanno criticato la struttura sessista, classista e anche
razzista dell'organizzazione sociale di cui fanno parte, che rende difficile la conciliazione tra
lavoro e vita familiare. La totale dipendenza dal marito e l’organizzazione del mercato del lavoro
italiano, costituiscono spesso un ostacolo che non facilita la scelta da parte della donna.
Le interviste mettono in risalto l'importanza di cercare di rimuovere questi ostacoli e di creare le
condizioni per un’efficace strategia di conciliazione lavoro-famiglia.
In caso contrario non ci potrà essere libertà, autonomia e quindi dignità: "L'idea centrale- scrive
la Nussbaum - è quella dell'essere umano concepito come un essere dignitosamente libero che
sceglie la sua vita in cooperazione o mutua collaborazione con gli altri, piuttosto che essere
passivamente scelto e comandato da altri come si comandano animali in greggi e mandrie. Una
vita autenticamente umana è una vita che è concepita e pervasa da queste facoltà umane di
ragione pratica e socievolezza".
Dai dialoghi con le donne intervistate, si percepisce, inoltre, anche una critica a volte velata e in
altri casi esplicita, alla struttura sessista e anche razzista dell'organizzazione del mondo del
80
lavoro italiano. Si tratta spesso di una percezione che viene generata dal modo in cui vengono
trattate sul posto di lavoro e prima ancora durante i colloqui di assunzione.
Per molte donne si tratta quindi di una questione attinente alla loro dignità umana.
In numerose interviste le donne esprimono con estrema chiarezza la loro opinione circa
l’origine delle loro difficoltà: emblematico è il caso di C., rumena. In possesso di una Laurea in
Ingegneria Tessile conseguita nel suo Paese; viene diverse volte in Italia per periodi brevi per
formarsi ulteriormente e studiare la lingua in previsione del suo trasferimento. Durante il
colloquio con la ricercatrice, dichiara amaramente: "… mi sono dovuta adattare alla
situazione e rivedere le mie aspettative, sono un ingegnere qualificato ma in Italia,
nonostante gli studi e i sacrifici fatti, la laurea conseguita in Romania non ha alcun
valore, pertanto mi sono dovuta rimboccare le maniche e iniziare a svolgere lavori di
bassa professionalità: addetta alle pulizie, assistenza agli anziani. Tutto ciò mi è costato
molto sul piano psicologico”.
Successivamente C. ha seguito un corso per mediatori culturali usufruendo di una borsa di
studio dell'Università. Proseguendo nel suo racconto conclude dicendo: “… adesso lavoro
come mediatrice culturale, un lavoro che mi piace e mi permette di offrire un piccolo
sostegno ad altre donne che come me stanno affrontando il difficile percorso di donna
immigrata ".
Fortunatamente, durante i colloqui individuali emergono anche alcuni profili femminili “positivi”,
riferiti a donne immigrate con una buona vita sociale, le quali sono poi quelle che hanno trovato
e trovano maggiori opportunità di inserimento nel mercato del lavoro locale.
Questo è il caso di donne che hanno attività relazionali significative con associazioni o imprese
sociali che da tempo sono impegnate con professionalità e dedizione in attività di assistenza
alle donne immigrate, quali: la cooperativa "Trama di Terre" di Imola e l’Associazione "Spazi
mediani" di Forlì.
Lo stesso discorso vale anche per gli Enti di formazione EFESO e Modena Formazione, i quali
con la realizzazione di numerose attività formative a supporto delle competenze linguistiche e
professionali delle donne immigrate, hanno permesso importanti momenti di socializzazione e
favorito l’inserimento lavorativo delle partecipanti ai corsi.
81
Donne immigrate e percorsi migratori
Di seguito vengono riportati alcuni aspetti peculiari relativi ai percorsi migratori, emersi durante
le interviste alle donne immigrate prese a campione per l’attività di ricerca, aggregate secondo
il criterio geo-culturale.
Le donne maghrebine musulmane
Durante l’attività di indagine, sono state intervistate donne appartenenti a queste categoria
provenienti dal Marocco, dalla Tunisia, dall’Algeria.
Ogni racconto di vita esposto è stato portatore di una propria specificità, di un vissuto personale
unico e irripetibile: ciononostante, le lunghe conversazioni intraprese con le ricercatrici, hanno
permesso di individuare alcuni elementi critici comuni fra le diverse esperienze di migrazione
rilevate, che vengono di seguito evidenziati:
La difficoltà di apprendimento della lingua italiana risulta essere il maggiore ostacolo
all’inserimento nel mondo del lavoro, soprattutto per le donne immigrate con un basso
livello di scolarizzazione che conoscono solo l'arabo (ovviamente la conoscenza del
francese facilita molto l’apprendimento di un’altra lingua di origine latina quale l’italiano);
L’abitudine di indossare il velo, per le donne musulmane, genera una situazione di
sfiducia e di allontanamento sociale della persona nei luoghi di lavoro, che può diventare
causa di ansie, di stress, di conflitti sociali, che potranno ripercuotersi anche nella sfera
familiare;
La scelta di lavorare presa in autonomia dalla donna immigrata, senza il pieno consenso
del coniuge, può essere fonte di conflitti e tensioni familiari in grado di minare gli equilibri
del rapporto con il coniuge, la gestione dell’attività familiare, la cura dei figli;
Le donne indiane sikh del Punjab
Dalle interviste realizzate, si denota come la maggior parte delle donne immigrate provenienti
dal Punjab, una volta arrivate in Italia, abbiano in gran parte riprodotto e mantenuto il modello di
conciliazione familiare-lavorativa radicato nella propria terra di origine, il Punjab.
Questo modello prevede che la donna lavori a domicilio al fine di garantire il mantenimento del
suo ruolo tradizionale domestico, di cura dei figli e contemporaneamente, svolga una attività
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produttiva in grado di portare un minimo di reddito a casa.
Queste donne, al loro arrivo in Italia, hanno trovato un “contenitore sociale”, ovvero la comunità
sikh, che ha permesso loro il mantenimento della tradizione della terra di origine, svolgendo
gran parte della loro vita sociale e lavorativa all'interno di essa.
In questo caso la conciliazione lavoro-famiglia esiste per così dire solo nei fatti e viene
esplicitata mediante un circuito chiuso, a scapito quindi di una reale autonomia e di una effettiva
socializzazione della donna verso l’esterno.
Le cose cambiano decisamente qualora una donna di etnia sikh decida di lavorare al di fuori
della propria comunità e famiglia. In questo caso dovrà fare i conti con le forti resistenze del
marito e della stessa comunità.
Le donne africane nere
Nel gruppo delle donne africane intervistate ve ne sono alcune provenienti dal Senegal, dalla
Costa d'Avorio, dal Burkina Faso, ovvero dall'Africa Occidentale di influenza francese e altre
provenienti dalla Nigeria e dal Kenya, Paesi di influenza inglese.
Tutte le intervistate hanno evidenziato alcuni problemi di adattamento e socializzazione, dovuti
a:
le differenze climatiche;
le abitudini e i costumi diversi; il colore della pelle che rappresenta in alcune situazioni un
handicap per la ricerca del lavoro (vedi assistenza agli anziani) e in altre un elemento
scatenante episodi di molestie sessuali sia sul lavoro che in strada;
i tempi e l’organizzazione del lavoro, molto diversi da quelli caratterizzanti il Paese di
origine.
Per le donne africane nere il fatto di lavorare non rappresenta un problema nei rapporti con il
marito. Molte di loro attribuiscono un’importanza prioritaria alla cura dei figli, solitamente sono
anche le donne che hanno un maggior numero di figli rispetto alle altre immigrate pertanto si
trovano in maggiore difficoltà nel conciliare tempi di lavoro e tempi di cura dei loro bambini.
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Le donne cinesi
Le donne immigrate di origine cinese, durante l’intervista hanno espresso alcune criticità legate
al proprio percorso migratorio, quali:
la forte differenza fra i due sistemi linguistici, che rende molto difficile l'apprendimento
dell'italiano;
la particolarità del percorso migratorio: se la donna cinese arriva nel nostro Paese
mediante una filiera organizzata, viene subito inserita nel mondo del lavoro presso una
ditta cinese operante in Italia, e si ritrova “imprigionata” e sfruttata in quell’ambiente
caratterizzato in buona parte da ritmi di lavoro massacranti e retribuizioni irrisorie.
Diversamente, se la donna arriva in Italia non supportata da organizzazioni di
reclutamento della manovalanza per il sistema imprenditoriale cinese, spesso propende
per una forma di lavoro autonomo, nella maggioranza dei casi di tipo commerciale.
Durante le interviste sono state individuate anche situazioni positive in cui la donna cinese,
lavorando al di fuori della propria comunità, ha avuto modo di conoscere e successivamente
sposare un uomo italiano, nel qual caso l’intervistata ha dichiarato di non avere problemi relativi
alla conciliazione lavoro-famiglia.
Le donne dell'Europa orientale
Tutte le donne intervistate, provenienti dalla Romania, dall'Ungheria, dall'Albania, dall'Ucraina
e dalla Russia, hanno manifestato il disagio, le difficoltà, a volte la sofferenza della propria
esperienza di “emigrazione - immigrazione” in Italia, ciononostante, molte donne dell’Est
europeo, a differenza di donne provenienti da altre aree geo-cuturali, si sono adattate più
facilmente perché portatrici di modelli socio-culturali più vicini a quelli delle donne italiane. Ciò
comporta un più facile adattamento e un maggiore livello di integrazione con il contesto locale.
Nello specifico caso delle donne albanesi di religione musulmana, si osserva come i problemi di
integrazione con la popolazione Italiana di religione cattolica siano molto meno marcati rispetto
ad esempio a quelli delle donne maghrebine. Le albanesi infatti arrivano in genere in Italia forti
di una discreta conoscenza dell'italiano e il loro islam, a differenza di altri, è fortemente
europeizzato e secolarizzato.
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Le interviste hanno messo in risalto alcune peculiarità dei percorsi migratori delle donne russe e
ucraine, quali:
solitamente sono le donne che arrivano per prime in Italia per motivi di lavoro e
successivamente si fanno raggiungere dal marito e dai figli tramite il ricongiungimento
familiare;
solitamente trovano lavoro come badanti o addette alle pulizie;
spesso sono vittime di pregiudizi di tipo sessuale da parte dei colleghi o dei datori di
lavoro, in quanto vengono associate alle prostitute provenienti dall’Est europeo.
Le donne latino americane
Dalle interviste realizzate, le donne immigrate provenienti dall’america latina sembrano essere
quelle con minori difficoltà di integrazione. Il facile apprendimento della lingua italiana (la
maggioranza di esse è madrelingua spagnola), il fatto di essere spesso sposate con uomini
italiani conosciuti nei loro Paesi di origine, le origini italiane per molte di loro (dovute ai processi
di emigrazione da parte degli italiani verso il sud america avvenuti in diversi periodi storici),
sono tutte condizioni che favoriscono appunto l’integrazione, le relazioni sociali e condizionano
positivamente la conciliazione dei tempi di lavoro e familiari, tenuto anche conto del fatto che
spesso possono usufruire del supporto della famiglia del marito italiano.
Conciliazione tra attività formative e impegni familiari
Il tema delle competenze possedute e dell’importanza della leva formazione per il trasferimento
di conoscenze e capacità, in grado di favorire i processi di inserimento delle donne immigrate
nel mondo del lavoro, è stato argomento di discussione e approfondimento durante la fase di
intervista della ricerca. A tal fine, in seguito alla fese di testing degli strumenti di indagine, è
stata aggiunta un’ulteriore domanda di approfondimento relativamente alle attività formative
intraprese dalla intervistate.
Le donne intervistate hanno partecipato esprimendo le loro opinioni e punti di vista in merito
evidenziando le criticità nel conciliare la partecipazione ad attività formative con gli impegni
familiari.
85
Di seguito vengono sinteticamente descritte tali criticità unitamente ai suggerimenti ricevuti
dalle stesse donne immigrate per tentare di superarle:
Gli orari dei corsi di formazione dovrebbero essere compatibili con gli orari dell'asilo,
della scuola materna e della scuola, per i figli;
Le distanze tra l'abitazione e la sede del corso di formazione, nonché tra la sede della
scuola dei figli e quella dove si svolge il corso, dovrebbe essere facilmente colmabili con
l’utilizzo di mezzi pubblici;
Occorrerebbe progettare, promuovere e realizzare corsi di formazione che non siano
troppo lunghi perché le donne immigrate hanno la necessità di lavorare, sia per motivi
economici, sia per poter rinnovare il permesso di soggiorno;
I corsi di formazione dovrebbero essere finalizzati il più possibile a creare reali
opportunità di lavoro per le partecipanti;
Tutti i corsi di formazione proposti dovrebbero obbligatoriamente prevedere alcuni
moduli didattici quali lingua italiana, conoscenza della legge italiana sull'immigrazione,
conoscenza dei diritti delle donne, dell’organizzazione e delle regole del mercato del
lavoro e dei servizi a supporto delle donne immigrate;
I
corsi
dovrebbero
consentire
l’acquisizione
di
una
qualifica
professionale
immediatamente spendibile sul mercato del lavoro da parte delle donne immigrate.
Questo stimolerebbe maggiormente la donna a partecipare e frequentare sino al termine
il percorso formativo;
Molte donne intervistate hanno messo in evidenza di non disporre a casa di tempo per
studiare o approfondire le nozioni apprese durante il corso. I formatori/docenti
dovrebbero a tale scopo usare un linguaggio maggiormente comprensibile per
ottimizzare il lavoro in aula e fornire loro materiale didattico di facile e rapida
consultazione;
I formatori/docenti dovrebbero essere attenti alle diverse istanze culturali di cui sono
portatrici le donne immigrate, al fine di stimolare maggiormente la motivazione e la
partecipazione;
Molte donne hanno bambini piccoli non inseriti negli asili (poiché pochi e costosi),
pertanto sarebbe ottimale, poter disporre di uno servizio di baby-sitteraggio per i piccoli
86
durante le ore in cui le stesse frequentano il corso di formazione;
Diverse donne di religione musulmana e sikh, mettono in evidenza la contrarietà dei
propri mariti ad acconsentire alla partecipazione delle loro donne alle attività formative,
ritenendo che esse siano possibile causa di problemi in famiglia. Pertanto, affermano
che gli organizzatori dei corsi dovrebbero coinvolgere i mariti nella fase di selezione e
preliminare all’intervento formativo, allo scopo di renderli partecipi dell’utilità della
partecipazione delle lori mogli al percorso formativi e favorire così il loro consenso.
Conciliazione tra lavoro e impegni familiari
La problematica centrale oggetto della ricerca, la conciliazione fra tempi di lavoro e impegni
familiari, è stata dibattuta e argomentata con fervore e partecipazione da parte delle donne
immigrate costituenti il campione intervistato.
Di seguito si riporta una sintesi degli elementi di maggiore criticità emersi:
Gli orari di lavoro sono spesso inconciliabili con quelli della scuola dei figli;
Gli spostamenti casa- scuola- asilo- lavoro- scuola- casa a cui sono sottoposte le donne
immigrate,
sono
spesso
estremamente
difficoltosi
sia
per
ragioni
dovute
all’inconciliabilità degli orari dei diversi impegni, sia per la mancanza di un mezzo di
locomozione proprio e la difficoltà di poter disporre di mezzi pubblici che coprano
adeguatamente determinati percorsi e distanze;
Gli orari di lavoro sono spesso poco flessibili. Vi sono aziende che richiedono la
disponibilità a turni di lavoro di notte, di sabato e talvolta di domenica. Per la donna
immigrata con figli piccoli che non dispone di una rete familiare di supporto, diventa
impossibile conciliare tali impegni;
Il marito della donna immigrata spesso non offre alcun contributo alla gestione familiare
ed alla cura dei figli. Per lui, concentrato solo sul proprio lavoro, sono impegni a carico
totale della coniuge;
In alcune casi le donne intervistate hanno segnalato la presenza di forti pregiudizi nei
confronti della donna che lavora, sia da parte del proprio marito, che dei figli maschi e dei
parenti;
La scarsa conoscenza della lingua italiana rende la donna ancora più dipendente dal
87
marito, ciò diventa un ostacolo per un adeguato inserimento socio - lavorativo;
La scarsa presenza di servizi sociali finalizzati ad aiutare la donna immigrata nell’attività
di cura dei figli, al fine di permetterle un più agevole inserimento nel mondo del lavoro;
Le condizioni restrittive, previste dalla legge italiana sull’immigrazione, per i
ricongiungimenti familiari (da parte della donne immigrata è molto difficile ottenere il
ricongiungimento con la propria madre, rimasta nel paese di origine. Questo costituisce
la rinuncia forzata ad un importante supporto per molte donne con figli in giovane età.
Spesso);
L'assenza di adeguate politiche di sostegno alle famiglie di immigrati con figli. Molte
donne intervistate con parenti in Paesi europei, quali: il Belgio, la Germania, l'Inghilterra,
la Francia, fanno notare come l'assenza di aiuti concreti per la famiglia sia una
caratteristica italiana, quando appunto in molti altri Paesi dell'Unione Europea sono
presenti da tempo politiche attive di supporto socio-economico che costituiscono un vero
elemento di sostegno per le donne immigrate con figli a carico;
Molte donne affermano di conoscere e di aver utilizzato i CPI (Centri per l’Impiego), ma
di non avere mai trovato lavoro attraverso questo servizio.
L'età per la donna immigrata rappresenta un ostacolo all’inserimento lavorativo. Le
donne in età da matrimonio sono viste dai datori di lavoro con timore (per la paura di
potenziali maternità in un futuro prossimo), quelle già sposate con figli piccoli anche,
perché questi ultimi si possono ammalare e costringere la madre a stare a casa dal
lavoro e a prendere permessi prolungati nel tempo;
Molte delle donne intervistate hanno fatto notare come la recente riforma scolastica
porterà ad una riduzione delle attività pomeridiane, oppure alla trasformazione di queste
ultime, da attività ricomprese nel programma didattico in attività extra a pagamento,
generando in tal modo una situazione economicamente non sostenibile per le loro
famiglie e intervenendo come elemento di ulteriore problematicità per la conciliazione
dei tempi di lavoro e di cura dei figli;
Le intervistate lamentano l’assenza di spazi di aggregazione e di condivisione e analisi di
problematiche comuni per le donne immigrate, quali il tema della conciliazione tra
famiglia e lavoro;
88
Nell’indagine
sul
campo
viene
evidenziata
anche
la
difficoltà
di
conciliare
l’organizzazione produttiva dell'impresa con la cultura e le tradizioni delle donne
immigrate;
Durante
le
interviste
viene
denunciata
la
presenza
di
difficoltà
di
relazione/comunicazione fra donne immigrate e donne italiane sul posto di lavoro;
La consuetudine di proporre alla donna immigrata contratti di lavoro di breve durata
creando così condizioni di incertezza economica, e anche di incertezza rispetto alla
possibilità di permanenza in Italia, visto lo stretto collegamento tra tipologia di contratto,
durata e permesso di soggiorno;
Le donne intervistate denunciano il problema generato dalla cosiddetta “nuova
flessibilità del lavoro”, che crea troppa frammentazione nel loro lavoro compromettendo
un’efficace gestione della combinazione lavoro-famiglia;
La nuova legge di riordino del mercato del lavoro (Legge 30 - Legge Biagi) ha introdotto
ulteriori elementi di difficoltà per le donne lavoratrici immigrate, quali: maggiore
precarietà del lavoro, durata più breve del contratto, assenza di diritti o diritti ridotti in
materia contributiva (malattia, maternità).
Le proposte delle donne immigrate
Nella maggior parte delle interviste effettuate alle donne immigrate emerge un senso di
rassegnazione, una sfiducia di fondo, che porta le stesse a rinunciare alla ricerca di possibili
soluzioni per conciliare tempi di lavoro e impegni familiari.
Il punto di vista, la condizione sociale attuale delle 70 donne immigrate prese a campione,
rappresenta
un
significativo
specchio
della
nuova
condizione
femminile oggi
in
Emilia-Romagna. Non dimentichiamo infatti, che nel mondo del lavoro al femminile, soprattutto
quello dei lavori umili e sottopagati, le donne immigrate costituiscono una realtà rilevante dal
punto di vista sociologico, antropologico ed economico.
Di seguito si è pensato di riportare in sintesi le proposte avanzate dalla maggioranza delle
donne intervistate, in merito ad interventi specifici a supporto della conciliazione
lavoro-famiglia, che se coordinati fra loro potrebbero creare condizioni favorevoli.
compatibilmente con l’organizzazione dell’impresa, flessibilizzare gli orari di lavoro per
89
renderli compatibili con quelli dell’asilo e della scuola per i figli;
rafforzare e qualificare i servizi sociali rivolti alla famiglia e all'infanzia, per aiutare le
donne immigrate nella conciliazione lavoro-famiglia;
sensibilizzare le aziende della regione in merito al tema dei percorsi migratori delle
donne immigrate, affinché vengano superati i pregiudizi di carattere sessista e razziale;
attivare, presso le imprese della regione, servizi quali “i nidi aziendali”, quale possibile
soluzione al problema della conciliazione tra lavoro e cura dei figli;
sviluppare e qualificare i servizi informativi e orientativi dei CPI (Centri per l’Impiego),
rivolti alle donne immigrate;
mettere a punto e realizzare programmi di sensibilizzazione per i mariti delle donne
immigrate, circa la necessità di sostenere la coniuge nella ricerca del lavoro e nella
gestione degli impegni familiari;
prolungare gli orari pomeridiani nelle scuole e sviluppare le attività extra-scolastiche per
i bambini;
abbassare il costo della retta negli asili e aumentare il numero di posti disponibili;
sensibilizzare i lavoratori e le lavoratrici italiane sul tema del dialogo interculturale, al fine
di creare le condizioni per una migliore integrazione nel contesto lavorativo delle donne
immigrate;
arricchire il bagaglio di competenze delle donne immigrate attraverso una formazione
professionale immediatamente spendibile nel mercato del lavoro;
fornire maggiore supporto psicologico alle donne immigrate in difficoltà nel conciliare
impegni di lavoro e familiari;
favorire la costituzione di gruppi di donne immigrate in grado di praticare attività di
mutuo-aiuto e di solidarietà reciproca;
mettere a disposizione spazi dove periodicamente le donne immigrate possano
incontrarsi, conoscersi, condividere i loro problemi e trovare modalità di aiuto reciproco;
sostenere la nascita di forme di associazionismo tra donne immigrate e tra donne
immigrate e italiane per favorire l’integrazione, la rappresentanza e il sostegno
reciproco.
90
Alcune considerazioni finali
Al fine di fornire elementi utili per una riflessione sul tema della conciliazione lavoro-famiglia, si
è cercato di mettere insieme quanto emerso durante il processo di rielaborazione e analisi dei
dati, partendo dai dati stessi e dalle considerazioni sviluppate dalle donne immigrate durante le
interviste.
Per fare ciò sono state utilizzate alcune categorie elaborate da studiosi come Martha
Nussbaum, già citata diverse volte all’interno di questa ricerca, Simone de Beauvoir con il suo
lavoro "Il Secondo Sesso", che tuttora rimane una fonte stimolante per ragionare sulla
differenza di genere, Pierre Bourdieu con il suo libro intitolato "Il dominio maschile" e Françoise
Héritier, l'antropologa francese allieva di Claude Lévi-Strauss, e autrice di diversi testi sulla
famiglia e la condizione della donna nelle diverse culture.
Il tema della conciliazione tra tempi di lavoro e tempi della famiglia è al centro dell'evoluzione
sociale, antropologica, economica e culturale della condizione della donna come soggetto
attivo in grado di esprimere la propria soggettività senza negare la propria differenza.
La conciliazione, come abbiamo potuto verificare nelle interviste, si colloca al punto
d'interconnessione tra struttura familiare, organizzazione del mondo del lavoro e condizione
della donna.
E’ significativo che molte donne intervistate abbiano colto l'occasione per esplicitare
questa dimensione centrale dell'essere al contempo donna e immigrata; non a caso, a
più riprese, sottolineano la doppia discriminazione sessista e etnica che vivono nella
società italiana.
Si prenda ad esempio il pensiero espresso di Suzanna, donna albanese di 46 anni che
sintetizza molto bene la questione dal punto di vista degli obiettivi della ricerca. "Le domande a
noi poste - afferma Suzanna - toccano aspetti molto importanti, ed è per noi donne difficile
esprimere effettivamente le problematiche come sono in realtà. Ognuna delle donne migranti
ha i propri problemi e credo che siano tanti e diversi".
Effettivamente ogni donna ha una sua storia, un suo percorso, problematiche personali da
risolvere. Questo significa che quando si lavora con le donne immigrate, ma anche con
qualsiasi utente che abbia in qualche modo bisogno di una relazione d'aiuto, bisogna partire
dalla singola storia, stare attentamente all'ascolto del racconto di vita della singola donna, nella
91
sua specificità.
Al di là dei percorsi soggettivi, esistono anche degli elementi di trasversalità che esprimono una
condizione sociale più generale che è quella delle donne immigrate, che pur nella varietà dei
percorsi e dei bisogni espressi, hanno vissuto tutte il disagio della partenza, dello sradicamento
dal luogo di origine, della durezza del viaggio, dell'arrivo in Italia con le relative difficoltà di
inserimento.
Le donne, come abbiamo potuto verificare da queste interviste, sono al centro della
riorganizzazione del sistema familiare, si trovano a ridefinire il rapporto di coppia e le
relazioni con i figli. Si trovano a fare i conti con una rappresentazione sociale diversa
del ruolo della donna nella società italiana e nel mondo del lavoro.
Françoise Héritier fa notare giustamente che tutti i sistemi familiari e di rapporti tra i sessi vanno
“declinati culturalmente”; precisa anche che il rapporto della donna con la sessualità e il lavoro
sono delle costruzioni sociali interiorizzate che finiscono per strutturare un modo di essere e di
pensare.
Le donne immigrate trovandosi nella situazione, quindi, di dover conciliare lavoro e famiglia si
trovano a dover fare i conti con i propri modelli interiorizzati di donna e di famiglia. Nelle
interviste alcune donne hanno esplicitato chiaramente quale è stato il loro sentimento nel
momento del primo impatto con la società italiana, un sentimento di scandalo o di forte disagio
di fronte all'immagine femminile trasmessa dalla televisione italiana, da cui ne sono conseguite
la paura e l'ansia di doversi adeguare ad un modello difficilmente accettabile per alcune di loro.
Tali aspetti non vengono mai presi in considerazione quando si parla di inserimento lavorativo
delle donne immigrate, ma essi hanno un peso enorme per chi deve riorganizzare il proprio
sistema affettivo di riferimento per gestire il rapporto tra un possibile lavoro e una vita familiare
in pieno cambiamento.
Parlare del sistema affettivo di molte di queste donne, significa anche parlare delle famiglie
rimaste nel paese di origine che spesso contano su chi è emigrato per sopravvivere. La donna
si sente obbligata moralmente ed affettivamente anche da chi è rimasto al proprio Paese. Molte
donne hanno detto della propria famiglia rimasta nel paese di origine: “sono sempre presenti
come fantasmi che condizionano fortemente le nostre vite”. Molte di queste donne, soprattutto
della prima generazione di migranti, sono ancora legate da mille fili a chi è rimasto nel Paese di
origine.
L'immagine sociale interiorizzata svolge un ruolo nella definizione del sé come donna e veicola
92
anche il modello interiorizzato del rapporto con il lavoro, dei suoi ritmi e dei suoi tempi. La
difficile integrazione tra affetti familiari e ritmi lavorativi frenetici, rappresenta un aspetto
particolarmente difficile per le donne che provengono dall'Africa, ma non solo. Questo aspetto è
ancora più difficile da gestire per le donne immigrate che si ritrovano in Italia senza parenti e
che riversano sui figli il deficit di affetto o la mancanza di legami familiari.
Per molte donne immigrate i figli diventano “un’ancora affettiva” a cui aggrapparsi. Traspare in
molte interviste la sofferenza psichica di rendere compatibile la perdita degli affetti, la vita
lavorativa e l'equilibrio psico-affettivo generale.
Tra i cambiamenti che vive la donna immigrata c'è anche la ridefinizione dei rapporti con il
marito: la questione può diventare ancora più difficile laddove la donna si ritrova a gestire da
sola la famiglia, soprattutto nelle situazioni in cui il marito ha fatto venire la moglie e passa gran
parte della giornata al lavoro, e quindi fuori casa.
Solitamente in questi casi il marito è stato conosciuto dalla donna solo al momento del
matrimonio svoltosi nel Paese di origine (lui lavorava e viveva già in Italia), quindi, fino a quel
momento, rappresentava un assoluto estraneo per la donna. Partendo da questi presupposti
diventa talvolta difficile poter pensare di lavorare e cambiare il proprio status all’interno della
famiglia.
Tutto ciò fa capire che l’accoglienza, la possibilità di orientarsi, di sentirsi sostenuta e non sola,
sono tutti fattori che possono favorire le scelte della donna e la sua capacità di trovare soluzioni
per la conciliazione della vita familiare con il lavoro.
L'aspetto centrale su cui insistere è dato dal fornire alla donna l'accoglienza, il sostegno e gli
strumenti necessari per riorganizzarsi mentalmente, affettivamente e quindi per riuscire a
ridefinirsi in un contesto nuovo. A tale proposito una donna marocchina intervistata dichiara: "Il
distacco dalla mia famiglia è stato devastante psicologicamente" e aggiunge "la nostra cultura
da sempre afferma che non si deve fare lavorare la donna perché rappresenta il pilastro della
società", "qui in Italia diversamente ho dovuto interagire con un diverso modo di pensare il ruolo
della donna nella società" e precisa "dunque è la società stessa che deve fornire un supporto a
noi immigrate; deve capire che per poter vivere dobbiamo lavorare e che non disponiamo di
parenti e familiari che possono aiutarci nella cura della casa e dei figli". In queste poche frasi
sono racchiuse tutte le contraddizioni e le sofferenze che può vivere una donna immigrata. Poi
ci sono anche le aspettative di molte di queste donne nei confronti della realtà italiana.
Aspettative di benessere economico e sociale, aspettative di carriera personale, di maggiore
93
libertà, ecc.
La realtà si presenta spesso diversa da quella idealizzata. Una donna senegalese intervistata
afferma: "Il primo impatto con la realtà italiana è stato deludente. Pensavo infatti che
sarebbe stato facile trovare lavoro, invece risulta essere molto complicato "; una
marocchina precisa: "le donne immigrate fanno molta fatica a trovare un lavoro che le
gratifichi da un punto di vista professionale"; una donna albanese afferma, pensando alla
contraddizione presente tra chi lavora nel settore dell'assistenza agli anziani ed i pregiudizi
rivolti alle stese badanti: “Le donne immigrate fanno un lavoro molto delicato, molte
famiglie infatti affidano loro una propria persona cara affinché se ne prendano cura
totalmente, come possono quindi queste stesse famiglie mantenere pregiudizi nei loro
confronti?".
La presente ricerca conferma le evidenti difficoltà per le donne immigrate, ma la loro condizione
è probabilmente paradigmatica di quella di molte donne italiane, quella cioè che coniuga
l'essere donne, lavoratrici, madri e cittadine.
Un aspetto critico che emerge con evidenza dalle interviste, tranne il caso di alcune donne già
in contatto per motivi di lavoro con il mondo dei servizi per immigrati e delle associazioni (è il
caso ad esempio delle mediatrici culturali), è la scarsa o la quasi totale assenza di vita
associativa/sociale da parte di molte donne immigrate, spesso le cui cause vanno ricercate:
nella mancanza di tempo visti i molteplici impegni e responsabilità, nella scarsa collaborazione
all'interno della famiglia da parte del marito, nella stanchezza fisica e psichica dopo una
giornata di lavoro e anche nel senso di solitudine che le opprime dovuto spesso alla sensazione
di distacco dalla vita sociale italiana.
In molti casi l'attività lavorativa rappresenta una sfida per molte donne immigrate le quali vivono
spesso una condizioni di maggiore sfruttamento e di maggiori frustrazioni: sfruttamento dovuto
alle condizioni di lavoro loro imposte e frustrazioni dovute alle difficoltà vissute nel gestire il
rapporto lavoro- vita familiare.
A questo proposito si propone un concetto di democrazia economica e sociale secondo quanto
affermato da Françoise Héritier nel suo ultimo libro intitolato: "Dissolvere la gerarchia:
Maschile/femminile", cioè "la democrazia deve rappresentare le donne in quanto donne" cosa
che appare come estremamente problematica nel mondo del lavoro, nella sua organizzazione
e nelle sue tendenza attuali. Il mercato del lavoro riconosce la differenza di genere
maschile/femminile amplificando il ruolo tradizionale della donna nei lavori di cura (anziani,
94
portatori di handicap, malati mentali, bambini) e nei segmenti a bassa qualifica del settore dei
servizi dove si riproduce le mansioni del lavoro domestico. In questo senso per Françoise
Héritier non c’è democrazia economica e sociale reale nella misura in cui il mondo del lavoro
trasforma la differenza di genere in diseguaglianza.
Si potrebbe anche dire che "la democrazia deve rappresentare le donne immigrate in quanto
donne e immigrate". Il sistema economico e sociale, il sistema dell'impresa, il mercato del
lavoro e la rete dei servizi devono prendere atto di questa realtà caratterizzata da tante donne
che provengono da altri orizzonti culturali e che vogliono inserirsi nel mondo del lavoro.
Come si è visto, alcune indicazioni provengono direttamente dalle donne stesse, ma non
bisogna dimenticare che la situazione non è semplice, la destrutturazione del mercato del
lavoro, l'espulsione sempre più evidente delle donne da una economia che non contempla la
differenza di sesso oltre che quella culturale, produce ostacoli talvolta insormontabili per
realizzare la conciliazione.
Le proposte per cercare di fornire un contributo alla soluzione del problema, possono andare in
diverse direzioni e svilupparsi su diversi piani. Di seguito se ne elencano alcune che, a giudizio
di chi ha condotto la ricerca, risultano essere le più importanti.
1. nuove politiche del lavoro che tengano conto della realtà femminile e di quella culturale: le
immigrate rappresentano, come già affermato, lo specifico binomio “diversità sessuata e
diversità culturale”;
2. nuove politiche sociali in grado di rispondere ai bisogni delle donne che desiderano o
devono lavorare (in molte interviste il lavoro è spesso anche una scelta obbligata legata
all'impossibilità di mantenere la famiglia con un solo stipendio);
3. nuove politiche di sostegno e accompagnamento per le donne immigrate che vogliono
inserirsi nel mondo del lavoro;
4. nuove politiche di riqualificazione e sviluppo dei servizi per l'infanzia;
95
Come superare le difficoltà relative alla conciliazione tra lavoro e impegni familiari?
Per ragionare sulle possibili soluzioni e superare le difficoltà relative alla conciliazione, si può
utilizzare lo schema interpretativo proposto dal sociologo tedesco Uri Bronfenbrenner nel suo
testo "Per una ecologia dello sviluppo umano": egli parte dall'idea che la qualità della vita delle
persone è legata all'ecosistema ambientale e al tipo di risposte che offre.
Si possono pertanto individuare tre livelli di risposte:
a)
un livello macro: l'organizzazione della società e del mondo del lavoro nel ruolo che
attribuisce alla donna in generale e a quella immigrata in particolare;
b)
un livello intermedio: la rete familiare, il territorio locale, la comunità culturale di
provenienza e la rete sociale di riferimento;
c)
un livello micro: il nucleo familiare, il rapporto di coppia, la relazione con i figli e le
competenza che la donna è in grado di mettere in campo.
a) Livello macro: società e mondo del lavoro
Le questioni che pongono le donne immigrate sono spesso riconducibili all’eccessiva rigidità
del sistema imprenditoriale e all'approccio discriminatorio operato dai titolari delle imprese nei
confronti delle donne che si trovano in età per avere dei figli o già con figli.
La flessibilità di cui parlano le donne non è la stessa auspicata dall'impresa. Le donne
immigrate chiedono ritmi e tempi di lavoro differenziati e in grado di offrire la possibilità di
conciliare il lavoro con la gestione della famiglia e la cura dei figli.
Si potrebbe quindi pensare ad azioni di sensibilizzazione rivolte ai titolari delle aziende e ai
delegati sindacali, per fare meglio comprendere loro i mondi culturali da cui provengono le
donne immigrate.
Si potrebbe inoltre pensare ad una campagna di informazione pubblica sulle condizioni di vita
delle immigrate.
b) Livello intermedio: territorio locale e reti formali ed informali
A questo livello diventa importante un maggior coinvolgimento del territorio locale, nonchè della
rete dei servizi di supporto: servizi sociali per le famiglie e per minori, consultori, centri per
96
l'impiego, spazi associativi, centri donna, centri immigrati, ecc….
Occorre pensare ad interventi di sostegno e di accompagnamento per le donne immigrate che
vogliono inserirsi nel mondo del lavoro attivando sia la rete formale dei servizi che le reti più
informali (associazioni, gruppi di mutuo aiuto, comunità d'immigrati, ecc) ed anche alla
realizzazione di percorsi formativi maggiormente congruenti con la realtà del mondo
dell'immigrazione al femminile, dei suoi bisogni e delle sue caratteristiche, nonché con i
fabbisogni professionali del sistema imprenditoriale del territorio.
La formazione infatti, lo si può dedurre dalle risposte ai questionari d’intervista, può essere
un’importante risorsa a patto che tenga conto delle esigenze delle donne in merito a: durata
degli interventi formativi; profilo professionale che si intende formare; finalizzazione
dell’intervento per l’immediata occupazione del partecipante al termine del percorso didattico;
acquisizione di qualifiche e competenze coerenti con quanto richiesto dal mercato del lavoro;
orari di frequenza alle lezioni compatibili con la vita familiare delle immigrate.
c) Livello micro: organizzazione familiare e storia soggettiva della donna
Una dimensione che senza dubbio va tenuta in debita considerazione è la soggettività della
donna e lo sviluppo delle sue capacità di prendere decisioni e diventare autonoma. Molte
donne indicano l'importanza centrale della conoscenza dell'italiano, la necessità di essere
informata sul mondo del lavoro e sulla rete dei servizi nonché sul quadro legislativo in vigore nel
paese di accoglienza. Le donne devono essere anche sostenute con intelligenza e attenzione
nel loro percorso di rielaborazione della “traiettoria migratoria”, nella ridefinizione dei rapporti
intrafamiliari e nella revisione del proprio progetto come donna migrante che si trova a vivere in
un contesto nuovo.
Probabilmente bisogna pensare ad iniziative di counseling psico-relazionale attraverso
l'organizzazione di attività che permettano alle donne di parlare e di confrontarsi. L'acquisizione
di strumenti di lettura della propria vicenda personale è estremamente importante per favorire
la riattivazione del funzionamento delle capacità della donna. In molte interviste emerge la
frustrazione, lo scoraggiamento ed anche la perdita dell'autostima, nonché della speranza da
parte di alcune di queste.
97
6. ANALISI DEI DATI RACCOLTI: OPERATORI DEI SERVIZI TERRITORIALI
6.1 RIPARTIZIONE PER TIPOLOGIE DI SERVIZIO E FIGURE PROFESSIONALI
Complessivamente, l’indagine rivolta agli operatori dei Centri di servizio per immigrati, ha preso
a campione 30 persone in rappresentanza di altrettanti: servizi sociali, consultori, uffici
comunali, centri per l’impiego, sindacati, associazioni, centri di formazione, che a vario titolo
offrono servizi specialistici per gli immigrati e per le donne in particolare.
La scelta è stata motivata dall’esigenza di indagare il fenomeno della conciliazione tra tempi di
lavoro e impegni familiari delle donne immigrate, analizzando anche l’esperienza, le riflessioni,
il punto di vista, degli operatori di strutture pubbliche e private che erogano da tempo servizi
specifici rivolti agli immigrati ed alle donne in particolare.
Nello specifico sono stati presi in esame 6 centri servizi per ciascuno dei 5 territori considerati
nella ricerca che vengono di seguito elencati:
Territorio di Rimini
Servizio sociale per adulti (Comune di Rimini)
Centro per l'impiego della Provincia di Rimini
Consultorio familiare (Asl)
Ufficio stranieri del Comune di Rimini
Associazione Etnos
Ecap (Centro di formazione professionale CGIL Rimini)
Territorio di Reggio-Emilia
Consultorio familiare (Asl di Novellara)
Casa delle donne (Comune di Guastalla)
Centro di Formazione professionale della Bassa Reggiana (Guastalla) Provincia di
Reggio-Emilia
Centro Studi Solidarietà di Reggio-Emilia
Centro per l'Impiego provinciale (Guastalla)
98
Centro territoriale per l'educazione permanente (Comune di Luzzara)
Territorio di Modena
Centro stranieri della CGIL di Modena(Camera del lavoro)
Centro per l'Impiego della Provincia di Modena
Consultorio familiare (Asl)
Centro per le famiglie (Comune di Modena)
Centro contro la violenza sulle donne (Comune di Modena)
Servizio sociale minori (Comune di Modena)
Territorio di Forlì
Sportello informativo per donne immigrate (Centro donna-Comune di Forlì)
Centro per l'Impiego della Provincia di Forlì (Progetto Azione donne)
Centroservizio per i cittadini stranieri (Comune di Forlì)
Consultorio familiare (Asl)
Associazione Koiné (cittadini del Mondo) Forlì
Centro di formazione professionale Techné Forlì
Territorio di Imola
Consultorio familiare (Asl)
Consorzio servizi sociali Imola (orientamento scolastico per alunni e genitori stranieri)
Servizio sociale minori (comune di Imola)
Ecap (Centro di formazione professionale CGIL Imola)
Associazione Trama di terre di Imola
Ufficio Relazioni Pubbliche URP Informacittadino (Comune di Imola)
99
Tipologie dei centri di servizio per immigrati presi a campione
Servizi sociali (Uffici comunali)
Uffici stranieri (Uffici comunali)
Centri per l'Impiego Provinciali
Consultori familiari (Ausl)
Associazioni a favore degli immigrati
Sindacati dei lavoratori
Centri di formazione professionale
Centri donna (Uffici Comunali)
Profili professionali degli operatori intervistati
Assistente sociale
Mediatore culturale
Infermiere professionale
Ostetrica
Impiegato comunale
Operatore sportello CPI
Sindacalista
Formatore
Educatore
100
6.2
LE PROBLEMATICHE EMERSE NELLA RELAZIONE CON LE DONNE IMMIGRATE
Il campione prescelto è stato oggetto di interviste individuali strutturate sulla base di un
apposito questionario. Le ricercatrici coinvolte (le stesse che hanno effettuato l’indagine sulle
donne immigrate), hanno successivamente elaborato i dati raccolti cercando, in una prima fase,
di aggregare le informazioni ricevute al fine di estrapolare gli elementi di maggiore criticità,
evidenziati sulla base della loro esperienza dagli operatori dei centri di servizio intervistati, in
merito alla relazione instaurata con le donne immigrate nelle fasi di erogazione dei servizi
previsti.
Di seguito vengono elencate le maggiori criticità emerse durante i colloqui di intervista, ripartite
per tipologia di centro servizi preso a campione:
Centri di formazione professionale:criticità emerse
Le difficoltà di apprendimento della lingua italiana;
gli orari dei corsi di formazione non sempre compatibili con la gestione della casa e la
cura dei figli;
l’eccessiva distanza tra l'abitazione e la sede del corso di formazione;
la scarsità di mezzi pubblici adeguati al raggiungimento della sede del corso;
corsi di formazione di eccessiva durata (causa di un tasso elevato di abbandono);
corsi non sufficientemente finalizzati al reale inserimento lavorativo;
difficoltà da parte dei formatori nel gestire il gruppo, spesso molto eterogeneo per
provenienza geo-culturale e livello di scolarizzazione;
la presenza di bambini piccoli in aula (figli di donne partecipanti alle lezioni), i quali non
possono andare al nido per mancanza di posti disponibili o per rette troppo onerose,
spesso disturba l’apprendimento del gruppo;
I mariti delle donne immigrate partecipanti alle lezioni, i quali non vedono sempre di buon
occhio il fatto che la propria moglie frequenti un corso di formazione poiché intravedono
in ciò l’inizio di un processo di emancipazione dai “doveri familiari”.
101
Consultori familiari: criticità emerse
mancanza di rispetto delle regole previste dal servizio da parte delle donne immigrate
(orari non rispettati, appuntamenti non confermati, prenotazioni non confermate);
difficoltà dovute all'orario di apertura del servizio: molte donne immigrate preferirebbero
poter disporre dell’apertura in orario serale;
difficoltà di comprensione della lingua italiana che genere fraintendimenti e difficoltà di
informazione;
difficoltà di raggiungimento della sede del consultorio dovuta alla lontananza dal centro
abitato dell’abitazione dell’immigrata e dalla scarsità a assenza di mezzi pubblici a
disposizione per coprire il tragitto;
la maggior parte delle richieste avanzate dalle donne immigrate riguarda la possibilità di
inserimento all'asilo e alla scuola materna dei figli;
la differenza culturale che rende difficile il trasferimento di informazioni e comportamenti
corretti da tenersi in particolari casi per la donna immigrata (es: è molto difficile spiegare
la diagnosi prenatale ad una donna maghrebina). Occorre anche tenere presente che il
40% circa delle donne in gravidanza che utilizzano i servizi del consultorio sono
immigrate.
Servizi Sociali: criticità emerse
presenza di molti genitori immigrati con famiglie numerose e figli in età scolastica, in
difficoltà di carattere economico;
presenza allo sportello in prevalenza di uomini oppure di donne ma sempre
accompagnate dai mariti, principalmente per un problema di conoscenza della lingua
italiana (questa è una causa della mancanza di autonomia delle donne rispetto ai mariti).
le donne non prendono decisioni, delegano tutto al marito;
le richieste avanzate dalle donne immigrate riguardano perlopiù la possibilità di scuole a
tempo pieno e disponibilità di posti negli asili per i propri figli;
gli immigrati che si rivolgono al servizio lamentano di ricevere salari bassi per le
prestazioni lavorative svolte;
è evidente negli immigrati l’assenza di reti familiari di supporto alla gestione familiare, il
102
che comporta, tra l’altro, la difficoltà nel collocare i figli nel momento in cui la donna deve
o decide di lavorare;
molte donne lamentano di trovare lavoro solamente come addette ai servizi di pulizie in
orari quali: al mattino presto e la sera tardi, quando scuole e nidi sono chiusi;
Centri per l’Impiego Provinciali (C.I.P.)
molte badanti immigrate si rivolgono al servizi per cercare di cambiare lavoro
le donne immigrate non possono vedere riconosciuto il titolo di studio conseguito nel
Paese di origine;
è generalizzata una carenza di specializzazioni specifiche da parte delle donne
immigrate;
molte donne che si rivolgono al servizio non sono in possesso della patente e questo
limita l’offerta di opportunità di lavoro;
diverse donne lamentano casi di mobbing e di molestie sessuali nei luoghi di lavoro;
problemi specifici per le donne dell'Africa nera dovuti principalmente ad una diversa
concezione delle regole del mercato del lavoro e per le donne maghrebine musulmane
dovute alla loro fede religiosa, all’esigenza di indossare il velo anche sul lavoro, alla
contrarietà dei mariti nei confronti della moglie che lavora.
Centri Donna: criticità emerse
difficoltà da parte delle donne immigrate nel trovare lavoro autonomamente;
difficoltà legate alla trovare casa per via dei costi e dell’ubicazione infelice;
paura di subire violenza fisica anche all’interno della propria famiglia;
dipendenza economica ma anche psicologica nei confronti dei propri mariti;
mancanza di fiducia in sé stesse, basso livello di autostima;
difficoltà economiche per la cura dei figli: rette per l’asilo, costi scolastici, ecc…
103
Sindacati e Associazioni - criticità emerse
difficoltà comunicative dovute alla scarsa conoscenza della lingua italiana;
evidenti problemi economici a fronte di un’oggettiva difficoltà nella ricerca di un lavoro;
difficoltà nell'orientarsi correttamente nella “giungla” dei contratti di lavoro proposti;
scarsa partecipazione alle attività di aggregazione proposte dalle associazioni;
difficoltà nel collocare i figli al fine di disporre di tempo libero per poter svolgere attività
per se stesse.
6.3
LE PROPOSTE DEGLI OPERATORI DEI SERVIZI PER FAVORIRE LA CONCILIAZIONE
Va sottolineato in primo luogo come in quasi tutti i centri servizi contattati, sia nota la figura del
mediatore culturale, anche se non tutti i soggetti hanno le stesse idee in merito ai compiti ad
esso preposti. Diversi operatori dei servizi presi a campione infatti, vedono nel mediatore
un semplice traduttore-interprete nei confronti dell’utente immigrato, quando invece il
suo ruolo nel processo di mediazione è assai più importante.
In diversi questionari alcuni operatori intervistati hanno riportato alcuni suggerimenti utili nel
facilitare il processo di conciliazione tra lavoro e impegni familiari per le donne immigrate, quali:
sviluppare una migliore qualità dell’accoglienza, incrementare negli operatori le competenze
necessarie per fornire un’informazione comprensibile ed esaustiva per le donne immigrata,
promuovere dei percorsi di orientamento a supporto delle donne immigrate.
Emerge inoltre il pessimismo rispetto alla situazione in genere dell’immigrato da parte di alcuni
operatori intervistati, i quali sinceramente hanno affermato che: "Il punto fondamentale è che
spesso il maggior problema delle persone immigrate che si rivolgono ai nostri sportelli
è di sopravvivenza, per cui la difficoltà di conciliare il lavoro con gli impegni della
famiglia per loro è irrilevante rispetto alla situazione pesante a cui sono assoggettati".
Altri operatori dei centri per l’impiego hanno affermato che, diverse donne, rivoltesi allo
sportello, quale opportunità lavorativa il lavoro a domicilio, in modo da poter meglio conciliare:
necessità economiche attraverso il lavoro, custodia dei figli che non vanno al nido direttamente
a casa, contrarietà del marito rispetto al fatto che la donna lavori. Tutto ciò, ovviamente, pone
seri problemi rispetto al livello di autonomia e di indipendenza della donna in quanto vincola
fortemente: l’apprendimento dell'italiano, lo sviluppo di capacità comunicative, la possibilità di
socializzazione e d integrazione nel contesto italiano.
104
Non a caso per molti operatori dei servizi uno dei problemi maggiori rimane quello della scarsa
conoscenza della lingua italiana, qualcuno ha fatto anche notare: "Le donne del Marocco o
della Tunisia vengono quasi sempre accompagnate dal marito o comunque da una
figura maschile che parla l'italiano". Un problema simile si pone anche per le donne indiane
di religione sikh e per le donne cinesi (in questo ultimo caso la figura maschile di riferimento non
è neanche un parente ma un "capo clan", che spesso viene chiamato zio).
Molti operatori dei servizi sociali fanno anche riferimento all'aspetto dirompente in negativo, che
può avere l'attività lavorativa della donna nei rapporti di coppia in alcune famiglie immigrate: è
ad esempio il caso delle famiglie maghrebine musulmane. Questo fattore rappresenta spesso
un freno, un ostacolo per la libera scelta della donna, la quale teme di dover fare i conti con un
marito che oppone resistenza al suo desiderio di emancipazione.
Una mediatrice culturale del Centro famiglia di Modena ha raccontato delle grosse difficoltà che
incontrano le donne immigrate nella gestione della casa, del lavoro, dei figli e del rapporto di
coppia. Da un’idea nata per sostenere le donne con figli che vogliono lavorare è partito quindi il
Progetto "Un bambino per amico" che prevede l'uso di volontari a sostegno delle madri in
difficoltà. In pratica, nell’ambito del quartiere, alcune donne accettano di prendersi cura di un
bambino di una donna immigrata che lavora, in una certa fascia oraria ed organizzano a tale
scopo momenti di incontro per favorire la socializzazione e il mutuo- aiuto tra le madri
interessate.
Qualche operatore intervistato ha affermato inoltre, che le donne mettono spesso in atto delle
strategie informali per affrontare il problema della conciliazione: "Molte donne trovano
soluzioni informali. La sensazione che io ho avuto durante l’erogazione del servizio, è
che in molti casi si aiutano tra donne della stessa comunità". Questa impressione
dell'operatore è in parte confermata dalle risposte fornite dalle donne durante l’indagine a loro
rivolta.
In diversi servizi presi a campione si porta a conoscenza le ricercatrici di una cosiddetta
"emergenza cinese" e della difficoltà di soddisfare le richieste di aiuto di queste donne che
spesso sono "rinchiuse" nelle loro comunità.
In alcuni dei servizi presi a campione hanno anche tentato la strada dell' “educatore familiare
domiciliare” ma non è stata un’esperienza molto positiva, in rapporto anche agli alti costi del
servizio. Un altro operatore intervistato ha affermato: "E’ opportuno offrire maggiori servizi
per la gestione dei figli delle donne immigrate che lavorano e comunque rafforzare
105
quelli già esistenti".
In alcuni servizi si pensa di aprire uno specifico servizio rivolto alle donne immigrate con
particolari problemi nella gestione del rapporto cura dei figli-impegni di lavoro. Si pensa anche
all'utilizzo di una mediatrice culturale che possa andare anche a domicilio nel caso in cui la
donna abbia problemi a recarsi presso la struttura.
Anche le Associazioni coinvolte nell’indagine, svolgono da tempo una funzione di
sostegno-accompagnamento molto importante per un numero significativo di donne immigrate
in difficoltà.
Dalla lettura delle risposte fornite dagli operatori e dal confronto delle stesse con quelle fornite
dalle donne immigrate, si conferma come non siano possibili risposte uniche al problema della
conciliazione, ma siano necessarie una serie di risposte ai diversi livelli e con diverse modalità
di intervento. E’ necessario un forte intervento pubblico ma anche la promozione delle reti
informali che in grado di garantire interventi “leggeri e immediati.
106
7. CONSIDERAZIONI FINALI
Confrontando le risposte fornite dalle donne immigrate con quelle degli operatori dei centri di
servizio, si possono evidenziare delle convergenze di opinione sulla necessità di trovare un
punto di incontro fra i bisogni delle donne immigrate e possibilità di conciliare lavoro e
vita familiare.
La domanda a cui dare risposta è: quali interventi sono necessari per modificare dei
meccanismi che continuano a riprodurre la diseguaglianza di genere che si rafforza quando
viene sommata a quella culturale?
Ritroviamo nelle risposte a tale quesito, fornite dalle donne immigrate, la necessità di agire su
cinque livelli di intervento, quali:
1) le pari opportunità
2) le politiche per l'infanzia
3) le politiche di sostegno alla famiglia
4) le politiche per il lavoro e la formazione
5) la lotta alla discriminazione etnico-culturale.
Per favorire la conciliazione lavoro e vita familiare si possono pensare ad alcuni interventi di
particolare importanza , visto le risposte fornite sia dalle donne che dagli operatori:
Interventi per migliorare l'accoglienza
In molti casi l'arrivo della donna dal paese di origine rappresenta un momento difficile, l'impatto
con la realtà italiana è talvolta traumatico. Dalle risposte delle donne si evidenziano le ansia e le
paure, il senso di disorientamento e il sentimento d'isolamento. L'assenza di una rete familiare
e la non conoscenza dell'italiano sono fattori che incidono fortemente sulla possibilità per la
donna di potersi riadattare in modo positivo. Tutto ciò condiziona pesantemente la capacità
della donna di elaborare strategie efficaci per conciliare tempi di lavoro e impegni familiari.
Sarebbe pertanto utile lavorare alla definizione di opportune politiche di accoglienza che oggi
non esistono formalmente e sono lasciate piuttosto alla buona volontà di singoli operatori o di
associazioni di volontariato. Accoglienza che significa ospitalità, ovvero, in questo caso, il fare
sentire la donna immigrata, nonostante il cambiamento da lei operato, come a casa sua.
La transizione dal paese di origine all'Italia è spesso molto difficile sul piano psicologico.
Pensare alla strutturazione di spazi, di luoghi o di momenti di accoglienza delle immigrate, può
107
aiutare la donna a riconsiderare positivamente il proprio ruolo nella nuova società e
comprendere le possibilità che offre il nuovo contesto.
I servizi preposti, le istituzioni locali, l'associazionismo,devono avere un ruolo fondamentale nel
processo di elaborazione di tali politiche di accoglienza.
Possiamo riprendere l'analisi fatta da un dossier del quotidiano francese Le Monde
sull'immigrazione in Italia per insistere sull'importanza dell'accoglienza per favorire i futuri
percorsi d'integrazione. Mettendo in evidenza il fabbisogno di manodopera immigrata delle
imprese italiane Jean-Jacques Bozonnet scrive che, "di fronte all'incuria dei poteri pubblici in
materia d'integrazione, la società civile offre delle risposte non sempre sufficienti per prevenire
frustrazioni ed esclusione". Tale opinione è quella che emerge anche dalle risposte di molte
donne immigrate intervistate all’interno della presente ricerca.
Interventi contro la discriminazione etnico-culturale
Come abbiamo visto, a più riprese molte donne immigrate vivono sulla propria pelle la
diffidenza diffusa della società e dei datori di lavoro, talvolta subiscono dei comportamenti
stigmatizzanti e discriminatori:
è il caso delle donne islamiche che portano il velo; i pregiudizi antiislamici sono fortemente
cresciuti in questi ultimi tempi (tanto che in molti casi si può parlare a ragione di islamofobia) e
le donne proprio perché si sentono le custodi della tradizione islamica ne sono le prime vittime.
E’ il caso delle donne africane nere che vengono discriminate in settori particolari di lavoro,
come l'assistenza alle persone, per il colore della pelle (in questo settore vengono infatti
preferite le donne dell'Europa Orientale), oppure subiscono molestie sessuali perché
identificate con la prostituzione di colore.
E’ il caso delle donne che provengono dalla Moldavia o dall'Ucraina che subiscono pesanti
apprezzamenti dagli uomini perché anch’esse identificate con la prostituzione proveniente dai
loro paesi di origine.
Pensare ad un’azione di sensibilizzazione capillare circa i percorsi migratori delle donne
immigrate proveniente da diverse aree geo-culturali, rivolta ad operatori dei centri di servizio,
ad imprenditori, a delegati sindacali, all'opinione pubblica, potrebbe favorire una maggiore
comprensione dei problemi delle migranti e ridurre i comportamenti discriminatori.
108
Interventi rivolti alle famiglie
Occorre attivare servizi in grado di sostenere la famiglia migrante, in modo che la madre o il
padre che lavorano possano reciprocamente dedicarsi alla cura dei figli.
I servizi devono altresì qualificarsi dal punto di vista delle competenze al fine di interloquire
efficacemente con la famiglia immigrata.
I mediatori culturali possono essere un valido elemento a sostegno della professionalità degli
operatori dei servizi per promuovere una relazione di reale aiuto per la donna immigrata.
Il counseling interculturale può essere un modo per fornire un accompagnamento e un
sostegno alla famiglia. Durante il colloquio infatti si possono trovare insieme le possibili
soluzioni e i possibili percorsi per la conciliazione tra lavoro e famiglia.
Interventi a sostegno della prima infanzia
I servizi possono altresì aiutare la donna migrante realizzando degli interventi a favore dei figli
piccoli, quali: attività extra-scolastiche pomeridiane, ampliamento dei posto disponibili presso
gli asili e le scuole materne con relativa riduzione dei costi da sostenersi per le famiglie
immigrate, sostegno di tipo psico-linguistico per i bambini immigrati e per i figli di donne migranti
in difficoltà, servizi di baby-sitteraggio gratuiti per le madri che seguono corsi di formazione o
lavorano.
Molto utile sarebbe anche la possibilità di potenziare le attività educative nei quartieri favorendo
in tal modo l'integrazione (ad esempio creando dei gruppi socio-educativi aperti a immigrati e
italiani) e l'incontro tra famiglie.
Interventi di comunità
Lo sviluppo nel territorio del fenomeno dell’associazionismo degli immigrati ma anche di quello
di chi opera con gli immigrati, può essere un elemento di aiuto per fornire delle risposte a molte
donne migranti che si trovano in difficoltà nel conciliare lavoro e vita familiare.
I servizi attivi dovrebbero rafforzare le relazioni e le sinergie con il mondo associativo locale, al
fine di creare una rete integrata in grado di fornire molteplici e diversificate risposte indirizzate
alle famiglie e alle donne immigrate.
L'Associazionismo può realmente svolgere un ruolo di sostegno importante. In diverse
interviste realizzate, le donne immigrate hanno sottolineato il caso di vicini di casa anziani e
109
italiani, i quali hanno offerto il proprio aiuto per prendersi temporaneamente cura dei loro figli,
quando queste sono impossibilitate per impegni di lavoro. Perché non pensare agli anziani
come ad una possibile ulteriore risorsa a sostegno della conciliazione lavoro-famiglia.
Interventi di potenziamento della rete dei servizi informativi
Negli ultimi anni nella nostra regione è stata creata una capillare rete di sportelli informativi
rivolti agli immigrati, ma esistono due ordini di problemi:
a) sono insufficienti alcune professionalità specifiche, quali i mediatori culturali, in grado di
rispondere efficacemente ad una crescente domanda di informazioni generata dalla nuova
utenza immigrata;
b) è carente il livello di relazione/integrazione tra i diversi sportelli presenti sul territorio che
erogano servizi a favore delle utenze immigrate, quali: Asl, Servizi Sociali, Comune, Questura,
Prefettura, Centro per l'Impiego,
Interventi rivolti alle aziende
L’organizzazione dei tempi di lavoro rappresenta un punto importante per favorire la
conciliazione tra lavoro e famiglia per la donna immigrata, anche se appare difficile poter
intervenire fattivamente in questo ambito di intervento.
In ogni caso si può pensare a mettere in campo alcune facilitazioni, quali: l’apertura di
micro-nidi aziendali; la predisposizione di sale attrezzate per brevi soggiorni di "emergenza"
per i bambini; la creazione di "spazi-cerniera" collocati vicini all'azienda ad uso dei bambini
delle donne immigrate e non, la sperimentazione di forme di mutuo-aiuto tra donne che
lavorano nella stessa azienda.
110
8. L'INTERCULTURALITÀ AL CENTRO DELLA CONCILIAZIONE
Il tema della conciliazione riguarda anche le competenze interculturali sia della rete dei servizi
di supporto agli immigrati, sia degli operatori che vi lavorano.
Una rete efficace ed efficiente deve poter attivare i sostegni necessari per favorire l'attivazione
di un vero processo di accompagnamento che possa promuovere la conciliazione.
Lavoro e famiglia, questione di genere e questione culturale, sono i diversi elementi di una
problematica che vede la donna immigrata al centro delle contraddizioni del nostro sistema
sociale e produttivo. Da questo lavoro di ricerca si palesa la difficoltà strutturale di armonizzare
lavoro e vita familiare per molte donne immigrate.
Il mercato del lavoro con le sue caratteristiche, la collocazione delle donne migranti su
segmenti lavorativi di bassa qualifica, la flessibilità dell'organizzazione del lavoro che coincide
in realtà con una sua rigidità dal punto di vista di genere e da quello della differenza culturale, la
difficoltà dei servizi a pensare l'accoglienza tenendo conto del pluralismo culturale, la distanza
tra servizi organizzati per un modello familiare e i modelli familiari altri di cui sono portatori gli
immigrati, rappresentano tutti elementi che rendono difficili le politiche d'intervento a favore
della conciliazione.
Si nota qualcosa di speculare nelle difficoltà che riportano i servizi, i rapporti con le famiglie e le
donne immigrate e il modo di come queste vedono i servizi. Sembra che la rete non abbia
completamente preso atto del profondo cambiamento antropologico intervenuto tra gli utenti.
Ma si può dire qualcosa di simile per il mercato del lavoro anche se quest'ultimo per motivi
molto più pragmatici ha utilizzato l'immigrazione al femminile come una risorsa nei settori
dell'economia dei servizi a bassa qualifica. Tuttavia questo complica la situazione di molte
donne che, di fronte a lavori pesanti, mal pagati e “iperflessibili”, fanno fatica ad armonizzare
vita familiare e vita lavorativa.
Un altro piano estremamente importante è quello delle capacità in possesso della donna
immigrata, cioè della possibilità di acquisire e combinare delle competenze sociali, relazionali,
professionali, in grado di aiutare la donna a migliorare il proprio modo di affrontare il rapporto tra
lavoro e vita familiare. Abbiamo anche visto che non esistono soluzioni per la conciliazione
senza un’apertura delle relazioni all'interno della coppia e della famiglia. Senza una
consapevolezza dei compiti che gravano spesso sulla donna lavoratrice da parte degli uomini
(mariti e compagni), diventa estremamente difficile pensare a qualsiasi soluzione.
111
Conciliazione significa anche armonizzazione, complementarità tra universo maschile e
femminile nella famiglia e nel mondo del lavoro.
Purtroppo Pierre Bourdieu, nel suo libro "Il dominio maschile", afferma che nonostante i
cambiamenti intervenuti negli ultimi 50 anni in Europa il sistema sociale resta fortemente
dominato dallo sguardo maschile. Questo rappresenta spesso un problema per molte donne
immigrate. Il dover fare i conti non solo con l'opposizione del marito che può vedere
negativamente il lavoro fuori casa della donna, ma anche, ed è la cosa più diffusa, l'assenza di
collaborazione o di sostegno da parte dell'uomo per alleggerire il peso del "doppio lavoro". Ma
la questione si complica ulteriormente se riprendiamo l'analisi che fa Rita El Khayat, la
psichiatra marocchina, attenta studiosa della condizione della donna nel mondo arabo ma
anche della donna araba nell'emigrazione (ovviamente si tratta qui delle donne che provengono
dal Maghreb): la donna maghrebina , per motivi sociali e storici, si considera spesso come
l'autentica, anzi l'unica custode della vera tradizione culturale e religiosa. La donna ha finito per
interiorizzare la sua "inferiorità sociale" ritagliandosi una fetta di potere nell'organizzazione
familiare. Nel suo ultimo libro intitolato "les bonnes de Paris "(dove parla anche della sua
esperienza con le immigrate maghrebine in Italia), Rita El Khayat mette in evidenza il travaglio,
le paure e l'angoscia che vivono molte donne maghrebine nell'immigrazione. L'essere
confrontata con altri modelli femminili e familiari, il ritrovarsi isolate socialmente e
culturalmente, non avere più la rete della famiglia allargata con i suoi codici, il doversi
confrontare con le necessità del lavoro, il dovere ridefinire il proprio ruolo in un contesto nuovo
all'interno del rapporto di coppia e di quello con il marito. Di fronte a tutto ciò la donna immigrata
maghrebina (non tutte ovviamente) può chiudersi per paura. Ma la psichiatra e scrittrice spiega
anche come la società francese e italiana hanno saputo sfruttare i tratti culturali della donna
maghrebina collocandola nei settori dei servizi di assistenza agli anziani e delle pulizie. Il
mercato del lavoro ha saputo interpretare con profitto il comportamento culturale di queste
donne, attente nel lavoro di cura e nella gestione della casa. Nelle risposte delle donne
maghrebine troviamo delle considerazioni che confermano effettivamente le considerazioni
elaborate da Rita El Khayat. I modelli di cura interiorizzati sono anche dei comportamenti
culturali nella misura in cui sono parte integrante della struttura di personalità delle donne
immigrate che provengono dal Maghreb. Ma questo discorso coinvolge gran parte delle donne
immigrate: il tema della conciliazione tocca un punto nevralgico della costruzione culturale della
personalità della donna, della sua immagine di donna, del suo ruolo nella famiglia, della sua
112
concezione di famiglia e della sua idea di rapporto di coppia nonché di educazione dei figli
all'interno di questa.
Quando si parla di conciliazione lavoro-famiglia non si può ignorare l'intreccio tra la dimensione
sociale e quella culturale nella vita della donna; tra la condizione sociale che cambia
radicalmente nell'esperienza migratoria e il suo modello di famiglia . Non si può ignorare la sua
concezione del ruolo della donna e la sua idea di lavoro. Di nuovo Rita El Khayat in un recente
lavoro sugli aspetti psicologici della migrazione femminile maghrebina, nel suo rapporto con la
identità religiosa musulmana, spiega come spesso la donna migrante maghrebina si trova
dilaniata tra le tradizioni di cui si sente la custode e il cambiamento; tra un sistema di valori
appreso nella società di origine e un nuovo sistema di valore, tra aspettative e disillusioni.
Questa precarietà psicologica costituisce spesso per la donna un rischio e la conciliazione
lavoro e famiglia si trova nell'epicentro delle tensioni che essa vive. Non si tratta solo di
combinare due aspetti della vita della donna, appunto lavoro e famiglia, ma si tratta spesso di
un mutamento radicale nel suo vissuto e nella rappresentazione che si fa di sé.
Qualsiasi progetto che si pone la questione della conciliazione deve quindi prendere
seriamente in considerazione il nesso tra la dimensione culturale e quella psicologica; parlare
di conciliazione in termini puramente materiali o oggettivi (sostegni materiali, apertura di nidi o
scuole materne, coincidenza dei tempi di lavoro e dei tempi della scuola, approccio più aperto
dell'impresa ai tempi di lavoro per le donne), rischia di fare perdere di vista l'importanza della
dimensione psico-culturale. E questo non vale solo per le donne musulmane del Maghreb ma
anche per le africane subsahariane, le cinesi, le indiane sikh o indù: l'abbiamo potuto verificare
nelle risposte ai questionari.
La conciliazione sta al cuore dei modelli culturali della vita di relazione delle donne migranti, vita
che cambia con la migrazione il sistema relazionale di riferimento della donna, i suoi codici di
lettura della realtà, la base sociale del suo ruolo nella famiglia, la morfologia stessa dalla
famiglia. Abbiamo visto quante tipologie di percorso esistono, quante situazioni diverse, ma
troviamo in modo trasversale dei problemi simili vissuti dalle donne immigrate nel loro tentativo
di conciliare lavoro e vita familiare: il cambiamento introdotto dall'esperienza migratoria, la
destrutturazione del tessuto originario sul quale si fondava la vita della donna, la distanza e
talvolta il conflitto tra il sistema di valori trovato in Italia e quello portato dalla società di origine,
la tensione che vive la dona migrante tra l'aspirazione al cambiamento e la paura del
cambiamento, il conflitto tra valori tradizionali e i valori nuovi, il confronto tra diverse concezioni
113
della donna e del suo ruolo sia nella società che nella famiglia, il tentativo di adattarsi
psicologicamente alla situazione nuova.
L'interculturale è al centro della vita della donna migrante e la conciliazione è un aspetto
delicato di questo processo complesso sia sul piano sociale che psicologico. Il rapporto con i
figli arrivati con lei o nati in Italia costituisce un importante fattore d'interculturalità nella vita
relazionale della donna; la conciliazione si colloca in un punto sensibile dei rapporti con i figli,
che è il prodotto di un processo culturale.
La domanda a cui dare una risposta quindi è la seguente:
in che misura i dispositivi d'intervento, di sostegno e di accompagnamento della donna
immigrata per favorire la conciliazione lavoro e famiglia tengono conto del fatto
interculturale come punto sensibile della sua vita psico-sociale?
In una prospettiva di questo genere occorre anche pensare alla presenza di figure specifiche
come quella del mediatore culturale(la cui Regione Emilia-Romagna ha delineato il profilo
professionale) con una preparazione specifica come counseller interculturale in grado di
sostenere e accompagnare il percorso della donna immigrata nella ricerca di strategie per delle
soluzioni corrispondenti alle difficoltà di conciliare lavoro,vita familiare e vita sociale. Inoltre
occorre anche pensare ad una maggiore formazione(aggiornamento) degli operatori dei servizi
che si trovano a gestire il rapporto con le donne immigrate e pensano al mediatore soltanto
come traduttore linguistico mentre questa figura interviene a supporto del servizio come risorsa
integrativa(complementare) nella gestione del processo comunicativo. Il mediatore può essere
importante nel qualificare il sistema dei servizi in termini interculturali cioè in competenze di
mediazione attiva nel fornire supporti, accompagnamento e orientamento alle donne immigrate
in difficoltà nel conciliare lavoro, vita familiare e vita sociale.
114
NOTE BIBLIOGRAFICHE
C.Mariti: “Donna migrante. Il tempo della solitudine e dell'attesa” (Mi-2003)
E.Abbatecola:Il potere delle reti. L'occupazione femminile tra identità e riconoscimento
(Fi-2002)
Chiara Saraceno:
La famiglia nella società contemporanea (Roma-1980)
Anatomia della famiglia (Roma-1977)
Martha Nussbaum:
Diventare persone(donne e universalità dei diritti) (Bo-2000)
Giustizia sociale e dignità umana (Bo-2002)
M.Ambrosini, C:Buizza, C:Cominelli: Oltre gli stereotipi (la discriminazione degli immigrati
nel mercato del lavoro bresciano)(Brescia-2003)
Margherita Cogo: Conciliazione tra lavoro e famiglia (con particolare riguardo alla situazione
nell'area alpina) (Trento-2003)
Martina Bianchi: Conciliabilità tra famiglia , lavoro di cura e lavoro retribuito in particolare per
le donne (Bolzano-2000)
Cecilia Edelstein: Aspetti psicologici della migrazione al maschile e differenze di gender
(Rivista elettronica di scienze umane e sociali-aprile-giungno2003)
M.de Bernart, L.Di Pietrogiacomo, L.Michelini: Migrazioni femminili,famiglia e reti sociali tra il
Marocco e l'Italia (il caso di Bologna) (Torino-1997)
Ghita El Khayat: les bonnes de Paris et d'ailleurs (Casablanca-2004)
Le donne nel mondo arabo (Milano-2004)
Le Maghreb des femmes (les défis du XXIe siécle) (Casablanca-2001)
Françoise Héritier:
Dissolvere la gerarchia (Maschile e femminile) (Milano-2004)
Pierre Bourdieu:
Il dominio maschile (Bologna-2001)
Simone de Beauvoir:
Il Secondo Sesso (Milano-2000)
Martha Nussbaum:
Coltivare l'Umanità (Roma-2002)
Amartya Sen:
La Disuguaglianza (Bologna-2000)
Urie Bronfenbrenner:
Ecologia dello sviluppo umano(Bologna-1980)
115
Appendice
Strumenti di rilevazione: questionari d'intervista
Appendice
Gli strumenti di rilevazione utilizzati: i questionari
Note metodologiche per le ricercatrici
116
APPENDICE
DALIA: Donne Immigrate in Armonia fra Lavoro e Impegni fAmiliari
Ricerca sui fabbisogni specifici di interventi finalizzati alla conciliazione
delle esigenze lavorative e familiari delle donne immigrate
Asse E - Misura E.1 Ob. 3 – Rif. P.A. 0096
DOCUMENTO DI LAVORO
Griglia intervista rivolta a Donne Immigrate
Progetto “DALIA: Donne immigrate in Armonia fra Lavoro e Impegni fAmiliari”: la ricerca
Rif. P.A. 2003 - 0096/Rer Delibera RER n. 1168 del 23/06/2003
1
Anagrafica intervista
Data intervista: ___________
Luogo intervista: __________________________
Nome dell’intervistatore: _____________________________
Nome estensore report (se diverso dall’intervistatore): ________________________________
Anagrafica intervistata
·
Nome e cognome _____________________________________________ *
·
Età (se possibile specificare la data di nascita) ______________________________
·
Stato civile: ____________________________________________________
·
Nazionalità: ____________________________________________________
·
Abitazione in Italia: ______________________________________________
(specificare se vive in città o in zone limitrofe/rurali)
·
Livello attuale di conoscenza della lingua italiana:
insuff:
†
scarso
†
·
Num figli: __________________
·
Età dei figli: ________________
discreto
buono
ottimo
†
†
†
________________
________________
* poiché il questionario sarà anonimo la compilazione di questa riga servirà solo alla ricercatrice per
identificare l’intervistata. Qualora se ne desideri omettere la compilazione, cancellare la riga nel momento
della stampa del file.
Progetto “DALIA: Donne immigrate in Armonia fra Lavoro e Impegni fAmiliari”: la ricerca
Rif. P.A. 2003 - 0096/Rer Delibera RER n. 1168 del 23/06/2003
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Griglia di intervista
La griglia d’intervista è composta da 7 sezioni che riguardano: 1) Il Paese di origine 2)
L’arrivo in Italia 3) Il percorso formativo 4) Il lavoro e la vita familiare 5) La vita sociale 6)
I rapporti con i servizi sociali 7) La conciliazione. proposte e suggerimenti 8) Informazioni
integrative a supporto della comprensione delle risposte fornite
L’intervistatrice è invitata ad annotare anche sue osservazioni che risultino durante lo
svolgimento dell’intervista.
Sezione 1: Il Paese di origine
1.1. Da dove viene? (indicare città, zona urbana, periferica o rurale del Paese di provenienza)
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
1.2. Da quanto tempo è in Italia?
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
1.3 Stato civile prima di partire per l'Italia. (indicare se coniugata o celibe)
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
1.4. Se ci sono figli, dove sono nati? (se nel Paese di origine o in Italia)
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
Progetto “DALIA: Donne immigrate in Armonia fra Lavoro e Impegni fAmiliari”: la ricerca
Rif. P.A. 2003 - 0096/Rer Delibera RER n. 1168 del 23/06/2003
3
1.5. Per quale motivo è venuta in Italia?
a) lavoro
†
b) ricongiungimento familiare
†
c) altro (specificare)
†
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
1.6. La scelta della partenza è maturata insieme al marito?
Si
†
No
†
(in questo caso indicare chi ha deciso la partenza)
____________________________________________________
____________________________________________________
____________________________________________________
1.7. Come ha vissuto la partenza dal paese di origine? (indicare sensazioni, stati d’animo e
difficoltà…)
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
1.8. Quali studi ha fatto nel paese di origine e quale titolo di studio ha conseguito?
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
Progetto “DALIA: Donne immigrate in Armonia fra Lavoro e Impegni fAmiliari”: la ricerca
Rif. P.A. 2003 - 0096/Rer Delibera RER n. 1168 del 23/06/2003
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1.9. Ha avuto esperienze lavorative nel Paese di origine?
Si
† (se si, quali?)
No
†
·
____________________________________________________________________
·
____________________________________________________________________
·
____________________________________________________________________
2) Sezione 2: L’arrivo in Italia
2.1. Come è arrivata in Italia? (specificare le modalità: sola, accompagnata, con i documenti già in
regola oppure si è regolarizzata successivamente all’arrivo in Italia*)
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
*L’intervistatrice dovrebbe tener conto di quest’aspetto poiché vissuti e difficoltà sono stati diversi per chi è
arrivata regolarmente e chi, invece, è entrata irregolarmente e si è regolarizzata in seguito.
2.2. Conosceva la lingua italiana al momento dell’arrivo?
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
2.3. Come è stato il primo impatto con la realtà italiana? Il suo vissuto? (specificare se ha
avuto difficoltà linguistiche, se si è sentita isolata o ben accolta, etc…)
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
Progetto “DALIA: Donne immigrate in Armonia fra Lavoro e Impegni fAmiliari”: la ricerca
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2.4. Quali sono le difficoltà che ha incontrato? (specificare se difficoltà di carattere culturale,
religioso, linguistico, di ricerca dell’abitazione, logistico, ecc…)
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
3) Sezione 3: Formazione
3.1. Da quando è Italia ha seguito qualche corso di formazione professionale?
Si
•
†
No
†
Se sì:
Quale? (specificare che tipo di corso, che tipo di tematiche/materie affrontate, durata, settore di
attività)
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
Presso quale Ente/organismo?
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
3.2. Quali difficoltà ha incontrato durante il corso? (specificare se si tratta di difficoltà di tipo
logistico, spostamento verso la sede di svolgimento del corso, di affidamento della prole o di tipo
linguistico/culturale/religioso)
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
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3.3. E’ riuscita a conciliare attività formativa e vita familiare? Se sì, come ha fatto? Chi la
ha aiutata?
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
3.4. Quali suggerimenti potrebbe dare a chi organizza corsi di formazione per donne
immigrate per migliorare la partecipazione delle stesse alla formazione?
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
4) Sezione 4: Lavoro e vita familiare
4.1. Attualmente Lei lavora?
Si
•
†
No
†
Se sì:
-
per necessità economica?
†
-
per scelta?
†
-
che tipo di lavoro fa? __________________________________
-
nell’azienda ci sono più uomini o donne? ___________________
-
se ci sono altre donne immigrate nell’azienda, come sono i rapporti che si sono
creati?
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
Progetto “DALIA: Donne immigrate in Armonia fra Lavoro e Impegni fAmiliari”: la ricerca
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4.2. La Sua cultura e la Sua religione impediscono alla donna di lavorare?
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
4.3. E’ riuscita a conciliare lavoro e vita familiare? Chi l’ha aiutata?
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
4.4. Quali sono le maggiori difficoltà che incontra o che ha incontrato nella ricerca del
lavoro, oppure sul lavoro? (specificare se si tratta di difficoltà di tipo logistico, di affidamento dei figli o
di tipo linguistico/culturale/religioso)
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
4.5. Quali sono, secondo Lei, le maggiori difficoltà che incontrano quotidianamente le
donne immigrate nel combinare lavoro e vita familiare?
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
Progetto “DALIA: Donne immigrate in Armonia fra Lavoro e Impegni fAmiliari”: la ricerca
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4.6. Come si può risolvere, secondo Lei, il problema del rapporto/conciliazione tra lavoro e
vita familiare?
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
4.7. Conosce il Servizio provinciale per l'Impiego?
-
Si
†
No
†
Se sì: che tipo di aiuto Le ha dato?
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
Sezione 5: Vita sociale
5.1. Ha delle amiche del suo Paese qui in Italia? Le frequenta? Dove?
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
5.2. Ha delle amiche italiane? Come e quando le incontra?
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
5.3. Frequenta qualche Associazione, circolo sociale o culturale?
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
Progetto “DALIA: Donne immigrate in Armonia fra Lavoro e Impegni fAmiliari”: la ricerca
Rif. P.A. 2003 - 0096/Rer Delibera RER n. 1168 del 23/06/2003
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_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
5.4. Ha dei parenti con Lei in Italia? Può contare su di loro per conciliare vita familiare e
lavorativa? La possono aiutare?
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
5.5 Quali sono le difficoltà maggiori che incontra ora nella Sua vita quotidiana?
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
Sezione 6: Rapporti con i servizi sociali
6.1. Conosce i servizi sociali del territorio?
Si
†
No
†
Se sì, quali?
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
6.2. Ha avuto contatto con i servizi? Che tipo di richiesta ha rivolto loro?
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
Progetto “DALIA: Donne immigrate in Armonia fra Lavoro e Impegni fAmiliari”: la ricerca
Rif. P.A. 2003 - 0096/Rer Delibera RER n. 1168 del 23/06/2003
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_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
6.3. Che tipo di risposta e di aiuto ha ricevuto?
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
6.4. Quali difficoltà ha incontrato nei rapporti con i servizi? (linguistica, atteggiamento degli
operatori, farsi capire…)
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
Sezione 7: Conciliazione e proposte
7.1. Quali sono le Sue proposte per favorire la conciliazione tra lavoro e vita familiare delle
donne immigrate?
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
7.2. Cosa potrebbero fare, secondo Lei, i servizi per favorire l'ingresso delle donne
immigrate nel mondo del lavoro?
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
Progetto “DALIA: Donne immigrate in Armonia fra Lavoro e Impegni fAmiliari”: la ricerca
Rif. P.A. 2003 - 0096/Rer Delibera RER n. 1168 del 23/06/2003
11
7.3. Cosa, invece, possono fare le donne immigrate e italiane per aiutarsi reciprocamente?
Crede che ci siano delle possibilità di collaborazione? Quali sono i Suoi suggerimenti in
proposito?
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
Firma del rilevatore/ricercatore
_____________________________
Progetto “DALIA: Donne immigrate in Armonia fra Lavoro e Impegni fAmiliari”: la ricerca
Rif. P.A. 2003 - 0096/Rer Delibera RER n. 1168 del 23/06/2003
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DALIA: Donne Immigrate in Armonia fra Lavoro e Impegni fAmiliari
Ricerca sui fabbisogni specifici di interventi finalizzati alla conciliazione
delle esigenze lavorative e familiari delle donne immigrate
Asse E - Misura E.1 Ob. 3 – Rif. P.A. 0096
DOCUMENTO DI LAVORO
Griglia di intervista per gli Operatori dei Servizi
Progetto “DALIA: Donne immigrate in Armonia fra Lavoro e Impegni fAmiliari”: la ricerca
Rif. P.A. 2003 - 0096/Rer Delibera RER n. 1168 del 23/06/2003
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Anagrafica servizio
Data intervista: ___________
Luogo intervista: __________________________
Nome dell’intervistatore: _____________________________
Nome estensore report (se diverso dall’intervistatore): ________________________________
Tipologia di servizio intervistato: ______________________________________________
Operatore/i intervistato/i:
·
Nome e Cognome: ______________________________________________
·
Ruolo nell’ambito del servizio: _____________________________________
·
Num tel. ________________________ Fax ___________________________
·
E-mail:__________________________
Griglia di intervista
1) Quali rapporti intrattiene il Suo/Vostro servizio con l'utenza immigrata? (indicare i servizi
rivolti specificatamente ad utenza immigrata)
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
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_________________________________________________________________________
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_________________________________________________________________________
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Progetto “DALIA: Donne immigrate in Armonia fra Lavoro e Impegni fAmiliari”: la ricerca
Rif. P.A. 2003 - 0096/Rer Delibera RER n. 1168 del 23/06/2003
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2) Chi sono gli immigrati che frequentano il Servizio?
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_________________________________________________________________________
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_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
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_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
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_________________________________________________________________________
3) Qual'è la frequenza con la quale si presentano le donne immigrate ? Quale tipo di
richieste fanno?
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_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
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4) Quali difficoltà incontra il Suo/Vostro servizio con tale tipologia di utenza? (indicare le
difficoltà che si presentano con maggiore frequenza con utenza immigrata femminile)
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
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Progetto “DALIA: Donne immigrate in Armonia fra Lavoro e Impegni fAmiliari”: la ricerca
Rif. P.A. 2003 - 0096/Rer Delibera RER n. 1168 del 23/06/2003
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5) Esistono servizi finalizzati a soddisfare i fabbisogni di conciliazione fra lavoro e cura
della famiglia, specifici per donne immigrate?
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
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6) Gli operatori del Suo/Vostro servizio hanno seguito recentemente corsi di
aggiornamento o di formazione sui temi dell’immigrazione e della conciliazione?
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7) Cosa sa della mediazione culturale? e cosa, invece, pensa sarebbe utile sapere per
poter offrire un servizio più adeguato a tale tipologia di utenza?
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Progetto “DALIA: Donne immigrate in Armonia fra Lavoro e Impegni fAmiliari”: la ricerca
Rif. P.A. 2003 - 0096/Rer Delibera RER n. 1168 del 23/06/2003
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8) E’ presente un mediatore culturale nel Suo/Vostro servizio? Quale ruolo svolge? Si tratta
di un mediatore o di una mediatrice?
Si
No
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Se sì:
9) Giudica/ate soddisfacente l’operato del/i mediatore/i culturale/i? Se no, quali, secondo
Lei/Voi, possono essere le difficoltà che incontra il mediatore culturale nel suo rapporto
con l’utenza immigrata?
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10.1. Quali sono le problematiche che incontra con le donne immigrate che vengono nel
suo servizio?
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Progetto “DALIA: Donne immigrate in Armonia fra Lavoro e Impegni fAmiliari”: la ricerca
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10.2. Viene affrontato il tema della conciliazione lavoro-famiglia per le donne immigrate?
Se sì, in quale modo?
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10.3. Quali suggerimenti può dare per migliorare le risposte del servizio a questo tipo di
bisogno?
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Progetto “DALIA: Donne immigrate in Armonia fra Lavoro e Impegni fAmiliari”: la ricerca
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