DALIA: Donne Immigrate in Armonia fra Lavoro e
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DALIA: Donne Immigrate in Armonia fra Lavoro e
DALIA: Donne Immigrate in Armonia fra Lavoro e Impegni Familiari Ricerca sui fabbisogni specifici di interventi finalizzati alla conciliazione delle esigenze lavorative e familiari delle donne immigrate Asse E - Misura E.1 Ob. 3 - Rif. P.A. 2003/0096 Relazione finale ricerca 1 Ente promotore ed attuatore EFESO Soc. Coop. A.r.l. – Viale Aldo Moro 16 – 40127 Bologna Tel. 051/60 23 111 – Fax 051/60 14 873 e.mail [email protected] - sito web: www.efeso.it Alla realizzazione del Progetto DALIA (Donne Immigrate in Armonia fra lavoro e Impegni fAmiliari), hanno partecipato, in qualità di componenti il Comitato di Pilotaggio: Andrea Cerino (Responsabile di progetto) Laura Cavina (Progettista e coordinatrice del progetto di ricerca) Alain Goussot (Responsabile Tecnico-scientifico della ricerca) Nicoletta Casadei (Resp.le Efeso Forlì) Claudia Castellucci (Resp.le Centro Donna Forlì) Carmela Grezzi (Referente Progetto DALIA Regione Emilia-Romagna). Alla Fase di indagine sul campo hanno partecipato: Alain Goussot (Responsabile tecnico-scientifico ricerca) Cristina Ghitescu (Intervistatrice – Territorio di Rimini) Aitoubih Khadija (Intervistatrice – Territorio di Imola) Cinzia Zavatti (Intervistatrice – Territorio di Forlì) Cristina Piccinini (Intervistatrice – Territorio di Modena ) Nishu Varma (Intervistatrice – Territorio di Reggio-Emilia) Alla Redazione del Rapporto di ricerca hanno partecipato: Alain Goussot (Responsabile tecnico-scientifico ricerca) Laura Cavina (Efeso) Andrea Cerino (Efeso) Si ringraziano per la preziosa collaborazione prestata nell’attività di ricerca: Modena Formazione Associazione Trama di Terre – Imola Cooperativa Spazi Mediani - Forlì 2 Indice Premessa pag. 05 1. Il Progetto integrato DALIA pag. 06 1.1 Progetti che compongono il progetto integrato DALIA 1.2 Contesto di riferimento 1.3 Finalità e obiettivi del progetto integrato pag. 06 pag. 08 pag. 12 2. Il progetto di ricerca DALIA pag. 15 2.1 2.2 2.3 pag. 15 pag. 19 pag. 21 Contesto di riferimento Finalità e obiettivi Fasi della ricerca 3. Ricerca desk: studi ed esperienze realizzate pag. 22 3.1 3.2 3.3 3.4 3.5 3.6 3.7 pag. 22 pag. 24 pag. 26 pag. 28 pag. 31 pag. 33 pag. 37 Conciliazione fra tempi di lavoro e impegni familiari Fattori che rendono difficile la conciliazione Donne immigrate e conciliazione delle esigenze lavorative e familiari Donne immigrate tra famiglia e lavoro: la conciliazione possibile Donne immigrate e conciliazione: variabili di contesto Esperienze di buone pratiche in tema di conciliazione Schede di esperienze di buone pratiche in tema di conciliazione 4. Metodologia della ricerca pag. 44 4.1 4.2 4.3 4.4 4.5 pag. 44 pag. 45 pag. 47 pag. 51 pag. 52 Premessa metodologica Modalità di conduzione delle interviste alle donne immigrate Il campione Tipologie dei servizi territoriali presi a campione Elaborazione ed analisi dei dati 5. L’analisi dei dati raccolti: le donne immigrate 5.1 5.2 5.3 5.4 5.5 Ripartizione quantitativa del campione intervistato per “criteri di selezione” Codifica dei dati rilevati Fattori critici in materia di conciliazione lavoro-famiglia Brevi storie di vita di donne immigrate Difficoltà e problematiche emergenti: considerazioni e proposte pag. 55 pag. 55 pag. 61 pag. 64 pag. 69 pag. 77 3 6. L'analisi dei dati raccolti: operatori dei servizi territoriali pag. 98 6.1 6.2 6.3 pag. 98 pag.100 pag.104 Ripartizione per tipologie di servizio e figure professionali Le problematiche emerse nella relazione con le donne immigrate Le proposte degli operatori dei servizi per favorire la conciliazione 7.Considerazioni finali pag.107 8. L'interculturalità al centro della conciliazione pag.111 Note bibliografiche pag.115 Appendice Strumenti di rilevazione: questionari d'intervista 4 PREMESSA La scelta del fiore della Dalia, come acronimo, che dà il titolo al progetto, non è stata casuale: in un momento in cui era forte la tendenza a intitolare i progetti con i nomi dei fiori, la Dalia ci è sembrata essere quella che maggiormente si identificava con il target del progetto, le donne immigrate e la problematica indagata, i problemi che incontrano le donne immigrate ad adattarsi e integrarsi su un determinato territorio a causa soprattutto delle difficoltà di conciliare i tempi di lavoro e di cura. La Dalia, infatti, è originaria del Messico, paese dal quale fu importata in Europa, probabilmente da un botanico svedese, con grandi difficoltà dovute al lungo viaggio che i bulbi erano costrette ad affrontare; arrivata nel nostro continente incontrò inoltre molte difficoltà di adattamento. 5 1. IL PROGETTO INTEGRATO DALIA 1.1 PROGETTI CHE COMPONGONO IL PROGETTO INTEGRATO DALIA Il progetto integrato “DALIA – Donne immigrate in Armonia fra Lavoro e Impegni Familiari”, nella sua articolazione originaria, prevedeva complessivamente tre progetti, uno in capo al proponente originario, Modena Formazione, e due al partner di progetto EFESO. Il progetto nasce, infatti, dalla progettazione congiunta, nell’ambito del POR 2003, di EFESO e Modena Formazione, che ne è stato inizialmente il capofila proponente. Successivamente, in sede di valutazione ed approvazione delle proposte progettuali da parte dell’Amministrazione regionale – “Assessorato Scuola, Formazione professionale, Università, Lavoro e Pari opportunità”, l’integrato è stato approvato con modifiche rispetto all’articolazione originaria: il progetto in capo a Modena Formazione (la messa a punto di un modello di sportello di accoglienza e consulenza rivolto a donne immigrate) non ricevendo approvazione né totale né parziale, ha fatto sì che la titolarità del progetto integrato (formato quindi dai due progetti rimanenti) passasse al partner EFESO, che ha assunto definitivamente e a tutti gli effetti il ruolo di capofila del progetto stesso. Più specificatamente, con Delibera di Giunta Regionale n. 1168 del 23/06/2003 sono state approvate le 2 seguenti attività progettuali, la prima da classificarsi nell’ambito delle Azioni di Sistema, la seconda in quello degli Aiuti alle Persone: 1. “DALIA: ricerca sui bisogni specifici di interventi finalizzati alla conciliazione delle esigenze lavorative e familiari delle donne immigrate” (rif. P.A. 2003-0096), di cui tale report rappresenta la conclusione e il supporto di diffusione dei risultati; 2. “DALIA: interventi formativi per donne immigrate” (rif. P.A. 2003-0097), attualmente in corso di svolgimento presso la sede territoriale di EFESO – Forlì. I territori inizialmente indicati nel progetto originario come territori cui rivolgere la globalità delle azioni progettuali (di ricerca e di formazione) erano quelli di Bologna, Modena, Parma, Forlì-Cesena e Rimini; venendo a mancare il proponente originario della proposta progettuale, comunque coinvolto sin dall’avvio del progetto di ricerca nelle attività di realizzazione delle 6 interviste per il territorio di Modena, sono stati variati anche i territori sui quali si era previsto di svolgere la ricerca stessa, anche alla luce delle osservazioni e delle riflessioni fatte durante la prima riunione del progetto dalla persona designata da EFESO quale Responsabile tecnico della ricerca, che ha reputato maggiormente interessante, per il focus specifico della stessa, il coinvolgimento del territorio di Reggio-Emilia, al posto di quello di Parma, e del territorio di Imola e dintorni piuttosto che quello dell’intera provincia di Bologna. Con riferimento al primo progetto (1), la tipologia di ricerca, assai innovativa per gli ambiti che indaga ed i contenuti che tratta, ha inteso caratterizzarsi sin dalla fase della sua progettazione come ricerca azione partecipata, come attività, quindi, che consente al tempo stesso di indagare l’ambito prescelto, cioè i tempi di lavoro e cura delle donne immigrate e la loro possibile conciliazione, e di stimolare il più possibile il coinvolgimento delle stesse, dei referenti istituzionali e dei rappresentanti di organismi associativi di varia natura. Scopo fondamentale di questo tipo di ricerca non è solo quello di ottenere una semplice fotografia del contesto definito come ambito di indagine, ma di avviare delle dinamiche che tendano alla soluzione dei problemi e ad evidenziare potenzialità latenti ed inespresse di persone, istituzioni e gruppi presenti sul territorio. In questa ottica, gli strumenti tradizionali di ricerca utilizzati nel corso dell’intervento (interviste e focus group) devono essere interpretati come veicoli di trasmissione di messaggi, più che come mezzi per la rilevazione oggettiva di dati e raccolta di informazioni e in tale senso la ricerca azione rappresenta un approccio fondamentale di animazione all’interno di un territorio o di un ambito sociale. Il taglio che si è inteso dare alla ricerca all’interno del progetto Dalia è quello di “ricerca sociale attivante”, ossia un tipo di indagine che voglia farsi spunto di riflessione e motore di cambiamento. A tal fine l’impostazione che si è voluta dare sin dall’inizio è altamente operativa e le attività sono state pensate in modo da coniugare indagine, mirante a far emergere le problematiche riguardanti la conciliazione dei tempi, di lavoro/formazione e cura della propria famiglia, delle donne immigrate, ed intervento, mirante a definire le soluzioni adeguate creando un terreno fertile per la loro attuazione. Il progetto ha quindi previsto un’attività sperimentale (fase 6), con l’obiettivo di fornire una prima risposta concreta al problema oggetto di indagine. Tale attività sperimentale, unitamente agli “interventi formativi per donne immigrate” (2), sono stati affidati alla sede operativa di EFESO Forlì in virtù della ricca esperienza maturata sulle specifiche tematiche di genere e dell’immigrazione al femminile. 7 La fase 6 si colloca all’interno del progetto di ricerca, anche se è tuttora in atto poiché la sperimentazione sul territorio di Forlì è stata solo recentemente avviata. Entrambe le attività progettuali sopracitate, hanno richiesto alcune modifiche nelle loro caratteristiche essenziali: per quanto riguarda gli Interventi formativi per donne immigrate” è stato modificato il numero di partecipanti per ciascuna edizione in maniera da consentire raggruppamenti più snelli ed agevolare in tal modo lo svolgimento dei colloqui orientativi, inoltre due dei quattro sottoprogetti previsti sono stati riaccorpati in un unico sottoprogetto; la fase 6 della ricerca, che originariamente doveva prevedere la sperimentazione di uno “spazio maternage”, è stata invece modificata ed ampliata in funzione dell’apertura del Centro Multiculturale per Donne “Casa del Gelsomino”, inaugurato da poche settimane presso il Comune di Forlì (partner di progetto), grazie alla preziosa collaborazione del Centro Donna della medesima istituzione, che vanta una grande esperienza nell’ambito delle attività a favore dell’integrazione delle donne immigrate sul territorio forlivese. 1.2. CONTESTO DI RIFERIMENTO La suddivisione totalmente squilibrata del lavoro di cura all'interno della famiglia fra uomini e donne è oggi uno dei più forti elementi di disuguaglianza nello scenario sociale italiano. Le donne "multiruolo", come le chiama l'Istat, sono quelle che sommano le ore di lavoro familiare a quello extradomestico: più della metà delle occupate con figli raggiunge 60 ore di lavoro complessivo per settimana e il 38% arriva a cumulare oltre le 70 ore settimanali. Fra gli uomini solo il 15% raggiunge la soglia delle 60 ore e risulta essere il 21,4% dei padri con bambini fino a due anni, che si occupa quotidianamente di loro. Le analisi e le ricerche economiche stentano a inserire fra gli indicatori economici quello di genere, ma studi recenti hanno stabilito che il lavoro non retribuito, quello destinato, cioè, alla gestione della vita quotidiana, equivale economicamente al lavoro remunerato, e ciò permette una quantificazione del contributo che le donne apportano al cosiddetto "reddito esteso" della famiglia. In questi anni il lavoro di cura ha subito profonde trasformazioni: nel senso comune viene considerato in diminuzione, ma il senso comune tende ancora e sempre a minimizzare, sottovalutare, non vedere il lavoro di cura. Il fatto che sia cambiato non significa affatto che sia diminuito, al contrario, bisogna partire dalla presa di coscienza di una aumento forte della 8 complessità del lavoro familiare avvenuta in questi anni. Da un lato sono aumentati i soggetti che richiedono attività di cura: i figli continuano a vivere con i genitori nella famiglia d’origine e gli anziani non autosufficienti hanno bisogno di un sistema di copertura continuo che nella stragrande maggioranza dei casi è fornito dalle famiglie. Dall’altro lato le operazioni di cura stanno diventando sempre più complesse. Se si tentasse di disaggregare tale tipologia di lavoro nelle sue molte mansioni, funzioni ed azioni di cui è formato si potrebbe addivenire ad una definizione di “lavoro multiplo”: lavoro materiale della cura della casa, lavoro di consumo (le donne come mediatrici tra mercato privato e bisogni della famiglia), lavoro di relazione (attenzione, risoluzione dei conflitti interni alla famiglia e con l’esterno), lavoro di manutenzione dell’apparato tecnologico domestico, lavoro di mediazione con le istituzioni e le agenzie del welfare (nidi, scuole, ospedali, ecc.), lavoro di amministrazione e lavoro soprattutto di organizzazione complessiva delle diverse voci che lo compongono. Si tratta di un lavoro che ritaglia le sue continue ridefinizioni sui cambiamenti demografici e quindi ha a che fare con il ciclo di vita sia delle famiglie sia degli individui. Se consideriamo le due punte estreme della popolazione, i bambini e gli anziani, i bambini sono sempre di meno, gli anziani sempre di più. Specularmente, l’altro grande evento demografico, cioè l’aumento esponenziale della durata della vita, espone gli anziani ad un’ultima fase di vita ad alto rischio di non autosufficienza e quindi a richieste di cura costanti, ineludibili, totalizzanti. Più che in altri Paesi europei (e il Rapporto Onu per la Conferenza di Pechino l’ha ampiamente dimostrato), in Italia scontiamo non solo una reale arretratezza nella condivisione del lavoro di cura, ma questo "lavoro in più" viene scarsamente tematizzato, non diventa motivo di interrogazione e di scandalo, è un dato acquisito. Non esiste una visione sociale condivisa, una rappresentazione innovatrice dei rapporti tra famiglia e lavoro: le eventuali contraddizioni sono patrimonio sofferto delle soggettività femminili o interrogazioni retoriche sul perché le donne non fanno più figli e gli uomini appaiono più come soggetti passivi che come soggetti attivi di cambiamento. Se si prende come perno centrale la qualità della vita quotidiana di uomini e donne, di bambini e anziani, tenendo fermo l’assunto che la qualità della vita non si gioca più solo sul reddito ma anche e fondamentalmente sul tempo, è evidente che attorno ad esso si dispongono, in modo sinergico o oppositivo, i fattori o i sistemi di fattori che vi interagiscono in modo diretto. Da un 9 lato i tempi e le forme dell’organizzazione del lavoro per il mercato, dall’altro i tempi e le forme del lavoro di cura e le modalità di condivisione tra uomini e donne. Dall’altro ancora i tempi e le forme della vita sociale allargata, i tempi della città e le modalità dei servizi. Spesso sia nelle ricerche sia nel dibattito pubblico i diversi fattori vengono analizzati isolatamente: i tempi e gli orari di lavoro interessano le aziende, i lavoratori e le lavoratrici; i tempi e gli spazi delle città interessano gli urbanisti, i cittadini, soprattutto le donne, e le amministrazioni pubbliche i tempi della condivisione della cura investono le relazioni private e gli equilibri privati che le coppie e le famiglie cercano faticosamente di costruire In realtà la vera novità di oggi sta nella fine del regime separato dei tempi e quindi nella necessità di mettere a punto una convergenza favorevole delle politiche che riguardano la vita quotidiana delle donne e degli uomini. Da qui l’urgenza di "misure di conciliazione", che consistono in tutte quelle facilitazioni che intenzionalmente o no, sostengono la combinazione di “lavoro pagato” e responsabilità di cura (che può essere, a ragione, inteso come “lavoro non pagato”). All’inizio degli anni ‘90 comincia ad essere introdotto nei documenti ufficiali della Unione europea il termine “conciliazione”, intendendo per conciliazione la volontà di predisporre direttive, informative, raccomandazioni, suggerimenti ai diversi Paesi perché adottino misure in grado di salvaguardare la possibilità di conciliare la vita famigliare con la vita lavorativa. La “conciliazione” rappresenta una grande opportunità per tutti, donne e uomini, per cominciare a riprogettare un modello di vita che sia più compatibile ed equilibrato, anche rispetto all'uso delle risorse personali, il tempo in primo luogo. Tra gli strumenti che sono stati studiati, messi a punto e sperimentati, si possono citare: - strumenti che riducono o articolano diversamente il tempo di lavoro (part-time nelle sue diversissime articolazioni; job sharing, banche del tempo; flessibilità in entrata e uscita, telelavoro, lavoro a term-time, ecc… - strumenti che liberano tempo (articolazioni differenziati dei congedi parentali, congedi di paternità, schemi di interruzione di carriera, nidi aziendali, strutture di supporto aggiuntive per bambini e anziani ecc. ecc.) - strumenti che formano una diversa cultura sul tempo (formazione, mentoring sulle carriere in relazione alle responsabilità di cura,presenza in azienda di coordinarori work-familiy, ecc) 10 Se molte sono le iniziative a favore della conciliazione dei “tempi delle donne”, nulla, però, è stato studiato e sperimentato per una nuova tipologia di utenza che negli ultimi anni merita di essere considerata, perché in netta crescita e perché bisognosa di aiuto e di interventi ad hoc: le donne immigrate. La presenza femminile è ormai diventata una componente importante del mondo dell'immigrazione: attualmente le donne immigrate rappresentano più del 40 % della popolazione straniera della nostra Regione, che in questo riflette la tendenza generale a livello nazionale. La “stanzializzazione” degli immigrati ed i conseguenti ricongiungimenti familiari avvenuti negli ultimi anni, ma anche l’arrivo di numerose donne singole dall’est dell’Europa, dall’Asia, dal Sud America, dal Nord Africa e dall'Africa subsahariana, rappresenta un fenomeno irreversibile. Le traiettorie migratorie di queste donne sono differenziate; dipendono dal punto di partenza, dalle condizioni dell’emigrazione e dalle difficoltà dell’immigrazione. Se la conciliazione tra tempi di lavoro e tempi di cura risulta una meta difficile da raggiungere per le donne italiane, lo è ancora di più per le donne immigrate. La migrazione, anche condotta nelle migliore condizioni e non spinta dall'emergenza economica o materiale, rappresenta sempre un momento di sofferenza poiché implica una ridefinizione del proprio progetto esistenziale, mettendo spesso in discussione la struttura “identitaria” della personalità. Questa problematica è spesso ancora più forte per le donne migranti che si trovano a doversi ridefinire nelle relazioni e negli affetti Per rispondere ai bisogni delle donne migranti diventa fondamentale un ripensamento del legame vita affettiva, famiglia e lavoro; spesso queste donne, esattamente come molte donne italiane in condizioni sociali simili, si trovano ad avere difficoltà a gestire la vita familiare se decidono di lavorare, lavoro spesso necessario per il sostegno economico dell’intero gruppo familiare, poiché le condizioni di lavoro presentano degli orari incompatibili con la vita familiare. La donna immigrata ha, come la donna italiana e forse ancora di più, un ruolo determinante all’interno del nucleo familiare: dà cura a tutti i familiari, garantisce la trasmissione tra generazioni delle conoscenze e delle pratiche ed opera in molti casi quale figura di integrazione sociale per l’intera rete di appartenenza, assicura i legami con la comunità di riferimento ed è maggiormente “flessibile” ai cambiamenti e “curiosa” nei confronti del mondo esterno che l’accoglie: è quindi una figura strategica all’interno della comunità, su cui è opportuno investire. 11 La situazione delle donne, soprattutto di quelle musulmane, sta indubbiamente migliorando, le donne stanno prendendo in mano la situazione, si muovono, escono di casa, vogliono lavorare, essere formate, diventare, insomma, soggetti attivi. Sta cambiando il loro ruolo e la loro posizione sia nella società di origine che in quella di accoglienza. Il fallimento di numerosi corsi di formazione rivolti a donne immigrate è legato al fatto di non riuscire a conciliare lavoro e vita familiare. A ciò occorre aggiungere l’assenza di un lavoro di supporto-accompagnamento psico-relazionale di queste donne durante il percorso: sostegno fondamentale per creare ascolto, senso di sicurezza e recupero dell’autostima. Il progetto di ricerca, nell’ambito del progetto integrato DALIA – Donne immigrate in Armonia fra Lavoro e Impegni Familiari, di cui tale report ne rappresenta la fase conclusiva, ha inteso focalizzarsi proprio sugli specifici fabbisogni delle donne immigrate della nostra regione in termini individuazione di possibili interventi di accompagnamento e di informazione che possano permettere a questa particolare e delicata tipologia di utenza di accedere al lavoro ed alla formazione, conciliano al contempo lavoro e vita familiare. L’intento era, inoltre, quello di estrapolare delle linee guida utili per gli operatori dei servizi che si occupano, direttamente o indirettamente di immigrazione al femminile, fine di identificare quali metodologie di inserimento lavorativo, ma soprattutto quale tipologie di servizi debbano essere create al fine di favorire la conciliazione dei tempi anche per le donne immigrate. 1.3 FINALITÀ E OBIETTIVI DEL PROGETTO INTEGRATO La finalità generale ed originaria del progetto integrato può essere riassunta nella messa a punto ed implementazione di misure attive atte a favorire l’inserimento lavorativo delle donne immigrate nel mercato del lavoro ufficiale, favorendo, o per lo meno indagando e proponendo, possibili modalità e forme di conciliazione dei tempi delle donne stesse, e fornendo, al contempo, un apporto allo sviluppo di una politica organica per l’immigrazione che è stata indicata dalla Regione Emilia-Romagna come un obiettivo prioritario della sua azione. Ricordando che la Regione Emilia-Romagna stessa ha indicato, fra i tre macro-obiettivi di riferimento della propria politica, la costruzione di relazioni positive, la garanzia di pari opportunità di accesso al mercato del lavoro e la tutela delle differenze di genere, al momento 12 della progettazione dell’integrato, si è ritenuto che intervenire in questo ambito rispondesse, appunto, essenzialmente a due aree di interesse che la Regione Emilia-Romagna indicava come prioritarie e sulle quali, di conseguenza, attraverso il bando regionale 2003 ha inteso “attirare” l’attenzione degli enti di formazione proponenti e richiedere loro la formulazione di proposte coerenti, ossia: 1. Le azioni per favorire l’occupabilità delle donne 2. L’emersione dal lavoro nero delle persone (in maggioranza donne straniere) che operano soprattutto nell’assistenza a domicilio alle persone 1. Di tutti i cambiamenti che hanno attraversato il mondo e l’Europa in particolare, negli ultimi 20 anni, la trasformazione nell’identità e nell’esperienza delle donne rappresenta uno dei fenomeni più significativi e diffusi, tanto che si può affermare che oggi le donne si trovano sicuramente in una condizione di vita migliore di quella delle proprie madri, sia dal punto di vista economico-sociale che per la possibilità di scelta autonoma nei percorsi personali, familiari, procreativi e di accesso alla formazione ed al lavoro.. In Italia e, in forma maggiore in Emilia Romagna, in quest’ultimo decennio è in costante aumento il tasso di attività femminile: sono aumentate sia le donne occupate che le disoccupate, ma l’accesso delle donne al mercato del lavoro retribuito è ancora estremamente complesso e variegato Gli aspetti di criticità collegati allo sviluppo dell’occupabilità femminile sono strettamente collegati al bisogno di conciliazione tra tempo di lavoro e tempi di vita, tra genitorialità e lavoro, che le donne manifestano. Sono criticità, infatti, che incidono pesantemente sulla dimensione soggettiva del lavoro e che, pur non rappresentando una problematica esclusivamente femminile, sono rilevanti soprattutto per le donne, in ragione del maggior carico che tuttora sostengono nell’attività di cura o nella vita familiare. Le donne immigrate, che molto spesso non possono nemmeno contare sulla presenza di una rete familiare cui appoggiarsi, in alcuni momenti particolarmente critici (come ad esempio la partecipazione ad attività formative o di istruzione) esprimono in modo certamente più enfatico questo bisogno anche se è facile pensare che esse rappresentino la punta dell’iceberg di questo bisogno di conciliazione. 2. L’analisi dei dati nel contesto regionale evidenzia che il fenomeno dell'immigrazione straniera è in crescita costante in Emilia Romagna. All’interno di questo fenomeno le donne 13 straniere rappresentano una percentuale continuamente in crescita sia per l’effetto dei ricongiungimenti familiari, sia per la domanda specifica rivolta espressamente a personale femminile, soprattutto nell’area dell’assistenza alle persone, anch’essa in costante aumento e che tende a caratterizzarsi come lavoro legalmente non riconosciuto. Tutto ciò provoca ricadute sia sulla necessità di qualificare il lavoro di cura (attraverso ad esempio lo strumento della formazione) sia sul favorire l’emersione dal lavoro irregolare attraverso l’individuazione di opportunità riconoscibili per la lavoratrice ed i datori di lavoro sia offrendo strumenti e servizi di sostegno accettabili per le lavoratrici immigrate. Sostanzialmente, nella sua formulazione ed articolazione originaria (i tre progetti) il progetto integrato DALIA intendeva perseguire la prima finalità, ossia il favorire l’occupabilità delle donne immigrate, attraverso l’indagine di nuove possibilità di conciliazione dei tempi ed attraverso l’implementazione di uno sportello di consulenza e informazione, mentre la seconda finalità, l’emersione dal lavoro nero delle donne straniere, attraverso interventi formativi specifici e la sperimentazione di nuove forme di conciliazione dei tempi. Più specificatamente, il progetto integrato intendeva raggiungere i seguenti obiettivi generali: Analizzare i bisogni specifici delle donne immigrate in termini di conciliazione individuando possibili ambiti e strumenti di intervento sperimentale Mettere a disposizione servizi preparati e competenti in grado di rispondere ai bisogni espressi dalle donne immigrate che si affacciano al lavoro o vogliono acquisire una condizione lavorativa più regolare Favorire la crescita della competenza delle strutture di servizio che operano nel settore, al fine di renderle maggiormente capaci di fornire informazioni, supporto e guida Contribuire a sviluppare una rete di servizi ed un sistema complessivo che accetti di confrontarsi con le necessità di conciliazione che queste persone esprimono Individuare strumenti, buone prassi e metodologie di lavoro trasferibili e compatibili con i nuovi sistemi di welfare locale che si stanno costruendo 14 2. IL PROGETTO DI RICERCA DALIA 2.1 CONTESTO DI RIFERIMENTO L’oggetto principale della presente ricerca è la problematica della conciliazione tra tempi di lavoro e vita familiare delle donne immigrate. Tale indagine qualitativa parte dalla considerazione generale, e di notevole importanza al momento attuale, dell’aumento della presenza delle donne immigrate sul nostro territorio regionale. I vari studi sul fenomeno migratorio in Italia, ed in particolare nella Regione Emilia-Romagna, dimostrano l'importanza crescente della componente femminile. Si tratta di una tendenza generale ma anche di un dato strutturale: effettivamente, negli ultimi cinque anni, nella nostra Regione si è assistito ad un progressivo riequilibrio tra la componente maschile e quella femminile nel mondo dell'immigrazione; l'arrivo delle donne attraverso il ricongiungimento familiare o attraverso la figura dello sponsor, in particolare tra il 1999 e il 2001, dimostra una tendenza progressiva al radicamento sul territorio delle comunità immigrate. L'arrivo delle donne, spesso accompagnate dai figli, indica un investimento sul futuro e sul nostro territorio da parte di numerose comunità immigrate, processo nel quale le donne hanno anche una funzione importante nel rendere stabile e radicato il fenomeno migratorio. Sul territorio regionale emiliano-romagnolo si trovano donne provenienti ormai da tutti i continenti con alcune provenienze geo-culturali più significative di altre: è il caso delle donne maghrebine musulmane, delle donne dell'Europa orientale, delle donne cinesi e indiane ma anche delle donne dell'Africa nera subsahariana, e ciò indica senza dubbio che l'universo femminile dell'immigrazione è variegato, articolato, differenziato al suo interno ed estremamente eterogeneo. Le donne immigrate, nella misura in cui sono portatrici di due “differenze”, quella relativa al sesso e quella culturale, rappresentano spesso un indicatore della condizione femminile più in generale: differenze che si incrociano e si sommano, rappresentando talvolta un impedimento all'inclusione sociale. Rispetto al “percorso migratorio” al femminile, compiuto dalle donne per arrivare nel nostro Paese, le donne immigrate, indipendentemente dall'origine e dal tipo di percorso migratorio che 15 le caratterizza, presentano anche punti in comune: tutte hanno vissuto la partenza, lo sradicamento, il viaggio e le difficoltà dell'inserimento nel territorio di arrivo e, nella maggior parte dei casi, si ritrovano al centro di un processo di riorganizzazione del sistema familiare, del rapporto di coppia e di quello con i figli. Catalogando e incrociando le diverse condizioni,è possibile individuare e prendere in esame molteplici tipologie di percorsi migratori e di situazioni, quali: la donna già sposata e con figli nati dal Paese di origine, arrivata in Italia per via del ricongiungimento familiare (in questo caso è il marito che, dopo essersi sistemato sul piano lavorativo e abitativo, si fa raggiungere dalla moglie rimasta nel Paese di origine); la donna giovane, appena sposata con un uomo del proprio Paese (il quale vive e lavora in Italia), che raggiunge il marito subito dopo il matrimonio (in questi i casi i figli nascono in Italia); la donna non sposata, arrivata da sola con l’aiuto dello “sponsor” (parenti o amici)(ex legge 40), la quale spesso conosce un connazionale che sposa in Italia; la donna arrivata da sola per motivi di lavoro che si sposa in Italia con un connazionale; la donna arrivata da sola per motivi di lavoro e si sposa con un altro immigrato (non necessariamente del proprio Paese di origine); la donna che si sposa nel proprio Paese con un Italiano e viene con lui a vivere in Italia; la donna che arriva da sola per motivi di lavoro e si sposa in Italia con un Italiano; la donna arrivata da sola, come irregolare, che si regolarizza attraverso la sanatoria (l’ultima possibilità di regolarizzazione per le cosiddette “badanti”); la donna arrivata da sola per motivi di lavoro, la quale dopo essersi sistemata sul piano lavorativo e abitativo si fa raggiungere dal marito rimasto nel Paese di origine e dai figli (spesso si tratta di donne provenienti dell'Europa orientale o dalle Repubbliche dell’ex-Unione Sovietica). Quelle elencate sopra costituiscono solo alcune delle possibili tipologie di “percorsi migratori femminili” che rivestono una forte importanza nel processo di inserimento sociale e lavorativo delle donne immigrate su un territorio, impattando sia come elementi a favore (fattori propulsivi), che come elementi di ostacolo (vincoli). 16 Ad oggi, la componente femminile rappresenta circa il 50% del fenomeno migratorio in Italia: le donne svolgono, infatti, un ruolo importante sotto diversi aspetti: a) costituiscono spesso manodopera disponibile a basso costo; b) sono il centro vitale della riorganizzazione familiare; c) rappresentano il sostegno fondamentale sul piano della cura e dell'educazione dei figli; d) costituiscono il vettore più importante del radicamento e della stabilizzazione del fenomeno migratorio sul nostro territorio. Le donne immigrate incontrano però notevoli difficoltà d'inserimento sia sul piano sociale che su quello lavorativo: spesso sono, infatti, quelle che hanno maggiori difficoltà linguistiche poiché molte di loro provengono (soprattutto per quanto riguarda le donne maghrebine, africane e asiatiche) da ceti con un basso livello di scolarizzazione, hanno quindi minori occasioni di socializzazione e spesso vivono una qualche forma di isolamento. Sul piano lavorativo devono fare i conti con la vita familiare, i figli e la gestione della casa; per la maggioranza di loro il doppio lavoro (all’interno e all’esterno della casa) è una costante e ciò tende in molti casi ad ostacolare la possibilità di conciliare casa e lavoro. Non si può tuttavia generalizzare, nella misura in cui ogni donna ha una sua storia personale, un suo vissuto “particolare”, una sua traiettoria migratoria specifica ed anche il fatto di provenire dallo stesso Paese o dalla medesima area geo-culturale, non significa necessariamente incontrare le stesse difficoltà: così, si può incontrare la donna marocchina sposata, con figli, e arrivata all'età di 38 anni in Italia, con un basso livello di scolarizzazione e proveniente da una zona rurale, e la giovane donna marocchina con titolo di studi superiori, arrivata sola in Italia per motivi di lavoro, come anche la donna marocchina arrivata dalla città, giovane e scolarizzata, ecc… Questi esempi possono essere moltiplicati all'infinito per tutte le donne immigrate provenienti da tutti gli orizzonti culturali: ciò vale infatti anche per le africane nere, le cinesi, le indiane, le sud-americane, e in una certa misura anche per le donne provenienti dall'Europa orientale. Tra queste ultime troviamo spesso donne con un buon livello di scolarizzazione e con modelli culturali non troppo lontani da quelli italiani. In breve, per ragionare sulla conciliazione tra lavoro e vita familiare, non si può prescindere dalla considerazione e dall’analisi di tutte queste variabili. 17 La maggior parte delle ricerche sull'immigrazione al femminile hanno anche dimostrato il fatto che le donne immigrate, indipendentemente dal titolo di studio, si collocano molto spesso sui segmenti bassi del mercato del lavoro: in genere svolgono i lavori più umili, meno qualificati e spesso più pesanti (è il caso delle cosiddette badanti). E’ quanto ha analizzato molto bene la sociologa Saskia Sassen nel suo recente libro "Globalizzati e scontenti - il destino delle minoranze nel nuovo ordine mondiale"; in un capitolo dedicato alla nuova domanda di lavoro, la scrittrice parla delle condizioni per l'assorbimento sociale e l’inserimento lavorativo delle donne immigrate in Occidente e negli Stati Uniti, mettendo in evidenza la transizione da un'economia dominata da un settore industriale forte ad una economia di servizi; questa ultima aumenta la quota dei posti di lavoro a bassa retribuzione e ad alto tasso di precarietà. Per Saskia Sassen: "l'occupazione salariata nell'economia dei servizi rappresenta per molte donne immigrate una prima esperienza di mercato del lavoro" e questo tipo di domanda avviene nei settori più precari, dequalificati e a basso costo. "Oggi - scrive la Sassen - l'immigrazione delle donne non è più, come una volta, portato dalla parentela. Esistono condizioni oggettive che creano una domanda di manodopera femminile, data la tipizzazione delle mansioni a secondo del sesso e minori livelli retributivi delle donne. La transizione all'economia dei servizi e la dequalificazione di molte mansioni indotta dalla tecnica hanno determinato l'espansione di tipologie di lavoro “associate” alla manodopera femminile. Usando il termine liberamente, si potrebbe dire che si è verificata non soltanto una crescente partecipazione femminile alla forza lavoro, ma anche una "femminilizzazione" dei posti di lavoro offerti”. Il mercato e la sua domanda svolgono una funzione di attrazione della manodopera immigrata femminile. Questa analisi di Saskia Sassen descrive molto bene quello che succede anche in Italia, e in particolare in Emilia-Romagna, cioè l'assorbimento della forza lavoro femminile immigrata nei segmenti dell'economia dei servizi a basso costo, scarsamente tutelato e precario. I lavori di "badante", di “donna delle pulizie” o di “assistente agli anziani” esprimono una condizione assai diffusa della situazione lavorativa di molte donne immigrate ma, al contempo, esprimono anche una domanda. 18 2.2 FINALITA’ E OBIETTIVI DELLA RICERCA In questi ultimi anni, molte ricerche si sono concentrate sull'inserimento al lavoro degli immigrati in generale, e delle donne in particolare: la ricerca in questione non è tuttavia incentrata sull'oggetto lavoro ma sulla relazione tra lavoro e famiglia, e, più specificatamente, sulle possibilità di conciliare i tempi che le donne immigrate dedicano alla cura della famiglia, spesso di tipo “allargato”, quelli dedicati al lavoro ed alla propria formazione. La presente ricerca ha quindi l'obiettivo di indagare e comprendere, partendo da queste diverse variabili, quali sono i problemi che le donne immigrate incontrano nel conciliare lavoro e vita familiare, quali i nodi critici e quali possano essere le possibili soluzioni a tali problematiche. Il tema della conciliazione è un tema che riguarda tutte le donne, immigrate e autoctone: si tratta anche di una questione antica della condizione sociale della donna, dei suoi diritti come cittadina e lavoratrice. Nel caso delle donne immigrate ci troviamo di fronte ad un fenomeno prodotto dalla globalizzazione capitalistica: migliaia di donne arrivate da tutti i continenti per ricongiungimento o per lavoro tentano di essere insieme donne, cittadine e lavoratrici, cercando di vivere con dignità la loro condizione di migranti nel nostro paese e nella nostra Regione. Le finalità della ricerca sono quindi, al contempo, di natura fenomenologica e di natura propositiva: l’intento è quello di indagare i vari aspetti della tematica della conciliazione nell'universo delle donne immigrate, le difficoltà e le cause che le hanno generate, le forme della conciliazione nella vita di queste donne e anche le possibili indicazioni per superare, per quanto possibile, gli ostacoli. La ricerca intende fornire un contributo ad una maggiore e migliore comprensione delle difficoltà che incontrano le donne immigrate nel conciliare lavoro e vita familiare; difficoltà che accentuano la loro situazione di isolamento sociale e di marginalizzazione e che rivelano anche carenze in materia di accompagnamento e sostegno da parte dei servizi territoriali ed una forte chiusura da parte del mercato del lavoro a recepire la doppia differenza, di sesso e culturale. Gli obiettivi principali della ricerca sono dunque i seguenti: comprendere. nei suoi vari aspetti ed articolazioni, il nesso tra donne immigrate e conciliazione lavoro-vita familiare; fornire un quadro sufficientemente esaustivo delle cause e dei fattori che rendono particolarmente difficile alle donne immigrate la conciliazione dei tempi di lavoro e di 19 cura/vita familiare; realizzare una ricerca di tipo qualitativo attraverso: un’indagine desk in grado di analizzare e sistematizzare i risultati di precedenti ricerche, esperienze e buone prassi riguardanti la conciliazione; un’indagine sul campo mediante interviste a donne immigrate ed operatori dei servizi che si occupano di problematiche migratorie; fornire informazioni agli organismi di formazione per permettere loro di progettare e programmare percorsi formativi specifici per le donne immigrate; fornire indicazioni agli Enti locali affinché possano impostare meglio le politiche di accompagnamento mirate a favorire per le donne immigrate la conciliazione dei tempi; arricchire e potenziare il quadro di conoscenza sull'immigrazione al femminile per avviare politiche attive di sostegno alla conciliazione; fornire informazioni utili al mondo imprenditoriale per capire meglio i problemi che vivono le donne immigrate nel conciliare lavoro e vita familiare; Attualmente, mentre esistono diversi studi sulla conciliazione riferita alle donne italiane nel caso delle donne immigrate il materiale a disposizione è molto più scarso; inoltre le ricerche sull'immigrazione al femminile riguardano soprattutto le tipologie di lavoro, gli aspetti abitativi e lo status della donna migrante ma non esiste nulla, o quasi, sulla conciliazione, che rappresenta, tuttavia, una questione centrale nella vita di molte donne immigrate oggi, una questione che, per molte di loro, riguarda anche la dignità personale. Laddove la conciliazione non è possibile la donna vive spesso una condizione di “non diritto”: si tratta quindi di un argomento che riguarda i diritti delle donne in generale, e nel nostro caso specifico quello delle donne immigrate. 20 2.3 FASI DELLA RICERCA L’attività di ricerca si è articolata nelle seguenti 5 fasi fondamentali, a loro volta suddivise in sottofasi: 1. RICERCA DESK SUL TEMA DELLA CONCILIAZIONE E SULLE ESPERIENZE DI BUONE PRASSI 2. PROGETTAZIONE DI DETTAGLIO DELLA RICERCA E COSTRUZIONE DEGLI STRUMENTI D'INDAGINE E DI RILEVAZIONE CON IL GRUPPO DELLE RICERCATRICI: FASE DI TESTING DEGLI STRUMENTI SU CAMPIONE 3. RISTRETTO E RITARATURA DEGLI STRUMENTI DI INTERVISTA E DEFINIZIONE DEL CAMPIONE DI INDAGINE RILEVAZIONE SUL CAMPO E PROCESSO OPERATIVO D'INDAGINE (RILEVAZIONE CON QUESTIONARIO D'INTERVISTA E MONITORAGGIO DELL'ANDAMENTO DELLA RICERCA SUL CAMPO) 4. ELABORAZIONE DEI DATI, REDAZIONE DEL REPORT DI RICERCA E DELLE CONSIDERAZIONI FINALI 5. DIFFUSIONE DEI RISULTATI 21 3. RICERCA DESK: STUDI ED ESPERIENZE REALIZZATE 3.1 CONCILIAZIONE FRA TEMPI DI LAVORO E IMPEGNI FAMILIARI Esiste una lunga bibliografia di analisi sociologiche legate ai mutamenti della struttura familiare e della condizione della donna e dedicata al tema della conciliabilità e della difficoltà delle donne di potere trovare una certa "armonia tra lavoro e famiglia". Nel 1978 Laura Balbo parlava di "doppia presenza" per definire la situazione delle donne che avevano cominciato a lavorare fuori casa mentre continuavano a dover gestire il carico del lavoro familiare. Il "doppio carico" o "doppio lavoro" - lavoro retribuito fuori casa e lavoro domestico in casa rappresenta ancora oggi il nodo cruciale per molte donne lavoratrici. Negli anni ‘70 si pensava che i servizi sociali avrebbero reso più leggero il lavoro domestico e che l'uomo si sarebbe assunto la sua parte di carico familiare. Ma ciò è avvenuto solo parzialmente e per di più la crisi del Welfare ha provocato lo smantellamento dei servizi e anche un costo spesso troppo elevato da sostenere per le famiglie. Inoltre, in molti casi, la mentalità maschile rispetto alla gestione domestica e della quotidianità è cambiata solo in parte, lasciando in gran parte il lavoro di cura “sulle spalle delle donne”. Analizzando la questione dal punto di vista del mercato del lavoro e dell'impresa, molte ricerche forniscono indicazioni relativamente al fatto che l'impresa non ha saputo, o voluto, rispondere alle esigenze delle donne lavoratrici (come per esempio stabilire/concedere orari di lavoro meno rigidi): negli ultimi anni “flessibilità” è diventata la parola magica, eppure l'Italia rimane uno dei paesi europei a più basso livello di occupazione femminile. Alcuni dati allarmanti dimostrano le ricadute derivanti dalla “non conciliabilità lavoro-famiglia”: molte donne continuano ad abbandonare il lavoro alla nascita del primo figlio per la rigidità degli orari di lavoro e le difficoltà di inserimento dei figli presso i servizi per l'infanzia, non abbastanza numerosi rispetto al numero di bambini da accogliere, o troppo costosi; sta tornando in auge una vecchia pratica che si sperava dimenticata, quella cioè, di far firmare alla donna che viene assunta presso un’azienda una lettera di dimissioni con la data in bianco, da utilizzare nel caso in cui dovesse rimanere incinta; in Italia lavora solo il 42% delle donne, la percentuale più bassa d'Europa; siamo ancora lontani dalla dichiarazione del "Libro bianco" di Jacques Delors, del 1994, nel quale si riconosceva a livello europeo il tempo di vita come “Diritto di cittadinanza”; nonostante i cambiamenti avvenuti nei rapporti tra i sessi, nella società attuale, il tema della 22 conciliazione non ha ancora visto un vero “ripensamento dei ruoli di genere”: la conciliazione tra responsabilità familiari e partecipazione al mercato del lavoro continua ad essere considerata non solo un "affare di donne" ma un "affare privato" (questo spiega anche perché l'abbandono del lavoro è legato quasi sempre alla nascita dei figli); le donne coniugate con figli presentano tassi di disoccupazione più elevati non solo degli uomini, ma anche delle donne senza figli; si nota una forte e progressiva “femminilizzazione” dell'aumento dell’occupazione part-time; l'effetto negativo della presenza di responsabilità familiari è più elevato per le donne con basse qualifiche professionali e con un basso livello di scolarizzazione. L'istruzione appare ancora più importante per gli uomini, sia a fini occupazionali che come fattore di differenziazione sociale; le donne con un livello di istruzione più elevato, che vivono nel Centro-Nord, sono maggiormente in grado delle altre di rimanere nel mercato del lavoro lungo tutto il ciclo della vita familiare. Sulla base di queste considerazioni, ricavate da diversi studi recenti, si può affermare che il genere, ossia l'essere donne, lo status familiare, cioè l'essere sposata e l'essere madre, riducono le chances occupazionali future di questa particolare categoria di lavoratrici. Come conciliare dunque, in un tale contesto, responsabilità lavorative e impegni familiari? 23 3.2 FATTORI CHE RENDONO DIFFICILE LA CONCILIAZIONE Le ricerche realizzate sul tema della conciliazione, spiegano che conciliare responsabilità familiari e lavorative per le donne immigrate, è reso ancora più difficile da una molteplicità di fattori, quali: gli orari di lavoro troppo rigidi; la mancanza di adeguati servizi sociali e di sostegno per la famiglia; i comportamenti familiari nel rapporto tra moglie e marito (le donne che lavorano hanno tutto il carico del “lavoro di casa”, il che comporta un monte ore lavorativo complessivo dalle 9 alle 15 ore al giorno),all’interno del quale la donna si trova spesso a dover svolgere tutto il lavoro di cura della casa senza il sostegno del marito; il maggior carico di lavoro familiare per le donne, riduce il tempo che esse possono dedicare al lavoro retribuito e anche la possibilità di scelta del tipo di occupazione che le stesso possono prendere in considerazione in relazione ad elementi ostacolanti, quali: la distanza da casa, i particolari turni ed orari di lavoro previsti, ecc…; lo scarto tra le aspettative e la realtà produce spesso nella donna una calo della propria autostima e quindi un calo del funzionamento delle proprie capacità (per dirla come Martha Nussbaum "la donna diventa meno libera, meno persona"). Ci si interroga quindi su quali siano gli interventi che possono modificare i meccanismi economici, sociali e culturali, che continuano a riprodurre la diseguaglianza di genere. Spesso si parla di intervenire su tre livelli: 1) le forme di regolazione del mercato del lavoro 2) l'offerta di servizi 3) i modelli culturali Nonostante la recente legge 53/2000 sui congedi parentali, si nota come la divisione del lavoro nella struttura familiare non sia cambiata molto e di fronte alla impossibilità di avere dei sostegni alla nascita del primo e del secondo figlio, è quasi sempre la donna che rimane a casa. Da un recente studio sui servizi per la primissima infanzia emerge che solo una minima parte del fabbisogno delle famiglie viene soddisfatto; laddove non esistono reti parentali che fungano da supporto (è questo spesso il caso di chi si trasferisce per lavoro dal sud al nord Italia e oggi, sempre di più, degli immigrati non comunitari), diventa molto difficile combinare lavoro e 24 impegni familiari. Se a ciò si aggiunge il fatto che le donne continuano ad assistere e curare gli anziani fragili e non autosufficienti, ci troviamo di fronte ad un quadro piuttosto fosco della situazione. I lavori di Marzio Barbagli e Chiara Saraceno evidenziano la necessità del rendere di rendere meno difficili le condizioni di vita legate all'essere madre e di ridurre i costi connessi alla cura dei figli. Ma in che modo? Per ragionare sulla conciliabilità tra famiglia, lavoro di cura e lavoro retribuito, occorre costruire degli indicatori che devono rispettare alcune regole: il loro numero deve essere limitato, devono essere di facile lettura e significativi per la variabile di riferimento che si indaga (nel nostro caso le donne immigrate) e congruenti tra di loro, sufficientemente flessibili per consentire aggiustamenti, essere comparabili e provenire da fonti omogenee. Occorre innanzitutto partire dal concetto stesso di conciliazione in ambito familiare: "armonizzare diverse attività o interessi in modo che essi possano coesistere senza troppe frizioni, stress o svantaggi per i componenti della famiglia”. Al fine di favorire la conciliazione fra lavoro e famiglia, le varie ricerche esistenti ci dicono che possono essere pensate e messe in atto politiche diverse, quali ad esempio: politiche di pari opportunità politiche per l'infanzia politiche per la famiglia politiche per il lavoro e la formazione. Nel quadro di tali possibili politiche a favore della conciliazione, occorre tenere in debito conto, quale aspetto di notevole importanza, la variabile “tempo”. In tal senso si dovrebbero prevedere: interventi o strumenti di riduzione o di diversa articolazione del tempo di lavoro per le donne; strumenti che permettano di “liberare il tempo”, quali: servizi, supporti, banche del tempo, ecc…; una maggiore condivisione del lavoro familiare da parte dei padri. E’ necessario che le “politiche dei tempi” e i servizi per l'infanzia si combinino al fine di favorire la conciliazione e occorre anche che vengano introdotte politiche aziendali diverse (tempi di lavoro, flessibilità) e una rete di servizi in grado di rispondere ai molteplici bisogni in orari diversificati. 25 L’attuale situazione corrisponde a quella che Chiara Saraceno ha chiamato "l'impotenza repressiva" cioè il fatto che la donna finisce spesso per reprimere le proprie aspettative di fronte al suo senso d'impotenza in un mondo che non prende in considerazione la differenza di genere come differenza strutturale della società: "E ormai troppo evidente - scrive Chiara Saraceno in “Anatomia della famiglia” - come l'emancipazione femminile (anche nei ristretti limiti delle "eguali possibilità") sia rimasta a livello astratto di una proclamazione ideale di principi e, nel migliore dei casi, di una formulazione giuridica (la parità salariale, la liberalizzazione dell'accesso agli studi e alle professioni, il nuovo diritto di famiglia). Quando invece, nella pratica quotidiana e di riproduzione , cioè nel mercato del lavoro e nella famiglia, la posizione della donna, subalterna perché legata alla sua condizione sessuale e riproduttiva, permane sostanzialmente la stessa, come ben testimoniano le due condizioni più diffuse tra le donne in Italia (e non solo in Italia): la casalingicità coatta in mancanza di alternative soddisfacenti, sia in sede di lavoro che in sede di gestione familiare, e il doppio lavoro delle donne operaie e impiegate le quali, costrette al lavoro (non certo di tipo emancipativo), non possono neppure viverne fino in fondo la dimensione collettiva socializzante perché continuamente rimandate nel privato dai problemi di gestione familiare, che rimangono materialmente, psicologicamente e culturalmente sulle loro spalle. Per non parlare del lavoro a domicilio il quale, lungi dallo sparire, diviene sempre più una tipica forma di sfruttamento del lavoro femminile fondato sulla funzione domestico-familiare della donna”. 3.3 DONNE IMMIGRATE E CONCILIAZIONE DELLE ESIGENZE LAVORATIVE E FAMILIARI Anche per le donne immigrate ritroviamo le stesse problematiche, con in più il fatto che sono migranti, cioè che sono, per dirla come Abdelmalek Sayad, “emigrate-immigrate”. Hanno vissuto la separazione, la partenza e lo sradicamento dalla terra di origine, spesso non hanno scelto loro di venire in Italia e vivono il viaggio e le difficoltà dell'inserimento lavorativo e sociale. In un saggio sugli aspetti psicologici della migrazione femminile, Cecilia Edelstein scrive che "la maggior parte delle donne migranti non percepisce il progetto migratorio come proprio, ma lo adotta, lo esegue oppure lo subisce". Nel suo lavoro con gruppi di donne migranti utilizza soprattutto il metodo narrativo che permette di fare emergere le esperienze vissute, le diverse fasi del percorso migratorio e l'impatto con la 26 società italiana. Esattamente come Sayad, la Edelstein sottolinea l'importanza delle fasi precedenti all'arrivo al paese di destinazione (fasi che vengono sottovalutate sistematicamente da chi si occupa di immigrazione). Il metodo narrativo permette il racconto della “storia di vita”, osservata dal punto di vista della donna. Per il tema oggetto della nostra ricerca, diventa importante cogliere questo aspetto perché il modo di porsi della donna migrante rispetto al lavoro e al suo rapporto con le responsabilità familiari sarà fortemente condizionato da tale storia, che è insieme storia sociale e culturale. La cultura di appartenenza, il modello familiare, la religione, l'assenza della rete familiare di origine ma anche la presenza del "fantasma della famiglia lontana" che agisce come "ricatto psicologico”, il senso di colpa che può vivere la donna, le questioni legate alla conoscenza della lingua e alla paura di cambiare con la migrazione, il livello di scolarizzazione, le aspettative e lo scontro con la realtà, rappresentano tutti fattori che intervengono nel determinare la possibilità di conciliare lavoro e vita familiare. Rispetto a quanto scritto per le donne in generale, in riferimento alle donne immigrate, occorre considerare il fattore discriminazione che può intervenire per il semplice fatto di essere straniera o di essere una straniera “diversa” (vedi le donne musulmane). Se si parla di conciliazione si ragiona necessariamente sulla relazione tra vita familiare e lavoro, quindi sul rapporto tra l’organizzazione familiare e l'organizzazione del mondo del lavoro; nel caso delle donne immigrate si pone anche il problema del modello familiare interiorizzato, della famiglia interiorizzata attraverso l’educazione ma anche della famiglia destrutturata che cambia attraverso la migrazione. Molte donne immigrate vivono traumaticamente il cambiamento della struttura familiare attraverso la migrazione e ricercano per se stesse un ruolo nuovo ed una nuova organizzazione del sistema di relazione familiare. La donna immigrata che decide di lavorare deve fare i conti con questa doppia dimensione del cambiamento radicale del modo di vita familiare e di un mercato del lavoro che tende a non recepire la differenza sessuata e ancora meno quella culturale (nel caso delle immigrate alle aziende interessa solo l'iperflessibilità della forza lavoro). Per molte donne provenienti da aree geo-culturali molto lontane, la transizione dal modello familiare patriarcale a struttura allargata ad un modello mono-nucleare rappresenta spesso uno "shock psico-culturale" e ciò è maggiormente vero per le donne con figli che provengono dalle zone rurali. La possibilità di un adattamento e di una rielaborazione del passaggio dalle 27 campagne marocchine, o del Punjab in India, all'Italia è difficile e spesso lacerante. Cambia il contesto sociale e culturale ma cambia anche la vita familiare; spesso la donna in Italia si trova a dover lavorare per necessità, non per scelta, e tale scelta quasi forzata si somma al vissuto dello sradicamento dal paese di origine nella misura in cui molte di queste donne sono state obbligate a seguire i mariti. Tutto ciò complica ulteriormente le cose e la possibile conciliazione tra un lavoro (spesso “subito” per necessità materiali) e una vita familiare radicalmente cambiata in seguito alla migrazione. Tuttavia, si assiste anche alla presenza di un numero crescente di donne immigrate che arrivano per lavoro, e non attraverso i ricongiungimenti familiari: sono donne più giovani, con un livello più alto di scolarizzazione e che magari si costruiscono una famiglia in Italia. In questi casi la donna è protagonista, è attore della propria vita ed è lei a decidere. In queste diverse situazioni la conciliabilità tra lavoro e vita familiare si presenta in modo diverso e queste diversità riflettono la grande varietà di percorsi migratori delle donne. Un altro fattore che emerge dalle ricerche sull'immigrazione al femminile è il fatto che, in genere, le donne migranti occupano i segmenti bassi della divisione sociale del lavoro, ricoprono spesso lavori di basso profilo e bassa qualifica, mal retribuiti e in situazioni di precarietà. La presenza delle donne immigrate nel mercato del lavoro è legata alla domanda di quest’ultimo soprattutto nell'economia/mercato dei servizi: assistenza domiciliare, assistenza agli anziani, pulizie ecc… . Le tipologie di lavoro con orari frammentati, iperflessibili, precari e senza tutela caratterizzano spesso il lavoro delle migranti e questo incide negativamente sulla possibilità di conciliare lavoro e famiglia. 3.4 DONNE IMMIGRATE TRA FAMIGLIA E LAVORO: LA CONCILIAZIONE POSSIBILE Parlare di conciliazione riferendosi alle donne immigrate implica anche una conoscenza più ampia ed approfondita della condizione della donna nell'immigrazione, condizione che presenta delle costanti ma anche delle variabili non trascurabili, perché legate al tipo di storia migratoria e al modello culturale di riferimento. Sono stati già indicati alcuni elementi di comprensione della condizione femminile nell'immigrazione: tutte le donne migranti conoscono e vivono la partenza, lo sradicamento, il 28 viaggio, l'ansia, le aspettative e le difficoltà dell'inserimento. Si trovano a dover integrare il modello femminile appreso nella società di origine con il modello che trovano qui in Italia: cambiano i ruoli e le rappresentazioni sociali del sé. Molte donne provengono spesso da mondi lontani dove c'è miseria, sottosviluppo e spesso assenza dei diritti minimi. Come scrive Martha Nussbaum nel suo "Women and human development. The capabilities approach", "In molte parti del mondo le donne non hanno sostegni per le funzioni fondamentali della vita umana. Sono infatti meno nutrite degli uomini, meno sane, più vulnerabili alla violenza fisica e all'abuso sessuale. E più difficile che siano scolarizzate, ed è ancora più raro che abbiano una formazione professionale o tecnica. Se decidono di entrare nel mondo del lavoro incontrano gravi ostacoli, tra cui l'intimidazione da parte della famiglia o del consorte, la discriminazione sessuale nel reclutamento, le molestie sessuali sul posto di lavoro, spesso senza possibilità di ricorrere efficacemente alla legge. Il più delle volte ostacoli simili impediscono la loro effettiva partecipazione alla vita politica. In molti stati le donne non godono di piena eguaglianza di fronte alla legge... Esse sono sopraffatte, spesso, dalla "doppia giornata lavorativa", che somma la fatica del lavoro esterno con la piena responsabilità del lavoro domestico e della cura dei bambini, così che non trovano momenti ricreativi ed espressivi destinati a coltivare le loro facoltà immaginative e cognitive: tutti questi fattori incidono sul loro benessere emotivo". Questo quadro abbastanza negativo riguarda numerosi paesi dell'Africa, dell'Asia e dell'America Latina; è sufficiente leggere i documenti aggiornati dello Human Development Report, redatto annualmente dal Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite, per rendersi conto che sono pochissimi i paesi che trattano le donne al pari degli uomini, come si può verificare dai dati sulla durata della vita, sul benessere soggettivo e sull'educazione. Nei paesi poveri dai quali provengono molte donne immigrate si sommano fattori sociali, dovuti alle grandi disuguaglianze, e fattori culturali: come dice la Nussbaum "quando i due fattori si sovrappongono (povertà e diseguaglianza sessuale), il risultato é un grave crollo delle capacità umane fondamentali". Le donne immigrate, come gli uomini, provengono nella maggior parte dei casi da questi continenti: Africa Nord occidentale (Maghreb: Marocco, Tunisia, Algeria), Africa nera (Senegal, Nigeria, Costa d'Avorio, Burkina Faso, Congo), Asia (Cina, India, Bangladesh, Pakistan, Filippine, Sri Lanka), America latina (Venezuela, Argentina, Perù, Colombia, Bolivia). Ma ci sono anche molte donne immigrate che provengono dall'Est dell’Europa, da paesi oggi 29 ridotti alla povertà ma che hanno conosciuto, in passato, un certo sviluppo e anche un sistema di protezione sociale con delle leggi sulla parità tra i sessi. Per molte di queste donne l'arrivo nel nostro paese, rappresenta un miglioramento della propria condizione di vita materiale, anche se molte di loro finiscono per trovarsi nei punti meno qualificati del sistema produttivo locale. Tuttavia la necessità di doversi riadattare in un ambiente nuovo che funziona con dei codici culturali diversi e che tende a tenere lontano chi è troppo diverso, o per lo meno sentito come tale, produce sofferenza, lacerazione, difficoltà e disorientamento. E’ chiaro che tutto dipende dalla provenienza, dalle modalità della partenza, dal livello di scolarizzazione, dal tipo di rapporto che esiste con il marito, dal numero dei figli a carico, dal tipo di accoglienza all'arrivo, dal modello culturale di riferimento e dalle sue affinità con quello italiano. In molti casi le donne immigrate che provengono dalle zone più povere finiscono per ritrovarsi nella condizione sociale d'inferiorità in cui si trovavano nei paesi di origine. Nel suo libro dedicato recentemente alle domestiche "Les bonnes de Paris", la scrittrice e studiosa marocchina Ghita El Khayat fa notare che molte donne immigrate, che lavorano nel settore dell'assistenza, non solo rientrano nella categoria dello sfruttamento ma vengono confermate nel fatto che l'unica cosa che possono fare è il lavoro di cura, riproducendo in questo modo e nell’attività lavorativa il loro status d'inferiorità. Le maghrebine o le africane che fanno questo tipo di lavoro riproducono la "funzione tradizionale" della donna, appresa nei paesi di origine, e la trasferiscono nell'attività lavorativa in Italia. Le cose cambiano in parte per le donne dell'Europa orientale che spesso lavoravano nell'industria e si ritrovano a fare le "badanti", in questi casi l'impatto è durissimo e la donna vive un forte stato di frustrazione. Insomma, per affrontare il tema della conciliazione non si possono ignorare le condizioni di partenza, i paesi da cui provengono le donne, i modelli culturali che portano con sé, la traiettoria e l'arrivo, il tipo di accoglienza ricevuta in Italia e le condizioni di vita materiale legate al lavoro del marito. 30 3.5 DONNE IMMIGRATE E CONCILIAZIONE: VARIABILI DI CONTESTO Le esperienze di sperimentazione di strategie di conciliazione per le donne migranti sono ancora molto circoscritte e spesso frammentate, non inserite in un quadro strategico più complessivo d'intervento che possa favorire l'integrazione sociale delle famiglie immigrate, partendo da una politica di genere. La realtà dell'immigrazione al femminile è ormai una realtà strutturale ed un indicatore di come si sta evolvendo il fenomeno migratorio nella direzione di una sua stabilizzazione e di un suo radicamento nella nostra regione. La condizione della donna migrante è molto legata alla sua traiettoria, alle motivazioni e alle condizioni della partenza dal paese di origine, al suo livello di scolarizzazione, alle sue aspettative ma anche alla sua cultura di provenienza. Come già evidenziato nei paragrafi precedenti, si può senz’altro affermare che per quanto riguarda la tematica della conciliazione esistono alcuni fattori trasversali che rendono la posizione della donna straniera simile a quella della donna italiana, ma che esistono anche fattori e/o variabili specifiche che riguardano e contraddistinguono la prima da quest’ultima. Le variabili specifiche sono connesse ad alcuni aspetti del fenomeno migratorio, quali: L'essere un’emigrata, prima di essere un’immigrata, cioè una donna con una storia personale familiare, sociale, scolastica, culturale, e talvolta professionale, nel proprio paese di origine. Storia che condiziona il percorso della migrante nella sua traiettoria e nel suo inserimento nella nuova società. Le condizioni e le motivazioni della partenza. La donna migrante può lasciare il proprio paese di origine per ricongiungersi con il marito; in questo caso la scelta può essere condivisa oppure imposta. Si tratta di due situazioni distinte che possono avere degli effetti diversi sulle scelte che farà la donna una volta arrivata in Italia. La condizione di radicamento sul territorio. La donna può anche essere arrivata sola per una propria decisione e poi avere costituito una propria famiglia in Italia (oppure come nel caso di molte donne provenienti dall'est europeo che arrivano sole e che hanno poi fatto venire figli e talvolta il marito, rimasti nel paese di origine). Queste situazioni hanno una forte influenza sulla capacità della donna di decidere, scegliere e muoversi in tutta autonomia; Il livello di scolarizzazione e di istruzione della donna e il fatto che conosca o meno una lingua europea che le permetta d'imparare l'italiano più facilmente. Tale conoscenza è 31 rilevante in particolare per chi viene dal mondo arabo, dall'Africa subsahariana e dall'Asia (Cina, Bengladesh, Pakistan); Il carico familiare, il numero dei figli e anche il fatto di essere arrivata con dei figli in giovane età, può accentuare o meno la possibilità per la donna di conciliare lavoro e famiglia. La cultura di provenienza può essere un fattore importante nella misura in cui veicola un modello di organizzazione familiare ed un ruolo, nonché uno status specifico per la donna. Questo ruolo e questo status incidono su come la donna si adatta alla società italiana che funziona con altri codici. Il ruolo nella società di partenza. Per coloro che provengono da società dove la donna ha soprattutto un ruolo strettamente domestico e non ha un ruolo sociale importante, può essere più difficile pensare che si ponga autonomamente l'obiettivo di lavorare e spesso se lo fa è perché è costretta dalle necessità economiche. In molti casi il modello familiare patriarcale introiettato dalle donne può funzionare come un freno: anche in questo caso le situazioni sono complesse e i modelli culturali originari si trovano a fare i conti con una situazione nuova. L'assenza di una rete di riferimento familiare che potrebbe essere un supporto utile per la gestione dei figli piccoli in età prescolastica. I fattori ambientali legati all'alloggio e alla sua collocazione rispetto ai mezzi di trasporto, per raggiungere l'eventuale sede di un lavoro o di un corso di formazione professionale per l'avviamento al lavoro. L'accoglienza del contesto locale. Si tratta di vedere quali sono le politiche a favore dell’immigrazione/migratorie a livello locale, in particolare nei confronti delle donne e delle famiglie immigrate, nonchè il tipo di reazione della popolazione autoctona alla presenza ed inserimento delle famiglie migranti. Le donne migranti possono vivere episodi di razzismo o xenofobia, nonché subire episodi di offesa della propria dignità come donne (accade spesso per le donne africane nere e le donne provenienti dall'Europa dell'est). Il mondo dell'immigrazione al femminile è un mondo variegato e spesso le donne migranti presentano storie inedite che escono dalle stereotipie e dai luoghi comuni di una sociologia superficiale. Non bisogna dimenticare la situazione delle coppie miste con donne immigrate che si sposano o convivono con cittadini italiani; anche qui il tipo di risposta è diverso dalle situazioni in cui la coppia è della stessa nazionalità e dove ambedue i coniugi sono immigrati; quindi senza rete di riferimento familiare. A ciò occorre aggiungere le diverse situazioni in cui 32 intere comunità si sono trasferite dal paese di origine: in questi casi la comunità può svolgere una funzione "cuscinetto" ed essere un supporto valido ma, talvolta, la stessa comunità può diventare una trappola per la donna e non permettere la socializzazione e quindi non favorire l'integrazione socio-lavorativa. 3.6 ESPERIENZE DI BUONE PRATICHE IN TEMA DI CONCILIAZIONE Non è semplice individuare le buone prassi in materia di conciliazione per quanto riguarda le donne immigrate; ovviamente in questi ultimi anni molti enti locali, molte commissioni per le pari opportunità e diversi centri di servizi per immigrati, si sono posti il problema ma quello che ne emerge è un quadro estremamente frammentato, fragile ed eterogeneo. Ad una prima analisi delle esperienze realizzate si può a ragione affermare che il problema della conciliazione è stato affrontato ad oggi mediante politiche: delle pari opportunità, dell’infanzia, della famiglia, di accompagnamento dei percorsi femminili dell’immigrazione sia rispetto al lavoro che alla formazione professionale. A questo occorre aggiungere le varie esperienze realizzate da diverse Associazioni femminili per offrire una serie di supporti alle donne migranti in difficoltà: il principio strategico di tutti gli interventi sviluppati è stato quello dell’interconnessione tra quest’ultimi, l’implementazione e la gestione cioè di una rete in grado di fare interagire servizi socio-assistenziali, servizi per l’infanzia, consultori familiari, servizi per l’immigrazione, associazioni, realtà del terzo settore, sindacati, centri di formazione professionale. All’interno di tale rete è però spesso venuto a mancare il mondo delle imprese con le sue categorie di rappresentanza. Analizzando le diverse esperienze realizzate sul territorio nazionale in tema di conciliazione, sono state individuate alcune sperimentazioni particolarmente significative, di cui si riporta il tema centrale: “alfabetizzazione istituzionale” delle donne immigrate: informazioni sulle leggi in materia di pari opportunità; promozione dell’associazionismo delle donne come rete di mutuo-aiuto; sostegno attraverso normative specifiche e finanziamenti alla genitorialità; sostegno particolare alle donne migranti in difficoltà; insegnamento della lingua italiana; 33 promozione di politiche di accompagnamento dei percorsi d’inclusione sociale delle donne immigrate; sviluppo delle iniziative delle donne immigrate nel movimento sindacale; apertura di spazi nuovi riconosciuti per i bambini in età prescolastica, con l’obiettivo di favorire la possibilità per le madri di frequentare corsi di formazione professionale e di lavorare; revisione degli orari e dei tempi della città e del mondo del lavoro tenendo conto della differenza di genere nel mondo dell’immigrazione; promozione di politiche aziendali “amiche” delle famiglie immigrate, per favorire l’opportunità di un lavoro. Dall’analisi di tali esperienze di conciliazione tra casa e lavoro per le donne immigrate, possono essere individuati alcuni ambiti prioritari di intervento: favorire la possibilità di accesso per le famiglie immigrate a servizi per la primissima infanzia e extra-scolastici; rompere l’isolamento attraverso la disponibilità di luoghi per socializzare con altre donne immigrate e anche italiane. Luoghi che possono diventare degli spazi di aiuto reciproco; promuovere politiche aziendali in grado di recepire la differenziazione dei tempi di lavoro e facilitare le aspettative delle donne immigrate con l’attivazione di “micro-nidi aziendali”, di sale attrezzate per brevi soggiorni di “emergenza” per i bambini; fornire informazioni e strumenti di lettura e comprensione circa la rete dei servizi a supporto delle donne immigrate. Al fine di coniugare tempi familiari e di lavoro, si possono individuare cinque possibili soluzioni: 1) soluzioni interne al posto di lavoro mediante misure che dovranno riguardare i tempi di lavoro: part-time, flessibilità degli orari, congedi parentali e interventi per la rimozione degli ostacoli di ordine culturale; 2) soluzioni interne alla famiglia stessa, mediante la promozione di forme di mutuo-aiuto all’interno della famiglia (permettendo a madre e padre di dedicarsi di più alla cura dei figli senza per questo sacrificare l’attività lavorativa); 3) soluzioni nell’ambito della comunità locale, attraverso lo sviluppo di reti di relazioni, la costituzione di associazioni e la creazione di luoghi di discussione e analisi delle 34 problematiche che vivono le famiglie immigrate, in particolare le donne; 4) soluzioni urbanistiche, mediante l’apertura e la gestione di spazi rivolti ai bambini delle famiglie immigrate, ubicati nei quartieri, nei condomini e anche nei posti di lavoro; 5) rafforzare l’offerta differenziata di servizi pubblici e privati di cura, assistenza e prevenzione in età infantile dei figli degli immigrati. Come già anticipato nelle pagine precedenti, la questione della difficoltà della conciliazione per molte donne immigrate è anche un indicatore di disagio diffuso per le donne in generale; difficoltà legate al non riconoscimento, di fatto, della “differenza sessuata” nell’organizzazione del mondo del lavoro e nel funzionamento del sistema produttivo. Le donne immigrate hanno una concezione talvolta diversa della famiglia, del rapporto tra i sessi, della relazione con i figli, della concezione dei tempi di vita sociale e lavorativa. A ciò si aggiunge che l’assenza della rete familiare rende più difficile la conciliabilità, soprattutto poi in una situazione di isolamento sul piano logistico rispetto a possibili sedi di lavoro e di formazione professionale. Le sperimentazioni condotte dipendono molto dalla rete che accompagna il percorso delle famiglie migranti, ed in particolare delle donne. Laddove esiste un sistema di relazioni tra servizi, comunità immigrate, famiglie, associazioni, sindacati, centri di formazione ed imprese diventa più facile trovare delle soluzioni per rendere possibile la conciliabilità. La rete funziona spesso come “sfondo integratore” e meccanismo solidale nella misura in cui l’interazione tra i diversi attori valorizza la donna migrante come risorsa e non come pura assistita. In tutte le esperienze analizzate si rileva il rischio di concepire la donna immigrata come soggetto passivo o come “assistita”, disattivando in questo modo ogni capacità di scegliere, di muoversi con autonomia e di diventare anche agente di cambiamento del suo sistema di relazioni e del contesto di vita sociale. Le strategie di empowerment mirano a favorire lo sviluppo delle capacità autonome in termini di autodeterminazione. Spesso, è nel percorso di acquisizione di conoscenze e di strumenti di decodifica del contesto che la donna migrante prende coscienza delle sue potenzialità trasformatrici, individuando soluzioni e risposte. Rispetto alle politiche di supporto - accompagnamento alla famiglia occorre tenere conto di come si è riorganizzato lo spazio familiare nel processo migratorio: per molte donne immigrate arrivate attraverso il ricongiungimento familiare, la partenza, l’emigrazione, non è stata una 35 scelta autonoma ma una scelta obbligata o di necessità. Non dimentichiamo che la donna è spesso al centro di tutte le tensioni intrafamiliari e che la donna migrante si trova a dovere negoziare e rinegoziare i rapporti con i diversi membri della famiglia, marito e figli. Per molte donne che provengono dal Maghreb, o dall’Africa sub sahariana, lo spazio familiare, vissuto come “spazio protettivo”, diventa lo spazio dei mutamenti e anche della precarietà, quello dell’insicurezza che accompagna il percorso di emigrazione - immigrazione. Tale aspetto è molto importante perché coinvolge la donna migrante come essere sociale che si trova al centro del sistema famiglia ed è un aspetto che non viene preso molto in considerazione quando si parla di conciliabilità; in effetti c’è anche la difficile conciliabilità nella ridefinizione del proprio progetto di vita, tra modello familiare originario e nuova situazione familiare nella migrazione, tra nuova condizione femminile e ruolo femminile legato all’area culturale di provenienza. Si può dire che sul piano socio-antropologico e psico-culturale cambiano i punti di riferimento del modello culturale interiorizzato: la donna migrante vive questo passaggio, questa transizione con grandi difficoltà soprattutto se la “scelta” della migrazione è stata imposta. Per aiutare le donne migranti che vivono situazioni di questo genere (e sono tante!), occorre pensare a degli spazi di comunicazione, di incontro, di scambio, dove possano parlare, esprimersi e trovare insieme ad altre donne delle risposte e delle possibili soluzioni. Attivare delle strategie di counselling interculturale con l’organizzazione di gruppi di donne da realizzare attraverso lo sviluppo di attività concrete. Le politiche attive del lavoro che mirano alla conciliazione non possono ignorare questa dimensione del vissuto e della condizione psico-sociale di tante donne immigrate. Proprio per non escludere tutti gli aspetti del vissuto della donna migrante, appare importante aprire degli spazi per svolgere delle azioni di counselling interculturale sembra essere assai importante per mettere le donne migranti nelle condizioni psico-relazionali di rielaborare i propri vissuti, di decodificare la società dove si trovano e quindi operare delle scelte. Come è nata l’idea di emigrare, di chi era stato il progetto migratorio, le ragioni e le cause di tale migrazione , come è stata presa la decisione, quali sono state le emozioni vissute nel momento della partenza, quali fantasie/aspettative avevano le donne riguardo al paese dal quale stavano partendo, com’è stato il viaggio di emigrazione, il momento dell’arrivo in Italia, quale è stato il suo vissuto durante la fase di sistemazione e di adattamento, come tutti questi elementi 36 influenzano le scelte attuali della donna migrante e, in particolare, il suo approccio al lavoro e la possibile conciliabilità con gli impegni familiari. Le esperienze sono molteplici, con vari tentativi di “accompagnamento” e supporto alle donne migranti, ma manca tuttora un tentativo di sperimentare un’ “azione di sistema” in grado di mettere insieme, sistematizzandole appunto, le diverse esperienze realizzate e mettere a confronto fra loro i diversi attori della rete formale e di quella informale presente su un determinato territorio. 3.7 SCHEDE DI ESPERIENZE DI BUONE PRATICHE IN TEMA DI CONCILIAZIONE Come già è stato evidenziato, le iniziative realizzate in Italia sul tema della conciliazione tra tempi di lavoro e casa per le donne immigrate, sono numericamente limitate, distribuite sull’intero territorio nazionale, parcellizzate insomma, e soprattutto non collegate in rete collegate tra loro. Riportiamo di seguito alcune brevi schede di sintesi di esperienze di buone pratiche realizzate, che hanno cercato in diverso modo, di fornire un contributo al problema della conciliazione. Le schede evidenziano come una pluralità di soggetti pubblici e privati, quali: enti locali, associazioni di donne immigrate, centri di formazione professionale, ecc…. abbia messo in atto strategie in grado di accompagnare le donne immigrate nei percorsi di armonizzazione “lavoro - famiglia”. Centro di formazione professionale Csapsa (Centro studi analisi di psicologia e sociologia applicate) (Bologna) Azioni di formazione professionale rivolte a donne immigrate con inserimenti lavorativi mirati all’assunzione. Apertura di “spazi maternage” durante il corso e abbinamento contesto lavorativo e profilo della donna per favorire la possibile conciliazione lavoro- vita familiare. Da diversi anni, più precisamente dal 1996, il Centro Csapsa svolge attività formative rivolte alle donne immigrate con l’obiettivo di creare le condizioni di un inserimento lavorativo reale prendendo in considerazione gli aspetti molteplici della vita della donna . Il modello formativo prevede un “counselling psico-relazionale” continuo con le donne in formazione; tale dispositivo fa del tutor del corso (un'altra donna con competenze nel campo della formazione, dell’inserimento lavorativo e in quello del disagio e della psicologia interculturale) la figura di 37 supporto e di accompagnamento durante tutto il percorso. Il tutor-counsellor svolge un lavoro basato sull’ascolto dei problemi relazionali concreti che vivono le donne nel momento in cui iniziano l’esperienza formativa e, soprattutto nel momento in cui inizia la parte di tirocinio pratico attraverso l’inserimento nelle aziende. Durante il percorso, il tutor usa la tecnica del problem solving confrontandosi con le donne per individuare i problemi e pensare con loro alle strategie possibili per trovare delle soluzioni concrete. Viene anche fatto un grosso lavoro di mediazione sia nel rapporto con le aziende che nel rapporto con i familiari (in particolare i mariti). I percorsi formativi riproducono il modello della formazione in situazione di lavoro reale dove le donne imparano lavorando (learning by doing) durante il processo di apprendimento professionale vengono supportate sul piano psico-relazionale nell’affrontare i problemi che incontrano. Questo modello d’intervento permette di attivare nelle donne l’acquisizione di capacità di negoziazione e di comprensione delle soluzioni possibili per conciliare attività lavorativa, vita familiare e vita sociale. Per questa ragione sono previsti nel dispositivo d’intervento sia dei colloqui individuali permanenti che degli incontri di gruppo; in quest’ultimo viene utilizzata la tecnica rogersiana dei gruppi d’incontro per fare emergere le difficoltà e trovare insieme le soluzioni (qui il gruppo funziona come spazio di mutuo-aiuto). Questo dispositivo è stato anche applicato con le situazioni più difficili dell’immigrazione al femminile cioè con le donne che escono dalla “tratta”: in molti casi queste donne si trovano a dovere ricostruire un proprio progetto di vita, ed alcune di loro hanno anche dei figli piccoli. Esperienze di conciliazione in Trentino Alto-Adige AFI-IPL: Istituto per la promozione dei lavoratori e della Ripartizione del lavoro della Provincia Autonoma di Bolzano: Apertura di spazi a sostegno delle donne con figli piccoli per favorire l’inserimento lavorativo; politiche d’intervento a favore della formazione delle donne immigrate con elaborazione di strategie in grado di sviluppare possibili percorsi di conciliazione da parte delle donne; attivazione di spazi di counseling sulla conciliazione e di gruppi di mutuo aiuto per sostenere le donne immigrate al lavoro con figli. Questo progetto è stato realizzato nel 2000 con finanziamenti europei e finanziamenti della 38 provincia autonoma di Bolzano. Il progetto ha tentato di comprendere, attraverso una ricerca dell’Università di Trento (Dipartimento di Sociologia e ricerca sociale) di capire le problematiche legate alla conciliazione vita familiare – lavoro per le donne in generale. Si è trattato di uno studio con elaborazione di possibili linee d’intervento in grado di favorire la conciliazione. Il lavoro dei ricercatori di Trento ha individuato alcune linee d’intervento possibili che hanno coinvolto diversi attori del territorio: aziende, famiglie, sindacati, servizi, città come organizzazione urbanistica. Le soluzioni proposte riguardano: 1) soluzioni interne al posto di lavoro: misure che riguardano il tempo; il part-time, la flessibilità degli orari, l’uso di strumenti quali congedi ed aspettative; 2) le soluzioni interne alla famiglia: sostenere la famiglia in modo che la madre o il padre possano per scelta dedicarsi personalmente alla cura dei figli; 3) soluzioni comunitarie: reti dei servizi, associazioni e gruppi di mutuo-aiuto; 4) soluzioni urbanistiche: organizzare l’accoglienza per i bambini nei condomini e nei posti di lavoro (“nidi aziendali”); 5) soluzioni per il sostegno all’infanzia: rafforzamento della rete dei servizi pubblici e privati per la cura e la prevenzione in età infantile. La Provincia di Bolzano, sulla base di questo lavoro, ha sperimentato alcuni percorsi nei seguenti settori d’intervento: a) promozione dell’associazionismo familiare; b) lo sviluppo dei servizi di assistenza alla prima infanzia; c) sostegno alla famiglia in difficoltà; d) sostegno alla genitorialità; e) revisione degli orari e dei tempi di vita nella città; 6) sviluppo di una maggiore equità tra donne e uomini nei compiti familiari 7) interventi di sostegno economico alle famiglie 8) agevolazione per l’accesso ai servizi per l’infanzia 9) promozione di politiche aziendali “amiche” delle famiglie (apertura di nidi aziendali , flessibilità degli orari). Uno dei problemi più frequentemente incontrati è stato il frequente isolamento sociale delle famiglie, le scarse occasioni di socializzazione per i bambini e i genitori in contesti diversi: le frequenti depressioni e malattie somatiche, sia presso le casalinghe che presso le donne occupate e disturbi spesso legati al fardello del “doppio lavoro “ delle donne . Il progetto ha sviluppato soltanto alcune di queste azioni ma il lavoro è comunque di un certo 39 interesse anche per quanto riguarda le donne immigrate che presentano le stesse difficoltà nel conciliare vita familiare e lavoro. Esperienza di conciliazione del Centro interculturale delle donne Alma Mater di Torino Il Centro Interculturale delle donne Alma Mater di Torino, è nata come semplice associazione di donne immigrate e successivamente ha ampliato i propri scopi e finalità. Oggi il centro è composto sia da donne immigrate che da donne italiane. Il centro promuove diverse attività, quali: corsi di lingua italiana per le donne immigrate, corsi di orientamento al lavoro, percorsi d’inserimento lavorativo, gestione di uno spazio nido per le donne immigrate e italiane del quartiere, costituzione di una società cooperativa che gestisce una lavanderia e un Bagno Turco e servizi di mediazione culturale, counseling interculturale, consultorio. Tutti i servizi del centro sono gestiti da mediatrici culturali. Il Centro Interculturale delle donne Alma Mater di Torino ha due obiettivi: 1. essere un luogo in cui le donne di qualsiasi provenienza ed estrazione sociale possano imparare a vivere e lavorare insieme, ognuna con le proprie specificità, nel rispetto e per la valorizzazione 2. offrire alle donne immigrate relegate nella nichia del lavoro domestico la possibilità di mettere a frutto le proprie esperienze lavorative , facendole diventare una risorsa per il loro inserimento socio-professionale Il Centro è diventato uno spazio di mutuo-aiuto tra donne, organizzato in diverse attività: lo spazio bimbi, il centro di documentazione e la Biblioteca, gli spazi per incontri, corsi e laboratori. Le particolari attività del Centro sono: l’hammam, il laboratorio di sartoria, il laboratorio di cucina, la lavanderia, il laboratorio teatrale, le attività corsuali e seminariali. Quattro sono le grandi aree tematiche su cui il centro lavora: 1) attività sociale 2) attività culturali, formative e documentazione 3) la promozione e lo sviluppo di attività produttrici di reddito per le donne 4) le attività gestionali del Centro. 40 Trasversalmente a queste 4 aree è stata attivata la “Banca del tempo”: un luogo nel quale si scambiano prestazioni misurate in ore (si depositano ore di disponibilità e si prelevano ore di bisogno). Il Centro offre diversi servizi alle donne: 1) accoglienza e mediazione culturale 2) consulenza legale 3) spazi bimbi 4) corsi di lingua italiana. Ultimamente sono stati organizzati dei gruppi di formazione permanente alla pratica delle relazioni di aiuto per favorire l’elaborazione e lo sviluppo tra le donne immigrate di strategie per affrontare i problemi della vita familiare e lavorativa. Un’esperienza di successo in Europa: Les Ateliers du Soleil (Bruxelles) Si tratta di un Centro polivalente di attività a supporto dell'inserimento sociale e della cittadinanza, degli immigrati della città di Bruxelles. Il centro funziona dal 1974 e propone diverse attività a favore dell’integrazione degli immigrati, quali: corsi di lingua francese, corsi di lingua materna, laboratori, teatro, corsi di formazione professionale e di orientamento al lavoro, percorsi di cittadinanza, gruppi di mutuo-aiuto; apertura di spazi per i bambini nella prima infanzia, sostegno psicologico per le madri in difficoltà. Le diverse attività svolte dall’associazione sviluppano azioni che favoriscono la conciliazione per le donne immigrate che lavorano e viene svolto anche un importante lavoro con le famiglie ed i mariti i quali vengono “educati” all’assunzione di responsabilità nel lavoro di cura ed assistenza della famiglia. Questo “Centro interculturale per la cittadinanza” è nato nel lontano 1974 per promuovere l’inserimento socio-culturale dei cittadini di origine straniera e per una convivenza armoniosa nella Città. I promotori sono cittadini stranieri e belgi come Dogan Ozguden (origine turca), Inci Tugsavul (turca), Iuccia Saponara (origine italiana) e Marc Brunfaut (belga). Questo Centro si definisce come “Carrefour des citoyens” cioè come un luogo aperto a tutti i cittadini stranieri e belgi della Città di Bruxelles. I suoi obiettivi sono: - promuovere la presa di coscienza del “fattore interculturale” 41 - sviluppare la capacità di analisi e di scelta dei cittadini stranieri nella città - promuovere il ruolo attivo delle donne immigrate - aiutare i giovani , e in particolare le giovani, nel loro percorso scolastico - stimolare l’autonomia e la partecipazione degli immigrati, e in particolare delle donne, alla vita sociale - accompagnare ed aiutare chi è in difficoltà - sviluppare la creatività e valorizzare le culture di origine - promuovere la convivenza e la cooperazione interculturale nei quartieri della città Le azioni con le donne immigrate: Il Centro si propone di: - promuovere dei percorsi di emancipazione femminile attraverso l’eguaglianza tra i sessi - educare le donne immigrate a diventare cittadine attive La donna immigrata soffre di un doppio “handicap” che va affrontato: 1) è sradicata in quanto immigrata 2) in quanto donna straniera è lacerata tra la sua cultura di origine e la cultura belga. Nel lavoro del Centro emergono diverse problematiche che vengono affrontate attraverso attività di vario genere: a) la ridefinizione dei rapporti con il marito e i figli b) molte donne immigrate sono senza lavoro, con un basso livello di scolarizzazione e un ruolo subalterno nella comunità di origine o nella famiglia c) spesso i figli di queste famiglie sono orientati verso la formazione professionale e “l’insegnamento speciale” d) spesso le difficoltà della madre si ripercuotono sullo sviluppo psicologico dei figli. Per queste diverse ragioni è nato il “Progetto giovani donne (16-18 anni)” con i seguenti obiettivi: informare per orientare, aiutare a scegliere una formazione adeguata, acquisire consapevolezza delle proprie capacità, “consapevolizzare” all’eguaglianza tra i sessi. E stata scelta questa fascia di età perché si tratta di giovani donne che si formano ed entrano progressivamente nel mercato del lavoro. L'obiettivo è quello di dotarle degli strumenti e delle competenze necessarie per affrontare la vita. Le azioni che si svolgono sono: - apprendere correttamente la lingua francese 42 - acquisire autonomia e partecipare attivamente alla vita sociale - sapersi orientare e affrontare il mercato del lavoro - liberare la creatività attraverso laboratori espressivi - valorizzare le culture di origine per reinterpretare l’identità in un contesto altro Tutto il progetto parte dalla convinzione che le donne immigrate devono “diventare cittadine” e questo significa acquisire autonomia, indipendenza, spirito critico, senso di responsabilità e impegno sociale. In diverse occasioni (la formazione, i laboratori, i gruppi d’incontro) si lavora con le donne di tutte le età e di diverse nazionalità sul tema dell’identità femminile. L’esperienza degli Ateliers du soleil dimostra che per le donne è fondamentale acquisire una identità propria, distinta da quella del marito lavorare in gruppo sulla percezione della propria identità come donna (prima che come araba, africana o asiatica) acquisire l’informazione necessaria sui propri diritti in quanto donne acquisire l’autonomia necessaria sul piano materiale conoscere e sapersi orientare nella rete dei servizi e delle istituzioni del territorio. La tecnica del laboratori manuali ed espressivi diviene occasione per le donne di confrontarsi sulle problematiche che vivono quotidianamente questi gruppi d’incontro mediati da attività concrete permettono alle donne degli scambi di idee, di parlare della loro vita familiare, dell’educazione dei figli e del lavoro. E sempre presente un animatore/trice che gestisce la dinamica del gruppo per favorire il confronto (per esempio sui diversi modelli culturali di famiglia). Vengono organizzati dei percorsi di avviamento al lavoro nei quali si usa anche il modello dei gruppi d’incontro: durante questi percorsi (aula, stage) le donne s’incontrano tra di loro con l’animatore/rice e vengono discussi i temi specifici del lavoro e della conciliazione lavoro-vita familiare. Ne emergono numerose e interessanti tematiche: la violenza razzista e sessista sui luoghi di lavoro, l’imparare a parlare della propria esperienza lavorativa e le sue ricadute nella vita familiare. Insieme si affrontano i problemi e si parla delle possibili soluzioni. Tuttora, gli Ateliers du Soleil rappresentano la più grossa realtà interculturale del Belgio e una delle più significative del Nord Europa. 43 4. METODOLOGIA DELLA RICERCA 4.1 PREMESSA METODOLOGICA Al fine di rendere più efficace il lavoro di indagine, fin dall'inizio dei lavori è stato individuato uno “staff di ricerca multiculturale” attraverso la selezione di un piccolo gruppo cinque di ricercatrici, di cui 3 donne immigrate (una di origine rumena, una marocchina, una indiana) e 2 italiane. Il perché di tale scelta è riconducibile principalmente all’esigenza di favorire il primo contatto con le donne immigrate scelte quale campione cui somministrare il questionario di indagine, facilitando, in tal modo, la comprensione del significato delle diverse domande poste alle interlocutrici al fine di ottenere il maggior numero di informazioni dalle stesse. Le ricercatrici “immigrate” hanno svolto un importante ruolo di collegamento con il campione di donne individuato, contribuendo attivamente sia all’elaborazione, messa a punto e validazione degli strumenti di rilevazione, sia alla conduzione delle interviste durante le quali hanno messo in campo la propria esperienza personale, il proprio vissuto di donna immigrata. Per ciò che concerne le ricercatrici italiane, la scelta è stata indirizzata verso persone che già lavoravano a contatto con l'immigrazione e in particolare con l’immigrazione al femminile. Anche in questo caso, il contributo in termini professionali ed esperienziali è stato prezioso sia in fase di elaborazione degli strumenti di rilevazione, sia nella fase di indagine sul campo. La fase precedente alla rilevazione sul campo è stata dunque caratterizzata da alcuni incontri preliminari con le ricercatrici, svoltisi in forma di focus group, finalizzati alla messa a punto degli strumenti di indagine e alla programmazione del lavoro di rilevazione, elaborazione e restituzione delle informazioni raccolte. Lo staff delle ricercatrici era composto, come già detto, da 5 persone, una in riferimento per ciascuno dei 5 territori campione, individuati come territori di interesse per lo specifico tema della conciliazione lavoro-famiglia, ovvero i Comuni di: Rimini, Forlì, Imola, Modena, Reggio-Emilia. Durante i focus group con le ricercatrici, sono anche stati definiti alcuni aspetti metodologici fondamentali per la conduzione delle interviste ed in particolare le modalità di approccio all’intervista, il come gestire la rilevazione dei dati forniti, il come utilizzare al meglio gli appunti ed il registratore, al fine di raccogliere quanti più dati significativi possibile dalle donne intervistate. 44 Sono stati definiti, inoltre, i criteri di selezione del campione di donne immigrate, la tipologia di servizi per l’immigrazione operanti nei cinque territori comunali individuati e i ruoli professionali degli operatori di tali servizi cui rivolgere l’intervista, le modalità di trascrizione dei dati relativi alle interviste effettuate, nonché di stesura di una nota aggiuntiva con una breve descrizione del profilo "biografico" della donna immigrata intervistata. Allo scopo di uniformare le modalità di conduzione delle interviste ai fini dell’ottenimento di dati significativi, il Responsabile Tecnico Scientifico ed il coordinamento di progetto hanno messo a punto e fornito alle ricercatrici, un documento guida per la conduzione delle interviste denominato: “Note metodologiche e criteri di selezione del campione”, a cui fare riferimento durante la fase di rilevazione e quella successiva di trascrizione e rielaborazione dell’intervista. Tale documento, unitamente all’abstract di presentazione del progetto, ai due questionari di intervista, quello alle donne immigrate e quello agli operatori dei servizi, hanno costituito il cosiddetto “kit di intervista” ad uso delle ricercatrici. 4.2 MODALITÀ DI CONDUZIONE DELLE INTERVISTE ALLE DONNE IMMIGRATE Al fine di una più proficua conduzione dell’intervista è stato proposto alle ricercatrici l'uso di un registratore, spiegando preventivamente che per poter condurre l’intervista con l’ausilio di un registratore è necessario esplicitarne, sin dal principio, lo scopo e l’utilizzo che verrà fatto dei dati rilevati, al fine di evitare nella donna immigrata intervistata l’insorgere del dubbio di essere in qualche modo “controllata”. Molti immigrati, infatti, a causa dei numerosi controlli ai quali sono sottoposti fin dal loro arrivo in Italia, vivono la cosiddetta “sindrome del sospetto” e si dimostrano restii a fornire informazioni circa la loro situazione. Per questo motivo è stato consigliato alle ricercatrici di spiegare loro nella maniera più accurata possibile gli obiettivi della ricerca, sottolineando l’aspetto fondamentale della conciliazione ed esplicitando in maniera chiara l’intento di individuare possibili soluzioni ad un problema attuale che vivono molte donne immigrate. La presenza di ricercatrici immigrate con una esperienza nel settore della mediazione culturale, e di ricercatrici italiane, con precedenti esperienze di lavoro con le donne immigrate, è stata di grande importanza per garantire accuratezze e correttezza nella conduzione delle interviste e qualità dei dati raccolti. Le competenze delle ricercatrici di cogliere, intuire, la disponibilità o le resistenze, manifeste o implicite, della donna intervistata, é stata fondamentale al fine di 45 instaurare e gestire la relazione e per creare le condizioni necessarie ad un colloquio proficuo. Le ricercatrici hanno cercato il più possibile di “tradurre” o “semplificare” le domande, soprattutto nelle situazioni di difficoltà di comprensione linguistica da parte della donna intervistata: intervistando, infatti, una donna appartenente al proprio gruppo linguistico la ricercatrice poteva ripetere, semplificare e specificare la o le domande nella sua lingua d’origine. E’ stata inoltre sottolineata alla ricercatrice l’importanza di gestire le proprie emozioni e di “controllare” i propri pregiudizi nella conduzione delle interviste. Le ricercatrici hanno quindi dovuto “gestire” i propri vissuti e le proprie proiezioni nella relazione con le donne intervistate per riuscire a non “inquinare” con i propri sentimenti le risposte fornite dalle donne intervistate. Occorre inoltre aggiungere che l’indagine sul campo vera e propria è stata preceduta da una fase di testing degli strumenti di rilevazione, cioè i due questionari di intervista, al fine di una loro eventuale, qualora necessaria, successiva ritaratura finalizzata al raggiungimento degli obiettivi della ricerca. A tal fine sono state realizzate due interviste di prova per ciascun territorio interessato a seguito delle quali è stato organizzato un incontro successivo con le ricercatrici per verificare le risposte fornite dalle donne immigrate intervistate, al fine di poter, appunto, ritarare gli strumenti di indagine: i questionari ottenuti dal processo di revisione e ritaratura alla luce dei primi risultati provenienti dalle due interviste di testing sono stati quindi resi più incisivi, puntuali ed efficaci, in riferimento alle necessità di rilevazione ed alla tematica specifica dell’indagine. Sempre in riferimento alla metodologia di rilevazione e di redazione delle interviste, ed alle modifiche apportate agli strumenti di intervista, alle ricercatrici è stato chiesto di approfondire il colloquio d’intervista redigendo personalmente (sulla base di una griglia-guida) una breve monografia dell’intervistata, una sorta di “racconto di vita”. A tale scopo, al fine di permettere una miglior comprensione delle risposte fornite dalle donne immigrate e quindi facilitare l’intervistatrice nel suo lavoro di ascolto e trascrizione della vita e del percorso delle donne, al termine di ciascuna griglia di intervista è stato lasciato un apposito spazio (sezione 8) di due pagine: tale spazio consentiva alle ricercatrici di annotare, sia al momento dell’intervista, che successivamente durante il lavoro di sbobinatura della registrazione effettuata, informazioni supplementari ritenute utili a complemento delle risposte fornite dalla donna intervistata, permettendo così di collocare l’intervista nel contesto specifico 46 in cui si è svolta. Attraverso il documento “Note metodologiche e criteri di selezione del campione”, si sono invitate quindi le ricercatrici ad annottare una serie di considerazioni supplementari necessarie e funzionali ad una migliore comprensione dell’intervista, quali: riflessioni, impressioni, valutazioni, della rilevatrice rispetto: al clima instauratosi, allo spazio concesso dall’intervistata, al tempo dedicato, alla disponibilità dell’intervistata, all’eventuale suo atteggiamento di reticenza, ai “silenzi significativi”. 4.3 IL CAMPIONE Trattandosi di una ricerca qualitativa, si è pensato di indagare in profondità il fenomeno della conciliazione lavoro-famiglia, su di un campione di 70 donne immigrate residenti nei cinque territori presi in esame: Reggio-Emilia, Modena, Imola, Forlì, Rimini. Al fine di indagare il fenomeno della conciliazione lavoro-famiglia, rispetto all’offerta di servizi di supporto in ambito locale, l’indagine ha previsto inoltre uno specifico campione, costituito da trenta operatori di centri di servizi per l’immigrazione, presenti nei cinque territori presi in esame, incaricati di erogare specifici servizi di supporto, assistenza, orientamento anche a favore delle donne immigrate. Come precedentemente descritto, è stato redatto ad uso delle ricercatrici, un documento di supporto allo svolgimento delle interviste, denominato “Note metodologiche e criteri di selezione del campione”, contenente, appunto, indicazioni dettagliate sulle modalità di conduzione dell’intervista, quali: 1. Le modalità di approccio e di conduzione delle interviste; 2. I criteri di selezione del campione di donne immigrate da intervistare; 3. La tipologia di centri servizi/operatori a supporto degli immigrati da intervistare; 4. Le modalità di trascrizione delle interviste e le considerazioni aggiuntive per una migliore comprensione delle risposte fornite dal campione; 5. I tempi di lavoro e di restituzione dei risultati delle interviste al Responsabile tecnico scientifico ed allo staff di coordinamento del progetto, al fine di analizzare i dati raccolti e redigere il report finale della ricerca. 47 In particolare, in riferimento al punto 2, “Criteri di selezione del campione di donne immigrate da intervistare”, è stato ritenuto opportuno e necessario tener conto, fra gli altri, dei seguenti criteri di selezione: Provenienza geo-culturale Sebbene il campione fosse esiguo rispetto alla numerosità dei gruppi nazionali e culturali individuabili nei territori interessati dalla ricerca, ogni ricercatrice ha dovuto tener presente, per quanto possibile, la composizione geo-culturale di provenienza delle immigrate presenti sul proprio territorio di riferimento (ad esempio, nel caso della provincia di Reggio-Emilia la presenza degli indiani Sikh del Punjab è assai significativa, mentre le donne indiane sono praticamente assenti su altri territori considerati). E’ stato Inoltre chiesto alle ricercatrici di intervistare, pur sapendo che non sarebbe stato semplice!, alcune donne cinesi, proprio per le caratteristiche di “chiusura” e di scarsa conoscenza della componente femminile della comunità cinese. Rispetto alla variabile geo-culturale, è stato indicato inoltre di tenere conto, nella medesima proporzione, delle donne provenienti dalle zone dell’Africa nera subsahariana (Nigeria, Senegal) poiché in queste realtà si individuano spesso difficoltà legate anche al colore della pelle e, di conseguenza, problemi di discriminazione razziale. Per la costituzione del campione qualitativo, per ciascun territorio si è dunque deciso di considerare, un gruppo formato da donne immigrate provenienti dalle seguenti aree geografiche: Paesi del Maghreb (2/3 donne) Paesi dell’est europeo (2/3 donne) (comprendenti alcuni dei nuovi Paesi entrati a fra parte dell’Unione Europea, quali: Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria) India, Pakistan, Sri Lanka (2/3 donne) Cina (1/2 donne) Aree Africa Subsahariana (1/2 donne) 48 Età delle donne intervistate Nel docuemento è stato indicato alle ricercatrici di prendere in considerazione donne di età non superiore ai 50 anni: in primo luogo per motivi legati al fatto che la maggioranza delle donne immigrate presenti sui territori interessati dalla ricerca ha un’età tra i 20 e i 45 anni, in secondo luogo perché, inserendo nel campione qualitativo una donna over 50 anni, viene introdotta una ulteriore variabile che rischia di non essere utile per lo specifico oggetto della ricerca, in quanto tale classe di età si trova spesso nella difficoltà di trovare lavoro per motivi legati porpio all’età troppo elevata. Il campione è stato suddiviso dunque nelle seguenti fasce d’età: Da 20 a 25 anni: Da 26 a 35 anni: Da 36 a 45 anni Da 46 a 50 anni Livello di scolarizzazione Al fine di ottenere dati significativi rispetto all’oggetto dell’indagine si è tenuto conto del livello di scolarizzazione delle donne intervistate, ed in particolare di: un certo numero di donne analfabete (soprattutto quelle provenienti dal Marocco, dall’India o dalla Nigeria, poiché nel caso delle donne provenienti da Paesi dell’est si riscontra un livello di scolarizzazione quasi sempre più elevato); una parte consistente di donne alfabetizzate che potessero essere rappresentative di tre distinte categorie: a) chi ha frequentato solo la scuola elementare; b) chi ha frequentato la scuola fino ai 16 anni circa; c) chi ha svolto studi superiori o universitari (anche se non riconosciuti in Italia); L’indicazione fornita a ciascuna ricercatrice circa la suddivisione percentuale delle donne da intervistare rispetto al parametro “livello di scolarizzazione” è stata di 1/3 di donne analfabete e 2/3 di donne alfabetizzate (da ripartirsi a sua volta nelle categorie a, b, c.) 49 Esperienze lavorative Sempre con riferimento alle domande contenute nel questionario di intervista, è stato chiesto alle ricercatrici di tenere conto di: donne in possesso di esperienze lavorative precedenti all’arrivo in Italia; donne in possesso di esperienze lavorative acquisite solo dopo il loro arrivo in Italia. Numero di figli e loro età La composizione del campione indicato ha tenuto conto, inoltre, del numero dei figli e della loro età e questo in proporzioni abbastanza equilibrate ed in particolare riferito a donne aventi: un solo figlio (circa il 50% del campione) più di un figlio (circa il 50% del campione) Rispetto alle categorie di cui sopra l’età dei figli poteva essere compresa nelle seguenti fasce di età: da 0 a 3 anni da 4 a 5 anni da 6 a 11 anni da 12 a 15 anni da 16 a 18 anni più di 18 anni Sempre ai fini della composizione del campione, a ciascuna ricercatrice è stato chiesto di considerare nei limiti del possibile, altre specifiche caratteristiche, quali: Una donna che vivesse sola con dei figli perché divorziata o separata dal marito o comunque con una situazione anomala rispetto alla famiglia “classica”; Una donna nella cui famiglia vivessero anche altri familiari (intesa come famiglia allargata), suoi o del coniuge, nei confronti dei quali lei prestasse attività di cura; Una donna sposata ma senza figli. Le risposte provenienti dalle donne immigrate in possesso delle caratteristiche sopracitate, sono state utilizzate quale “elemento di comparazione” con le risposte fornite dalle altre donne 50 intervistate, al fine di evidenziare meglio gli elementi peculiari relativi al tema della conciliazione. Occorre inoltre precisare che, per motivi legati all’oggetto specifico della ricerca, ossia la conciliazione tra tempi di lavoro e di cura della famiglia, sono state escluse dal campione: le donne immigrate che vivono in Italia da sole (ad esclusione di quelle sposate ma senza figli, le quali eventualmente posso essere state oggetto di intervista); donne che abbiano esclusivamente figli di età maggiore ai 18 anni. 4.4 TIPOLOGIE DI SERVIZI TERRITORIALI PRESI A CAMPIONE Il campione costituito da trenta operatori qualificati, in rappresentanza di altrettanti centri di servizi che si occupano di problematiche legate all’immigrazione (ed in particolare di immigrazione al femminile), ha ricompreso una pluralità di uffici, servizi, centri, enti, associazioni, agenzie, classificati nel seguente modo: a) Amministrazioni Comunali Servizio sociale per minori; Servizio sociale per adulti; Ufficio stranieri. b) A.S.L. Poliambulatori: Servizio Maternità e Infanzia; Consultorio familiare. c) CPI: Centri Provinciali per l’Impiego d) Centri di formazione professionale che gestiscono percorsi di formazione e inserimento lavorativo per donne immigrate e) Associazioni di immigrati, di donne immigrate e di volontariato che si occupano anche, e a volte nello specifico, di problemi delle donne immigrate. 51 f) Cooperative sociali che lavorano con, o intervengono a favore, delle donne immigrate. g) Sindacati: in particolare i Centri “diritti per i lavoratori stranieri della CGIL e della CISL”. 4.5 ELABORAZIONE ED ANALISI DEI DATI La scelta di privilegiare un’indagine di tipo qualitativo, che favorisse un’analisi più “in profondità” del fenomeno della conciliazione delle esigenze lavorative e familiari delle donne immigrate, ha permesso, fin dalla realizzazione dei focus-group, ai quali hanno preso parte le ricercatrici successivamente coinvolte nella somministrazione ed elaborazione dei questionari di indagine, di cogliere il “vissuto” di coloro fra queste che, essendo donne immigrate, hanno verificato sulla propria pelle l’esperienza di situazioni di disagio e di difficoltà nel conciliare il lavoro con la vita familiare. L’esperienza delle ricercatrici immigrate, unita a quella delle ricercatrici italiane facenti parte di realtà che da tempo erogano servizi di supporto agli immigrati, ha consentito di mettere a punto un modello di elaborazione ed analisi dei dati raccolti attraverso la somministrazione dei questionari, funzionale al raggiungimento dei risultati della ricerca. L'elaborazione e l'analisi dei dati porta sia sulle interviste alle donne immigrate che su quelle agli operatori dei servizi: l'incrocio tra le risposte fornite dalle donne e quelle fornite dagli operatori permette d'individuare difficoltà, criticità e possibili risposte. I due punti di vista (quello delle donne immigrate e quello degli operatori dei servizi) forniscono delle "variabili focali" in grado di speigare la complessità e la natura socio-culturale del fenomeno della conciliazione lavoro-vita familiare. Più precisamente il processo di elaborazione ed analisi dei dati si è articolato attraverso due fasi distinte: Fase I: Ripartizione quantitativa del campione intervistato per “criteri di selezione”; Codifica del materiale e dei dati rilevati; Individuazione dei principali fattori critici rispetto all'oggetto della ricerca, cioè la conciliazione tra tempi di lavoro e tempi dedicati alla cura della famiglia; Elaborazione di alcune storie di vita delle donne intervistate: il metodo autobiografico come strumento di ulteriore comprensione. 52 Fase II: Definizione delle unità di classificazione (individuazione degli indicatori che determinano l'appartenenza di un’unità ad una certa categoria piuttosto che ad un’altra) Individuazione dei temi salienti della conciliazione dei tempi fra lavoro e famiglia: a. parole chiave b. lista di temi c. tipologie Definizione delle categorie di aggregazione dei dati: provenienza periodo precedente all'esperienza migratoria livello di scolarizzazione arrivo in Italia e difficoltà incontrate conoscenza della lingua numero ed età dei figli aspetti culturali e religiosi discriminazione, razzismo e xenofobia influenza degli aspetti normativi attività lavorativa e difficoltà incontrate vita sociale: rete sociale di supporto rapporto con i servizi a supporto degli immigrati formazione professionale altre proposte provenienti dalle donne immigrate Individuazione di connessioni significative tra le diverse categorie di analisi Durante il procedimento di riordino e classificazione dei dati rilevati si è tenuto conto dei fattori ostacolanti (vincoli = punti di debolezza) e dei fattori favorevoli (opportunità = punti forza)della conciliazione tempi di lavoro-famiglia. 53 Alcune connessioni significative fra le diverse categorie hanno riguardato: i figli, il numero di figli, l'età, l’attività lavorativa, il livello di scolarizzazione, le esperienze lavorative precedenti, la conoscenza della lingua italiana, ecc… Con gli operatori dei servizi si è tenuto conto, invece, della collocazione del servizio e della sua funzione sul territorio rispetto alla presenza del fenomeno migratorio, e di quello femminile in particolare. Si è partiti da domande sulla tipologia di utenza immigrata più frequentemente a contatto con il servizio, sulla frequenza con cui si presentano al servizio le donne immigrate e sul tipo di richieste di queste ultime. La griglia d'intervista si sofferma anche sulle difficoltà incontrate con le donne immigrate e sul tipo di preparazione degli operatori. Un altra domanda che è sembrato utile inserire ai fini della ricerca ha riguardato la presenza o meno di mediatori culturali all'interno dei servizi (ruolo, funzioni e relazione con gli operatori). In ultima analisi è stato chiesto agli intervistati di fornire dei suggerimenti in merito alle possibili risposte all’utenza in materia di conciliazione. Il confronto incrociato tra le risposte delle donne e quelle degli operatori ha fornito una serie di elementi qualitativi per delle considerazioni finali e delle ipotesi d'intervento possibile in grado di favorire la conciliazione lavoro-vita familiare per le donne immigrate. 54 5. ANALISI DEI DATI RACCOLTI : LE DONNE IMMIGRATE 5.1 RIPARTIZIONE QUANTITATIVA DEL CAMPIONE INTERVISTATO PER “CRITERI DI SELEZIONE” Il numero complessivo di donne immigrate intervistate è stato di 70. Nello specifico sono state intervistate 14 donne per ciascuna delle cinque aree territoriali interessate dalla ricerca: Rimini, Forlì, Imola, Modena, Reggio Emilia. Criterio di selezione “Nazione di provenienza delle intervistate per area territoriale di indagine” Imola Marocco: Algeria: Tunisia: Albania: Bielorussia: Nigeria: Senegal: 5 2 1 2 1 2 1 Forlì Marocco: Tunisia: Romania: Albania: Polonia: Costa d'Avorio: Burkina Faso: Senegal: Nigeria: India: Cina: 1 1 1 2 1 2 2 1 1 1 1 Rimini Marocco: Tunisia: Senegal: 2 1 1 55 Nigeria: Romania: Albania: Ukraina: Messico: Perù: Colombia: Cina: 1 2 1 1 1 1 2 1 Modena Marocco: Romania: Albania: Ungheria: Moldavia: Mauritania: Nigeria: Sri Lanka: 6 1 1 1 1 1 2 1 Reggio-Emilia India: Pakistan: Cina: Isole Mauritius: Brasile: Marocco: Russia: Kenya: Costa d'Avorio: 6 1 1 1 1 1 1 1 1 Criterio di selezione : “Aree geo-culturali di provenienza delle donne intervistate” Per lo sviluppo della ricerca si è deciso di utilizzare il concetto di "area culturale" elaborato dall'antropologo americano Alfred Kroeber (fondatore della scuola “Cultura e personalità”), più adeguato rispetto a quello di origine etnica, vista l'ambiguità del concetto stesso del termine “etnico”. La categoria denominata "area culturale" ha il vantaggio di fare riferimento ai sistemi linguistici, 56 ai costumi, alle culture religiose di riferimento di vaste aree geografiche. Per Kroeber quello che conta è il sistema di connessioni culturali che permette di comprendere atteggiamenti e comportamenti; in tal modo si può prendere in considerazione la grande varietà dei modelli culturali nonché le costanti che caratterizzano queste zone di aggregazione culturale. Pertanto le aree geo-culturale di provenienza delle donne immigrate facenti parte del campione, sono state: Europa Orientale: 16 donne Albania: Romania: Polonia: Ungheria: Bielorussia: Moldavia: Ucraina: Russia: 6 4 1 1 1 1 1 1 Nord Africa occidentale (Maghreb): 21 donne Marocco: Algeria: Tunisia: Mauritania: 13 2 3 1 Africa nera (sub-sahariana): 16 donne Costa d'Avorio: Senegal: Burkina Faso: Nigeria: Kenya: Isole Mauritius: 3 3 2 6 1 1 America centrale e Sud America: 5 donne Brasile: Messico: Perù: Colombia: 1 1 1 2 57 Asia:12 donne Cina: India: Sri Lanka: Pakistan: 3 7 1 1 Criterio di selezione: “Fasce di età delle donne intervistate” (% sul campione complessivo) Da 20 a 25 anni: 10% Da 26 a 35 anni: 70% Da 36 a 45 anni: 15% Da 46 a 50 anni: 5% Criterio di selezione: “Livello di scolarizzazione” (% sul campione complessivo) scuola elementare: 8% scuola media inferiore: 60% scuola media superiore: 25% università: 7% Criterio di selezione: “Numero di figli” (% sul campione complessivo) 0 figli: 4% 1 figlio: 32% 2 figli: 50% più di 2: 14% 58 Criterio di selezione: “Età dei figli” (% sul campione complessivo) da 0 a 3 anni: 12% da 4 a 5 anni: 10% da 6 a 11 anni: 45% da 12 a 15 anni: 15% da 16 a 18 anni: 12% più di 18 anni: 6% Criterio di selezione: “Percentuale delle intervistate per stato civile” coniugate: 90% separate o divorziate(sole con figli): 10% Criterio di selezione: “Motivo dell’arrivo in Italia” (% sul campione complessivo) ricongiungimento familiare: 75% sponsor (ex legge 40/98) 6% lavoro: 14% studio: 5% Criterio di selezione: “Livello di conoscenza della lingua italiana”* (*valutazione soggettiva effettuata da ciascuna delle ricercatrici coinvolte sul campo) scarso: 20% sufficiente: 10% discreto: 15% buono: 50% ottimo: 5% 59 Criterio di selezione: “Tipologia di lavoro svolto al momento dell’intervista” (% sul campione complessivo) operaie: 20% lavoratrici autonome: 10% libere professioniste: 5% assistenti di base o domiciliari: 25% addette alle pulizie: 30% mediatrici culturali: 10% Criterio di selezione: “Frequenza a corsi di formazione in Italia” (% sul campione intervistato) ** corsi di lingua italiana: 80% corsi di formazione professionale: 50% ** percentuali non complementari (= la cui somma non è uguale a 100) poiché le intervistate potevano rispondere affermativamente ad entrambe le domande poste Criterio di selezione: conoscenza dei Servizi territoriali per immigrati intervistato)** Centri per l’Impiego: 85% Servizi sociali: 70% Servizi sanitari: 30% (% sul campione ** percentuali non complementari (= la cui somma non è uguale a 100) poiché le intervistate potevano rispondere affermativamente ad entrambe le domande poste 60 5.2 CODIFICA DEI DATI RILEVATI I dati quantitativi derivanti dalle interviste sono stati dapprima codificati e successivamente, in alcuni casi di particolare interesse, incrociati fra loro, al fine di estrapolarne chiavi di lettura e riflessioni utili alla comprensione della particolare problematica indagata: la conciliazione dei tempi lavoro-famiglia per le donne immigrate. Occorre tenere presente che il campione, come già accennato precedentemente, per quanto di ridotte dimensioni è stato costruito affinché potesse rispecchiare il più possibile la realtà dell'immigrazione al femminile sul territorio regionale. L'incrocio tra dati numerici (per quanto significativi in un’indagine a valenza soprattutto qualitativa) con alcune "variabili focali", quali la provenienza geo-culturale, il livello di conoscenza della lingua italiana, il livello di scolarizzazione, il numero dei figli, l'età dei figli, la tipologia di lavoro svolto, permette d'individuare i fattori che hanno un’incidenza importante sulla possibilità di conciliare lavoro e vita familiare (sia in positivo che in negativo). La provenienza geo-culturale Analizzando la provenienza geo-culturale delle donne facenti parte del campione notiamo che la parte più consistente proviene dall'Africa Nord occidentale cioè dal Maghreb, con il Marocco come Paese maggiormente rappresentato rispetto alla Tunisia e all'Algeria. Questi dati rispecchiano fedelmente la realtà, caratterizzata da una consistente presenza della comunità maghrebina musulmana nel territorio della regione. L'area geo-culturale di provenienza ha una considerevole importanza per le implicazioni che da essa derivano in merito alla conciliazione del rapporto lavoro-famiglia per la donna immigrata. Per molte donne maghrebine infatti, non è semplice dover combinare attività familiare e lavoro tenendo conto dell'habitus (quello che Pierre Bourdieu chiama le "disposizioni socio-culturali interiorizzate") che determina mentalità e comportamenti. Il modello sociale del ruolo della donna nel Maghreb musulmano viene riprodotto nell'immigrazione da parte delle donne stesse, che tentano di conciliare il modello culturale della società accogliente con quello della società di origine. Il secondo gruppo in termini numerici, presente nel campione, è quello costituito dalle donne dell'Europa Orientale, soprattutto dall’Albania e Romania. Anche questo dato rispecchia la tendenza in atto nella regione che vede una forte presenza di immigrate provenienti dall’est 61 Europa. L'Africa nera subsahariana, con Nigeria, Senegal e Costa d'Avorio, è ugualmente rappresentata nel nostro campione; per le donne dell'Africa francofona la conoscenza del francese è spesso un ottimo strumento di mediazione per imparare rapidamente l'italiano. Nello sviluppo dell’indagine si vedrà come le donne africane nere pongano il problema del colore della pelle come fattore di discriminazione per la ricerca del lavoro. Per quanto riguarda l’Asia, il campione è rappresentato da donne cinesi e da indiane di religione sikh, soprattutto perché, come già accennato, si è scelto di realizzare parte delle interviste nel territorio reggiano dove da tempo si è insediata una significativa comunità sikh, con il suo Tempio (che svolge una funzione aggregante e socializzante molto importante per la comunità locale) e con un notevole impatto sul territorio dove essa insiste: anche in questo caso dall’indagine emergono dati interessanti nella misura in cui molte di queste donne risolvono, in qualche modo, il problema della conciliazione lavoro-famiglia lavorando presso la propria abitazione. Per quanto riguarda il campione di donne provenienti dal Sud America (localizzate ai fini dell’indagine soprattutto nella zona di Rimini), si è notato che un numero importante è coniugato con un cittadino italiano e molte dichiarano, in genere, di non avere avuto grossi problemi d’inserimento sociale sia per la facilità di apprendimento della lingua - lo spagnolo come il francese è uno strumento di mediazione che facilita l’apprendimento dell’italiano - che per le differenze culturali, minori e di minore impatto rispetto a quelle che si presentano per le donne africane o asiatiche. Il fatto poi di essere sposate con uomini italiani ha, in molti casi, consentito un migliore inserimento sociale. Diversamente, sul piano dell’inserimento lavorativo queste donne incontrano gli stessi problemi di quelle proveniente da altre parti del mondo. Tenuto conto dell’estrema importanza di tale indicatore, il dato relativo alla provenienza geo-culturale delle donne immigrate, è stato successivamente incrociato con altre variabili di interesse per l’indagine. Da tale operazione sono scaturite interessanti informazioni che hanno permesso di analizzare il fenomeno della conciliazione lavoro-famiglia, da angolature nuove e assolutamente pertinenti al tema in questione, che hanno fornito ulteriori elementi di approfondimento e valutazione. Vediamo in sintesi i principali risultati di tale operazione di incrocio. 62 Provenienza geo-culturale della donna e Livello di conoscenza dell'italiano Dal Marocco: livello di conoscenza dell’italiano tra discreto e buono Dall’Albania: livello di conoscenza dell’italiano tra buono e ottimo Dall’India: livello di conoscenza dell’italiano scarso o discreto Dalla Cina: livello di conoscenza dell’italiano scarso o discreto Dalla Nigeria: livello di conoscenza dell’italiano tra discreto e buono Provenienza geo-culturale della donna e Livello di scolarizzazione medio Dal Marocco: scuola elementare/scuola media Dall’Albania: scuola media Dall’India: scuola elementare/scuola media Dalla Cina: scuola media Dalla Nigeria: scuola elementare/scuola media Provenienza geo-culturale della donna e Numero di figli Dal Marocco: 2 figli o più di 2 figli Dall’Albania: 1 figlio Dall’India: 2 figli o più di 2 figli Dalla Cina:1 figlio Dalla Nigeria: 2 figli o più di 2 figli 63 Provenienza geo-culturale della donna ed età dei figli Dal Marocco: da 0 a11 anni Dall’Albania: da 0 a 5 anni Dall’India: da 0 a 15 anni Dalla Cina: da 0 a 5 anni Dalla Nigeria: da 0 a 11 anni Provenienza geo-culturale della donna e tipologia di lavoro svolto Dal Marocco: Addetta alle pulizie e Operaia Dall’Albania: Assistente di base o domiciliare e mediatrice culturale Dall’India: Lavoratrice autonoma Dalla Cina: Lavoratrice autonoma Dalla Nigeria: Assistente di base o domiciliare e Addetta alle pulizie 5.3 FATTORI CRITICI IN MATERIA DI CONCILIAZIONE LAVORO-FAMIGLIA Dalle risposte fornite nei questionari emergono, per tutte le donne immigrate intervistate, alcune opinioni ricorrenti sulla possibilità o meno di conciliare tempi di lavoro e impegni familiari. Nella maggior parte dei casi vengono espressi aspetti problematici, critici. Tali difficoltà possono essere ricondotte ai seguenti fattori: Fattore Figli Per la maggioranza delle donne intervistate l'età dei figli incide fortemente sulla possibilità di combinare l'attività lavorativa e la vita familiare. La maggioranza delle donne immigrate, infatti, non può contare sul supporto della propria rete familiare e non riesce a far coincidere gli orari dell'attività lavorativa con gli orari degli asili nido o delle scuole materne. 64 Diverse donne, inoltre, in particolare quelle che provengono dall'Africa, esprimono il forte bisogno di passare più tempo con i bambini e quindi di disporre di orari maggiormente flessibili. Questo bisogno è fortemente radicato nelle donne africane (provenienti dal maghreb e dell’Africa nera), poiché per queste persone la cura dei figli rappresenta una priorità. Tale aspetto non può essere trascurato se si vuol favorire l'inserimento al lavoro di queste donne; psicologicamente condiziona fortemente la concezione che la donna ha del rapporto con il proprio lavoro. Inoltre, nel caso in cui la donna abbia più di un figlio, le cose si complicano ulteriormente. L'età dei figli incide fortemente. Se questi ultimi hanno un’età inferiore ai 5 anni vi è la necessità di avere un posto presso l’asilo nido o la scuola materna, ma spesso nei nidi i posti disponibili sono scarsi e per di più costosi. Molte donne immigrate si ritrovano quindi nell’impossibilità di collocare i propri figli e quindi di pensare ad un lavoro anche part-time. Nel caso di figli in età scolastica il problema è legato alla difficoltà di conciliare gli orari di ingresso e di uscita dalla scuola con quelli lavorativi. Fattore Organizzazione familiare Per la maggior parte delle donne immigrate intervistate, l’elemento di maggiore difficoltà nel conciliare i tempi di lavoro con quelli familiari è rappresentato dall'assenza della rete familiare di origine (genitori e parenti, i quali potrebbero fornire un sostegno indispensabile alla donna che lavora). A tutto ciò si aggiunge l’insufficienza o la totale assenza di un aiuto per il disbrigo delle pratiche familiari e la gestione dei figli da parte del marito. In molti casi la gestione degli impegni familiari in comune fra i coniugi presenta notevoli difficoltà poiché il marito lavora in fabbrica o in una azienda organizzata per turni lavorativi con non si conciliano al dover affrontare pratiche lavorative quotidiane in famiglia . In altre situazioni le donne immigrate lamentano lo scarso atteggiamento collaborativo dei mariti per una presunta ripartizione dei ruoli che vede la donna come unica responsabile del “focolare domestico”. La situazione si presenta sostanzialmente in modo diverso qualora la donna immigrata possa contare sull’aiuto della propria madre o della madre del marito, la quale può supportare in maniera significativa la donna nell’espletamento delle diverse attività domestiche e di cura dei figli. Le persone intervistate evidenziano in maggioranza come con l’attuale legislazione nazionale sull’immigrazione (legge Bossi-Fini), sia quasi impossibile ottenere il 65 ricongiungimento familiare con i propri genitori, i quali garantirebbero un prezioso contributo al fine di favorire l'avvio al lavoro, nonché la conciliazione dei tempi lavoro-famiglia per le donne immigrate. Fattore Linguistico La conoscenza della lingua italiana viene considerato un fattore strategico per l’inserimento sociale e lavorativo delle donne immigrate. La maggior parte delle donne intervistate dichiara infatti di aver seguito un corso d'italiano una volta giunte in Italia. Dalle interviste effettuate, risulta inoltre come sia stato più semplice imparare l'italiano per le donne provenienti dai paesi africani francofoni (Maghreb, Senegal, Costa d'Avorio), rispetto alle altre (si presume che ciò sia dovuto ad una precedente conoscenza della lingua francese la quale agevola l’apprendimento dell’italiano). Un ulteriore elemento favorevole all’apprendimento linguistico risulta essere legato al livello di scolarizzazione delle donne all’arrivo in Italia. Fattore Culturale-Religioso I fattori culturale e religioso sono molto importanti per alcune donne immigrate. Ad esempio per alcune che provengono dal Maghreb arabo-musulmano (non per tutte ovviamente) si pone la questione del velo, cioè il fatto di non volersi togliere un elemento ritenuto parte importante della propria identità. Altra questione riguarda il fatto che per molte donne musulmane la famiglia è la priorità assoluta, pertanto, quando decidono di cercare un lavoro si tratta spesso di una scelta dovuta ad una necessità economica e non necessariamente ad un’esigenza di emancipazione e di autonomia. Molte donne intervistate inoltre, hanno messo in evidenza alcune difficoltà al loro arrivo in Italia: il senso di spaesamento, di disorientamento e di solitudine, dovuto alle abitudini diverse incontrare nel nostro Paese. Alcune di queste risolvono il problema rimanendo all'interno della comunità locale di origine che funziona come mediatore culturale e punto di accoglienza/sostegno. Si tratta per esempio della comunità sikh indiana della Provincia di Reggio-Emilia. In questa comunità le donne trovano una soluzione lavorativa (lavoro autonomo svolto a domicilio), che riproduce le abitudini del paese di origine, essendo tutto realizzato all'interno della comunità. Anche per le donne africane nere e per le cinesi sono emersi problemi di carattere culturale. Le 66 prime hanno manifestato il disagio e la difficoltà di farsi comprendere, le seconde cercano soluzioni ai problemi di integrazione all'interno della comunità cinese. Tutti questi elementi incidono negativamente sulla possibilità di conciliare il proprio percorso lavorativo con la vita familiare. Talvolta il lavoro non è visto come un elemento positivo per la donna (soprattutto per chi viene dall'India o dal Maghreb), poiché si pensa che possa incidere negativamente nel rapporto con il marito e nella cura dei figli. Fattore “Discriminazione: sessismo e razzismo” In alcuni casi, e soprattutto per le donne provenienti da determinati Paesi o aree geografiche, le intervistate lamentano di aver subito atteggiamenti discriminatori dovuti al fatto di essere, al contempo, donne e straniere. Molte delle donne intervistate hanno raccontato dell'atteggiamento assunto da parte di potenziali datori di lavoro nel prendere in considerazione l'età della donna, e l’eventuale rischio gravidanza, come elemento discriminante per un’eventuale assunzione e nel richiedere esplicitamente donne immigrate senza figli (perché i figli si ammalano e le madri devono rimanere a casa ad accudirli). Inoltre le donne africane, maghrebine, musulmane e nere, hanno messo in evidenza il fatto di sentirsi vittime di casi di intolleranza razziale e di comportamenti esplicitamente razzisti. Le donne musulmane hanno evidenziato come sia radicata una cultura del sospetto verso l'islam e una conseguente non accettazione del velo da parte di molti datori di lavoro. Per le donne dell'Africa nera, il problema è dovuto alla non accettazione del colore della pelle. Questo ultimo problema viene riferito soprattutto da quelle che si occupano di assistenza agli anziani, le quali hanno affermato di essere spesso maltrattate dai loro stessi assistiti; hanno inoltre affermato di ricevere spesso commenti negativi sulle loro origini e di essere osservate negativamente nell'autobus e sul posto di lavoro. Fattore “Età” Come già precedentemente riportato, molte donne intervistate hanno messo in evidenza come l'età rappresenti una discriminante per trovare e mantenere un posto lavoro. Raggiunta una certa età (le donne intervistate sostengono superati i 30 anni), i potenziali datori di lavoro tendono ad escluderle da possibili assunzioni a causa dei figli avuti o delle possibili maternità future. Raggiunti i 40 anni le donne immigrate del campione hanno sostenuto in maggioranza come sia praticamente impossibile trovare un lavoro. 67 Fattore “Livello di istruzione” Un basso livello di istruzione comporta per la donna immigrata maggior difficoltà sia sul piano dell’apprendimento della lingua italiana, sia in merito alla possibilità di trovare un lavoro. Più è elevato il livello di istruzione della donna immigrata, maggiori saranno per lei le possibilità di inserirsi con successo nel mondo del lavoro. Fattore “Rete di servizi a supporto dell’immigrazione” Laddove non sono presenti, o se presenti non vengono adeguatamente utilizzati i servizi (sociali e sanitari) a supporto delle donne immigrate, diventa difficile realizzare buone pratiche di conciliazione lavoro-famiglia. Molte donne intervistate (circa l'80% del campione), ha dichiarato di conoscere e di aver fatto uso dei servizi per immigrati erogati dai Centri Provinciali per l'Impiego, ma afferma anche di non avere mai trovato lavoro attraverso tali strutture pubbliche. Le intervistate inoltre lamentano l'assenza di supporti di carattere economico per la cura e l’istruzione dei propri figli, quali: contributo per abbattere la retta dell’asilo o della scuola materna, contributi per l’acquisto di libri scolastici ecc... Fattore “Organizzazione del lavoro” Molte donne intervistate hanno lamentato la scarsa disponibilità da parte delle aziende nel considerare la possibilità di orari di lavoro più flessibili per permettere loro di conciliare quest’ultimo con gli impegni familiari. Hanno sostenuto quasi sempre le aziende non tengono in considerazione il problema e nemmeno il fatto che le donne migranti non dispongono di una rete familiare di supporto. Un ulteriore aspetto critico evidenziato è stato riferito al contratto di lavoro che propone condizioni di elevata precarietà e senza garanzie per chi deve rinnovare periodicamente il permesso di soggiorno. Fattore “Logistica degli spostamenti” Per molte donne che non hanno la patente o un mezzo proprio di locomozione diventa talvolta difficile raggiungere la sede lavorativa, anche per l'assenza nel territorio di mezzi e servizi pubblici adeguati. La distanza presente tra la scuola o l'asilo dei figli, l'abitazione ed il luogo di lavoro spesso costituisce un serio problema di conciliazione dei tempi. 68 5.4 BREVI STORIE DI VITA DI DONNE IMMIGRATE Per comprendere meglio l'oggetto della presente indagine, la conciliazione dei tempi di lavoro e quelli dedicati alla vita familiare delle donne immigrate, si è pensato di riportare alcune "brevi storie di vita" estrapolate dalle risposte fornite dalle donne immigrate prese a campione e dai profili biografici delle stesse tracciati dalle ricercatrici. Storia di K K. viene dal Marocco, da Agadir, ha 30 anni, è in Italia da 9 anni, è coniugata e i due figli sono nati in Italia. Ha una laurea in biologia conseguita nel Paese di origine. A proposito della partenza, concordata con il marito (ma tutte dicono di averlo concordato, più difficile è sapere quale peso reale abbia avuto la donna in questa decisione) dichiara: "ero dispiaciuta per l'abbandono dei miei familiari e per tutto quello che lasciavo in Marocco". Nessuna esperienza lavorativa nel proprio paese di origine. Del suoi arrivo in Italia racconta: "Mi sentivo spaesata soprattutto perché non riuscivo a comunicare con le altre persone". Dapprima segue un corso d'italiano, poi un corso per mediatrici culturali e a tale proposito ella spiega l'importanza di programmare le attività formative tenendo in debito conto: sia gli orari di frequenza delle lezioni, che devono essere compatibili con la gestione dei figli, sia la concreta possibilità di opportunità lavorative al termine del corso. Da quando K lavora come mediatrice culturale presso alcune scuole, afferma di essersi “arrangiata” senza un aiuto o un supporto da parte di nessuno: "non ho avuto nessun aiuto esterno, ciononostante sono riuscita a conciliare lavoro e famiglia anche se con molte difficoltà. Quando il mio primo figlio era piccolo facevo un lavoro a tempo pieno in una stireria. Per fortuna ho potuto usufruire di un orario flessibile sul lavoro". K mette anche in evidenza la mancanza di collaborazione da parte del marito e quindi il fatto che in questo modo si sobbarca del peso un doppio lavoro: lavoro in azienda e lavoro in famiglia. Non dispone di una grande vita sociale, anche perché non ha tempo per coltivarla, frequenta alcune amiche connazionali e si lamenta delle difficoltà enormi che incontra nel gestire ritmi e tempi di vita e di lavoro: "qui non è come da noi, si corre sempre". Alcune proposte di K. per migliorare la situazione delle donne immigrate sul tema della 69 conciliazione, sono state: "adoperarsi per generare un effettivo cambiamento di mentalità nel maschio immigrato, oggi decisamente arretrata e radicata su posizioni maschiliste"; "garantire alla donna immigrata un impegno lavorativo che le permetta di gestire anche la propria vita familiare"; "individuare delle forme di organizzazione del lavoro più flessibili rispetto alle attuali" (K. ha il rimpianto di non avere potuto spendere il proprio titolo di studio in Italia). Storia di M. M. viene dalla Romania, ha 25 anni, sposata, è in Italia da 3 anni. Racconta di essere stata lei ha richiedere il ricongiungimento familiare per farsi raggiungere dal marito e dal figlio in Italia. Ha fatto la terza media e ha lavorato in Romania come operaia presso una azienda metalmeccanica per 2 anni. Ha inoltre lavorato in patria presso una tipografia. Come molte altre donne immigrate non conosceva la lingua all’arrivo in Italia. Del suo arrivo direttamente con il pullman a Bologna (dove l'aspettava la sorella precedentemente immigrata), racconta: "I primi due giorni ero sconvolta, non parlavo e non capivo niente. Decisi di non ritornare in Romania solamente perché non avevo abbastanza soldi". Poi aggiunge: "Da noi in Romania si sente dire che chi viene qui in Italia – “fa la strada” - per questo motivo mio marito aveva paura ad acconsentire alla mia partenza". Sottolinea inoltre la difficoltà incontrate nel trovare casa: "Quando andavo a cercare casa, appena sentivano che ero una straniera immigrata nessuno voleva più affittarmi l’appartamento. Nessuno mi dava fiducia". Oggi M. lavora come Assistente di base. Per gli spostamenti in città usa la bicicletta. Suo marito (che lavora come operaio in una fabbrica ceramica), l’aiuta nell’accompagnare i bambini a scuola. M. spiega le difficoltà di conciliare lavoro e gestione dei figli e come ha cercato di responsabilizzare il suo bambino affinché in alcuni momenti della giornata provvedesse a se stesso autonomamente: "Ritengo che sia importante insegnare ai bambini a stare da soli facendo attenzione, ad esempio, a non aprire ad estranei quando i genitori non sono in casa e ad abituarsi a 70 comportamenti di gestione partecipativa della vita familiare. A tale scopo ho insegnato a mio figlio, che ha soli 5 anni, a scaldare il latte per la colazione o la merenda". M. accenna alle difficoltà economiche incontrate dall’arrivo in Italia, ma sottolinea anche le paure collegate al rischio di perdita del permesso di soggiorno. Tuttavia, aggiunge: "Avere maggiori informazioni ti aiuta a non avere paura". Storia di T. T. viene dalla Nigeria, ha 39 anni, è sposata, è in Italia da 17 anni, ha tre figli (di 10, 7 e 2 anni e mezzo). Si è laureata in filosofia all'Università Pontificia. La sua aspirazione iniziale era di diventare suora, poi cambia idea e acquisisce un diploma in comunicazione sociale. Successivamente frequenta in Italia un corso per operatore socio-sanitario. T. oggi lavora, in due aziende diverse, come assistente domiciliare e come addetta alle pulizie. Il marito partecipa attivamente alla gestione dei figli fornendo un prezioso contributo in tal senso. Tra le problematiche da affrontare quotidianamente, T. sottolinea quella connessa al colore della pelle: "Ci sono serie difficoltà dovute al colore della pelle. Questo fa sì che appena i potenziali datori di lavoro ti vedono, cambiano idea e non ti danno il lavoro…forse pensano che sei una incapace in quanto nera”. Rispetto al suo rapporto con le donne italiane, come possibile mezzo per organizzare delle forme di mutuo-aiuto, T. ritiene che: "Bisogna favorire la conoscenza fra donne immigrate e donne italiane. Se ci si conosce bene l'integrazione è possibile. Diversamente, se non hai la possibilità di avvicinarti a loro, esse pensano che sei una che viene a disturbare a creare problemi, a rubare il lavoro alle italiane, o addirittura a portare malattie infettive. Anche per questo la conoscenza reciproca è importante." A proposito dell'aiuto ricevuto dai servizi per immigrati, afferma: "Sui servizi sociali, dove abito io, c'è da contare poco. Forse perché non sono abituati agli stranieri. I servizi dovrebbero aiutare le madri a collocare i figli in orari prolungati a scuola". Storia di X. X. viene dallo Sri Lanka; ha 30 anni, una figlia di 5 anni e mezzo; è in Italia da 9 anni. Nel suo paese ha studiato fino alle medie superiori. Tra le altre attività svolte, X. ha lavorato come impiegata presso un’azienda commerciale. Ha imparato l'italiano guardando la televisione. 71 In Italia X. ha conseguito il Diploma di 3a media. Successivamente ha svolto un corso per Addetti all’assistenza di Base (ADB). A tale proposito X. afferma di aver avuto non poche difficoltà a frequentarla per via degli orari non congeniali con gli impegni personali e per il linguaggio di difficile comprensione usato dai docenti. Attualmente lavora come ADB presso una cooperativa sociale. Durate l’intervista, X. sottolinea come la maggior parte delle donne del suo Paese se lavora lo fa solo unicamente per fare fronte a necessità di carattere economico, poiché normalmente si occupano solo ed esclusivamente dei bambini e delle faccende domestiche. X. è buddista ed è sposata con un uomo cattolico del suo Paese. Una sua ulteriore annotazione riguarda le notevoli difficoltà di apprendimento della lingua italiana da parte delle donne che vengono dallo Sri Lanka, di conseguenza suggerisce agli enti di formazione preposti di organizzare un maggior numero di corsi di italiano (alfabetizzazione linguistica) per le donne. Sempre rispetto alla formazione delle donne immigrate, pone come problema importante la sensibilizzazione dei mariti: "Agli incontri di socializzazione/valutazione dell’attività corsuale devono partecipare anche i mariti, per fare capire loro l'importanza della formazione per la donna immigrata. Non tutti i mariti sono d'accordo con il fatto che la donna lavori….. anch'io all'inizio ho litigato con mio marito, per poter andare a lavorare ho dovuto rompere gli indugi e fare di testa mia”. Storia di M. M. viene dal Marocco e ha 30 anni, è coniugata ed ha una figlia di 4 anni, parla un italiano discreto. E’ in Italia da 6 anni. In Marocco ha conseguito il Diploma di Maturità e ha frequentato per un anno l’Università presso la Facoltà di Filosofia di Casablanca. Non ha avuto esperienze lavorative nel suo paese. Il suo primo impatto con l'Italia è stato molto duro. Ella infatti lo ricorda così: "Il primo impatto è stato abbastanza duro. Mi sentivo isolata, non conoscevo nessuno, mentre in Marocco c'era sempre tanta gente in casa. Ho avuto grosse difficoltà dovute alla non conoscenza della lingua italiana. Tra l’altro sono rimasta incinta dopo 15 giorni dal mio arrivo in Italia e mi era difficile comunicare quando mi recavo al Consultorio durante la gravidanza". M. sottolinea inoltre le difficoltà di carattere culturale: "…..ho avuto anche delle difficoltà di tipo culturale. Io vesto abitualmente all’occidentale ma mi copro la testa. Appena 72 arrivata in Italia, la figlia del proprietario della casa in cui vivo chiese a mio marito il perché di questa abitudine ricordando che tale usanza è tipica delle prostitute, tale affermazione creò in me un forte disagio. ……anche quando vado in autobus la gente mi guarda in modo strano". M. ha trovato un lavoro come cameriera ai piani, presso un albergo, durante la stagione turistica. Per svolgere al meglio il lavoro ha dovuto organizzarsi per i turni, ma a tale proposito afferma: "…per le donne musulmane sono presenti maggiori difficoltà. I mariti sono particolarmente gelosi e non vogliono che le loro mogli parlino con altri uomini, per cui non sono d'accordo che facciano lavori che prevedano il contatto diretto con molte persone". M. racconta delle sue difficoltà nel rapporto con il marito che, contrariamente alle storie precedenti, non l'aiuta nella gestione della figlia e dell’attività domestica. Della sua esperienza di relazioni con i servizi a supporto degli immigrati, dichiara di aver avuto delle difficoltà: "…..ho avuto difficoltà di relazione dovute alla scarsa conoscenza della lingua italiana e anche l'atteggiamento dell'assistente sociale preposto al servizio è stato negativo, ad esempio: quando è nata la bambina, nella casa dove abitavamo era presente molta umidità, pertanto abbiamo chiamato l'assistente sociale affinché ci aiutasse a risolvere il problema, questi non ha fatto niente e tra l’altro mi ha risposto dicendo che se non mi piaceva la casa potevo tornarmene in Marocco": Sul tema dei rapporti con le donne italiane mette in evidenza due diversi tipi di problemi: "difficile la collaborazione tra donne musulmane e donne italiane perché vi è un atteggiamento di timore e di scarsa fiducia dovuto a percezioni negative radicate in entrambi i gruppi (donne musulmane = Islam= terrorismo; donne italiane = poca moralità = facili costumi); "i mariti delle donne musulmane non sono d'accordo rispetto all’utilità sociale del fatto che le proprie mogli facciano amicizia con donne italiane, perché queste ultime godono, a loro opinione, di troppa libertà che potrebbe influenzare le donne musulmane e incrinare così i rapporti all’interno della famiglia". 73 Storia di P. P. viene dall'India, dalla regione del Punjab a maggioranza sikh (religione sincretica tra l’induismo e l’islam), ha 42 anni, è sposata con 2 figli (di 15 e 10 anni), è in Italia da 16 anni, i figli sono nati in Italia, ha una laurea breve conseguita in Punjab. P. afferma che le maggiori difficoltà da lei incontrate in Italia sono di ordine linguistico: “…nella mia casa le donne non parlano in italiano, parlano sempre in Punjabi” e di gestione del rapporto di coppia con il marito: “…nei primi tempi in Italia andavo a fare la spesa sempre e solo con mio marito, tutta la mia vita era regolata secondo le esigenze e gli orari del marito…….spiegare al coniuge che il lavoro può essere un modo per la donna di ritrovare se stessa e spiegare ai figli che la vita della madre non appartiene a loro, che è necessario che la donna possa disporre di un suo spazio, è stato molto difficile…..spesso tra i parenti c'è la paura di: “cosa dirà e penserà la gente se quella donna va a lavorare fuori di casa…". P. fa anche notare che molto spesso la possibilità di organizzare diversamente la vita domestica, conciliando lavoro e gestione familiare, dipende dalla donna stessa: "…per prima cosa la donna deve avere la convinzione di fare qualcosa di giusto e di potercela fare a vincere l’indifferenza e la contrarietà della propria famiglia. Una volta convinta troverà anche il modo per spiegare il suo punto di vista al marito e ai parenti e trovare il loro consenso". P. esprime una grande consapevolezza delle difficoltà della donna immigrata in Italia e attualmente lavora come mediatrice culturale. Storia di Y. Y. viene dall'India, dalla regione del Punjab a maggioranza sikh, è sposata con due figli ( di 16 e 15 anni), parla un discreto italiano, è in Italia da 5 anni, è in possesso del Diploma di scuola media. Al suo arrivo in Italia ha ritrovato alcune persone del suo villaggio natio, pertanto non si è sentita spaesata e sola. Attualmente lavora a domicilio per conto terzi nell’ambito delle confezioni: è specializzata nel confezionamento di asole e bottoni per le maglie. La sua vita sociale si svolge tutta all'interno della comunità sikh a cui appartiene e della famiglia. In merito al rapporto con il marito, durante l’intervista afferma: "… la donna deve 74 spiegare al marito con calma, pazienza e tenacia, la necessità di ciò che vuol fare. Deve cercare di renderlo partecipe di questa importante scelta. Quando il marito riesce a capire la situazione e l’esigenza della moglie, poi diventa collaborativo e l’aiuta nella soluzione dei problemi". Y. ritiene che anche le donne italiane abbiano, seppure in misura ridotta rispetto alle immigrate, lo stesso tipo di problemi legati alla conciliazione dei tempi di lavoro-famiglia. Storia di R. R. viene dall'India, dal Punjab a maggioranza sikh, ha 32 anni, è sposata con 2 figli (di 10 e 8 anni), è in Italia da 9 anni. Del suo arrivo in Italia ricorda, durante l’intervista: "… all'arrivo in Italia ero scioccata nel vedere la libertà concessa alle donne italiane, poi mi sono rassicurata della cosa, dicendomi che tale situazione non mi avrebbe mai riguardata". R. pone in evidenza le resistenze da parte del marito: "la maggiore difficoltà è dovuta dall'incomprensione da parte del marito verso le necessità della moglie di spazi di autonomia decisionale e di emancipazione. Io non sono molto istruita e lavoro come addetta presso una azienda di pulizie, ma tengo molto al mio lavoro e questo è una cosa che mio marito non riesce a comprendere. Mi sostiene nell’impegno lavorativo solo perché abbiamo bisogno del mio stipendio. Sono sicura che se lui guadagnasse a sufficienza non mi permetterebbe di andare a lavorare". R. sottolinea anche come la donna sia spesso costretta a fare grossi sacrifici e rinunce per il bene della famiglia e, in certi casi, per evitare eventuali atti di violenza domestica da parte del marito... “…se riuscissimo in qualche modo ad inculcare nella mente dei nostri uomini che una donna è una persona con delle aspettative, dei desideri, delle aspirazioni, di tipo sociale e professionale, il problema sarebbe risolto. Ma credo sia una sfida impossibile da vincere": 75 Storia di L. L. viene dalla Cina, ha 47 anni, è in Italia da 23, ed ha un figlio di 10 anni. E’arrivata in Italia per motivi di studio. In Cina ha frequentato le scuole medie superiori e successivamente ha lavorato come impiegata presso una azienda cinese. In Italia ha studiato presso una scuola di lingua per stranieri a Perugia , poi ha frequentato la Scuola Alberghiera di Rimini. Durante l’intervista afferma di aver avuto grosse difficoltà per imparare l'italiano. Dopo aver frequentato uno specifico corso, attualmente lavora come mediatrice culturale presso il Consultorio locale, l'Ospedale, le scuole e inoltre collabora con la Caritas. L. fa notare come molti lavoratori e lavoratrici cinesi non hanno una propria vita familiare. Gli imprenditori cinesi infatti offrono vitto e alloggio solo per chi lavora, non per i figli, perciò molti genitori una volta arrivati in Italia, nell’impossibilità di disporre di una propria abitazione rimandano i figli in Cina. Una donna cinese che lavora presso una azienda cinese in Italia non ha orari regolari e può lavorare fino a 16 ore al giorno. X. è sposata con un italiano, dice di avere avuto difficoltà con i familiari del marito che la accusavano di fare crescere il bambino senza principi religiosi. Mette in evidenza la chiusura della comunità cinese che non aiuta le donne immigrate. 76 5.5 DIFFICOLTÀ E PROBLEMATICHE EMERGENTI : CONSIDERAZIONI E PROPOSTE Quelle appena descritte rappresentano soltanto una piccola parte delle numerose storie raccontate dalle donne immigrate, ricavate dalle risposte fornite durante le interviste sul campo alle donne che costituivano il campione di ricerca. Pur nella loro semplicità espositiva e limitatezza espressiva tali racconti appaiono comunque interessanti perché, ancora una volta, confermano come, nella difficoltà di conciliare lavoro e vita familiare, siano responsabili fattori legati sia alla reazione del contesto locale italiano nei confronti degli immigrati, in particolare di alcune categorie (musulmane o africane nere), che alle difficoltà di carattere linguistico-culturale che le donne immigrate incontrano nel nostro Paese. La difficoltà di apprendimento della lingua italiana, l'assenza di una rete familiare di riferimento, la solitudine, le resistenze da parte dei mariti ad accettare il fatto che la moglie lavori, la discriminazione vissuta a causa del colore della pelle o dei costumi religiosi, la presenza di una comunità di connazionali organizzata (es. sikh, cinesi) che rappresenta un’opportunità, un valido supporto, nella fase del primo impatto con la società italiana, ma che successivamente diventa anche una via senza uscita, un elemento di costrizione alla libertà di espressione e relazione, sono solo alcuni dei numerosi fattori che fanno comprendere le difficoltà che possono incontrare le donne immigrate nel conciliare lavoro e famiglia. Quando si parla di conciliazione fra lavoro e impegni familiari, non si possono ignorare i vissuti, le storie personali delle donne immigrate: le origini sociali, il livello di scolarizzazione, le modalità della partenza e dell’arrivo in Italia, i tratti culturali, le aspettative iniziali e quelle maturate in Italia, la conoscenza della lingua italiana, il numero e l’età dei figli, la qualità della relazione di coppia ed il livello di collaborazione nella gestione familiare fornito dal marito, le iniziative e i servizi di accoglienza e di supporto attivi al suo arrivo in Italia. Quello che Abdelmalek Sayad nel suo libro "La doppia assenza. Dall'illusione dell'emigrazione alla sofferenza dell'immigrazione", chiama "la traiettoria dell'emigrante - immigrante", è un aspetto fondamentale per comprendere anche il modo in cui la donna affronta la nuova situazione e come gestisce il nesso lavoro-vita familiare. Qualsiasi lavoro di sostegno e di accompagnamento per la donna migrante deve partire da questa sua traiettoria che è la sua storia. Una traiettoria tracciata a partire dalle modalità della partenza (in molti questionari le donne 77 spiegano il sentimento di profonda tristezza e malinconia generato dall'avere lasciato affetti e familiari in patria), dalle caratteristiche del viaggio intrapreso, nonché dal tipo di accoglienza ricevuta all'arrivo in Italia. Spesso, per coloro arrivate in Italia per motivi legati al ricongiungimento familiare, l'esperienza migratoria diventa una scelta obbligata nella misura in cui la donna è in un rapporto di dipendenza nei confronti del marito. Le modalità della partenza e del viaggio, il come ed il perché della scelta iniziale di partire per l’Italia, il tipo di accoglienza ricevuta all'arrivo, sono elementi che influenzano fortemente la condizione della donna immigrata, la sua percezione del suo nuovo mondo, il suo vivere quotidiano questo forte impatto con la nuova vita, il suo atteggiamento nel gestire il rapporto tra lavoro e vita familiare. In tutti i racconti delle donne intervistate, emerge come lo stile di vita del nucleo familiare costituitosi precedentemente all’arrivo in Italia cambi e come il rapporto tra moglie e marito e tra madre e figli subisca dei mutamenti che possono essere fonte di disaccordi, conflitti, violenze. La donna migrante che arriva quindi per motivi di ricongiungimento familiare si trova spesso in una situazione delicata di ridefinizione della sua esistenza come soggetto sociale del suo ruolo in famiglia. Tale problematica deve essere presa in seria considerazione dai diversi Centri di servizi per immigrati, al fine di impostare una strategia di supporto e accompagnamento che permetta alla donna di trovare un nuovo equilibrio in un nuovo contesto e di poter acquisire una maggiore consapevolezza di sé al fine di poter operare delle scelte in prima persona. Ciò che emerge dalle interviste effettuate e dalle storie raccontate dalle donne immigrate è molto vicino a quanto scritto dalla studiosa americana Martha Nussbaum quando afferma, per quanto riguarda la condizione della donna in generale, nel suo libro "Diventare persone. Donne e universalità dei diritti", che "la famiglia favorisce le capacità umane e insieme le ostacola". Aggiunge, inoltre, che "la famiglia ha una profonda influenza sullo sviluppo umano, un'influenza che è presente fin dal primo momento della vita umana. Essa ha tutti i diritti per essere considerata parte delle strutture fondamentali della società, e tra quelle istituzioni che devono essere più direttamente regolate da principi fondamentali di giustizia". Parlando delle donne dei paesi del cosiddetto Terzo Mondo, in particolare di quelle indiane, e delle donne migranti, la Nussbaum mette in evidenza come sia fondamentale garantire ad ogni donna un "livello minimo di soglia di capacità" cioè un "minimo sociale di base nell'area delle competenze fondamentali" per garantire dignità, autonomia, eguaglianza e giustizia sociale. E’ sufficiente leggere molte delle interviste alle donne effettuate nel corso dell’indagine, per 78 rendersi conto come queste ultime mettano sotto accusa diverse “strutture di riferimento”, quali: la famiglia, i servizi di supporto per gli immigrati, l’organizzazione del mondo del lavoro, per sottolineare le enormi difficoltà concernenti l’essere allo stesso tempo, cittadina, donna, madre, moglie o compagna e lavoratrice. Una critica alla società italiana in generale, alla scarsa attenzione da parte dei servizi sociali, all'assenza di un sistema di accoglienza in grado di intercettare e dare risposte alla domande specifiche di cui sono portatrici le donne immigrate, ma anche la percezione di scarsa efficacia da parte dei Centri per l'Impiego che tutte le intervistate conoscono e i cui servizi hanno utilizzato, senza però averne ricavato informazioni veramente utili per trovare un lavoro. Una critica rivolta all'atteggiamento di chiusura, ed esclusivamente centrato sul "profitto", del mondo imprenditoriale, che vede con diffidenza le donne immigrate con figli a carico, come quelle in età per poter diventare madri. Come abbiamo evidenziato nel paragrafo relativo alle finalità della ricerca, sono presenti diverse situazioni di migrazione femminile, e quindi anche diverse tipologie di donne migranti, tra le quali: la donna già sposata e con figli nati dal Paese di origine, arrivata in Italia per via del ricongiungimento familiare (in questo caso è il marito che, dopo essersi sistemato sul piano lavorativo e abitativo, si fa raggiungere dalla moglie rimasta nel Paese di origine); la donna giovane, appena sposata con un uomo del proprio Paese (il quale vive e lavora in Italia), che raggiunge il marito subito dopo il matrimonio (in questi i casi i figli nascono in Italia); la donna non sposata, arrivata da sola con l’aiuto dello “sponsor” (parenti o amici)(ex legge 40), la quale spesso conosce un connazionale che sposa in Italia; la donna arrivata da sola per motivi di lavoro che si sposa in Italia con un connazionale; la donna arrivata da sola per motivi di lavoro e si sposa con un altro immigrato (non necessariamente del proprio Paese di origine); la donna che si sposa nel proprio Paese con un Italiano e viene con lui a vivere in Italia; la donna che arriva da sola per motivi di lavoro e si sposa in Italia con un Italiano; la donna arrivata da sola, come irregolare, che si regolarizza attraverso la sanatoria (l’ultima possibilità di regolarizzazione per le cosiddette “badanti”); 79 la donna arrivata da sola per motivi di lavoro, la quale dopo essersi sistemata sul piano lavorativo e abitativo si fa raggiungere dal marito rimasto nel Paese di origine e dai figli (spesso si tratta di donne provenienti dell'Europa orientale o dalle Repubbliche dell’ex-Unione Sovietica). Si tratta in tutti i casi elencati, di situazioni tra loro assai diverse, con vissuti personali e condizioni di esperienza migratoria diversi, che incidono fortemente, e in modo non prevedibile, sulla capacità stessa delle donne di riprogettare la propria condizione di vita e di cercare soluzioni ottimali per conciliare il rapporto tra lavoro e vita familiare. Chiunque si occupi di relazioni di auto-aiuto, di attività di supporto o accompagnamento a favore di donne immigrate per favorirne l'inserimento socio-lavorativo, deve assolutamente tenere conto del tipo di traiettoria migratoria compiuta. In alcuni gruppi di immigrati, risulta ben evidente la resistenza culturale da parte dei mariti nel concedere autonomia lavorativa alla donna e offrire collaborazione nella gestione familiare. Questa resistenza culturale, tuttavia, non è solo il frutto dell'atteggiamento di stampo maschilista dei coniugi, ma è spesso anche un dato interiorizzato dalle stesse donne nella misura in cui questo dato entra a far parte dell’"habitus", cioè di quell’insieme di disposizioni socio-culturali strutturate nella personalità e appreso nella società di origine. Ciò emerge con particolare evidenza in diverse interviste fatte a donne maghrebine, cinesi o indiane sikh. In diverse interviste realizzate, le donne hanno criticato la struttura sessista, classista e anche razzista dell'organizzazione sociale di cui fanno parte, che rende difficile la conciliazione tra lavoro e vita familiare. La totale dipendenza dal marito e l’organizzazione del mercato del lavoro italiano, costituiscono spesso un ostacolo che non facilita la scelta da parte della donna. Le interviste mettono in risalto l'importanza di cercare di rimuovere questi ostacoli e di creare le condizioni per un’efficace strategia di conciliazione lavoro-famiglia. In caso contrario non ci potrà essere libertà, autonomia e quindi dignità: "L'idea centrale- scrive la Nussbaum - è quella dell'essere umano concepito come un essere dignitosamente libero che sceglie la sua vita in cooperazione o mutua collaborazione con gli altri, piuttosto che essere passivamente scelto e comandato da altri come si comandano animali in greggi e mandrie. Una vita autenticamente umana è una vita che è concepita e pervasa da queste facoltà umane di ragione pratica e socievolezza". Dai dialoghi con le donne intervistate, si percepisce, inoltre, anche una critica a volte velata e in altri casi esplicita, alla struttura sessista e anche razzista dell'organizzazione del mondo del 80 lavoro italiano. Si tratta spesso di una percezione che viene generata dal modo in cui vengono trattate sul posto di lavoro e prima ancora durante i colloqui di assunzione. Per molte donne si tratta quindi di una questione attinente alla loro dignità umana. In numerose interviste le donne esprimono con estrema chiarezza la loro opinione circa l’origine delle loro difficoltà: emblematico è il caso di C., rumena. In possesso di una Laurea in Ingegneria Tessile conseguita nel suo Paese; viene diverse volte in Italia per periodi brevi per formarsi ulteriormente e studiare la lingua in previsione del suo trasferimento. Durante il colloquio con la ricercatrice, dichiara amaramente: "… mi sono dovuta adattare alla situazione e rivedere le mie aspettative, sono un ingegnere qualificato ma in Italia, nonostante gli studi e i sacrifici fatti, la laurea conseguita in Romania non ha alcun valore, pertanto mi sono dovuta rimboccare le maniche e iniziare a svolgere lavori di bassa professionalità: addetta alle pulizie, assistenza agli anziani. Tutto ciò mi è costato molto sul piano psicologico”. Successivamente C. ha seguito un corso per mediatori culturali usufruendo di una borsa di studio dell'Università. Proseguendo nel suo racconto conclude dicendo: “… adesso lavoro come mediatrice culturale, un lavoro che mi piace e mi permette di offrire un piccolo sostegno ad altre donne che come me stanno affrontando il difficile percorso di donna immigrata ". Fortunatamente, durante i colloqui individuali emergono anche alcuni profili femminili “positivi”, riferiti a donne immigrate con una buona vita sociale, le quali sono poi quelle che hanno trovato e trovano maggiori opportunità di inserimento nel mercato del lavoro locale. Questo è il caso di donne che hanno attività relazionali significative con associazioni o imprese sociali che da tempo sono impegnate con professionalità e dedizione in attività di assistenza alle donne immigrate, quali: la cooperativa "Trama di Terre" di Imola e l’Associazione "Spazi mediani" di Forlì. Lo stesso discorso vale anche per gli Enti di formazione EFESO e Modena Formazione, i quali con la realizzazione di numerose attività formative a supporto delle competenze linguistiche e professionali delle donne immigrate, hanno permesso importanti momenti di socializzazione e favorito l’inserimento lavorativo delle partecipanti ai corsi. 81 Donne immigrate e percorsi migratori Di seguito vengono riportati alcuni aspetti peculiari relativi ai percorsi migratori, emersi durante le interviste alle donne immigrate prese a campione per l’attività di ricerca, aggregate secondo il criterio geo-culturale. Le donne maghrebine musulmane Durante l’attività di indagine, sono state intervistate donne appartenenti a queste categoria provenienti dal Marocco, dalla Tunisia, dall’Algeria. Ogni racconto di vita esposto è stato portatore di una propria specificità, di un vissuto personale unico e irripetibile: ciononostante, le lunghe conversazioni intraprese con le ricercatrici, hanno permesso di individuare alcuni elementi critici comuni fra le diverse esperienze di migrazione rilevate, che vengono di seguito evidenziati: La difficoltà di apprendimento della lingua italiana risulta essere il maggiore ostacolo all’inserimento nel mondo del lavoro, soprattutto per le donne immigrate con un basso livello di scolarizzazione che conoscono solo l'arabo (ovviamente la conoscenza del francese facilita molto l’apprendimento di un’altra lingua di origine latina quale l’italiano); L’abitudine di indossare il velo, per le donne musulmane, genera una situazione di sfiducia e di allontanamento sociale della persona nei luoghi di lavoro, che può diventare causa di ansie, di stress, di conflitti sociali, che potranno ripercuotersi anche nella sfera familiare; La scelta di lavorare presa in autonomia dalla donna immigrata, senza il pieno consenso del coniuge, può essere fonte di conflitti e tensioni familiari in grado di minare gli equilibri del rapporto con il coniuge, la gestione dell’attività familiare, la cura dei figli; Le donne indiane sikh del Punjab Dalle interviste realizzate, si denota come la maggior parte delle donne immigrate provenienti dal Punjab, una volta arrivate in Italia, abbiano in gran parte riprodotto e mantenuto il modello di conciliazione familiare-lavorativa radicato nella propria terra di origine, il Punjab. Questo modello prevede che la donna lavori a domicilio al fine di garantire il mantenimento del suo ruolo tradizionale domestico, di cura dei figli e contemporaneamente, svolga una attività 82 produttiva in grado di portare un minimo di reddito a casa. Queste donne, al loro arrivo in Italia, hanno trovato un “contenitore sociale”, ovvero la comunità sikh, che ha permesso loro il mantenimento della tradizione della terra di origine, svolgendo gran parte della loro vita sociale e lavorativa all'interno di essa. In questo caso la conciliazione lavoro-famiglia esiste per così dire solo nei fatti e viene esplicitata mediante un circuito chiuso, a scapito quindi di una reale autonomia e di una effettiva socializzazione della donna verso l’esterno. Le cose cambiano decisamente qualora una donna di etnia sikh decida di lavorare al di fuori della propria comunità e famiglia. In questo caso dovrà fare i conti con le forti resistenze del marito e della stessa comunità. Le donne africane nere Nel gruppo delle donne africane intervistate ve ne sono alcune provenienti dal Senegal, dalla Costa d'Avorio, dal Burkina Faso, ovvero dall'Africa Occidentale di influenza francese e altre provenienti dalla Nigeria e dal Kenya, Paesi di influenza inglese. Tutte le intervistate hanno evidenziato alcuni problemi di adattamento e socializzazione, dovuti a: le differenze climatiche; le abitudini e i costumi diversi; il colore della pelle che rappresenta in alcune situazioni un handicap per la ricerca del lavoro (vedi assistenza agli anziani) e in altre un elemento scatenante episodi di molestie sessuali sia sul lavoro che in strada; i tempi e l’organizzazione del lavoro, molto diversi da quelli caratterizzanti il Paese di origine. Per le donne africane nere il fatto di lavorare non rappresenta un problema nei rapporti con il marito. Molte di loro attribuiscono un’importanza prioritaria alla cura dei figli, solitamente sono anche le donne che hanno un maggior numero di figli rispetto alle altre immigrate pertanto si trovano in maggiore difficoltà nel conciliare tempi di lavoro e tempi di cura dei loro bambini. 83 Le donne cinesi Le donne immigrate di origine cinese, durante l’intervista hanno espresso alcune criticità legate al proprio percorso migratorio, quali: la forte differenza fra i due sistemi linguistici, che rende molto difficile l'apprendimento dell'italiano; la particolarità del percorso migratorio: se la donna cinese arriva nel nostro Paese mediante una filiera organizzata, viene subito inserita nel mondo del lavoro presso una ditta cinese operante in Italia, e si ritrova “imprigionata” e sfruttata in quell’ambiente caratterizzato in buona parte da ritmi di lavoro massacranti e retribuizioni irrisorie. Diversamente, se la donna arriva in Italia non supportata da organizzazioni di reclutamento della manovalanza per il sistema imprenditoriale cinese, spesso propende per una forma di lavoro autonomo, nella maggioranza dei casi di tipo commerciale. Durante le interviste sono state individuate anche situazioni positive in cui la donna cinese, lavorando al di fuori della propria comunità, ha avuto modo di conoscere e successivamente sposare un uomo italiano, nel qual caso l’intervistata ha dichiarato di non avere problemi relativi alla conciliazione lavoro-famiglia. Le donne dell'Europa orientale Tutte le donne intervistate, provenienti dalla Romania, dall'Ungheria, dall'Albania, dall'Ucraina e dalla Russia, hanno manifestato il disagio, le difficoltà, a volte la sofferenza della propria esperienza di “emigrazione - immigrazione” in Italia, ciononostante, molte donne dell’Est europeo, a differenza di donne provenienti da altre aree geo-cuturali, si sono adattate più facilmente perché portatrici di modelli socio-culturali più vicini a quelli delle donne italiane. Ciò comporta un più facile adattamento e un maggiore livello di integrazione con il contesto locale. Nello specifico caso delle donne albanesi di religione musulmana, si osserva come i problemi di integrazione con la popolazione Italiana di religione cattolica siano molto meno marcati rispetto ad esempio a quelli delle donne maghrebine. Le albanesi infatti arrivano in genere in Italia forti di una discreta conoscenza dell'italiano e il loro islam, a differenza di altri, è fortemente europeizzato e secolarizzato. 84 Le interviste hanno messo in risalto alcune peculiarità dei percorsi migratori delle donne russe e ucraine, quali: solitamente sono le donne che arrivano per prime in Italia per motivi di lavoro e successivamente si fanno raggiungere dal marito e dai figli tramite il ricongiungimento familiare; solitamente trovano lavoro come badanti o addette alle pulizie; spesso sono vittime di pregiudizi di tipo sessuale da parte dei colleghi o dei datori di lavoro, in quanto vengono associate alle prostitute provenienti dall’Est europeo. Le donne latino americane Dalle interviste realizzate, le donne immigrate provenienti dall’america latina sembrano essere quelle con minori difficoltà di integrazione. Il facile apprendimento della lingua italiana (la maggioranza di esse è madrelingua spagnola), il fatto di essere spesso sposate con uomini italiani conosciuti nei loro Paesi di origine, le origini italiane per molte di loro (dovute ai processi di emigrazione da parte degli italiani verso il sud america avvenuti in diversi periodi storici), sono tutte condizioni che favoriscono appunto l’integrazione, le relazioni sociali e condizionano positivamente la conciliazione dei tempi di lavoro e familiari, tenuto anche conto del fatto che spesso possono usufruire del supporto della famiglia del marito italiano. Conciliazione tra attività formative e impegni familiari Il tema delle competenze possedute e dell’importanza della leva formazione per il trasferimento di conoscenze e capacità, in grado di favorire i processi di inserimento delle donne immigrate nel mondo del lavoro, è stato argomento di discussione e approfondimento durante la fase di intervista della ricerca. A tal fine, in seguito alla fese di testing degli strumenti di indagine, è stata aggiunta un’ulteriore domanda di approfondimento relativamente alle attività formative intraprese dalla intervistate. Le donne intervistate hanno partecipato esprimendo le loro opinioni e punti di vista in merito evidenziando le criticità nel conciliare la partecipazione ad attività formative con gli impegni familiari. 85 Di seguito vengono sinteticamente descritte tali criticità unitamente ai suggerimenti ricevuti dalle stesse donne immigrate per tentare di superarle: Gli orari dei corsi di formazione dovrebbero essere compatibili con gli orari dell'asilo, della scuola materna e della scuola, per i figli; Le distanze tra l'abitazione e la sede del corso di formazione, nonché tra la sede della scuola dei figli e quella dove si svolge il corso, dovrebbe essere facilmente colmabili con l’utilizzo di mezzi pubblici; Occorrerebbe progettare, promuovere e realizzare corsi di formazione che non siano troppo lunghi perché le donne immigrate hanno la necessità di lavorare, sia per motivi economici, sia per poter rinnovare il permesso di soggiorno; I corsi di formazione dovrebbero essere finalizzati il più possibile a creare reali opportunità di lavoro per le partecipanti; Tutti i corsi di formazione proposti dovrebbero obbligatoriamente prevedere alcuni moduli didattici quali lingua italiana, conoscenza della legge italiana sull'immigrazione, conoscenza dei diritti delle donne, dell’organizzazione e delle regole del mercato del lavoro e dei servizi a supporto delle donne immigrate; I corsi dovrebbero consentire l’acquisizione di una qualifica professionale immediatamente spendibile sul mercato del lavoro da parte delle donne immigrate. Questo stimolerebbe maggiormente la donna a partecipare e frequentare sino al termine il percorso formativo; Molte donne intervistate hanno messo in evidenza di non disporre a casa di tempo per studiare o approfondire le nozioni apprese durante il corso. I formatori/docenti dovrebbero a tale scopo usare un linguaggio maggiormente comprensibile per ottimizzare il lavoro in aula e fornire loro materiale didattico di facile e rapida consultazione; I formatori/docenti dovrebbero essere attenti alle diverse istanze culturali di cui sono portatrici le donne immigrate, al fine di stimolare maggiormente la motivazione e la partecipazione; Molte donne hanno bambini piccoli non inseriti negli asili (poiché pochi e costosi), pertanto sarebbe ottimale, poter disporre di uno servizio di baby-sitteraggio per i piccoli 86 durante le ore in cui le stesse frequentano il corso di formazione; Diverse donne di religione musulmana e sikh, mettono in evidenza la contrarietà dei propri mariti ad acconsentire alla partecipazione delle loro donne alle attività formative, ritenendo che esse siano possibile causa di problemi in famiglia. Pertanto, affermano che gli organizzatori dei corsi dovrebbero coinvolgere i mariti nella fase di selezione e preliminare all’intervento formativo, allo scopo di renderli partecipi dell’utilità della partecipazione delle lori mogli al percorso formativi e favorire così il loro consenso. Conciliazione tra lavoro e impegni familiari La problematica centrale oggetto della ricerca, la conciliazione fra tempi di lavoro e impegni familiari, è stata dibattuta e argomentata con fervore e partecipazione da parte delle donne immigrate costituenti il campione intervistato. Di seguito si riporta una sintesi degli elementi di maggiore criticità emersi: Gli orari di lavoro sono spesso inconciliabili con quelli della scuola dei figli; Gli spostamenti casa- scuola- asilo- lavoro- scuola- casa a cui sono sottoposte le donne immigrate, sono spesso estremamente difficoltosi sia per ragioni dovute all’inconciliabilità degli orari dei diversi impegni, sia per la mancanza di un mezzo di locomozione proprio e la difficoltà di poter disporre di mezzi pubblici che coprano adeguatamente determinati percorsi e distanze; Gli orari di lavoro sono spesso poco flessibili. Vi sono aziende che richiedono la disponibilità a turni di lavoro di notte, di sabato e talvolta di domenica. Per la donna immigrata con figli piccoli che non dispone di una rete familiare di supporto, diventa impossibile conciliare tali impegni; Il marito della donna immigrata spesso non offre alcun contributo alla gestione familiare ed alla cura dei figli. Per lui, concentrato solo sul proprio lavoro, sono impegni a carico totale della coniuge; In alcune casi le donne intervistate hanno segnalato la presenza di forti pregiudizi nei confronti della donna che lavora, sia da parte del proprio marito, che dei figli maschi e dei parenti; La scarsa conoscenza della lingua italiana rende la donna ancora più dipendente dal 87 marito, ciò diventa un ostacolo per un adeguato inserimento socio - lavorativo; La scarsa presenza di servizi sociali finalizzati ad aiutare la donna immigrata nell’attività di cura dei figli, al fine di permetterle un più agevole inserimento nel mondo del lavoro; Le condizioni restrittive, previste dalla legge italiana sull’immigrazione, per i ricongiungimenti familiari (da parte della donne immigrata è molto difficile ottenere il ricongiungimento con la propria madre, rimasta nel paese di origine. Questo costituisce la rinuncia forzata ad un importante supporto per molte donne con figli in giovane età. Spesso); L'assenza di adeguate politiche di sostegno alle famiglie di immigrati con figli. Molte donne intervistate con parenti in Paesi europei, quali: il Belgio, la Germania, l'Inghilterra, la Francia, fanno notare come l'assenza di aiuti concreti per la famiglia sia una caratteristica italiana, quando appunto in molti altri Paesi dell'Unione Europea sono presenti da tempo politiche attive di supporto socio-economico che costituiscono un vero elemento di sostegno per le donne immigrate con figli a carico; Molte donne affermano di conoscere e di aver utilizzato i CPI (Centri per l’Impiego), ma di non avere mai trovato lavoro attraverso questo servizio. L'età per la donna immigrata rappresenta un ostacolo all’inserimento lavorativo. Le donne in età da matrimonio sono viste dai datori di lavoro con timore (per la paura di potenziali maternità in un futuro prossimo), quelle già sposate con figli piccoli anche, perché questi ultimi si possono ammalare e costringere la madre a stare a casa dal lavoro e a prendere permessi prolungati nel tempo; Molte delle donne intervistate hanno fatto notare come la recente riforma scolastica porterà ad una riduzione delle attività pomeridiane, oppure alla trasformazione di queste ultime, da attività ricomprese nel programma didattico in attività extra a pagamento, generando in tal modo una situazione economicamente non sostenibile per le loro famiglie e intervenendo come elemento di ulteriore problematicità per la conciliazione dei tempi di lavoro e di cura dei figli; Le intervistate lamentano l’assenza di spazi di aggregazione e di condivisione e analisi di problematiche comuni per le donne immigrate, quali il tema della conciliazione tra famiglia e lavoro; 88 Nell’indagine sul campo viene evidenziata anche la difficoltà di conciliare l’organizzazione produttiva dell'impresa con la cultura e le tradizioni delle donne immigrate; Durante le interviste viene denunciata la presenza di difficoltà di relazione/comunicazione fra donne immigrate e donne italiane sul posto di lavoro; La consuetudine di proporre alla donna immigrata contratti di lavoro di breve durata creando così condizioni di incertezza economica, e anche di incertezza rispetto alla possibilità di permanenza in Italia, visto lo stretto collegamento tra tipologia di contratto, durata e permesso di soggiorno; Le donne intervistate denunciano il problema generato dalla cosiddetta “nuova flessibilità del lavoro”, che crea troppa frammentazione nel loro lavoro compromettendo un’efficace gestione della combinazione lavoro-famiglia; La nuova legge di riordino del mercato del lavoro (Legge 30 - Legge Biagi) ha introdotto ulteriori elementi di difficoltà per le donne lavoratrici immigrate, quali: maggiore precarietà del lavoro, durata più breve del contratto, assenza di diritti o diritti ridotti in materia contributiva (malattia, maternità). Le proposte delle donne immigrate Nella maggior parte delle interviste effettuate alle donne immigrate emerge un senso di rassegnazione, una sfiducia di fondo, che porta le stesse a rinunciare alla ricerca di possibili soluzioni per conciliare tempi di lavoro e impegni familiari. Il punto di vista, la condizione sociale attuale delle 70 donne immigrate prese a campione, rappresenta un significativo specchio della nuova condizione femminile oggi in Emilia-Romagna. Non dimentichiamo infatti, che nel mondo del lavoro al femminile, soprattutto quello dei lavori umili e sottopagati, le donne immigrate costituiscono una realtà rilevante dal punto di vista sociologico, antropologico ed economico. Di seguito si è pensato di riportare in sintesi le proposte avanzate dalla maggioranza delle donne intervistate, in merito ad interventi specifici a supporto della conciliazione lavoro-famiglia, che se coordinati fra loro potrebbero creare condizioni favorevoli. compatibilmente con l’organizzazione dell’impresa, flessibilizzare gli orari di lavoro per 89 renderli compatibili con quelli dell’asilo e della scuola per i figli; rafforzare e qualificare i servizi sociali rivolti alla famiglia e all'infanzia, per aiutare le donne immigrate nella conciliazione lavoro-famiglia; sensibilizzare le aziende della regione in merito al tema dei percorsi migratori delle donne immigrate, affinché vengano superati i pregiudizi di carattere sessista e razziale; attivare, presso le imprese della regione, servizi quali “i nidi aziendali”, quale possibile soluzione al problema della conciliazione tra lavoro e cura dei figli; sviluppare e qualificare i servizi informativi e orientativi dei CPI (Centri per l’Impiego), rivolti alle donne immigrate; mettere a punto e realizzare programmi di sensibilizzazione per i mariti delle donne immigrate, circa la necessità di sostenere la coniuge nella ricerca del lavoro e nella gestione degli impegni familiari; prolungare gli orari pomeridiani nelle scuole e sviluppare le attività extra-scolastiche per i bambini; abbassare il costo della retta negli asili e aumentare il numero di posti disponibili; sensibilizzare i lavoratori e le lavoratrici italiane sul tema del dialogo interculturale, al fine di creare le condizioni per una migliore integrazione nel contesto lavorativo delle donne immigrate; arricchire il bagaglio di competenze delle donne immigrate attraverso una formazione professionale immediatamente spendibile nel mercato del lavoro; fornire maggiore supporto psicologico alle donne immigrate in difficoltà nel conciliare impegni di lavoro e familiari; favorire la costituzione di gruppi di donne immigrate in grado di praticare attività di mutuo-aiuto e di solidarietà reciproca; mettere a disposizione spazi dove periodicamente le donne immigrate possano incontrarsi, conoscersi, condividere i loro problemi e trovare modalità di aiuto reciproco; sostenere la nascita di forme di associazionismo tra donne immigrate e tra donne immigrate e italiane per favorire l’integrazione, la rappresentanza e il sostegno reciproco. 90 Alcune considerazioni finali Al fine di fornire elementi utili per una riflessione sul tema della conciliazione lavoro-famiglia, si è cercato di mettere insieme quanto emerso durante il processo di rielaborazione e analisi dei dati, partendo dai dati stessi e dalle considerazioni sviluppate dalle donne immigrate durante le interviste. Per fare ciò sono state utilizzate alcune categorie elaborate da studiosi come Martha Nussbaum, già citata diverse volte all’interno di questa ricerca, Simone de Beauvoir con il suo lavoro "Il Secondo Sesso", che tuttora rimane una fonte stimolante per ragionare sulla differenza di genere, Pierre Bourdieu con il suo libro intitolato "Il dominio maschile" e Françoise Héritier, l'antropologa francese allieva di Claude Lévi-Strauss, e autrice di diversi testi sulla famiglia e la condizione della donna nelle diverse culture. Il tema della conciliazione tra tempi di lavoro e tempi della famiglia è al centro dell'evoluzione sociale, antropologica, economica e culturale della condizione della donna come soggetto attivo in grado di esprimere la propria soggettività senza negare la propria differenza. La conciliazione, come abbiamo potuto verificare nelle interviste, si colloca al punto d'interconnessione tra struttura familiare, organizzazione del mondo del lavoro e condizione della donna. E’ significativo che molte donne intervistate abbiano colto l'occasione per esplicitare questa dimensione centrale dell'essere al contempo donna e immigrata; non a caso, a più riprese, sottolineano la doppia discriminazione sessista e etnica che vivono nella società italiana. Si prenda ad esempio il pensiero espresso di Suzanna, donna albanese di 46 anni che sintetizza molto bene la questione dal punto di vista degli obiettivi della ricerca. "Le domande a noi poste - afferma Suzanna - toccano aspetti molto importanti, ed è per noi donne difficile esprimere effettivamente le problematiche come sono in realtà. Ognuna delle donne migranti ha i propri problemi e credo che siano tanti e diversi". Effettivamente ogni donna ha una sua storia, un suo percorso, problematiche personali da risolvere. Questo significa che quando si lavora con le donne immigrate, ma anche con qualsiasi utente che abbia in qualche modo bisogno di una relazione d'aiuto, bisogna partire dalla singola storia, stare attentamente all'ascolto del racconto di vita della singola donna, nella 91 sua specificità. Al di là dei percorsi soggettivi, esistono anche degli elementi di trasversalità che esprimono una condizione sociale più generale che è quella delle donne immigrate, che pur nella varietà dei percorsi e dei bisogni espressi, hanno vissuto tutte il disagio della partenza, dello sradicamento dal luogo di origine, della durezza del viaggio, dell'arrivo in Italia con le relative difficoltà di inserimento. Le donne, come abbiamo potuto verificare da queste interviste, sono al centro della riorganizzazione del sistema familiare, si trovano a ridefinire il rapporto di coppia e le relazioni con i figli. Si trovano a fare i conti con una rappresentazione sociale diversa del ruolo della donna nella società italiana e nel mondo del lavoro. Françoise Héritier fa notare giustamente che tutti i sistemi familiari e di rapporti tra i sessi vanno “declinati culturalmente”; precisa anche che il rapporto della donna con la sessualità e il lavoro sono delle costruzioni sociali interiorizzate che finiscono per strutturare un modo di essere e di pensare. Le donne immigrate trovandosi nella situazione, quindi, di dover conciliare lavoro e famiglia si trovano a dover fare i conti con i propri modelli interiorizzati di donna e di famiglia. Nelle interviste alcune donne hanno esplicitato chiaramente quale è stato il loro sentimento nel momento del primo impatto con la società italiana, un sentimento di scandalo o di forte disagio di fronte all'immagine femminile trasmessa dalla televisione italiana, da cui ne sono conseguite la paura e l'ansia di doversi adeguare ad un modello difficilmente accettabile per alcune di loro. Tali aspetti non vengono mai presi in considerazione quando si parla di inserimento lavorativo delle donne immigrate, ma essi hanno un peso enorme per chi deve riorganizzare il proprio sistema affettivo di riferimento per gestire il rapporto tra un possibile lavoro e una vita familiare in pieno cambiamento. Parlare del sistema affettivo di molte di queste donne, significa anche parlare delle famiglie rimaste nel paese di origine che spesso contano su chi è emigrato per sopravvivere. La donna si sente obbligata moralmente ed affettivamente anche da chi è rimasto al proprio Paese. Molte donne hanno detto della propria famiglia rimasta nel paese di origine: “sono sempre presenti come fantasmi che condizionano fortemente le nostre vite”. Molte di queste donne, soprattutto della prima generazione di migranti, sono ancora legate da mille fili a chi è rimasto nel Paese di origine. L'immagine sociale interiorizzata svolge un ruolo nella definizione del sé come donna e veicola 92 anche il modello interiorizzato del rapporto con il lavoro, dei suoi ritmi e dei suoi tempi. La difficile integrazione tra affetti familiari e ritmi lavorativi frenetici, rappresenta un aspetto particolarmente difficile per le donne che provengono dall'Africa, ma non solo. Questo aspetto è ancora più difficile da gestire per le donne immigrate che si ritrovano in Italia senza parenti e che riversano sui figli il deficit di affetto o la mancanza di legami familiari. Per molte donne immigrate i figli diventano “un’ancora affettiva” a cui aggrapparsi. Traspare in molte interviste la sofferenza psichica di rendere compatibile la perdita degli affetti, la vita lavorativa e l'equilibrio psico-affettivo generale. Tra i cambiamenti che vive la donna immigrata c'è anche la ridefinizione dei rapporti con il marito: la questione può diventare ancora più difficile laddove la donna si ritrova a gestire da sola la famiglia, soprattutto nelle situazioni in cui il marito ha fatto venire la moglie e passa gran parte della giornata al lavoro, e quindi fuori casa. Solitamente in questi casi il marito è stato conosciuto dalla donna solo al momento del matrimonio svoltosi nel Paese di origine (lui lavorava e viveva già in Italia), quindi, fino a quel momento, rappresentava un assoluto estraneo per la donna. Partendo da questi presupposti diventa talvolta difficile poter pensare di lavorare e cambiare il proprio status all’interno della famiglia. Tutto ciò fa capire che l’accoglienza, la possibilità di orientarsi, di sentirsi sostenuta e non sola, sono tutti fattori che possono favorire le scelte della donna e la sua capacità di trovare soluzioni per la conciliazione della vita familiare con il lavoro. L'aspetto centrale su cui insistere è dato dal fornire alla donna l'accoglienza, il sostegno e gli strumenti necessari per riorganizzarsi mentalmente, affettivamente e quindi per riuscire a ridefinirsi in un contesto nuovo. A tale proposito una donna marocchina intervistata dichiara: "Il distacco dalla mia famiglia è stato devastante psicologicamente" e aggiunge "la nostra cultura da sempre afferma che non si deve fare lavorare la donna perché rappresenta il pilastro della società", "qui in Italia diversamente ho dovuto interagire con un diverso modo di pensare il ruolo della donna nella società" e precisa "dunque è la società stessa che deve fornire un supporto a noi immigrate; deve capire che per poter vivere dobbiamo lavorare e che non disponiamo di parenti e familiari che possono aiutarci nella cura della casa e dei figli". In queste poche frasi sono racchiuse tutte le contraddizioni e le sofferenze che può vivere una donna immigrata. Poi ci sono anche le aspettative di molte di queste donne nei confronti della realtà italiana. Aspettative di benessere economico e sociale, aspettative di carriera personale, di maggiore 93 libertà, ecc. La realtà si presenta spesso diversa da quella idealizzata. Una donna senegalese intervistata afferma: "Il primo impatto con la realtà italiana è stato deludente. Pensavo infatti che sarebbe stato facile trovare lavoro, invece risulta essere molto complicato "; una marocchina precisa: "le donne immigrate fanno molta fatica a trovare un lavoro che le gratifichi da un punto di vista professionale"; una donna albanese afferma, pensando alla contraddizione presente tra chi lavora nel settore dell'assistenza agli anziani ed i pregiudizi rivolti alle stese badanti: “Le donne immigrate fanno un lavoro molto delicato, molte famiglie infatti affidano loro una propria persona cara affinché se ne prendano cura totalmente, come possono quindi queste stesse famiglie mantenere pregiudizi nei loro confronti?". La presente ricerca conferma le evidenti difficoltà per le donne immigrate, ma la loro condizione è probabilmente paradigmatica di quella di molte donne italiane, quella cioè che coniuga l'essere donne, lavoratrici, madri e cittadine. Un aspetto critico che emerge con evidenza dalle interviste, tranne il caso di alcune donne già in contatto per motivi di lavoro con il mondo dei servizi per immigrati e delle associazioni (è il caso ad esempio delle mediatrici culturali), è la scarsa o la quasi totale assenza di vita associativa/sociale da parte di molte donne immigrate, spesso le cui cause vanno ricercate: nella mancanza di tempo visti i molteplici impegni e responsabilità, nella scarsa collaborazione all'interno della famiglia da parte del marito, nella stanchezza fisica e psichica dopo una giornata di lavoro e anche nel senso di solitudine che le opprime dovuto spesso alla sensazione di distacco dalla vita sociale italiana. In molti casi l'attività lavorativa rappresenta una sfida per molte donne immigrate le quali vivono spesso una condizioni di maggiore sfruttamento e di maggiori frustrazioni: sfruttamento dovuto alle condizioni di lavoro loro imposte e frustrazioni dovute alle difficoltà vissute nel gestire il rapporto lavoro- vita familiare. A questo proposito si propone un concetto di democrazia economica e sociale secondo quanto affermato da Françoise Héritier nel suo ultimo libro intitolato: "Dissolvere la gerarchia: Maschile/femminile", cioè "la democrazia deve rappresentare le donne in quanto donne" cosa che appare come estremamente problematica nel mondo del lavoro, nella sua organizzazione e nelle sue tendenza attuali. Il mercato del lavoro riconosce la differenza di genere maschile/femminile amplificando il ruolo tradizionale della donna nei lavori di cura (anziani, 94 portatori di handicap, malati mentali, bambini) e nei segmenti a bassa qualifica del settore dei servizi dove si riproduce le mansioni del lavoro domestico. In questo senso per Françoise Héritier non c’è democrazia economica e sociale reale nella misura in cui il mondo del lavoro trasforma la differenza di genere in diseguaglianza. Si potrebbe anche dire che "la democrazia deve rappresentare le donne immigrate in quanto donne e immigrate". Il sistema economico e sociale, il sistema dell'impresa, il mercato del lavoro e la rete dei servizi devono prendere atto di questa realtà caratterizzata da tante donne che provengono da altri orizzonti culturali e che vogliono inserirsi nel mondo del lavoro. Come si è visto, alcune indicazioni provengono direttamente dalle donne stesse, ma non bisogna dimenticare che la situazione non è semplice, la destrutturazione del mercato del lavoro, l'espulsione sempre più evidente delle donne da una economia che non contempla la differenza di sesso oltre che quella culturale, produce ostacoli talvolta insormontabili per realizzare la conciliazione. Le proposte per cercare di fornire un contributo alla soluzione del problema, possono andare in diverse direzioni e svilupparsi su diversi piani. Di seguito se ne elencano alcune che, a giudizio di chi ha condotto la ricerca, risultano essere le più importanti. 1. nuove politiche del lavoro che tengano conto della realtà femminile e di quella culturale: le immigrate rappresentano, come già affermato, lo specifico binomio “diversità sessuata e diversità culturale”; 2. nuove politiche sociali in grado di rispondere ai bisogni delle donne che desiderano o devono lavorare (in molte interviste il lavoro è spesso anche una scelta obbligata legata all'impossibilità di mantenere la famiglia con un solo stipendio); 3. nuove politiche di sostegno e accompagnamento per le donne immigrate che vogliono inserirsi nel mondo del lavoro; 4. nuove politiche di riqualificazione e sviluppo dei servizi per l'infanzia; 95 Come superare le difficoltà relative alla conciliazione tra lavoro e impegni familiari? Per ragionare sulle possibili soluzioni e superare le difficoltà relative alla conciliazione, si può utilizzare lo schema interpretativo proposto dal sociologo tedesco Uri Bronfenbrenner nel suo testo "Per una ecologia dello sviluppo umano": egli parte dall'idea che la qualità della vita delle persone è legata all'ecosistema ambientale e al tipo di risposte che offre. Si possono pertanto individuare tre livelli di risposte: a) un livello macro: l'organizzazione della società e del mondo del lavoro nel ruolo che attribuisce alla donna in generale e a quella immigrata in particolare; b) un livello intermedio: la rete familiare, il territorio locale, la comunità culturale di provenienza e la rete sociale di riferimento; c) un livello micro: il nucleo familiare, il rapporto di coppia, la relazione con i figli e le competenza che la donna è in grado di mettere in campo. a) Livello macro: società e mondo del lavoro Le questioni che pongono le donne immigrate sono spesso riconducibili all’eccessiva rigidità del sistema imprenditoriale e all'approccio discriminatorio operato dai titolari delle imprese nei confronti delle donne che si trovano in età per avere dei figli o già con figli. La flessibilità di cui parlano le donne non è la stessa auspicata dall'impresa. Le donne immigrate chiedono ritmi e tempi di lavoro differenziati e in grado di offrire la possibilità di conciliare il lavoro con la gestione della famiglia e la cura dei figli. Si potrebbe quindi pensare ad azioni di sensibilizzazione rivolte ai titolari delle aziende e ai delegati sindacali, per fare meglio comprendere loro i mondi culturali da cui provengono le donne immigrate. Si potrebbe inoltre pensare ad una campagna di informazione pubblica sulle condizioni di vita delle immigrate. b) Livello intermedio: territorio locale e reti formali ed informali A questo livello diventa importante un maggior coinvolgimento del territorio locale, nonchè della rete dei servizi di supporto: servizi sociali per le famiglie e per minori, consultori, centri per 96 l'impiego, spazi associativi, centri donna, centri immigrati, ecc…. Occorre pensare ad interventi di sostegno e di accompagnamento per le donne immigrate che vogliono inserirsi nel mondo del lavoro attivando sia la rete formale dei servizi che le reti più informali (associazioni, gruppi di mutuo aiuto, comunità d'immigrati, ecc) ed anche alla realizzazione di percorsi formativi maggiormente congruenti con la realtà del mondo dell'immigrazione al femminile, dei suoi bisogni e delle sue caratteristiche, nonché con i fabbisogni professionali del sistema imprenditoriale del territorio. La formazione infatti, lo si può dedurre dalle risposte ai questionari d’intervista, può essere un’importante risorsa a patto che tenga conto delle esigenze delle donne in merito a: durata degli interventi formativi; profilo professionale che si intende formare; finalizzazione dell’intervento per l’immediata occupazione del partecipante al termine del percorso didattico; acquisizione di qualifiche e competenze coerenti con quanto richiesto dal mercato del lavoro; orari di frequenza alle lezioni compatibili con la vita familiare delle immigrate. c) Livello micro: organizzazione familiare e storia soggettiva della donna Una dimensione che senza dubbio va tenuta in debita considerazione è la soggettività della donna e lo sviluppo delle sue capacità di prendere decisioni e diventare autonoma. Molte donne indicano l'importanza centrale della conoscenza dell'italiano, la necessità di essere informata sul mondo del lavoro e sulla rete dei servizi nonché sul quadro legislativo in vigore nel paese di accoglienza. Le donne devono essere anche sostenute con intelligenza e attenzione nel loro percorso di rielaborazione della “traiettoria migratoria”, nella ridefinizione dei rapporti intrafamiliari e nella revisione del proprio progetto come donna migrante che si trova a vivere in un contesto nuovo. Probabilmente bisogna pensare ad iniziative di counseling psico-relazionale attraverso l'organizzazione di attività che permettano alle donne di parlare e di confrontarsi. L'acquisizione di strumenti di lettura della propria vicenda personale è estremamente importante per favorire la riattivazione del funzionamento delle capacità della donna. In molte interviste emerge la frustrazione, lo scoraggiamento ed anche la perdita dell'autostima, nonché della speranza da parte di alcune di queste. 97 6. ANALISI DEI DATI RACCOLTI: OPERATORI DEI SERVIZI TERRITORIALI 6.1 RIPARTIZIONE PER TIPOLOGIE DI SERVIZIO E FIGURE PROFESSIONALI Complessivamente, l’indagine rivolta agli operatori dei Centri di servizio per immigrati, ha preso a campione 30 persone in rappresentanza di altrettanti: servizi sociali, consultori, uffici comunali, centri per l’impiego, sindacati, associazioni, centri di formazione, che a vario titolo offrono servizi specialistici per gli immigrati e per le donne in particolare. La scelta è stata motivata dall’esigenza di indagare il fenomeno della conciliazione tra tempi di lavoro e impegni familiari delle donne immigrate, analizzando anche l’esperienza, le riflessioni, il punto di vista, degli operatori di strutture pubbliche e private che erogano da tempo servizi specifici rivolti agli immigrati ed alle donne in particolare. Nello specifico sono stati presi in esame 6 centri servizi per ciascuno dei 5 territori considerati nella ricerca che vengono di seguito elencati: Territorio di Rimini Servizio sociale per adulti (Comune di Rimini) Centro per l'impiego della Provincia di Rimini Consultorio familiare (Asl) Ufficio stranieri del Comune di Rimini Associazione Etnos Ecap (Centro di formazione professionale CGIL Rimini) Territorio di Reggio-Emilia Consultorio familiare (Asl di Novellara) Casa delle donne (Comune di Guastalla) Centro di Formazione professionale della Bassa Reggiana (Guastalla) Provincia di Reggio-Emilia Centro Studi Solidarietà di Reggio-Emilia Centro per l'Impiego provinciale (Guastalla) 98 Centro territoriale per l'educazione permanente (Comune di Luzzara) Territorio di Modena Centro stranieri della CGIL di Modena(Camera del lavoro) Centro per l'Impiego della Provincia di Modena Consultorio familiare (Asl) Centro per le famiglie (Comune di Modena) Centro contro la violenza sulle donne (Comune di Modena) Servizio sociale minori (Comune di Modena) Territorio di Forlì Sportello informativo per donne immigrate (Centro donna-Comune di Forlì) Centro per l'Impiego della Provincia di Forlì (Progetto Azione donne) Centroservizio per i cittadini stranieri (Comune di Forlì) Consultorio familiare (Asl) Associazione Koiné (cittadini del Mondo) Forlì Centro di formazione professionale Techné Forlì Territorio di Imola Consultorio familiare (Asl) Consorzio servizi sociali Imola (orientamento scolastico per alunni e genitori stranieri) Servizio sociale minori (comune di Imola) Ecap (Centro di formazione professionale CGIL Imola) Associazione Trama di terre di Imola Ufficio Relazioni Pubbliche URP Informacittadino (Comune di Imola) 99 Tipologie dei centri di servizio per immigrati presi a campione Servizi sociali (Uffici comunali) Uffici stranieri (Uffici comunali) Centri per l'Impiego Provinciali Consultori familiari (Ausl) Associazioni a favore degli immigrati Sindacati dei lavoratori Centri di formazione professionale Centri donna (Uffici Comunali) Profili professionali degli operatori intervistati Assistente sociale Mediatore culturale Infermiere professionale Ostetrica Impiegato comunale Operatore sportello CPI Sindacalista Formatore Educatore 100 6.2 LE PROBLEMATICHE EMERSE NELLA RELAZIONE CON LE DONNE IMMIGRATE Il campione prescelto è stato oggetto di interviste individuali strutturate sulla base di un apposito questionario. Le ricercatrici coinvolte (le stesse che hanno effettuato l’indagine sulle donne immigrate), hanno successivamente elaborato i dati raccolti cercando, in una prima fase, di aggregare le informazioni ricevute al fine di estrapolare gli elementi di maggiore criticità, evidenziati sulla base della loro esperienza dagli operatori dei centri di servizio intervistati, in merito alla relazione instaurata con le donne immigrate nelle fasi di erogazione dei servizi previsti. Di seguito vengono elencate le maggiori criticità emerse durante i colloqui di intervista, ripartite per tipologia di centro servizi preso a campione: Centri di formazione professionale:criticità emerse Le difficoltà di apprendimento della lingua italiana; gli orari dei corsi di formazione non sempre compatibili con la gestione della casa e la cura dei figli; l’eccessiva distanza tra l'abitazione e la sede del corso di formazione; la scarsità di mezzi pubblici adeguati al raggiungimento della sede del corso; corsi di formazione di eccessiva durata (causa di un tasso elevato di abbandono); corsi non sufficientemente finalizzati al reale inserimento lavorativo; difficoltà da parte dei formatori nel gestire il gruppo, spesso molto eterogeneo per provenienza geo-culturale e livello di scolarizzazione; la presenza di bambini piccoli in aula (figli di donne partecipanti alle lezioni), i quali non possono andare al nido per mancanza di posti disponibili o per rette troppo onerose, spesso disturba l’apprendimento del gruppo; I mariti delle donne immigrate partecipanti alle lezioni, i quali non vedono sempre di buon occhio il fatto che la propria moglie frequenti un corso di formazione poiché intravedono in ciò l’inizio di un processo di emancipazione dai “doveri familiari”. 101 Consultori familiari: criticità emerse mancanza di rispetto delle regole previste dal servizio da parte delle donne immigrate (orari non rispettati, appuntamenti non confermati, prenotazioni non confermate); difficoltà dovute all'orario di apertura del servizio: molte donne immigrate preferirebbero poter disporre dell’apertura in orario serale; difficoltà di comprensione della lingua italiana che genere fraintendimenti e difficoltà di informazione; difficoltà di raggiungimento della sede del consultorio dovuta alla lontananza dal centro abitato dell’abitazione dell’immigrata e dalla scarsità a assenza di mezzi pubblici a disposizione per coprire il tragitto; la maggior parte delle richieste avanzate dalle donne immigrate riguarda la possibilità di inserimento all'asilo e alla scuola materna dei figli; la differenza culturale che rende difficile il trasferimento di informazioni e comportamenti corretti da tenersi in particolari casi per la donna immigrata (es: è molto difficile spiegare la diagnosi prenatale ad una donna maghrebina). Occorre anche tenere presente che il 40% circa delle donne in gravidanza che utilizzano i servizi del consultorio sono immigrate. Servizi Sociali: criticità emerse presenza di molti genitori immigrati con famiglie numerose e figli in età scolastica, in difficoltà di carattere economico; presenza allo sportello in prevalenza di uomini oppure di donne ma sempre accompagnate dai mariti, principalmente per un problema di conoscenza della lingua italiana (questa è una causa della mancanza di autonomia delle donne rispetto ai mariti). le donne non prendono decisioni, delegano tutto al marito; le richieste avanzate dalle donne immigrate riguardano perlopiù la possibilità di scuole a tempo pieno e disponibilità di posti negli asili per i propri figli; gli immigrati che si rivolgono al servizio lamentano di ricevere salari bassi per le prestazioni lavorative svolte; è evidente negli immigrati l’assenza di reti familiari di supporto alla gestione familiare, il 102 che comporta, tra l’altro, la difficoltà nel collocare i figli nel momento in cui la donna deve o decide di lavorare; molte donne lamentano di trovare lavoro solamente come addette ai servizi di pulizie in orari quali: al mattino presto e la sera tardi, quando scuole e nidi sono chiusi; Centri per l’Impiego Provinciali (C.I.P.) molte badanti immigrate si rivolgono al servizi per cercare di cambiare lavoro le donne immigrate non possono vedere riconosciuto il titolo di studio conseguito nel Paese di origine; è generalizzata una carenza di specializzazioni specifiche da parte delle donne immigrate; molte donne che si rivolgono al servizio non sono in possesso della patente e questo limita l’offerta di opportunità di lavoro; diverse donne lamentano casi di mobbing e di molestie sessuali nei luoghi di lavoro; problemi specifici per le donne dell'Africa nera dovuti principalmente ad una diversa concezione delle regole del mercato del lavoro e per le donne maghrebine musulmane dovute alla loro fede religiosa, all’esigenza di indossare il velo anche sul lavoro, alla contrarietà dei mariti nei confronti della moglie che lavora. Centri Donna: criticità emerse difficoltà da parte delle donne immigrate nel trovare lavoro autonomamente; difficoltà legate alla trovare casa per via dei costi e dell’ubicazione infelice; paura di subire violenza fisica anche all’interno della propria famiglia; dipendenza economica ma anche psicologica nei confronti dei propri mariti; mancanza di fiducia in sé stesse, basso livello di autostima; difficoltà economiche per la cura dei figli: rette per l’asilo, costi scolastici, ecc… 103 Sindacati e Associazioni - criticità emerse difficoltà comunicative dovute alla scarsa conoscenza della lingua italiana; evidenti problemi economici a fronte di un’oggettiva difficoltà nella ricerca di un lavoro; difficoltà nell'orientarsi correttamente nella “giungla” dei contratti di lavoro proposti; scarsa partecipazione alle attività di aggregazione proposte dalle associazioni; difficoltà nel collocare i figli al fine di disporre di tempo libero per poter svolgere attività per se stesse. 6.3 LE PROPOSTE DEGLI OPERATORI DEI SERVIZI PER FAVORIRE LA CONCILIAZIONE Va sottolineato in primo luogo come in quasi tutti i centri servizi contattati, sia nota la figura del mediatore culturale, anche se non tutti i soggetti hanno le stesse idee in merito ai compiti ad esso preposti. Diversi operatori dei servizi presi a campione infatti, vedono nel mediatore un semplice traduttore-interprete nei confronti dell’utente immigrato, quando invece il suo ruolo nel processo di mediazione è assai più importante. In diversi questionari alcuni operatori intervistati hanno riportato alcuni suggerimenti utili nel facilitare il processo di conciliazione tra lavoro e impegni familiari per le donne immigrate, quali: sviluppare una migliore qualità dell’accoglienza, incrementare negli operatori le competenze necessarie per fornire un’informazione comprensibile ed esaustiva per le donne immigrata, promuovere dei percorsi di orientamento a supporto delle donne immigrate. Emerge inoltre il pessimismo rispetto alla situazione in genere dell’immigrato da parte di alcuni operatori intervistati, i quali sinceramente hanno affermato che: "Il punto fondamentale è che spesso il maggior problema delle persone immigrate che si rivolgono ai nostri sportelli è di sopravvivenza, per cui la difficoltà di conciliare il lavoro con gli impegni della famiglia per loro è irrilevante rispetto alla situazione pesante a cui sono assoggettati". Altri operatori dei centri per l’impiego hanno affermato che, diverse donne, rivoltesi allo sportello, quale opportunità lavorativa il lavoro a domicilio, in modo da poter meglio conciliare: necessità economiche attraverso il lavoro, custodia dei figli che non vanno al nido direttamente a casa, contrarietà del marito rispetto al fatto che la donna lavori. Tutto ciò, ovviamente, pone seri problemi rispetto al livello di autonomia e di indipendenza della donna in quanto vincola fortemente: l’apprendimento dell'italiano, lo sviluppo di capacità comunicative, la possibilità di socializzazione e d integrazione nel contesto italiano. 104 Non a caso per molti operatori dei servizi uno dei problemi maggiori rimane quello della scarsa conoscenza della lingua italiana, qualcuno ha fatto anche notare: "Le donne del Marocco o della Tunisia vengono quasi sempre accompagnate dal marito o comunque da una figura maschile che parla l'italiano". Un problema simile si pone anche per le donne indiane di religione sikh e per le donne cinesi (in questo ultimo caso la figura maschile di riferimento non è neanche un parente ma un "capo clan", che spesso viene chiamato zio). Molti operatori dei servizi sociali fanno anche riferimento all'aspetto dirompente in negativo, che può avere l'attività lavorativa della donna nei rapporti di coppia in alcune famiglie immigrate: è ad esempio il caso delle famiglie maghrebine musulmane. Questo fattore rappresenta spesso un freno, un ostacolo per la libera scelta della donna, la quale teme di dover fare i conti con un marito che oppone resistenza al suo desiderio di emancipazione. Una mediatrice culturale del Centro famiglia di Modena ha raccontato delle grosse difficoltà che incontrano le donne immigrate nella gestione della casa, del lavoro, dei figli e del rapporto di coppia. Da un’idea nata per sostenere le donne con figli che vogliono lavorare è partito quindi il Progetto "Un bambino per amico" che prevede l'uso di volontari a sostegno delle madri in difficoltà. In pratica, nell’ambito del quartiere, alcune donne accettano di prendersi cura di un bambino di una donna immigrata che lavora, in una certa fascia oraria ed organizzano a tale scopo momenti di incontro per favorire la socializzazione e il mutuo- aiuto tra le madri interessate. Qualche operatore intervistato ha affermato inoltre, che le donne mettono spesso in atto delle strategie informali per affrontare il problema della conciliazione: "Molte donne trovano soluzioni informali. La sensazione che io ho avuto durante l’erogazione del servizio, è che in molti casi si aiutano tra donne della stessa comunità". Questa impressione dell'operatore è in parte confermata dalle risposte fornite dalle donne durante l’indagine a loro rivolta. In diversi servizi presi a campione si porta a conoscenza le ricercatrici di una cosiddetta "emergenza cinese" e della difficoltà di soddisfare le richieste di aiuto di queste donne che spesso sono "rinchiuse" nelle loro comunità. In alcuni dei servizi presi a campione hanno anche tentato la strada dell' “educatore familiare domiciliare” ma non è stata un’esperienza molto positiva, in rapporto anche agli alti costi del servizio. Un altro operatore intervistato ha affermato: "E’ opportuno offrire maggiori servizi per la gestione dei figli delle donne immigrate che lavorano e comunque rafforzare 105 quelli già esistenti". In alcuni servizi si pensa di aprire uno specifico servizio rivolto alle donne immigrate con particolari problemi nella gestione del rapporto cura dei figli-impegni di lavoro. Si pensa anche all'utilizzo di una mediatrice culturale che possa andare anche a domicilio nel caso in cui la donna abbia problemi a recarsi presso la struttura. Anche le Associazioni coinvolte nell’indagine, svolgono da tempo una funzione di sostegno-accompagnamento molto importante per un numero significativo di donne immigrate in difficoltà. Dalla lettura delle risposte fornite dagli operatori e dal confronto delle stesse con quelle fornite dalle donne immigrate, si conferma come non siano possibili risposte uniche al problema della conciliazione, ma siano necessarie una serie di risposte ai diversi livelli e con diverse modalità di intervento. E’ necessario un forte intervento pubblico ma anche la promozione delle reti informali che in grado di garantire interventi “leggeri e immediati. 106 7. CONSIDERAZIONI FINALI Confrontando le risposte fornite dalle donne immigrate con quelle degli operatori dei centri di servizio, si possono evidenziare delle convergenze di opinione sulla necessità di trovare un punto di incontro fra i bisogni delle donne immigrate e possibilità di conciliare lavoro e vita familiare. La domanda a cui dare risposta è: quali interventi sono necessari per modificare dei meccanismi che continuano a riprodurre la diseguaglianza di genere che si rafforza quando viene sommata a quella culturale? Ritroviamo nelle risposte a tale quesito, fornite dalle donne immigrate, la necessità di agire su cinque livelli di intervento, quali: 1) le pari opportunità 2) le politiche per l'infanzia 3) le politiche di sostegno alla famiglia 4) le politiche per il lavoro e la formazione 5) la lotta alla discriminazione etnico-culturale. Per favorire la conciliazione lavoro e vita familiare si possono pensare ad alcuni interventi di particolare importanza , visto le risposte fornite sia dalle donne che dagli operatori: Interventi per migliorare l'accoglienza In molti casi l'arrivo della donna dal paese di origine rappresenta un momento difficile, l'impatto con la realtà italiana è talvolta traumatico. Dalle risposte delle donne si evidenziano le ansia e le paure, il senso di disorientamento e il sentimento d'isolamento. L'assenza di una rete familiare e la non conoscenza dell'italiano sono fattori che incidono fortemente sulla possibilità per la donna di potersi riadattare in modo positivo. Tutto ciò condiziona pesantemente la capacità della donna di elaborare strategie efficaci per conciliare tempi di lavoro e impegni familiari. Sarebbe pertanto utile lavorare alla definizione di opportune politiche di accoglienza che oggi non esistono formalmente e sono lasciate piuttosto alla buona volontà di singoli operatori o di associazioni di volontariato. Accoglienza che significa ospitalità, ovvero, in questo caso, il fare sentire la donna immigrata, nonostante il cambiamento da lei operato, come a casa sua. La transizione dal paese di origine all'Italia è spesso molto difficile sul piano psicologico. Pensare alla strutturazione di spazi, di luoghi o di momenti di accoglienza delle immigrate, può 107 aiutare la donna a riconsiderare positivamente il proprio ruolo nella nuova società e comprendere le possibilità che offre il nuovo contesto. I servizi preposti, le istituzioni locali, l'associazionismo,devono avere un ruolo fondamentale nel processo di elaborazione di tali politiche di accoglienza. Possiamo riprendere l'analisi fatta da un dossier del quotidiano francese Le Monde sull'immigrazione in Italia per insistere sull'importanza dell'accoglienza per favorire i futuri percorsi d'integrazione. Mettendo in evidenza il fabbisogno di manodopera immigrata delle imprese italiane Jean-Jacques Bozonnet scrive che, "di fronte all'incuria dei poteri pubblici in materia d'integrazione, la società civile offre delle risposte non sempre sufficienti per prevenire frustrazioni ed esclusione". Tale opinione è quella che emerge anche dalle risposte di molte donne immigrate intervistate all’interno della presente ricerca. Interventi contro la discriminazione etnico-culturale Come abbiamo visto, a più riprese molte donne immigrate vivono sulla propria pelle la diffidenza diffusa della società e dei datori di lavoro, talvolta subiscono dei comportamenti stigmatizzanti e discriminatori: è il caso delle donne islamiche che portano il velo; i pregiudizi antiislamici sono fortemente cresciuti in questi ultimi tempi (tanto che in molti casi si può parlare a ragione di islamofobia) e le donne proprio perché si sentono le custodi della tradizione islamica ne sono le prime vittime. E’ il caso delle donne africane nere che vengono discriminate in settori particolari di lavoro, come l'assistenza alle persone, per il colore della pelle (in questo settore vengono infatti preferite le donne dell'Europa Orientale), oppure subiscono molestie sessuali perché identificate con la prostituzione di colore. E’ il caso delle donne che provengono dalla Moldavia o dall'Ucraina che subiscono pesanti apprezzamenti dagli uomini perché anch’esse identificate con la prostituzione proveniente dai loro paesi di origine. Pensare ad un’azione di sensibilizzazione capillare circa i percorsi migratori delle donne immigrate proveniente da diverse aree geo-culturali, rivolta ad operatori dei centri di servizio, ad imprenditori, a delegati sindacali, all'opinione pubblica, potrebbe favorire una maggiore comprensione dei problemi delle migranti e ridurre i comportamenti discriminatori. 108 Interventi rivolti alle famiglie Occorre attivare servizi in grado di sostenere la famiglia migrante, in modo che la madre o il padre che lavorano possano reciprocamente dedicarsi alla cura dei figli. I servizi devono altresì qualificarsi dal punto di vista delle competenze al fine di interloquire efficacemente con la famiglia immigrata. I mediatori culturali possono essere un valido elemento a sostegno della professionalità degli operatori dei servizi per promuovere una relazione di reale aiuto per la donna immigrata. Il counseling interculturale può essere un modo per fornire un accompagnamento e un sostegno alla famiglia. Durante il colloquio infatti si possono trovare insieme le possibili soluzioni e i possibili percorsi per la conciliazione tra lavoro e famiglia. Interventi a sostegno della prima infanzia I servizi possono altresì aiutare la donna migrante realizzando degli interventi a favore dei figli piccoli, quali: attività extra-scolastiche pomeridiane, ampliamento dei posto disponibili presso gli asili e le scuole materne con relativa riduzione dei costi da sostenersi per le famiglie immigrate, sostegno di tipo psico-linguistico per i bambini immigrati e per i figli di donne migranti in difficoltà, servizi di baby-sitteraggio gratuiti per le madri che seguono corsi di formazione o lavorano. Molto utile sarebbe anche la possibilità di potenziare le attività educative nei quartieri favorendo in tal modo l'integrazione (ad esempio creando dei gruppi socio-educativi aperti a immigrati e italiani) e l'incontro tra famiglie. Interventi di comunità Lo sviluppo nel territorio del fenomeno dell’associazionismo degli immigrati ma anche di quello di chi opera con gli immigrati, può essere un elemento di aiuto per fornire delle risposte a molte donne migranti che si trovano in difficoltà nel conciliare lavoro e vita familiare. I servizi attivi dovrebbero rafforzare le relazioni e le sinergie con il mondo associativo locale, al fine di creare una rete integrata in grado di fornire molteplici e diversificate risposte indirizzate alle famiglie e alle donne immigrate. L'Associazionismo può realmente svolgere un ruolo di sostegno importante. In diverse interviste realizzate, le donne immigrate hanno sottolineato il caso di vicini di casa anziani e 109 italiani, i quali hanno offerto il proprio aiuto per prendersi temporaneamente cura dei loro figli, quando queste sono impossibilitate per impegni di lavoro. Perché non pensare agli anziani come ad una possibile ulteriore risorsa a sostegno della conciliazione lavoro-famiglia. Interventi di potenziamento della rete dei servizi informativi Negli ultimi anni nella nostra regione è stata creata una capillare rete di sportelli informativi rivolti agli immigrati, ma esistono due ordini di problemi: a) sono insufficienti alcune professionalità specifiche, quali i mediatori culturali, in grado di rispondere efficacemente ad una crescente domanda di informazioni generata dalla nuova utenza immigrata; b) è carente il livello di relazione/integrazione tra i diversi sportelli presenti sul territorio che erogano servizi a favore delle utenze immigrate, quali: Asl, Servizi Sociali, Comune, Questura, Prefettura, Centro per l'Impiego, Interventi rivolti alle aziende L’organizzazione dei tempi di lavoro rappresenta un punto importante per favorire la conciliazione tra lavoro e famiglia per la donna immigrata, anche se appare difficile poter intervenire fattivamente in questo ambito di intervento. In ogni caso si può pensare a mettere in campo alcune facilitazioni, quali: l’apertura di micro-nidi aziendali; la predisposizione di sale attrezzate per brevi soggiorni di "emergenza" per i bambini; la creazione di "spazi-cerniera" collocati vicini all'azienda ad uso dei bambini delle donne immigrate e non, la sperimentazione di forme di mutuo-aiuto tra donne che lavorano nella stessa azienda. 110 8. L'INTERCULTURALITÀ AL CENTRO DELLA CONCILIAZIONE Il tema della conciliazione riguarda anche le competenze interculturali sia della rete dei servizi di supporto agli immigrati, sia degli operatori che vi lavorano. Una rete efficace ed efficiente deve poter attivare i sostegni necessari per favorire l'attivazione di un vero processo di accompagnamento che possa promuovere la conciliazione. Lavoro e famiglia, questione di genere e questione culturale, sono i diversi elementi di una problematica che vede la donna immigrata al centro delle contraddizioni del nostro sistema sociale e produttivo. Da questo lavoro di ricerca si palesa la difficoltà strutturale di armonizzare lavoro e vita familiare per molte donne immigrate. Il mercato del lavoro con le sue caratteristiche, la collocazione delle donne migranti su segmenti lavorativi di bassa qualifica, la flessibilità dell'organizzazione del lavoro che coincide in realtà con una sua rigidità dal punto di vista di genere e da quello della differenza culturale, la difficoltà dei servizi a pensare l'accoglienza tenendo conto del pluralismo culturale, la distanza tra servizi organizzati per un modello familiare e i modelli familiari altri di cui sono portatori gli immigrati, rappresentano tutti elementi che rendono difficili le politiche d'intervento a favore della conciliazione. Si nota qualcosa di speculare nelle difficoltà che riportano i servizi, i rapporti con le famiglie e le donne immigrate e il modo di come queste vedono i servizi. Sembra che la rete non abbia completamente preso atto del profondo cambiamento antropologico intervenuto tra gli utenti. Ma si può dire qualcosa di simile per il mercato del lavoro anche se quest'ultimo per motivi molto più pragmatici ha utilizzato l'immigrazione al femminile come una risorsa nei settori dell'economia dei servizi a bassa qualifica. Tuttavia questo complica la situazione di molte donne che, di fronte a lavori pesanti, mal pagati e “iperflessibili”, fanno fatica ad armonizzare vita familiare e vita lavorativa. Un altro piano estremamente importante è quello delle capacità in possesso della donna immigrata, cioè della possibilità di acquisire e combinare delle competenze sociali, relazionali, professionali, in grado di aiutare la donna a migliorare il proprio modo di affrontare il rapporto tra lavoro e vita familiare. Abbiamo anche visto che non esistono soluzioni per la conciliazione senza un’apertura delle relazioni all'interno della coppia e della famiglia. Senza una consapevolezza dei compiti che gravano spesso sulla donna lavoratrice da parte degli uomini (mariti e compagni), diventa estremamente difficile pensare a qualsiasi soluzione. 111 Conciliazione significa anche armonizzazione, complementarità tra universo maschile e femminile nella famiglia e nel mondo del lavoro. Purtroppo Pierre Bourdieu, nel suo libro "Il dominio maschile", afferma che nonostante i cambiamenti intervenuti negli ultimi 50 anni in Europa il sistema sociale resta fortemente dominato dallo sguardo maschile. Questo rappresenta spesso un problema per molte donne immigrate. Il dover fare i conti non solo con l'opposizione del marito che può vedere negativamente il lavoro fuori casa della donna, ma anche, ed è la cosa più diffusa, l'assenza di collaborazione o di sostegno da parte dell'uomo per alleggerire il peso del "doppio lavoro". Ma la questione si complica ulteriormente se riprendiamo l'analisi che fa Rita El Khayat, la psichiatra marocchina, attenta studiosa della condizione della donna nel mondo arabo ma anche della donna araba nell'emigrazione (ovviamente si tratta qui delle donne che provengono dal Maghreb): la donna maghrebina , per motivi sociali e storici, si considera spesso come l'autentica, anzi l'unica custode della vera tradizione culturale e religiosa. La donna ha finito per interiorizzare la sua "inferiorità sociale" ritagliandosi una fetta di potere nell'organizzazione familiare. Nel suo ultimo libro intitolato "les bonnes de Paris "(dove parla anche della sua esperienza con le immigrate maghrebine in Italia), Rita El Khayat mette in evidenza il travaglio, le paure e l'angoscia che vivono molte donne maghrebine nell'immigrazione. L'essere confrontata con altri modelli femminili e familiari, il ritrovarsi isolate socialmente e culturalmente, non avere più la rete della famiglia allargata con i suoi codici, il doversi confrontare con le necessità del lavoro, il dovere ridefinire il proprio ruolo in un contesto nuovo all'interno del rapporto di coppia e di quello con il marito. Di fronte a tutto ciò la donna immigrata maghrebina (non tutte ovviamente) può chiudersi per paura. Ma la psichiatra e scrittrice spiega anche come la società francese e italiana hanno saputo sfruttare i tratti culturali della donna maghrebina collocandola nei settori dei servizi di assistenza agli anziani e delle pulizie. Il mercato del lavoro ha saputo interpretare con profitto il comportamento culturale di queste donne, attente nel lavoro di cura e nella gestione della casa. Nelle risposte delle donne maghrebine troviamo delle considerazioni che confermano effettivamente le considerazioni elaborate da Rita El Khayat. I modelli di cura interiorizzati sono anche dei comportamenti culturali nella misura in cui sono parte integrante della struttura di personalità delle donne immigrate che provengono dal Maghreb. Ma questo discorso coinvolge gran parte delle donne immigrate: il tema della conciliazione tocca un punto nevralgico della costruzione culturale della personalità della donna, della sua immagine di donna, del suo ruolo nella famiglia, della sua 112 concezione di famiglia e della sua idea di rapporto di coppia nonché di educazione dei figli all'interno di questa. Quando si parla di conciliazione lavoro-famiglia non si può ignorare l'intreccio tra la dimensione sociale e quella culturale nella vita della donna; tra la condizione sociale che cambia radicalmente nell'esperienza migratoria e il suo modello di famiglia . Non si può ignorare la sua concezione del ruolo della donna e la sua idea di lavoro. Di nuovo Rita El Khayat in un recente lavoro sugli aspetti psicologici della migrazione femminile maghrebina, nel suo rapporto con la identità religiosa musulmana, spiega come spesso la donna migrante maghrebina si trova dilaniata tra le tradizioni di cui si sente la custode e il cambiamento; tra un sistema di valori appreso nella società di origine e un nuovo sistema di valore, tra aspettative e disillusioni. Questa precarietà psicologica costituisce spesso per la donna un rischio e la conciliazione lavoro e famiglia si trova nell'epicentro delle tensioni che essa vive. Non si tratta solo di combinare due aspetti della vita della donna, appunto lavoro e famiglia, ma si tratta spesso di un mutamento radicale nel suo vissuto e nella rappresentazione che si fa di sé. Qualsiasi progetto che si pone la questione della conciliazione deve quindi prendere seriamente in considerazione il nesso tra la dimensione culturale e quella psicologica; parlare di conciliazione in termini puramente materiali o oggettivi (sostegni materiali, apertura di nidi o scuole materne, coincidenza dei tempi di lavoro e dei tempi della scuola, approccio più aperto dell'impresa ai tempi di lavoro per le donne), rischia di fare perdere di vista l'importanza della dimensione psico-culturale. E questo non vale solo per le donne musulmane del Maghreb ma anche per le africane subsahariane, le cinesi, le indiane sikh o indù: l'abbiamo potuto verificare nelle risposte ai questionari. La conciliazione sta al cuore dei modelli culturali della vita di relazione delle donne migranti, vita che cambia con la migrazione il sistema relazionale di riferimento della donna, i suoi codici di lettura della realtà, la base sociale del suo ruolo nella famiglia, la morfologia stessa dalla famiglia. Abbiamo visto quante tipologie di percorso esistono, quante situazioni diverse, ma troviamo in modo trasversale dei problemi simili vissuti dalle donne immigrate nel loro tentativo di conciliare lavoro e vita familiare: il cambiamento introdotto dall'esperienza migratoria, la destrutturazione del tessuto originario sul quale si fondava la vita della donna, la distanza e talvolta il conflitto tra il sistema di valori trovato in Italia e quello portato dalla società di origine, la tensione che vive la dona migrante tra l'aspirazione al cambiamento e la paura del cambiamento, il conflitto tra valori tradizionali e i valori nuovi, il confronto tra diverse concezioni 113 della donna e del suo ruolo sia nella società che nella famiglia, il tentativo di adattarsi psicologicamente alla situazione nuova. L'interculturale è al centro della vita della donna migrante e la conciliazione è un aspetto delicato di questo processo complesso sia sul piano sociale che psicologico. Il rapporto con i figli arrivati con lei o nati in Italia costituisce un importante fattore d'interculturalità nella vita relazionale della donna; la conciliazione si colloca in un punto sensibile dei rapporti con i figli, che è il prodotto di un processo culturale. La domanda a cui dare una risposta quindi è la seguente: in che misura i dispositivi d'intervento, di sostegno e di accompagnamento della donna immigrata per favorire la conciliazione lavoro e famiglia tengono conto del fatto interculturale come punto sensibile della sua vita psico-sociale? In una prospettiva di questo genere occorre anche pensare alla presenza di figure specifiche come quella del mediatore culturale(la cui Regione Emilia-Romagna ha delineato il profilo professionale) con una preparazione specifica come counseller interculturale in grado di sostenere e accompagnare il percorso della donna immigrata nella ricerca di strategie per delle soluzioni corrispondenti alle difficoltà di conciliare lavoro,vita familiare e vita sociale. Inoltre occorre anche pensare ad una maggiore formazione(aggiornamento) degli operatori dei servizi che si trovano a gestire il rapporto con le donne immigrate e pensano al mediatore soltanto come traduttore linguistico mentre questa figura interviene a supporto del servizio come risorsa integrativa(complementare) nella gestione del processo comunicativo. Il mediatore può essere importante nel qualificare il sistema dei servizi in termini interculturali cioè in competenze di mediazione attiva nel fornire supporti, accompagnamento e orientamento alle donne immigrate in difficoltà nel conciliare lavoro, vita familiare e vita sociale. 114 NOTE BIBLIOGRAFICHE C.Mariti: “Donna migrante. Il tempo della solitudine e dell'attesa” (Mi-2003) E.Abbatecola:Il potere delle reti. L'occupazione femminile tra identità e riconoscimento (Fi-2002) Chiara Saraceno: La famiglia nella società contemporanea (Roma-1980) Anatomia della famiglia (Roma-1977) Martha Nussbaum: Diventare persone(donne e universalità dei diritti) (Bo-2000) Giustizia sociale e dignità umana (Bo-2002) M.Ambrosini, C:Buizza, C:Cominelli: Oltre gli stereotipi (la discriminazione degli immigrati nel mercato del lavoro bresciano)(Brescia-2003) Margherita Cogo: Conciliazione tra lavoro e famiglia (con particolare riguardo alla situazione nell'area alpina) (Trento-2003) Martina Bianchi: Conciliabilità tra famiglia , lavoro di cura e lavoro retribuito in particolare per le donne (Bolzano-2000) Cecilia Edelstein: Aspetti psicologici della migrazione al maschile e differenze di gender (Rivista elettronica di scienze umane e sociali-aprile-giungno2003) M.de Bernart, L.Di Pietrogiacomo, L.Michelini: Migrazioni femminili,famiglia e reti sociali tra il Marocco e l'Italia (il caso di Bologna) (Torino-1997) Ghita El Khayat: les bonnes de Paris et d'ailleurs (Casablanca-2004) Le donne nel mondo arabo (Milano-2004) Le Maghreb des femmes (les défis du XXIe siécle) (Casablanca-2001) Françoise Héritier: Dissolvere la gerarchia (Maschile e femminile) (Milano-2004) Pierre Bourdieu: Il dominio maschile (Bologna-2001) Simone de Beauvoir: Il Secondo Sesso (Milano-2000) Martha Nussbaum: Coltivare l'Umanità (Roma-2002) Amartya Sen: La Disuguaglianza (Bologna-2000) Urie Bronfenbrenner: Ecologia dello sviluppo umano(Bologna-1980) 115 Appendice Strumenti di rilevazione: questionari d'intervista Appendice Gli strumenti di rilevazione utilizzati: i questionari Note metodologiche per le ricercatrici 116 APPENDICE DALIA: Donne Immigrate in Armonia fra Lavoro e Impegni fAmiliari Ricerca sui fabbisogni specifici di interventi finalizzati alla conciliazione delle esigenze lavorative e familiari delle donne immigrate Asse E - Misura E.1 Ob. 3 – Rif. P.A. 0096 DOCUMENTO DI LAVORO Griglia intervista rivolta a Donne Immigrate Progetto “DALIA: Donne immigrate in Armonia fra Lavoro e Impegni fAmiliari”: la ricerca Rif. P.A. 2003 - 0096/Rer Delibera RER n. 1168 del 23/06/2003 1 Anagrafica intervista Data intervista: ___________ Luogo intervista: __________________________ Nome dell’intervistatore: _____________________________ Nome estensore report (se diverso dall’intervistatore): ________________________________ Anagrafica intervistata · Nome e cognome _____________________________________________ * · Età (se possibile specificare la data di nascita) ______________________________ · Stato civile: ____________________________________________________ · Nazionalità: ____________________________________________________ · Abitazione in Italia: ______________________________________________ (specificare se vive in città o in zone limitrofe/rurali) · Livello attuale di conoscenza della lingua italiana: insuff: scarso · Num figli: __________________ · Età dei figli: ________________ discreto buono ottimo ________________ ________________ * poiché il questionario sarà anonimo la compilazione di questa riga servirà solo alla ricercatrice per identificare l’intervistata. Qualora se ne desideri omettere la compilazione, cancellare la riga nel momento della stampa del file. Progetto “DALIA: Donne immigrate in Armonia fra Lavoro e Impegni fAmiliari”: la ricerca Rif. P.A. 2003 - 0096/Rer Delibera RER n. 1168 del 23/06/2003 2 Griglia di intervista La griglia d’intervista è composta da 7 sezioni che riguardano: 1) Il Paese di origine 2) L’arrivo in Italia 3) Il percorso formativo 4) Il lavoro e la vita familiare 5) La vita sociale 6) I rapporti con i servizi sociali 7) La conciliazione. proposte e suggerimenti 8) Informazioni integrative a supporto della comprensione delle risposte fornite L’intervistatrice è invitata ad annotare anche sue osservazioni che risultino durante lo svolgimento dell’intervista. Sezione 1: Il Paese di origine 1.1. Da dove viene? (indicare città, zona urbana, periferica o rurale del Paese di provenienza) _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ 1.2. Da quanto tempo è in Italia? _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ 1.3 Stato civile prima di partire per l'Italia. (indicare se coniugata o celibe) _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ 1.4. Se ci sono figli, dove sono nati? (se nel Paese di origine o in Italia) _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ Progetto “DALIA: Donne immigrate in Armonia fra Lavoro e Impegni fAmiliari”: la ricerca Rif. P.A. 2003 - 0096/Rer Delibera RER n. 1168 del 23/06/2003 3 1.5. Per quale motivo è venuta in Italia? a) lavoro b) ricongiungimento familiare c) altro (specificare) _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ 1.6. La scelta della partenza è maturata insieme al marito? Si No (in questo caso indicare chi ha deciso la partenza) ____________________________________________________ ____________________________________________________ ____________________________________________________ 1.7. Come ha vissuto la partenza dal paese di origine? (indicare sensazioni, stati d’animo e difficoltà…) _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ 1.8. Quali studi ha fatto nel paese di origine e quale titolo di studio ha conseguito? _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ Progetto “DALIA: Donne immigrate in Armonia fra Lavoro e Impegni fAmiliari”: la ricerca Rif. P.A. 2003 - 0096/Rer Delibera RER n. 1168 del 23/06/2003 4 1.9. Ha avuto esperienze lavorative nel Paese di origine? Si (se si, quali?) No · ____________________________________________________________________ · ____________________________________________________________________ · ____________________________________________________________________ 2) Sezione 2: L’arrivo in Italia 2.1. Come è arrivata in Italia? (specificare le modalità: sola, accompagnata, con i documenti già in regola oppure si è regolarizzata successivamente all’arrivo in Italia*) _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ *L’intervistatrice dovrebbe tener conto di quest’aspetto poiché vissuti e difficoltà sono stati diversi per chi è arrivata regolarmente e chi, invece, è entrata irregolarmente e si è regolarizzata in seguito. 2.2. Conosceva la lingua italiana al momento dell’arrivo? _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ 2.3. Come è stato il primo impatto con la realtà italiana? Il suo vissuto? (specificare se ha avuto difficoltà linguistiche, se si è sentita isolata o ben accolta, etc…) _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ Progetto “DALIA: Donne immigrate in Armonia fra Lavoro e Impegni fAmiliari”: la ricerca Rif. P.A. 2003 - 0096/Rer Delibera RER n. 1168 del 23/06/2003 5 2.4. Quali sono le difficoltà che ha incontrato? (specificare se difficoltà di carattere culturale, religioso, linguistico, di ricerca dell’abitazione, logistico, ecc…) _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ 3) Sezione 3: Formazione 3.1. Da quando è Italia ha seguito qualche corso di formazione professionale? Si • No Se sì: Quale? (specificare che tipo di corso, che tipo di tematiche/materie affrontate, durata, settore di attività) _____________________________________________________________________ _____________________________________________________________________ Presso quale Ente/organismo? _____________________________________________________________________ _____________________________________________________________________ 3.2. Quali difficoltà ha incontrato durante il corso? (specificare se si tratta di difficoltà di tipo logistico, spostamento verso la sede di svolgimento del corso, di affidamento della prole o di tipo linguistico/culturale/religioso) _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ Progetto “DALIA: Donne immigrate in Armonia fra Lavoro e Impegni fAmiliari”: la ricerca Rif. P.A. 2003 - 0096/Rer Delibera RER n. 1168 del 23/06/2003 6 3.3. E’ riuscita a conciliare attività formativa e vita familiare? Se sì, come ha fatto? Chi la ha aiutata? _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ 3.4. Quali suggerimenti potrebbe dare a chi organizza corsi di formazione per donne immigrate per migliorare la partecipazione delle stesse alla formazione? _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ 4) Sezione 4: Lavoro e vita familiare 4.1. Attualmente Lei lavora? Si • No Se sì: - per necessità economica? - per scelta? - che tipo di lavoro fa? __________________________________ - nell’azienda ci sono più uomini o donne? ___________________ - se ci sono altre donne immigrate nell’azienda, come sono i rapporti che si sono creati? _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ Progetto “DALIA: Donne immigrate in Armonia fra Lavoro e Impegni fAmiliari”: la ricerca Rif. P.A. 2003 - 0096/Rer Delibera RER n. 1168 del 23/06/2003 7 4.2. La Sua cultura e la Sua religione impediscono alla donna di lavorare? _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ 4.3. E’ riuscita a conciliare lavoro e vita familiare? Chi l’ha aiutata? _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ 4.4. Quali sono le maggiori difficoltà che incontra o che ha incontrato nella ricerca del lavoro, oppure sul lavoro? (specificare se si tratta di difficoltà di tipo logistico, di affidamento dei figli o di tipo linguistico/culturale/religioso) _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ 4.5. Quali sono, secondo Lei, le maggiori difficoltà che incontrano quotidianamente le donne immigrate nel combinare lavoro e vita familiare? _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ Progetto “DALIA: Donne immigrate in Armonia fra Lavoro e Impegni fAmiliari”: la ricerca Rif. P.A. 2003 - 0096/Rer Delibera RER n. 1168 del 23/06/2003 8 4.6. Come si può risolvere, secondo Lei, il problema del rapporto/conciliazione tra lavoro e vita familiare? _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ 4.7. Conosce il Servizio provinciale per l'Impiego? - Si No Se sì: che tipo di aiuto Le ha dato? _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ Sezione 5: Vita sociale 5.1. Ha delle amiche del suo Paese qui in Italia? Le frequenta? Dove? _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ 5.2. Ha delle amiche italiane? Come e quando le incontra? _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ 5.3. Frequenta qualche Associazione, circolo sociale o culturale? _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ Progetto “DALIA: Donne immigrate in Armonia fra Lavoro e Impegni fAmiliari”: la ricerca Rif. P.A. 2003 - 0096/Rer Delibera RER n. 1168 del 23/06/2003 9 _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ 5.4. Ha dei parenti con Lei in Italia? Può contare su di loro per conciliare vita familiare e lavorativa? La possono aiutare? _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ 5.5 Quali sono le difficoltà maggiori che incontra ora nella Sua vita quotidiana? _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ Sezione 6: Rapporti con i servizi sociali 6.1. Conosce i servizi sociali del territorio? Si No Se sì, quali? _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ 6.2. Ha avuto contatto con i servizi? Che tipo di richiesta ha rivolto loro? _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ Progetto “DALIA: Donne immigrate in Armonia fra Lavoro e Impegni fAmiliari”: la ricerca Rif. P.A. 2003 - 0096/Rer Delibera RER n. 1168 del 23/06/2003 10 _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ 6.3. Che tipo di risposta e di aiuto ha ricevuto? _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ 6.4. Quali difficoltà ha incontrato nei rapporti con i servizi? (linguistica, atteggiamento degli operatori, farsi capire…) _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ Sezione 7: Conciliazione e proposte 7.1. Quali sono le Sue proposte per favorire la conciliazione tra lavoro e vita familiare delle donne immigrate? _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ 7.2. Cosa potrebbero fare, secondo Lei, i servizi per favorire l'ingresso delle donne immigrate nel mondo del lavoro? _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ Progetto “DALIA: Donne immigrate in Armonia fra Lavoro e Impegni fAmiliari”: la ricerca Rif. P.A. 2003 - 0096/Rer Delibera RER n. 1168 del 23/06/2003 11 7.3. Cosa, invece, possono fare le donne immigrate e italiane per aiutarsi reciprocamente? Crede che ci siano delle possibilità di collaborazione? Quali sono i Suoi suggerimenti in proposito? _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ Firma del rilevatore/ricercatore _____________________________ Progetto “DALIA: Donne immigrate in Armonia fra Lavoro e Impegni fAmiliari”: la ricerca Rif. P.A. 2003 - 0096/Rer Delibera RER n. 1168 del 23/06/2003 12 DALIA: Donne Immigrate in Armonia fra Lavoro e Impegni fAmiliari Ricerca sui fabbisogni specifici di interventi finalizzati alla conciliazione delle esigenze lavorative e familiari delle donne immigrate Asse E - Misura E.1 Ob. 3 – Rif. P.A. 0096 DOCUMENTO DI LAVORO Griglia di intervista per gli Operatori dei Servizi Progetto “DALIA: Donne immigrate in Armonia fra Lavoro e Impegni fAmiliari”: la ricerca Rif. P.A. 2003 - 0096/Rer Delibera RER n. 1168 del 23/06/2003 13 Anagrafica servizio Data intervista: ___________ Luogo intervista: __________________________ Nome dell’intervistatore: _____________________________ Nome estensore report (se diverso dall’intervistatore): ________________________________ Tipologia di servizio intervistato: ______________________________________________ Operatore/i intervistato/i: · Nome e Cognome: ______________________________________________ · Ruolo nell’ambito del servizio: _____________________________________ · Num tel. ________________________ Fax ___________________________ · E-mail:__________________________ Griglia di intervista 1) Quali rapporti intrattiene il Suo/Vostro servizio con l'utenza immigrata? (indicare i servizi rivolti specificatamente ad utenza immigrata) _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ Progetto “DALIA: Donne immigrate in Armonia fra Lavoro e Impegni fAmiliari”: la ricerca Rif. P.A. 2003 - 0096/Rer Delibera RER n. 1168 del 23/06/2003 14 2) Chi sono gli immigrati che frequentano il Servizio? _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ 3) Qual'è la frequenza con la quale si presentano le donne immigrate ? Quale tipo di richieste fanno? _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ 4) Quali difficoltà incontra il Suo/Vostro servizio con tale tipologia di utenza? (indicare le difficoltà che si presentano con maggiore frequenza con utenza immigrata femminile) _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ Progetto “DALIA: Donne immigrate in Armonia fra Lavoro e Impegni fAmiliari”: la ricerca Rif. P.A. 2003 - 0096/Rer Delibera RER n. 1168 del 23/06/2003 15 5) Esistono servizi finalizzati a soddisfare i fabbisogni di conciliazione fra lavoro e cura della famiglia, specifici per donne immigrate? _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ 6) Gli operatori del Suo/Vostro servizio hanno seguito recentemente corsi di aggiornamento o di formazione sui temi dell’immigrazione e della conciliazione? _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ 7) Cosa sa della mediazione culturale? e cosa, invece, pensa sarebbe utile sapere per poter offrire un servizio più adeguato a tale tipologia di utenza? _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ Progetto “DALIA: Donne immigrate in Armonia fra Lavoro e Impegni fAmiliari”: la ricerca Rif. P.A. 2003 - 0096/Rer Delibera RER n. 1168 del 23/06/2003 16 _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ 8) E’ presente un mediatore culturale nel Suo/Vostro servizio? Quale ruolo svolge? Si tratta di un mediatore o di una mediatrice? Si No _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ Se sì: 9) Giudica/ate soddisfacente l’operato del/i mediatore/i culturale/i? Se no, quali, secondo Lei/Voi, possono essere le difficoltà che incontra il mediatore culturale nel suo rapporto con l’utenza immigrata? _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ 10.1. Quali sono le problematiche che incontra con le donne immigrate che vengono nel suo servizio? _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ Progetto “DALIA: Donne immigrate in Armonia fra Lavoro e Impegni fAmiliari”: la ricerca Rif. P.A. 2003 - 0096/Rer Delibera RER n. 1168 del 23/06/2003 17 _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ 10.2. Viene affrontato il tema della conciliazione lavoro-famiglia per le donne immigrate? Se sì, in quale modo? _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ 10.3. Quali suggerimenti può dare per migliorare le risposte del servizio a questo tipo di bisogno? _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ Progetto “DALIA: Donne immigrate in Armonia fra Lavoro e Impegni fAmiliari”: la ricerca Rif. P.A. 2003 - 0096/Rer Delibera RER n. 1168 del 23/06/2003 18