IMMIGRAZIONE AL FEMMINILE UNA PRESENZA SEMPRE PIÙ

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IMMIGRAZIONE AL FEMMINILE UNA PRESENZA SEMPRE PIÙ
Donne e bambini di altri paesi
Maria Edoarda Trillò, Aldo Morrone, Salvatore Geraci
IMMIGRAZIONE AL FEMMINILE
L'immigrazione in Italia, in particolare nelle grandi città, sta assumendo sempre più una connotazione al femminile.
Esaminando i dati ufficiali, la percentuale della presenza femminile in Italia è passata, tra il 1990 e l’inizio del 1994, dal
42,8% al 44,2% (+1,4%).
A Roma, al 31 dicembre 1993, erano presenti 108.285 donne straniere che costituivano il 24,8% di tutte le straniere
presenti in Italia. Alla stessa data le donne iscritte alle liste circoscrizionali sono state 42.870 (fonte CEU, Comune di
Roma, 1994), poco meno del 50% di una presenza ufficiale probabilmente sovrastimata ma che è indicativa della
difficoltà di un reale inserimento dal punto di vista amministrativo, dell'impossibilità di accedere ad alcuni diritti, come
quello relativo all'utilizzo ordinario del Servizio sanitario nazionale (Demetrio, Favaro, Melotti et al., 1990; Di Cristofaro
Longo, 1993).
Le statistiche, a conferma della nostra personale esperienza, esprimono un bisogno di intervento sanitario per donne
che, in via ordinaria per motivi giuridici (mancanza di una legislazione esauriente), amministrativi (iter burocratici
complessi o non comprensibili), culturali (diversa percezione dei bisogni e dei servizi), di fatto sono escluse dalla tutela
della salute. Se pensiamo al ruolo che la donna immigrata può svolgere come mediatrice tra due culture, quel la di
origine e quella acquisita, punto d'incontro con le nuove generazioni, protagonista dei percorsi di integrazione che la
nostra società saprà e dovrà esprimere, comprendiamo come sia fondamentale garantire a essa tutti i diritti primari
dell'essere umano.
Tra questi meritano un particolare rilievo il diritto alla salute e il diritto alla procreazione libera e responsabile. Le donne
immigrate devono avere la certezza che i loro figli possano crescere sereni e tutelati nella loro salute, proprio come i figli
degli italiani. Vedremo cosa comporti il desiderio di una gravidanza.
Tra le persone meno inserite e più a rischio di marginalità sociale, la componente femminile è comunque fortemente
presente, con dinamiche di crescita che non possono che far prevedere maggiori incrementi nei prossimi anni. La nostra
società ha relegato il ruolo della donna in uno spazio sempre più ristretto e, se questo è ancora evidente nel nord del
pianeta, figuriamoci nei paesi del sud.
UNA PRESENZA SEMPRE PIÙ VISIBILE
La figura della donna immigrata non è ancora considerata come un soggetto autonomo nella dinamica migratoria, ma
come una figura secondaria alla migrazione maschile in difesa di uno stereotipo di moglie/madre a carico dell’uomo. La
migrazione al femminile è stata in questo senso poco indagata e paradossalmente meno tutelata anche rispetto al ruolo
tradizionalmente attribuitole. Attualmente, quasi il 50% degli immigrati nel mondo è costituito da donne e le proiezioni
delle Nazioni Unite indicano come, in tempi più o meno vicini, la componente femminile costituirà la quota più
consistente della popolazione nata all'estero.
La maggior parte di queste donne proviene da paesi del sud del mondo, dove ha una vita durissima, costellata di
violenze contro qualsiasi diritto umano: povertà, fame, malattie, carico di lavoro eccessivo, tirannie, repressioni e guerre.
Per moltissime di loro a tutto ciò si aggiunge anche la violenza delle mutilazioni sessuali (Mc Lean, Graham, 1982).
L'emigrazione è ormai una realtà che colpisce profondamente il mondo femminile (donne, madri, mogli) e comporta
esperienze sgradevoli e umilianti. Le donne si trovano a dover fronteggiare un difficile percorso di inserimento nel nostro
paese: esse devono per lo più farsi carico dell'intera famiglia, soprattutto quando i capifamiglia crollano
psicologicamente, per le difficoltà che essi trovano nel paese che li ospita e per la mancanza di un lavoro (Delle Donne,
Melotti, Petilli, 1993).
I motivi che inducono le donne a migrare sono di vario tipo: guerra, problemi economici, sentimentali o lavorativi
(Bandera, 1990; Melotti, 1992).
La decisione di trovare lavoro deriva dalla volontà di migliorare le proprie condizioni di vita, già frustranti durante
l’infanzia e l’adolescenza, frequentemente aggravate dalla guerra. Anche senza un progetto realistico, esse vanno alla
ricerca di modelli sociali ideali di benessere che permettano di "ricominciare da capo". Spesso tutto inizia con una
proposta di lavoro all'estero, mediata da conoscenti, familiari, esperti della cooperazione, da membri del corpo
diplomatico, da religiosi. Dietro a tali proposte si celano precarietà e sfruttamento economico, perché è certo più comodo
assumere una donna appena arrivata che non conosce le leggi e i suoi diritti, che non è inserita socialmente e
trascorrerà più tempo a casa a lavorare, che dà più sicurezza anche per ciò che riguarda i furti, non avendo punti di
riferimento in città.
I motivi sentimentali nelle donne si intrecciano a quelli economici e lavorativi. Emigrano anche per dimenticare una
cultura tradizionale che sentono di
voler abbandonare. Non si trovano più bene nella loro condizione di donne nel paese di origine, perché in genere non
provengono dagli elementi femminili più tradizionali. Sentono però di agire in una condizione di tradimento al sentimento
di appartenenza al proprio gruppo e insieme alla propria identità. Si allontanano spesso per vivere del ricordo (Ainom,
1992).
TRADIZIONI E VALORI DA NON PERDERE
Queste donne, sempre più presenti e visibili, stanno occupando un ruolo determinante; a loro non solo sono affidati i
lavori domestici, come tradizionalmente è accaduto, ma anche la crescita dei nostri figli o la cura di anziani e malati soli.
Il ruolo già così pesante di "cerniera" tra il passato ricco di tradizioni, storia e cultura e il presente con le sue incertezze,
carico di provvisorietà e prospettive diverse, tra figli permeati di antica cultura ma italiani per forza, tra uomini spesso
fuori dai ruoli propri e per questo lontano da ciò che si vive qui e ora, si arricchisce del nuovo fardello dell'essere attente
e vicine a momenti delicati della vita di altri; e proprio da questo nuovo ruolo emerge il patrimonio "emotivo-culturale"
della donna straniera cosi veramente attenta e vicina ai nostri figli, anziani, malati. Da questo si comprende come tutto
ciò, soprattutto se non relegato solamente ad alcuni ambiti, possa costituire una "risorsa" per il nostro vivere comune
(Delle Donne, Melotti, Petilli, 1993).
LA SALUTE DELLA DONNA E DEI BAMBINI
Il proprio corpo, i propri sogni e i figli sono spesso gli unici beni preziosi, l’unico vero capitale che la donna porta con sé.
La modalità di approccio con il proprio corpo è comune a tutte le donne provenienti dai paesi poveri: va nascosto a sé e
agli altri. Non si insegna loro a scoprirlo, conoscerlo, ascoltarlo. I cambiamenti adolescenziali e il menarca vengono
vissuti in solitudine e senza preparazione. La menopausa può venire considerata come una libertà ritrovata per alcune di
esse, come le latino-americane, mentre può essere carica di significati negativi di fine di un ciclo produttivo e anche
sessuale per altre, come le africane. Il corpo viene vissuto come utile per svolgere lavoro, non come espressione di sé. I
movimenti sono misurati anche nella danza. Questi condizionamenti si manifestano nelle posture e nell'abbigliamento. La
sessualità come forma di espressione dell'individuo, della donna nella sua interezza, resta un tabù a causa di
condizionamenti sia di matrice religiosa, sia educativi e culturali; i desideri sono rimossi e negati e l’iniziativa in termini
affettivi compete all'uomo.
Nel paese di origine la maternità e il parto sono eventi che coinvolgono tutta la famiglia allargata e le donne della
comunità. Il parto è un momento di comunicazione tra donne; l’uomo ne è escluso. Nel paese straniero, invece, la
maternità e il parto sono vissuti in solitudine, diventano una malattia; si stravolgono i ritmi (nascite pretermine con
bambini di basso peso). Il parto in ospedale e l’alto numero di cesarei confermano ulteriormente lo stato di malattia. Il
senso di inadeguatezza, insito nell'essere straniere, è potenziato dal "vissuto malato" del partorire e nascere in solitudine
senza la famiglia allargata. In ospedale, le difficoltà di comprensione linguistiche e culturali da parte degli operatori dei
reparti ostetrici portano, inoltre, all'interruzione precocissima, se non addirittura al non stabilirsi, dell'allattamento
materno.
E ancora entriamo nella dinamica del figlio negato (contraccezione o i.v.g.) o cercato, a sottolineare sincretismi o
dissonanze culturali, sempre dolorose, delle quali riferiremo nel capitolo 6. Tutto questo, sommato alle dure condizioni di
lavoro e di vita che le donne sopportano nel paese ospitante, sta alla base dei problemi di salute prevalentemente
espressi o rilevati da numerose indagini presso le donne straniere che vivono in Italia. Gravidanze ravvicinate, nascite
pretermine, basso peso alla nascita, ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza e a pratiche di contraccezione non
conosciute e non capite rappresentano alcuni degli aspetti più drammatici. La patologia della povertà (malnutrizione,
malattie respiratorie, parassitosi, tubercolosi) e la patologia di sradicamento (cambiamento dei ritmi, del clima,
dell'alimentazione, sentimento di tradimento al gruppo di appartenenza e conseguente facilità all'insorgenza di malattie
psicosomatiche) sono alcune delle patologie che si trovano ad affrontare, da una parte, le donne immigrate in Italia e,
dall'altra, gli operatori sanitari sia del settore pubblico che del "privato-sociale"
PRATICHE ESCISSORIE
Molte donne straniere nel nostro paese portano nel corpo un'ulteriore violenza; oltre a essere state più o meno
violentemente sradicate dalle loro origini, esse sono segnate nel fisico, e probabilmente nella mente, da antiche pratiche
escissorie: vere e proprie mutilazioni sessuali. Vengono stimate in oltre novanta milioni nel mondo, le donne che hanno
subito almeno uno dei principali interventi escissori praticati. La circoncisione propriamente detta è nota nei paesi
musulmani come sunna: si tratta di una incisione o ablazione del prepuzio del clitoride. È la meno radicale delle
operazioni e anche la meno praticata in Africa, Indonesia e Malesia. L'escissione o clitoridectomia, che consiste
nell'asportazione del clitoride e nel taglio parziale o totale delle piccole labbra, è diffusa in oltre venti paesi africani nella
fascia sahariana da ovest a est, fino nell'Africa australe, Mozambico incluso. Infine, la mutilazione più radicale e dannosa
è l’infibulazione che consiste nella clitoridectomia, il taglio delle piccole labbra e la cruentazione delle grandi labbra che
vengono accostate e chiuse in vari modi (tipico quello praticato con spine di acacia), onde lasciare solo un piccolo orifizio
per far defluire urina e mestruo. È praticata alla quasi totalità delle donne in Somalia, Sudan, Mali, Gibuti, Eritrea, Egitto
meridionale. Tali pratiche, preesistenti alla diffusione dell'Islam e messe in atto in paesi con tradizioni religiose diverse, a
sottolineare la complessità delle origini e motivazioni addotte, esplicate in età generalmente giovanile, che influiscono
per sempre sulla vita sessuale della donna e delle sue figlie. È un vissuto che rimane nelle donne immigrate che lo hanno
subito, che rende molto difficile intraprendere un percorso educativo volto all'acquisizione di una identità femminile
sessuata (Grassivaro Gallo, 1986; Favaro, Tognetti, Bordogna, 1991).
Pur condannando queste "tradizioni", è importante non attribuire responsabilità morali alle donne che si sono sottoposte
a tali pratiche; ciò non farebbe che aumentare la conflittualità e non porterebbe a un atteggiamento di aiuto reciproco
nello sconfiggere, con i tempi e i modi che le donne immigrate potranno suggerire, questo tipo di interventi (Dualeh,
1982).
Dal punto di vista medico, come abbiamo detto, le pratiche escissorie vengono classificate in quattro tipi fondamentali:
circoncisione o sunna, escissione o clitoridectomia, infibulazione o circoncisione faraonica o sudanese, reinfibulazione.
L'età in cui viene praticata la mutilazione varia in rapporto al paese. In Etiopia avviene l’ottavo giorno dopo il parto; in
Arabia la decima settimana dopo la nascita; in Somalia il primo e secondo tipo all'età di 3-4 anni, mentre il terzo tipo
all'età di 8-10 anni; in Egitto tra i 3 e gli 8 anni; in Sudan tra i 5 e i 9 anni; nella tribù Masai e in alcune tribù della
Guinea si esegue rispettivamente subito dopo il matrimonio e dopo il primo parto.
Le motivazioni più frequenti alla base di queste pratiche sono molteplici. È interessante notare come questi rituali, pur
diversificandosi nei vari paesi, mantengano quasi inalterata la loro valenza simbolica. Le dinamiche culturali a essi
correlate variano dall'identificazione sociale al rito iniziatico per l’appartenenza alla tribù; è spesso in gioco anche
l’immaginario legato al matrimonio e al prezzo della sposa. Dal punto di vista psicosessuale si sottintendono modelli
culturali di dominio sulla donna come la riduzione del desiderio sessuale femminile e il suo controllo, associato
all'aumento del piacere erotico maschile. Il rituale dell'infibulazione è da mettere in relazione soprattutto con l’alto valore
attribuito all’illibatezza" della donna e rappresenta il simbolo del possesso esclusivo, perpetuato nel tempo, da parte del
maschio.
Numerose possono essere le complicazioni soprattutto in rapporto al tipo di intervento, all'abilità dell'operatore, alle
condizioni igienico-sanitarie, alla resistenza della donna nel momento del rito e all'età stessa della donna. Spesso si tratta
di complicazioni precoci o tardive in rapporto all'atto sessuale, al matrimonio, alla gravidanza e al parto.
Tra le complicazioni immediate si possono osservare dolore, disuria, ritenzione urinaria acuta, emorragie, infezioni,
fratture. Tra quelle a distanza sono più frequenti la comparsa di cheloidi, cisti, ascessi, dismenorrea, anemia e infezioni
agli organi genitali interni ed esterni. Al momento del matrimonio invece si possono verificare dispareunia o apareunia,
lacerazioni naturali o provocate. Durante il parto si possono notare distocie delle parti molli, sofferenza fetale e può
essere necessario il ricorso al cesareo.
DONNE IMMIGRATE E SERVIZI SANITARI
Le donne mantengono forti legami con la medicina tradizionale, che nella maggior parte dei paesi di origine convive con
le strutture sanitarie della medicina ufficiale che viene utilizzata a seconda delle necessità, delle opportunità e dei sintomi
che si presentano. Spesso le donne utilizzano preparati e "rimedi" della medicina tradizionale che si fanno inviare dal
proprio paese, incentivate anche dal disagio derivante dall'utilizzo della struttura sanitaria ufficiale per rigidità di accesso
(modalità, orari, settorializzazione e diluizione nel tempo degli interventi)e per difficoltà di comunicazione linguistiche e
culturali (le donne musulmane non desiderano farsi visitare da medici maschi). Ma le donne, più degli uomini, cercano di
accedere per sé e per i propri figli alle strutture sanitarie pubbliche, che spesso non le accolgono. Di conseguenza ne
vengono di fatto "espulse". Una delle sfide odierne dei professionisti della salute è quella di intrecciare il proprio sapere
alle diversità delle culture di appartenenza delle donne, dei bambini e degli adolescenti provenienti da altri paesi; è
quella di attrezzarsi per affrontare e provare a risolvere i problemi sanitari posti da una popolazione ancora
completamente "sconosciuta". La sfida riguarderà le strutture in quanto ad accessibilità, potere di intervento (non diluito
nel tempo)e coordinamento dei servizi e delle attività offerte. Sarà necessario inoltre migliorare le risorse umane, ossia
curare in modo particolare l’aggiornamento professionale, il confronto con le diversità e l’utilizzazione di mediatori
culturali.