Era bello guardarti, nonna. Nella cucina satura di tepore estivo, non

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Era bello guardarti, nonna. Nella cucina satura di tepore estivo, non
Era bello guardarti, nonna.
Nella cucina satura di tepore estivo, non mi perdevo un singolo movimento del tuo piccolo rito quotidiano.
Incidevi la buccia e spogliavi i frutti con gesti pazienti, mentre io allungavo le dita per sfiorare i piccoli lembi
di velluto che lasciavi cadere in un piatto. La peluria morbida mi solleticava i polpastrelli rilasciando nell’aria
un profumo dolce.
«Voglio un vestito di bucce di pesche». E tu sorridevi.
Era bello parlarti.
Tagliavi la polpa, adagiando gli spicchi brillanti sul fondo della ciotola in terracotta. Il succo dolce ti
impregnava le mani, e quando una goccia ti scivolava furtiva lungo il polso la fermavi posando le labbra
sulla pelle.
Poi ti asciugavi le dita sul grembiule sbiadito e arrivava il momento che preferivo. Il tappo della bottiglia
produceva un suono basso e familiare, perfettamente armonizzato con il frinire delle cicale che inondava la
stanza dalla finestra aperta. Il liquido si riversava nella ciotola con un gorgoglio cupo e la polpa scompariva
in un abbraccio color rubino.
«È una piccola magia», mi dicevi riponendo la tua opera nel frigorifero che ronzava nell’angolo. «Concedi
loro un po’ di tempo, e le pesche regaleranno al vino parte della loro dolcezza, mentre il vino penetrerà
nella pesca rendendone il gusto più intenso». La tua voce era bassa e confortante come il ribollire della
caffettiera che preparavi ogni mattina.
Un giorno, tornando a sederti al vecchio tavolo di legno massiccio, alzasti l’indice verso di me, inarcando le
sopracciglia. Io drizzai le spalle e mi preparai ad ascoltare con attenzione, perché conoscevo quel gesto.
Significava che volevi insegnarmi qualcosa.
«Si chiama sinergia». Facesti una piccola pausa, per permettermi di ripetere a voce alta quella parola, di
assaporarne il gusto sconosciuto sulla lingua. «Due cose speciali che insieme creano qualcosa di ancora più
speciale», e mi sfiorasti il mento con le dita ancora appiccicose e profumate di pesche.
La sera ripensai alla parola che mi avevi insegnato, osservandoti porgere al nonno un bicchiere colmo di
quella miscela che amavate tanto entrambi. Lui ti sorrideva e tu rispondevi istintivamente a quello sguardo
colmo di fiducia. Mi accorsi per la prima volta di quanto le vostre rughe fossero simili, speculari, nate dagli
stessi ricordi. Ricordi di una vita creata insieme.
Vorrei che oggi fossi qui, nonna.
Guardo l’uomo di fronte a me e lo stomaco mi si contrae in un piccolo fremito di aspettativa. Lui ti sarebbe
piaciuto molto, ne sono sicura. All’esterno l’aria è tiepida, proprio come in quelle estati che passavamo
insieme, e per qualche istante mi perdo nel ricordo della tua mano gentile sulla mia guancia.
Faccio un respiro profondo e la fragranza di azalee e rose bianche mi solletica le narici. Presto sarà tutto
finito, gli invitati lanceranno manciate di riso urlando auguri entusiasti e una nuova fase della mia vita avrà
inizio.
Ecco che un sottile cerchio dorato mi scivola lungo il dito, accarezzandomi la pelle. Ripeto la formula di rito,
articolando le parole che tutti si aspettano di sentirmi enunciare in questa occasione. Ma io penso a te,
nonna, e quello che sto realmente dicendo all’uomo che amo me l’hai insegnato tu.
«Io sarò la pesca. E tu sarai il mio vino».