Esame codicologico e paleografico - Edizione Digitale del Vat.Lat

Transcript

Esame codicologico e paleografico - Edizione Digitale del Vat.Lat
Esame codicologico e paleografico del testimone
Il manoscritto Vat. Lat. 3880, attualmente custodito presso la Biblioteca Apostolica
Vaticana, è un codice cartaceo di mm. 310,5×210 in buono stato di conservazione, formato
da cc. 56, con numerazione moderna eseguita ad inchiostro nero. La filigrana riproduce
r
una
mano che tiene una stella, la cui lunghezza è di 80,5 mm. che, secondo le indicazioni di
Gerhard Piccard, fu utilizzata a Neuenburg, in Svizzera, nel 14941. Il codice è composto da
quattro fascicoli settenioni ed è stato rigato foglio per foglio
foglio a penna; le righe per pagina
sono 40 da c.1r a c.17r,, 42 da c.17v
c.17 a c.53v; la scrittura – una gotica di piccolo formato
posteriore alla seconda metà del XV secolo – è disposta su due colonne e inizia sempre sotto
la prima riga; lo specchio di scrittura per colonna misura mm. 70,6 l’intercolumnio è di mm.
10,6. In generale il volume mostra attributi formali pienamente inscrivibili nel tradizionale
impianto dei libri di privilegi, caratterizzati infatti dall’uso di una bella textualis, un alto
grado di calligraficità,
lligraficità, pochi elementi ornamentali, impaginazione regolare e ampi margini.
La pagina iniziale del codice, con l’Incipit
l’
di Arnaldo di Rassach
1
Cfr. G. PICCARD, Die Wasserzeichenkartei Piccard in Haupstaatsarchiv Stuttgart. Wasserzeichen hand &
Handschurch, XVII, Stuttgart, W. Kohlhammer 1970.
Il manoscritto fu sicuramente approntato per un’agevole consultazione e questo fine ne
domina la fattura,
ra, caratterizzata da un’estrema semplicità che non esclude, però, una certa
attenzione alla veste grafica: vi si trovano così iniziali non decorate, ma calligrafiche e di
colore rosso, come rossi sono l’Incipit,
l’
l’Explicit e i titoli, probabilmente aggiunti
aggiun in una
fase successiva, come mostrano gli spazi riservati delle cc. 52r/v
52 e 53r/v
r/v rimasti in bianco.
Esempi di iniziali calligrafiche (I, D).
Pagina finale, particolare dell’Explicit
Esempio di pagina con spazi riservati
Al centro di ogni carta il copista ha riportato la parola P(ar)s seguita dai numeri romani I
(da c.1v a c.21r), II (da c.21v a c.35r),
c.35 III (da c.35v a c.41r), IV (da c.41vv a c.53v), le cui aste
sono tracciate alternativamente in rosso e nero. In relazione
relazione agli antigrafi il fenomeno più
appariscente appare la trascrizione imitativa dei caratteri estrinseci, con la riproduzione di
monogrammi, rotae 2 , benevalete e signa dei notai rogatari 3 , secondo un modello
relativamente diffuso anche in ambito settentrionale4.
Esempi di Pars
2
Che, proprio dal tempo di Guglielmo II in poi, si sostituiscono alla sottoscrizione del sovrano, cfr. H.
ENZENSBERGER, Il documento regio come strumento del potere, in Potere, Società e Popolo nell’età dei due Guglielmi.
Atti delle IV Giornate Normanno-Sveve,
eve, Bari, Dedalo 1981 (Atti, 4), pp. 103-138: 129-130.
3
Sull’utilizzo e le forme del signum tabellionatus in Sicilia, emblema distintivo della produzione del notaio imposto,
tra l’altro, dalla normativa giuridica, si vedano i due contributi di Diego Ciccarelli e Giovanna Crescimanno: D.
CICCARELLI, “Nostrum qui supra iudicis, notarii signo”, e G. CRESCIMANNO, Forme del signum tabellionatus, entrambi
in Segni manuali e decorazioni dei documenti siciliani, a cura di D. CICCARELLI, Palermo, Officina di Studi
S
Medioevali
2002 (Machina Philosophorum, 1), pp. 5-16
5
e 23-29.
29. Alessandro Pratesi ha sottolineato come proprio l’apparizione e la
rapida diffusione del signum notarile, sempre più presente nel corso del XII secolo nella documentazione siciliana, sia
«l’indizio
’indizio più evidente della consapevolezza che il notaio acquisisce della propria funzione» e «un episodio di grande
rilevanza in una cultura documentale che non riconosce al notaio piena capacità certificatrice e gli nega il diritto di
autenticare quanto egli stesso ha redatto con la propria sottoscrizione», A. PRATESI, L’eredità longobarda nel
documento latino di età normanno-sveva,
sveva, in Civiltà del Mezzogiorno d’Italia. Libro, scrittura, documento in età
normanno-sveva. Atti del Convegno dell’associazione italiana dei paleografi e diplomatisti (Napoli – Badia di Cava dei
Tirreni, 14-18
18 ottobre 1991), a cura di F. D’ORIA, Napoli, Carlon Editore 1994 (Cultura scritta e memoria storica, 1),
pp. 271-278.
4
Cfr. A. ROVERE, I “libri iurium” dell’Italia comunale, in Civiltà comunale: libro, scrittura, documento cit., pp. 157199:174; disponibile on line su Scrineum. Saggi e materiali on line di scienze del documento e del libro medievali,
medievali
all’indirizzo: http://scrineum.unipv.it/biblioteca/rovere-libriiurium.zip.
http://scrineum.unipv.it/biblioteca/rovere
Particolare di una pagina: rota e benevalete di Alessandro III
Rota di Guglielmo II e due esempi di signa notarii
Il codice Vat.Lat. 3880 appare vergato da unica mano in una minuta ma chiara gotica che
indulge alla semigotica 5 – al punto da essere scambiata per quest’ultima – sicuramente
successiva al 1464, che si mostra omogenea, identica nel modulo, nel tratteggio e nelle
forme in ogni carta. Dal punto di vista paleografico si tratta indubbiamente di una scrittura
afferente ad una fase intermedia dell’evoluzione grafica italiana 6 , inscrivibile all’interno
dell’assai controverso scenario scrittorio meridionale – un panorama di multigrafismo
assoluto, per riprendere una nota definizione di Armando Petrucci 7 – che dall’epoca
normanna-sveva in poi ha indubbiamente prodotto diversi esemplari in gotica o influenzati
dalla gotica, ma privi di omogeneità e difficilmente ascrivibili a scuole calligrafiche8. Non è
azzardato affermare che dietro un grafismo simile è possibile scorgere un sintomo proprio
5
Con questo termine di comodo, adottato per primo da Giorgio Cencetti nel trattare la scrittura di Francesco Petrarca,
si definiscono una grande varietà di scritture non canonizzate, caratterizzate da «diverse gradazioni di tracciato e varietà
di forme». In particolare l’autorevole studioso ha parlato di una una «gotica semplificata», formatasi e diffusa in Italia
Settentrionale alla fine del XIV secolo, e indicato quelle che a suo parere ne sono le caratterisiche principali: la a
corsiva chiusa, la s finale chiusa (a sigma), la r ad uncino (in forma di piccolo 2) e qualche legatura, ma anche un
tracciato rotondeggiante, semplice e chiaro, che l’accostava alle scritture umanistiche, cfr. G. CENCETTI, Lineamenti di
storia della scrittura latina. Dalle lezioni di paleografia, Bologna, aa. 1953-1954; rist. a cura di G. GUERRINI FERRI con
indici e aggiornamento bibliografico, Bologna, Patron 1997, pp. 232-235: 233 e 235. Non a caso questo tipo di scrittura
ha suscitato non pochi problemi ai paleografi, a partire dalla sua descrizione: Giulio Battelli ad esempio, ha visto una
distinzione tra una «gotica preumanistica» - semplificata, come nel caso di Petrarca e dei suoi seguaci – e una «gotica
umanistica», che mostra caratteristiche addolcite dall’influsso diretto dell’antiqua, salvo poi eliminare queste
indicazioni nell’edizione del 1949 delle Lezioni, cfr. G. BATTELLI, Lezioni di paleografia, Città del Vaticano, Libreria
editrice Vaticana 1936; 3a ed. 1991, p. 228; ancora più nette, le considerazioni di Eugenio Casamassima che, in seguito
allo studio di Armando Petrucci sulla scrittura di Francesco Petrarca, nella sua prefazione all’edizione del 1986
dell’autografo Riccardiano Senili IX ha rifiutato tale nomenclatura, giudicandola ambigua, cfr. E. CASAMASSIMA,
L’autografo Riccardiano della seconda lettera del Petrarca a Urbano V (Senile IX, I), Firenze, V. Levi 1986, pp. 20-34.
Più recentemente, Paola Supino Martini ha dimostrato che tale scrittura – fenomeno peculiarmente italiano – non è una
forma intermedia tra littera moderna e littera antiqua renovata, ma piuttosto un «precoce fenomeno di reazione alla
gotica» attestato fin dai primi anni del ‘300: essa procederebbe «da quel filone di usuali e documentarie strettamente
collegate con la libraria, posate e tracciate per lo più con penna a punta sottile e rigida», cfr. P. SUPINO-MARTINI, Per la
storia della semigotica, in Scrittura e civiltà, 22 (1998), pp. 249-264:249. L’utilizzo della semigotica in ambito librario
si protrasse per tutto il ‘400, svolgendosi per lo più in testi di carattere non letterario e conducendo ad un’ulteriore
divaricazione fra modelli di lusso – che continuarono ad essere vergati in gotica o in umanistica – e modelli di uso
privato a livello medio-basso. Per la semigotica non vi sono studi specifici: oltre alle poche righe scritte da Giorgio
Cencetti (cfr. Lineamenti cit.) bisogna accontentarsi delle osservazioni di Armando Petrucci (cfr. A. PETRUCCI, La
scrittura di Francesco Petrarca, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana 1967 e Il protocollo notarile di
Coluccio Salutati, 1372-1373, Milano, A. Giuffrè 1963, pp. 21-45). Va comunque citato il breve capitolo sulla
diffusione della semigotica, Coluccio Salutati e la preantiqua in A. PETRUCCI, Breve storia della scrittura latina, Roma,
Bagatto Libri 1989, pp. 170-173.
6
«Come spesso accade nello studio di situazioni socio-culturali, così anche del rapporto scritture/libri, le fasi meno
ambigue o più facilmente individuabili sono quelle iniziali, del cambiamento, e finale, delle forme stereotipate, mentre
le fasi intermedie appaiono non sempre del tutto perspicue e pertanto richiedono un tentativo di approfondimento», P.
SUPINO MARTINI, Linee metodologiche per lo studio dei manoscritti in litterae textuales prodotti in Italia nei secoli
XIII-XIV, in Scrittura e Civiltà, 17 (1993), pp. 43-101:44.
7
A. PETRUCCI, Breve storia della scrittura latina cit., p. 147.
8
Sulla situazione scrittoria dell’Italia meridionale, per il periodo preso in esame, si veda F. TRONCARELLI, Tra
beneventana e gotica: manoscritti e multigrafismo nell’Italia meridionale e nella Calabria normanno-sveva, in Civiltà
del Mezzogiorno d’Italia. Libro, scrittura, documento in età normanno-sveva cit., pp. 115-167; in particolare le pp. 116117. Per l’Italia del Sud è difficile, se non impossibile, parlare di unitarietà della produzione grafica e libraria: ci si trova
sovente dinnanzi ad ibridi scrittorii che contaminano stili, tecniche e abitudini senza una regola precisa, adottando
molteplici soluzioni e creando una situazione complessa, cui si affianca la compresenza di tipi difformi di scrittura
adoperati contemporaneamente con diverse funzioni, a partire da modelli spesso importati dall’estero.
della crisi della cultura scrittoria, particolarmente acuito dalla seconda metà del
Quattrocento, che vede una perdita delle singole tipizzazioni scrittorie e dunque un diffuso e
disordinato ibridismo grafico, «che costituiva in qualche misura
misura (anche se in modi e
circostanze diversi) il parallelo del coevo ibridismo linguistico
linguistico» 9 : ma per questa diffusa
varietà di elaborazione della scrittura gotica, che va da tipi vicini alla semigotica libraria –
sulla falsariga di Petrarca e Salutati –
alle corsive documentarie e cancelleresche di
derivazione trecentesca, mancano ancora studi sistematici, come ha lamentato Isabella
Lazzarini in un suo recente contributo10.
La gotica con cui è vergato il cod. Vat.Lat. 3880
La gotica del codice vaticano è una scrittura posata, tracciata con penna a punta sottile e
rigida, da cui l’assenza di un chiaroscuro accentuato. Il tratteggio è pesante ma nitido, con i
singoli segni grafici ben individuati e senza apprezzabili spezzature
spezzature dei tratti; l’aspetto
generale è rotondeggiante. Tra le lettere più caratteristiche si rilevano la a di tipo carolino, la
d onciale, la e rotonda con piccolo occhiello chiuso, la g con pancia aperta, m e n caroline, r
dritta e minuscola all’interno di parola e in forma di piccolo 2 in fine di parola, s maiuscola
9
A. PETRUCCI, Storia e geografia delle culture scritte (dal sec. XI al sec. XVIII),
XVII in Letteratura Italiana Einaudi,
Storia e Geografia. II. L’età Moderna,, Torino, Einaudi 1988, pp. 1193–1292:1247.
1193
10
Riferendosi in particolare a «quali siano e che forme rivestano le interferenze della minuscola libraria detta antiqua
sulla minuscola cancelleresca italiana a base gotica nel corso del XV secolo, e quali siano la geografia e la cronologia di
questo incontro».
ncontro». La studiosa ha inoltre sottolineato come l’analisi delle grafie prevalenti utilizzate nel periodo in esame
dalle cancellerie italiane, «potrebbe fornire un buon numero di informazioni sulla formazione culturale e sulle scelte
ideologiche dei professionisti
essionisti della scrittura e degli scriventi che operano in ciascun contesto», I. LAZZARINI, Materiali
per una didattica delle scritture pubbliche cit.
rotonda in fine di parola. L’assenza di un canone propriamente siciliano 11 e l’assenza
dell’indicazione del copista non non permettono di ipotizzare un contributo di amanuensi
isolani12. Il confronto paleografico tra il codice e alcuni manoscritti coevi, conservati presso
le maggiori biblioteche di Sicilia, nel tentativo di rintracciare una gotica che fosse
ascrivibile alla stessa mano o alla stessa area non ha prodotto risultati soddisfacenti. Dei 58
manoscritti datati in Sicilia, quasi tutti della metà del XIV-fine XV secolo, solo 6 possono
dirsi certamente scritti da amanuensi siciliani13, ma l’esame della loro scrittura ha permesso
di escludere categoricamente che tra di essi possa trovarsi il nostro scriba. In semigotica è
invece scritto un codice del 1480, il Trattato di Mascalcia14, che appartenne alla biblioteca
dell’abbazia di San Martino delle Scale, vergato da Carolus de Gallutziis in una scrittura di
modulo grande, ordinata, con aste lunghe sopra e sotto il rigo, nel complesso piuttosto
lontana da quella del nostro codice. Utile sarebbe stato il confronto con le ultime carte del
ms. trecentesco XX. E. 8 che, stando alle osservazioni di Carlo Alberto Garufi, sarebbero
state vergate successivamente: ma la Biblioteca del Seminario Arcivescovile, nella quale è
custodito, è attualmente inagibile per restauri. Non è stato dunque possibile identificare
l’amanuense che redasse il codice, né tantomeno stabilirne la regione di appartenenza: non è
tuttavia da escludere – vista la trascrizione accurata, la sostanziale correttezza del testo, la
calligrafia nitida e la decorazione delle lettere iniziali di ogni documento – che si tratti di un
monaco o di un chierico.
11
Cfr. D. CICCARELLI, Aspetti e momenti della scrittura latina in Sicilia, in Colectànea paleogràfica de la Corona de
Aragòn, 2 voll. a cura di J. MATEU IBARS, M.D. MATEU IBARS, Barcellona, Universitat de Barcelona 1990, I, pp. 160174.
12
Cfr. I manoscritti datati della Sicilia, a cura di M. M. MILAZZO, M. PALMA, G. SINAGRA, S. ZAMPONI, Firenze,
SISMEL Edizioni del Galluzzo 2003 (Manoscritti datati d’Italia, 8).
13
I codici sono: il messale 1 della chiesa di San Michele di Nicosia, copiato nel 1346 da Filippo de Gurga in una
gotica tendente alla rotunda; i manoscritti I.D.6 e I.F.9 della Biblioteca Centrale della Regione Siciliana, scritti
rispettivamente da Francesco de Bonfanti e Gerardo da Messina, entrambi in gotica rotunda; il codice S.C.10 della
Biblioteca Comunale di Naro, vergato da Guglielmo de Scanno nel 1421, in corsiva gotica; il manoscritto 2 Qq D 69
scritto da Giacomo Adragna di Alcamo nel 1472 in umanistica e il manoscritto D 39 della Biblioteca Civica e Ursino di
Catania, copiato da Matteo de Collitortis da Castrogiovanni nel 1473 in umanistica, cfr. L. BARBERA, Le scritture dei
manoscritti datati della Sicilia, in Testimonianze manoscritte della Sicilia: codici, documenti, pitture, a cura di D.
CICCARELLI, C. MICELI, Palermo, Provincia regionale e Biblioteca Francescana 2006 (Ercta, 30), pp. 67-74: 68.
14
Si tratta di un manoscritto cartaceo di cc. I, 39, III, custodito presso la Biblioteca Centrale della Regione Siciliana,
con la sigla I. E. 3. Per la bibliografia relativa, vedi I manoscritti datati della Sicilia cit., p. 80.