Numero 29 Febbraio 2010 - Parrocchia San Pio X alla Balduina Roma

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Numero 29 Febbraio 2010 - Parrocchia San Pio X alla Balduina Roma
“ARRIVANO
I NOSTRI ”
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Distribuzione gratuita
Bollettino periodico dei
giovani da 8 a 98 anni
S . P i o X - Balduina
www.sanpiodecimo.it
Numero 29
Febbraio 2010
Anno V°
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n
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n
e
e
-1-
LE DONNE NELLE
CANZONI
ITALIANE DEGLI
ULTIMI ANNI
LA DONNA PIU’ POTENTE DEL MONDO
DAL 2006 AD OGGI, SECONDO LA RIVISTA
AMERICANA FORBES E’:
ANGELA
MERK E L
Anna (Mogol-Battisti), Anna
da
dimenticare
(Nuovi
Angeli), Perdendo Anna
(Umberto Tozzi), Anna e
Marco (Lucio Dalla), Anna
verrà (Pino Daniele), Anna
(Michele Zarrillo), Canzone
per
Anna
(Francesco
Guccini), Anna e il freddo che fa (Enrico Ruggeri), Anna sul
calendario (Neri per caso),
Non ammazzate Anna
(Edoardo De Angelis), Giulia(Gianni Togni), Giulia
(Antonello Venditti), Brava Giulia (Vasco Rossi), Memorie
di Giulia (Franco Battiato), Icaro e Giulia (Massimo Di
Cataldo), Giulia si sposa (Pooh), La mia canzone per Maria
(Mogol-Battisti), Mamma Maria (Ricchi e poveri), Silvia lo
sai (Luca Carboni), Rosalina (Fabio Concato), Giovanna
d’Arco (Fabrizio De Andrè), Marylin (Riccardo Cocciante),
Lara (Eugenio Finardi), Patrizia (Eugenio Finardi), Gianna
(Rino Gaetano), Ciao Lulù (Umberto Tozzi), Marta
(A.Venditti), Balla Linda (Mogol-Battisti), Luisa Rossi
(Mogol-Battisti), Alice (F.De Gregori), Deborah (Fausto
Leali), Sofia (Pino Daniele), Piccola Katy (Pooh), La canzone di Marinella (F.De Andrè), Margherita (R.Cocciante),
Gloria (Umberto Tozzi), Agnese (Ivan Graziani), Cara
Valentina (Max Gazzè), Iris (Biagio Antonacci), Barbara
(Enzo Carella), Irene (F.De Gregori), Roberta (Peppino Di
Capri), Natalina (Mimmo Locasciulli), IperCarmela (F.De
Gregori), Mimì ( Gino Paoli), Margherita (Bruno Lauzi),
Wanda (Paolo Conte), Chiedo scusa se parlo di Maria
(Giorgio Gaber), Margherita si sposa (G.Kuzminac), Futura
(L.Dalla), Valentina (Stefano Rosso), Cicerenella (Nuova
Compagnia di canto popolare), Silvia (Renzo Zenobi), La
canzone di Barbara (F.De Andrè), Elena no (MogolBattisti), Non è Francesca (Mogol-Battisti).
Premi Nobel 2009
Da sinistra a destra:
Ada Yonath (Chimica), Elinor Ostrom (Economia),
Herta Muller (Letteratura), Carol Greider (Medicina)
La donna più
famosa nella
Storia dell’Arte
di tutti i tempi
MONNA
LISA
"DONNA"
(Gorni Kramer)
Donna, tutto si fa per te
tutto, pur di piacere a te
Tutto, per un tuo bacio
per un si, per un no, per te!
Perche' sei donna,
gioia di vivere
donna, favola splendida...
sei tu, solo tu
quel desiderio che l'uomo
chiama amor !
Donna, tutto si fa per te...
Tutto, pur di riavere te
Perche' sei donna..
nata per farti amar
donna, nata per dominar
perche' vive in te,
quel desiderio che l'uomo chiama amor !
FILM SULLE DONNE
Speriamo che sia femmina (M.Monicelli), Erin Brockovich
(S.Soderbergh), Viaggio a Kandahar (M.Makhamalbaf), Twin
sisters (B.Sombogaart), La ragazza con l’orecchino di perla
(P.Webber), Chocolat (L.Hallstrom), Thelma e Louise (R. Scott),
Eva contro Eva (L.Mankiewicz), Gli uomini preferiscono le bionde (H.Hawks), La ciociara (V. De Sica), Mignon è partita
(F.Archibugi), Hannah e le sue sorelle (W.Allen), Il colore viola
(S.Spielberg), Tootsie (S.Pollack), Due partite (E.Monteleone),
L’amore velato (A.Salmy), Segreti e bugie (M.Leigh), 8 donne e
un mistero (F.Ozon), La donna della domenica (L.Comencini),
Cielo sulla palude (A.Genina), Il marito della parrucchiera
(P.Leconte), Un cuore in inverno (C.Sautet), Il segreto di Esna (J.
Zbanic), Bread and roses ( K.Loach), La sconosciuta
(G.Tornatore), La lettrice (M.Deville),Giulia (F.Zinnemann), Il pranzo di Babette (G.Axel), Gloria (J.Cassavetes).
DONNE NELLO SPORT:
Federica Pellegrini- Valentina Vezzali - Flavia Pennetta
GRANDI SCRITTRICI
Isabel Allende (nella foto)- Marguerite
Duras- Simone de Beauvoir- Catherine
Dunne- Karen Blixen- Virginia WoolfMargaret Atwood- Agatha Christie- Elsa
Morante- Mary Shelly- Marguerite
Yourcenar- Alice Munro- Gallant MavisBanana Yoshimoto- Anita DesaiKamala Markandaya- Margaret
Mazzantini- Jane Austen- Toni
Morrison- Azar Nafisi- Natalia GinzburgShahrnush Parsipur-
DONNE IN POLITICA
Angela Merkel, Hilary Clinton,
Nancy Pelosi, Condoleeza Price,
Segolene Royal, Tarja K. Halonen,
Michelle Bachelet, Ellen J.Sirleaf,
Wu Yi, Han Meyong-Sook, Indira
Gandhi, Sonia Gandhi, Benazir
Bhutto, Aung San Sun Kyi, Martine
Aubry
-2-
In questo numero :
CHE FAREMMO SENZA DONNE?
UNA RAGAZZA NORMALE
DONNA D’AFRICA
SANTA CHIARA
UNA CATECHISTA RACCONTA
UNA VOLONTARIA RACCONTA
IL DIARIO DI GIORGIA
LA RAGAZZA DEL BATANGAS
LA NONNA
LE AMMANTATE
CHE PALPITO VIENE
IO TIFO PER LE DONNE
RICORDANDO MIA MADRE
DONNE IN IRAQ
REALTA’ AL FEMMINILE
EDITH STEIN
SANT’AGATA
JANE CLACSON
LE DONNE DEL WYOMING
ARRIVANO I NOSTRI
Autorizzazione del Tribunale n°89 del 6 marzo 2008
Direttore responsabile
Giulia Bondolfi
Terza pagina
don Paolo Tammi
Direttore editoriale
Marco Di Tillo
Collaboratori:
Lùcia e Miriam Aiello, Bianca Maria Alfieri,
Renato Ammannati, Alessandra e Marco
Angeli, Giancarlo e Fabrizio Bianconi,
Tommaso Carratelli, Cesare Catarinozzi,
Laura, Giuseppe e Rosa Del Coiro,
Gabriella Ambrosio De Luca, Anna
Garibaldi, Massimo Gatti, Paola Giorgetti,
Pietro Gregori, Giampiero Guadagni,
Lucio, Rossella e Silvia Laurita Longo,
Giuliana Lilli, don Nico Lugli, don Roberto
Maccioni, Maria Pia Maglia,
Luciano
Milani, Cristian Molella, Alfonso Molinaro,
Sandro Morici, Alfredo Palieri, Gregorio
Paparatti, Giorgia Pergolini, Maria Rossi,
Eugenia Rugolo, Maria Lucia Saraceni,
Elena Scurpa, Francesco Tani, Stefano
Valariano, Gabriele, Roberto e Valerio
Vecchione, Celina e Giuseppe Zingale.
I numeri arretrati li trovate online
sul sito della parrocchia :
www.sanpiodecimo.it
NUOVI COLLABORATORI
Chi vuole inviare articoli, disegni, vignette,
critiche,suggerimenti o solo offerte per
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Frioggeri. Oppure inviate una mail a:
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Stampato presso la tipografia
Medaglie d’Oro di via Appiano
CHE FAREMMO SENZA DONNE?
don Paolo Tammi
Donne in cerca di guai, come ci ha ricordato
Zucchero Fornaciari, ce ne sono tante. Di donne
che amano troppo ci ha parlato Robin Norwood
qualche anno fa, indicando alle donne modi per
recuperare l’equilibrio degli amori insensati.
Di donne “malefemmene” sentiamo cantare
spesso Gigi D’Alessio. Prospettiva assai diversa
dalla precedente, perché qui si dice che “si tu
peggio ‘e na vipera, m’hai ‘ntussicato l’anima,
nun pozzo cchiu campà”. Ce n’è davvero per
tutti. Di donne che cercano Dio ci parlano i
Vangeli.
Di un Gesù, anzitutto, che delle donne paura non aveva. Lo seguivano tante
donne nella sua itineranza. Insieme a sua madre, lo seguivano Maria di
Màgdala, dalla quale aveva cacciato sette demòni, Giovanna, che era la
moglie dell’amministratore di Erode, Susanna e molte altre, che lo assistevano con i loro beni ( cfr Lc 8,2). Insomma, un bel seguito che dimostra la libertà affettiva del Signore e il fatto che non disdegnasse di essere un po’ coccolato e comunque trattato con normale decoro.
Molti anni dopo Francesco d’Assisi , qualche giorno prima di morire, scrisse
una lettera a donna Giacomina, da lui amichevolmente chiamata frate
Jacopa, alla quale chiese di portare un panno scuro per avvolgere il suo
corpo morto ma chiese anche di portargli i dolcetti che era solita cucinare per
lui quando era malato a Roma. Oggi questa Jacopa de Settesoli ha il privilegio di far riposare le sue ossa proprio di fronte a dove riposano quelle di
Francesco, nella cripta della stupenda basilica di S. Francesco ad Assisi.
Teresa di Gesù, la grande, grandissima Teresa, che cambiò a fondo l’ordine
carmelitano, era amica e viaggiava spesso con Giovanni della Croce, immenso mistico, com’era d’altronde lei, capace di lasciarci una bellissima dottrina
spirituale, maturata anche nei colloqui con Teresa. Scolastica, sorella carnale di Benedetto, vinse la “contesa” con lui, con uno straordinario femminismo
spirituale, quando, volendo rimanere la notte col fratello a parlare di Dio, e
avendo ricevuto il suo diniego perché la cosa non era conforme alla Regola,
si mise a pregare e ottenne da Dio la pioggia scrosciante che, impedendole
di rientrare al convento femminile, costrinse Benedetto ad accettare la compagnia della sorella e delle altre monache per tutta lanotte. E quando
Benedetto la rimproverò di aver “pregato” Dio, l’autore della biografia commentò in una maniera meravigliosa: vinse Scolastica perché potè di più
davanti a Dio chi amò di più.
Che bellezza! Proprio vero! Le donne sanno amare di più. Sanno cogliere l’attimo, hanno l’intuito di comprendere quando serve amore e non una regola.
Amano il corpo dei loro figli, lo conoscono più dei mariti, ne vivono la relazione in modo sapiente, talora forse eccessivo e invadente, ma di certo più
efficace delle prudenze affettive dei maschi, solitamente sempre più gelidi e
adatti ai climi freddi.
Donne! Che faremmo senza donne? Gesù amava le donne. Amava Marta, perché cucinava bene e intercettava ottimamente il suo bisogno di essere amato
così. Amava la sorella di Marta, Maria, perché si sedeva ad ascoltarlo e costituiva per lui il modello di chi comprende non solo i bisogni ma matura gli
ideali, quelli che sono la parte migliore, il cui frutto – lo dice Lui stesso – non
ci sarà mai tolto. Donne ! Alcuni rinunciano alle donne ma non alla parte femminile che è in loro. I preti non si sposano, i frati fanno voto di verginità.
Eppure quando li vedi e li senti, ti accorgi subito se sono maschi o sono una
sottospecie di caratterialità mascofemminile. Preti e frati non hanno dichiarato guerra al matrimonio, ma fanno un matrimonio mistico con Gesù il Figlio
di Dio.
E siccome il Figlio, nella sua carne umana assunta anni fa, era maschio, chi
lo sposa è per Lui la sposa. Dunque il celibe, il vergine è sposa. Ed essendo
maschio, ha bisogno di tutta la sua parte femminile e materna, per sentirsi
amato da Gesù ed esserne l’amante. Si ama Gesù con passione, si tocca il
suo santo Corpo risorto con emozione, lo si dona alla gente con generosità,
si benedice solennemente il popolo nel Suo nome quasi con un amore che ti
spezza il cuore. Il prete è uno di quelli che può dire “ il mio Gesù”. Non è
l’unico ma lui sa bene perché. Ha rinunciato per avere il centuplo.
Cento donne, cento madri, cento figli, cento figlie, cento case, cento camini
scoppiettanti, cento pranzi e cento cene. Cento amori anzi cento milioni di
amori. Donne come Maria madre di Gesù sono l’abisso dello straordinario.
La Chiesa ha lottato e fatto persino un concilio ecumenico perché si avesse
la libertà di chiamarla Madre di Dio. Ma lei ha fatto la gavetta, ha incontrato
le prostitute sentendo il Figlio dire che saranno tra le prime nel Regno di Dio.
Lei ha ricevuto sette spade di dolore sotto la croce. Un canto bellissimo le
dice: “ io vorrei tanto sapere che cosa provavi...”.
Donne come lei sono la garanzia che Dio è padre e madre, maschio e femmina e che nel Regno eterno di Dio le donne che abbiamo amato e che ci hanno
amato le ritroveremo tutte. Forse avverrà come scrisse a sua madre
Giuseppe Ungaretti: “ Ricorderai d’avermi atteso tanto e avrai negli occhi un
rapido sospiro”.
-3-
LE AMMANTATE
Giancarlo Bianconi
La vicenda è andata
così: seduto nell’autobus in attesa della partenza, mentre sfogliavo il mio quotidiano,
una signora non più
giovane dall’aria molto
distinta si è seduta
vicino a me, seguita
subito dopo da due
altre signore alquanto
piacenti ma altrettanto
chiacchierine
che,
senza smettere di parlare, si son sedute di
fronte
a
noi.
Improvvisamente
la
signora proprio di fronte a me, rivolta alla sua amica, con un mezzo urletto
ha esclamato:
«A proposito!... L’altro giorno, sai, ho letto che a
Roma, da prima del 1600, ci sono suore di cui ignoravo completamente l’esistenza: le Ammantate».
«Ammantate? Bah! neanche io, a dire la verità, ho mai
sentito parlare di questo ordine».
«E sino a neanche tanto tempo fa sembra pure che
beneficiassero ogni anno di aiuti finanziari dal
Vaticano. Però, debbo dire, ho dato proprio una scorsa
veloce all’articolo sull’argomento, ripromettendomi un
approfondimento appena possibile. Solo che poi mi è
passato di mente e … addio giornale e articolo. Per cui,
sai …».
«Scusate la mia intrusione – è intervenuta a questo
punto con un sorriso dolce e molta signorilità la signora seduta vicino a me – ma ho udito, sia pure non
intenzionalmente, la vostra conversazione, e avvertita
alquanta confusione sull’argomento, non ho resistito:
e col vostro permesso, quindi, vorrei fornire in proposito talune precisazioni a chiarimento. Posso?».
«Ma certamente!» ha esclamato con slancio la signora di fronte a me.
«Allora: Ammantate, non è un ordine monastico bensìl’appellativo dato, sin verso la fine dell’Ottocento, a
quelle ragazze in età da marito - le zitelle, come
all’epoca erano chiamate dal popolino - le quali, senza
mezzi finanziari ma desiderose di sposarsi o di farsi
suore,
ricevevano
dall’Arciconfraternita
dell’Annunziata una dote di una certa consistenza».
«E che cos’è questa arciconfraternita?» ha domandato allora la signora.
«Era un’associazione di fedeli costituita, come del
resto tante altre del genere, per l’esercizio di opere di
carità. E …»
«Scusi, eh! Ma i mezzi per provvedere alla dote per
queste “povere zitelle”, come se li procurava
l’Arciconfraternita? - è intervenuta a questo punto,
con molto spirito pratico, l’amica – perché nello Stato
Pontificio, se non ricordo male, non esisteva alcuna
forma di industrializzazione o altro, in grado di produrre ricchezza collettiva».
«Giusta osservazione! L’arciconfraternita si procurava
i mezzi di cui aveva necessità unicamente con lasciti,
eredità, offerte e altre liberalità provenienti da benefattori vari. Infatti è proprio per supplire alle carenze
connaturate al sistema economico da lei ora evocato
che proliferarono varie istituzioni benefiche, tra le
quali, appunto, l’Arciconfraternita dell’Annunziata, tra
l’altro costituita nel 1460 dal cardinale Giovanni
Torquemada»
«Ma chi? Lo spietato primo Grande Inquisitore spagnolo?» ha reagito stupita.
«Non lui, ma suo zio! E uno di questi benefattori, pensate un po’, fu un papa che non riuscì a .... essere
effettivamente papa, per così dire».
«O che significa un papa che non è stato papa?» ha
domandato la signora di fronte a me.
«Significa semplicemente che Urbano VII, il pontefice
di cui stiamo parlando, poiché regnò per soli 13 giorni, ebbe solo il tempo di essere eletto papa, nel 1590,
ma non anche quello di essere consacrato tale con
quella solenne cerimonia in S. Pietro che conosciamo
tutti. Ciò nondimeno, anche nel così poco tempo avuto
a disposizione, ha avuto la premura di lasciare in eredità le proprie cospicue sostanze personali
all’Arciconfraternita dell’Annunziata affinché con esse
provvedesse alle zitelle bisognose».
«E chi sceglieva queste “povere zitelle bisognose”?»
si è allora informata.
«La scelta delle “povere zitelle” meritevoli della dote
veniva fatta fra quelle segnalate da ciascun parroco
che aveva previamente accertato il possesso da parte
loro di appositi requisiti, quali quello di essere romana, povera, vergine e … altri. Erano in ogni caso escluse le attrici, le frequentatrici di teatri, quelle che vivevano in locande e quelle che praticavano i sarti. Non le
sarte eh! bensì le ragazze che praticavano i sarti.
Chissà perché!».
«E perché si chiamavano Ammantate?» ha incalzato
l’amica.
«Venivano così chiamate per via dell’insolito abbigliamento che le ragazze in processione indossavano il 25
marzo, festa dell’Annunciazione e giorno della consegna della dote in S. Maria sopra Minerva alla presenza
del papa. E di questa cerimonia Antoniazzo Romano ci
ha lasciato una bella tavola conservata sull’altare della
quarta cappella destra di questa chiesa».
«E scusi la domanda un po’… osé per così dire, ma c’è
mai stata nessuna che abbia imbrogliato? Nel senso
cioè che magari era ciociara invece che romana, oppure che non era.... come posso dire? che nun era più
....» ha proseguito sommessamente la signora di fronte a me.
«Sì-sì ho capito cosa intende dire! Eh-eh, cosa vuole
che le dica signora mia?! Certamente sarà pure accaduto che qualcuna non avesse tutti i requisiti necessari. Anzi, a dover dar credito a Belli, forse ce n’è stata
più di una che ha imbrogliato. E alla grande pure!».
«Perché, che diceva Belli?» ha domandato allora con
tono inquisitorio.
«Nel sonetto, intitolato appunto Le Ammantate, Belli
così descrive la cerimonia: Ah fu un gran ride e un
gran cascerro gusto/ quer de vede’ passa’ tante zitelle/ co la bocca cuperta, er manto, er busto/, le spille,
er sottogola, e le pianelle./Tutte co l’occhi bassi ereno
giusto/ da pjialle pe tante monichelle,/ chi nun sapessi quer che sa sto fusto/ di che carne ce sta sotto la
pelle./ Nerbigrazia, Luscia l’ho fregat’io; Nèna? ha
fatto tre anni la puttana;/ e Tota è mantienuta da un
giudìo./ E la sora Lugrezzia la mammana/ n’ariconobbe due de Borgo-Pio;/ insomma, una ogni sei nun era
sana».
«Hai capito!?! Altro che monachelle come avevo equivocato io! E così anche allora... eh!».
«Eh sì, anche allora! Nihil sub sole novi cara signora!
Ed ora chiedo scusa ma è tempo che raggiunga l’uscita perché sono quasi giunta a destinazione. Buona
giornata a loro».
«Grazie tante e buona giornata anche a lei» hanno
risposto all’unisono le due signore.
Soddisfatto per la cosa nuova appresa, mentre davo
sommessamente piena ragione a quella famosa vecchina che si doleva di dover morire, perché – sosteneva – ogni giorno imparava una cosa nuova, ho ripreso
la lettura del mio quotidiano.
-4-
“AFRICA EXPRESS”
Lucio Laurita Longo
DONNA
D’AFRICA
(L’uomo è il capo della
famiglia, ma la donna
è il collo che
muove il capo)
Parlare della donna
d’Africa, della sua
condizione, del suo
status sociale, del
suo
inserimento
nella realtà quotidiana non è facile
perché le molteplicisfaccettature che caratterizzano questo
continente ne impediscono una generalizzazione. In tutto il
mondo le condizioni di vita della donna sono, molto spesso,
tutt’altro che facili, ma nella realtà africana tali condizioni
sono estremizzate tanto che in gran parte di questo continente essa è ancora vista come un essere inferiore, come
merce di scambio se non come una schiava da sfruttare fino
alla morte. Eppure le donne africane sono da sempre, e sempre di più, mogli, madri, lavoratrici instancabili ed insostituibili che gestiscono, molte volte in prima persona e senza
alcun aiuto, la vita della intera comunità in cui vivono.
Nonostante ciò, però, restano vittime indifese di numerose
discriminazioni che ne segnano in modo profondo la stessa
vita. Le più comuni possono essere individuate nella privazione della libertà personale (intesa come mancanza di diritti individuali e sociali), nel maggior grado, rispetto agli
uomini, di povertà, nella maggior violenza cui devono sottostare, nell’obbligo di accettare un matrimonio precoce deciso dalle famiglie e non liberamente scelto e nella violenza
sessuale cui vengono sistematicamente sottoposte e che
troppo spesso le porta a contrarre ogni tipo di malattia, talvolta anche mortale.
Privazione della libertà significa non avere mai alcuna voce
in capitolo, né in ambito sociale e comunitario né all’interno
della famiglia. La donna africana, infatti, non può influire
sulle scelte del marito (o del capo della comunità in cui vive)
nella organizzazione della vita privata o pubblica, nella
istruzione, propria e/o dei propri figli, e nell’ambiente di
lavoro.
Paradossalmente queste limitazioni sono più forti
nelle donne di città rispetto a quelle che vivono in campagna, dove tendono ad avere un maggior benessere e una
maggiore considerazione in funzione del ruolo che rivestono. La vita nelle città, infatti, porta all’appiattimento verso il
basso (o al totale annullamento) di molti valori e tradizioni
che continuano a sopravvivere nelle campagne.
Nelle campagne, infatti, una donna, madre, moglie o figlia
che sia, pur non avendo, come detto, alcun potere decisionale, deve affrontare la gestione della vita quotidiana (cura
della casa e della famiglia), andare quotidianamente a prendere l’acqua al pozzo (che spesso dista chilometri) o procurare la legna per il fuoco, curare l’educazione dei figli e l’assistenza agli anziani. Queste situazioni la rendono praticamente insostituibile garantendogli una sorta di “assicurazione sulla vita”. Nell’ambito urbano, invece, dove troppo spesso si è costretti a vivere da soli o al di fuori di un nucleo
sociale comune, la donna rimane praticamente abbandonata
a se stessa ed in balia di ogni tipo di violenza.
Anche sotto l’aspetto economico una donna africana vive in
condizioni peggiori rispetto alle altre donne nel mondo. In
un ambiente dove le possibilità di lavoro, per la maggior
parte della popolazione, sono estremamente limitate o
nulle, è evidente che le rare occasioni che si presentano
sono appannaggio quasi del tutto esclusivo degli uomini. Da
ciò deriva una assoluta dipendenza economica delle donne
che così non avranno mai la possibilità di affrancarsi dallo
strapotere degli uomini. Occorre sottolineare che il valore di
una donna, quello per cui essa viene data in sposa e per la
quale suo padre riceve una dote dal marito è, oltre alla sua
forza-lavoro, la sua possibilità di procreare e, quindi, di
garantire la continuità della comunità. La maggior parte
delle donne vengono date in sposa in età giovanissima e
quindi quando il loro fisico è ancora in crescita. Fino a quando sono in grado di procreare e di lavorare costituiranno un
valore aggiunto per il marito e per la comunità ma quando
non sono più in grado di fare quello per cui sono state “comprata” ecco che il valore si azzera. Da questo momento
diventeranno un peso e molto spesso verranno abbandonate al loro destino (facilmente immaginabile). Discorso a
parte è quello sulla salute e sulle sciagurate condizioni igieniche che interessano la quasi totalità della popolazione e di
cui sono le donne le prime a farne le spese. Sotto questo
aspetto, il problema principale che colpisce la donna africana è quello delle malattie e delle complicazioni da parto che,
molto spesso le porta alla morte. Una recente ricerca ha
accertato che ogni anno circa 175.000 donne africane muoiono durante il parto o per problemi ad esso connessi. Le
cause di tale situazione sono varie ma le più importanti
vanno attribuite alla fatica del lavoro ed alla denutrizione.
Molte donne giungono al parto senza essere in grado di
sostenerlo fisicamente. A tutto ciò si aggiunge la malaria,
che è endemica in gran parte del continente, e che provocando, tra l’altro, forti anemie, accentua i rischi connessi al
parto. Per non parlare dell’ulteriore impatto che certe credenze popolari possono avere sulla loro salute: una delle più
diffuse, tanto da esser contrastata con manifesti pubblici del
governo, è la credenza che un malato di AIDS possa guarire
avendo rapporti con una ragazza vergine. La mutilazione
genitale (praticata ogni anno su circa 2 milioni di donne), la
discriminazione sul posto di lavoro (mediamente le donne
africane guadagnano il 78% in meno del salario di un uomo
che svolge lo stesso lavoro) e la esclusione quasi sistematica dall’accesso alla istruzione, sono le altre piaghe più
comuni. Per quest’ultimo aspetto, nel continente africano, il
divario tra uomini e donne è ancora molto ampio e, anche se
negli ultimi anni la tendenza è verso un graduale annullamento di tale distanza, il tasso di analfabetismo delle donne
resta ancora maggiore rispetto agli uomini. Naturalmente
tale disparità aumenta con il livello di istruzione tanto che,
nell’Africa sub-sahariana, la frequenza scolastica femminile
tra i 10 ed i 14 anni è pari all’80% di quella maschile mentre all’età di 18 anni tale percentuale scende a meno del
40%. All’università il rapporto scende sotto il 10%.
Ovviamente il poco spazio concessomi in questa rubrica e la
complessità dell’argomento, non possono aggiungere alcunchè a quanto si è già detto, scritto e studiato sull’argomento. Concludo, quindi, affermando che dietro l’apparente
debolezza della figura femminile africana si nasconde una
forza e determinazione che non ha eguali. A piccoli passi
essa avanza verso una maggiore democrazia e partecipazione, consapevole della propria forza, dignità e orgogliosa del
proprio essere donna, determinata nel far sentire la propria
voce per rivendicare il posto che gli compete nella costruzione di un nuovo paese. Dare più potere alle donne africane,
quindi, significa avere più possibilità di pace, democrazia e
speranza in un mondo migliore. Un proverbio del Mali, in
poche parole, racchiude tutto ciò: “Se vuoi raccogliere tra
qualche mese, semina del miglio; se vuoi raccogliere tra
qualche anno, pianta degli alberi ma se vuoi raccogliere
all’infinito, istruisci una donna”.
-5-
L’ANGOLO DELLA CUCINA
KAKRO (Bignè di banane)
(Ghana)
750 gr. di banane plantain ben
mature - 5/6 grani di pepe 100 gr. difarina - 1 cipolla
1 pizzico di paprika in polvere
1 cucchiaino di zenzero
sale e pepe-olio di oliva
Versate la farina in una pentola.
Ate schiacciate bene le banane
e aggiungete lo zenzero, i grani
di pepe sbriciolati, la cipolla, la
paprika, il sale ed il pepe. Unite
la farina ed amalgamate il tutto
con acqua tiepida fino ad ottenere un impasto morbido ma
compatto. Riempite una padella
con olio per friggere e scaldatelo bene. Formate con l’impasto
delle palline e friggetele nell’olio
bollente fino a che non raggiungono un colore dorato.
Scolatele e servitele ben calde
con spicchi di limone fresco o
con una salsa piccante.
UNA
RAGAZZA
NORMALE
SANTA CHIARA:
UNA DONNA ESEMPLARE
Cesare Catarinozzi
Santa Chiara d’Assisi, per umiltà, amava
definirsi “la pianticella di San Francesco”,
ma in realtà fu ella stessa, con la sua forte
personalità, ad imprimere molte caratteristiche del movimento religioso, che fu
detto appunto “francescano-clariano”.
Una volta lo stesso S. Francesco, che voleva sapere se Dio chiedesse da lui soltanto
la meditazione o anche la predicazione, la
supplicò di pregare lei il Signore per avere
una risposta. Santa Chiara gli indicò la via della predicazione, da
discepola divenne maestra. Ma l’intera sua esistenza manifesta
la ricchezza interiore che ella possiede.
Appartenente ad un’alta classe sociale, dimostra forza d’animo
nelle sue scelte radicali che la inducono a sfuggire il matrimonio
predisposto dalla famiglia di origine, per seguire il desiderio di
dedicare la vita a Dio. La notte del 28 marzo 1211 (è la sera della
domenica delle Palme: Chiara ha solo 18 anni), stando alle testimonianze del processo di canonizzazione, fugge da una porta
secondaria della casa paterna, situata nei pressi della cattedrale di Assisi, San Rufino. Subito raggiunge Francesco d’Assisi e i
primi frati minori presso la chiesetta di Santa Maria degli Angeli,
già da allora comunemente detta la Porziuncola, dipendente dal
monastero di San Benedetto al Subasio. A sottolineare la sua
condizione di penitente, Francesco le taglia i capelli, le dà una
tunica e la fa entrare nel monastero benedettino di San Paolo
delle Badesse presso Bastia Umbra a 4 chilometri da Assisi, per
poi cercarle ricovero presso un altro monastero benedettino alle
pendici del monte Subasio: Sant’Angelo di Panzo. Qui, al riparo
dalle ire familiari, viene presto raggiunta dalla sorella Agnese.
Infine Chiara prese dimora nel piccolo fabbricato annesso alla
chiesa di San Damiano, che era stata restaurata da Francesco,
sotto le dipendenze del vescovo Guido. Qui Chiara fu raggiunta
dall’altra sorella Beatrice e dalla madre Ortolana, oltre a gruppi
di ragazze e donne, e presto furono una cinquantina. Qui trascorre quarantadue anni di cui ventinove cadenzati dalla malattia. Affascinata dalla predicazione e dall’esempio di
Francesco,Chiara volle dare vita a una famiglia di claustrali
povere, immerse nella preghiera per sé e per gli altri. Chiamate
popolarmente “Damianite” e da Francesco “Povere Dame”,
saranno poi per sempre note come “Clarisse”.Ottenne da
Francesco una prima regola fondata sulla povertà. Il carisma
della donna si manifesta entro le mura del monastero in contemplazione e preghiera, seguendo in parte il modello benedettino
da cui si differenzia per la ferma e coraggiosa difesa della povertà. Questo è il tema centrale della sua esperienza mistica, la
sequela Cristi, da cui Chiara non vuole essere dispensata nemmeno dal Papa (il cardinale Ugolino, vescovo di Ostia e protettore dei Minori, le diede una nuova regola che attenuava la povertà, ma lei non accettò sconti: così Ugolino, diventato papa
Gregorio IX (1227-1241) le concesse il privilegio della povertà),
poi confermato da Innocenzo IV con una solenne bolla del 1253,
presentata a Chiara pochi giorni prima della morte. Solo abbandonando i beni materiali e affidandosi a Dio, Chiara si sente libera di percorrere il suo cammino religioso. E’ questo l’argomento
principale su cui vertono i rari scritti, da cui emerge una donna
decisa e fiduciosa (quattro lettere ad Agnese di Boemia, figlia
del re Ottokar e la Regola, e altri scritti di cui non si ha certezza
di autenticità) che non aiutano però a ricostruirne la figura storica. Soltanto dopo la sua morte, una Leggenda scritta da
Tommaso da Celano ne narra la vita scandita dal silenzio, dalla
preghiera, dalla ricerca continua di “altissima povertà”. Volle
sempre essere umilmente al servizio delle consorelle; non di
rado baciava i piedi delle “servigiali” (le suore che svolgevano
mansioni esterne al convento), preferendo, nei limiti del possibile, ubbidire piuttosto che comandare. Una volta si accostò ad
una servigiale per baciarle i piedi, ma quella, volendo risparmiarle una simile umiliazione, cercò di scansarsi e senza volerlo
le diede un calcio in faccia. Chiara abbracciò e baciò quel piede
che l’aveva colpita in pieno viso. Passò la seconda metà della
vita quasi sempre a letto perché ammalata, pur partecipando
sovente ai Divini uffici. Portando l’Eucaristia sull’ostensorio,
avrebbe salvato, secondo la tradizione religiosa, il convento da
un attacco di Saraceni nel 1240.Morì a San Damiano, fuori le
mura di Assisi, l’11 agosto del 1253, a sessant’anni. A soli due
anni dalla morte, Papa Alessandro IV la proclamò Santa. Io sono
francescano secolare e trovo in Santa Chiara, non meno che in
San Francesco, un modello da imitare.
-6-
Maria Rossi
Chiara, una ragazza
normale. Due grandi
occhi scuri, vivacissima, piena di voglia
d’imparare. Arrivò al
triennio
del
liceo
scientifico con il trauma di una bocciatura
alle spalle: al biennio, si era fermata per “colpa” delle
materie letterarie. Qualche anno fa; forse aveva studiato poco, forse doveva maturare, forse i professori
erano stati molto severi. A volte capita. Al triennio
venne fuori alla grande, in italiano e in latino, in inglese, nella storia e filosofia, dove avevo allora come collega (e la ricordo con un po’ di rimpianto) una donna
– appunto – molto in gamba, preparata, che amava
insegnare e sapeva trasmettere il piacere della cultura. Chiara si entusiasmò, si appassionò, maturò. Uscì
con un bel voto all’esame di stato. Voleva fare teatro,
aveva già fatto esperienza nel Laboratorio teatrale del
liceo, si iscrisse alla Facoltà di lettere dallo scientifico.
Succede anche questo, come ottimi ingegneri, matematici e fisici escono ancora oggi dal liceo classico. Ci
veniva a trovare, felice ed entusiasta, gli occhi le brillavano.
Una ragazza normale, una bella ragazza piena di progetti e di sogni per la vita, ed è morta in una settimana in una luminosa giornata di giugno.
Avvenimenti di questo tipo pongono a noi adulti tanti
interrogativi perché ci sembrano contro natura, contrari al “progetto” di Dio. Fin dall’antichità i poeti
hanno cantato il “fiore reciso” troppo presto; tutti
ricordiamo la Silvia di Leopardi, o l’amico di giochi di
Pascoli “eppur felice te, che al vento non vedesti cader
che gli aquiloni” (L’aquilone).
E’ un privilegio, sosteneva Seneca, nel consolare
Marcia per la perdita del figlio, un’ingiustizia pensiamo noi spesso, sarebbe meglio dire che questo era il
progetto di Dio per loro. Quanti ragazzi, che ho avuto
in classe in tanti anni, oggi non ci sono più; per malattie fulminanti, per lunghi calvari, per incidenti stradali di cui sono stati vittime o colpevoli. Ragazzi che,
magari, hanno pianto per un insuccesso scolastico o
sportivo, per un amore finito e poco dopo erano volati via.
Per questo oggi ho pensato di scrivere di Chiara, perché lei insieme a Giulia, Raffaele, Alessandro, Gabriele
e Sofia e tanti altri, mi sono ancora vicini e nel cuore
ogni volta che entro in una classe. Oggi sarebbero realizzati nel lavoro, come professionisti, avrebbero famiglia e figli, ma hanno il privilegio di restare sempre
ragazzi nei nostri cuori e nel ricordo. Ragazzi belli e
normali, pieni di sogni.
Ogni anno nelle scuole l’8 marzo le ragazze portano
mimose e le regalano alle insegnanti; è ormai uno stereotipo, una tradizione, un rituale. Ci sono state, e ci
sono, donne straordinarie e geniali, sante e peccatrici, scienziate e scrittrici, artiste, medici e matematici,
premi Nobel e oscure suore di clausura o missionarie.
I nomi sono tantissimi. E tanti sono stati ugualmente
gli uomini straordinari. Non per le opportunità diverse
(che – è vero- nei secoli, nelle culture, nelle religioni
la storia ha dato loro più che alle donne) ma per la
Vita in assoluto, che è straordinaria.
Anche la vita breve di un ragazzo o di una ragazza
normale, che hanno lasciato solo il ricordo di un sorriso e di uno scintillio nello sguardo, è meravigliosa.
Forse filosofi e poeti avevano ragione: per certi versi
morire da giovani è un privilegio; non hanno conosciuto amarezze, delusioni, abbandoni, non sono stati
depressi, arrabbiati con il mondo e i propri simili, non
hanno provato noia e sofferenza.
E ora ci sorridono e ci aspettano lassù, nella luce e
nella pace: ragazzi e ragazze normali. Perché, e di
questo sono certa, nella vita non serve realizzare cose
eccezionali ma solo ringraziare di averla, viverla serenamente e saper sorridere.
UNA CATECHISTA RACCONTA
Eugenia Rugolo
Soltanto qualche settimama fa nell’ora di catechismo
Matteo mi chiese: Dimmi, che cos’è un prete? Al momento
fui colta di sorpresa, poi mi
tornò in mente la lettera
pastorale del nostro Parroco e
la Sua citazione sul curato
d’Ars e risposi: ”Un prete è
grande grande nell’amore.
Dopo Dio è l’uomo più importante sulla terra. “
Se soltanto noi riuscissimo a
capire la grandezza del dono
affidato a una creatura umana;
pronuncia due parole e nostro
Signore scende dal cielo alla
Sua voce e si racchiude in una
piccola ostia. Nell’incontro
precedente di catechismo,
avevo parlato loro dell’importanza dei Sacramenti nella
nostra vita, e così potei aaggiungere: tolto il Sacramento
dell’Ordine noi, non avremmo il Signore. Pensateci. Chi ha
riposto Gesu’ nel tabernacolo in Chiesa? Il Sacedote.
E chi ha accolto la vostra anima al primo entrare nella vita?
Il Sacerdote. Chi nutre questa vita per darle la forza e compiere il suo pellegrinaggio? Il Sacerdote. Chi la prepara a
comparire innanzi a Dio, lavandola per l’ultima volta in
Gesu’ Cristo? Il Sacerdote, sempre il Sacerdote.
E se poi quest’anima viene a morire per il peccato chi la
risusciterà, chi le renderà la calma e la pace? Ancora il
Sacerdote. Vedete, senza il prete la morte e la Resurrezione
di nostro Signore non servirebbe a niente, perchè è il prete
che continua l’opera di redenzione sulla terra.
Bisognerebbe che essi comprendessero, in quanto preti,
consapevoli di essere un dono immenso per la propria
gente. Un Buon Pastore, secondo il cuore di Dio, è il più
grande tesoro che il Buon Gesu’ possa accordare ad una
parrocchia, ed è uno dei doni più preziosi della
Misweericordia Divina. Credo che per iniziare bene la propria missione un Parroco deve pregare con tutte le sue
energie per la conversione della sua parrocchia, ponendo in
cima ad ogni pensiero la formazione cristiana del popolo a
Lui affidato.
Quanto alla vita sacerdotale direi che è essenziale per un
sacerdote il tempo che si riservi per la preghiera, pregare
anche per gli altri. Questo è proprio del Pastore: che sia un
uomo di preghiera , che stia dinnanzi al Signore, sostituendo anche gli altri, che forse non sanno pregare, non vogliono pregare, non trovano il termpo di pregare. Queste mie
affermazioni possono apparire eccessive, in esse tuttavia si
rivela l’altissima considerazione per il servizio del sacerdozio. Certo se comprendessimo anche noi che cos’è un prete
sulla terra, moriremmo: non di spavento, ma di amore.
UNA
VOLONTARIA
RACCONTA
Elena Scurpa
Non avrei mai immaginato
che al termine della mia
fatica scolastica e cioè dopo
36 anni di insegnamento
nella scuola media, mi sarei
trovata a prestare servizio
nell’Associazione Volontari
dell’ospedale Gemelli.
A volte mi chiedo quali siano state le motivazioni che mi
hanno spinto a svolgere questa attività e cerco le risposte.
Sicuramente la principale è stata la mia esigenza a non
interrompere i rapporti umani con il prossimo, rapporti che
avevo coltivato con buoni risultati per tanti anni nella scuola e che avrei potuto ancora sfruttare, mettendomi al servizio di fratelli sofferenti, stimolata anche da una profonda
Devo dire che Matteo sembrava soddisfatto, quando
Virginia e Andrea incalzarono domandando: “Perchè il prete
non si può sposare?”
Feci un lungo respiro e con la mente chiesi aiuto allo
SpiritoSanto: “Signore, io la voce e Tu la Parola”, poi dissi
loro: “Sappiate che il Sacerdote è una generosa e gioiosa
donazione di se stesso, che lo rende libero dalla sollecitudine personale per la famiglia, per potersi dedicare con tutto
il cuore alla Sua missione pastorale. Essi sono uomini scelti da Dio per essere il sale della terra e la luce del mondo.”
Personalmente penso che il celibato sacerdotale(così si
chiama), è una questione di coscienza, è abbracciato e scelto per sempre da coloro che si preparano al sacerdozio
dopo avere raggiunto la piena convinzione che si tratti di un
Dono concesso dal Signore a se, un Dono delle Spirito, per
identificarsi meglio con Lui e per servire la Chiesa e il prossimo. Credo però, che non basti la comprensione e il desiderio di essere casti ci vuole il paziente lavoro di dominare
le passioni, esposte alle tentazioni. Tale dominio richiede
per tutta la vita la vigilanza costante e la perseveranza
nella preghiera: da una parte , bisogna evitare gli stimoli
che provocano le reazioni delle passioni; Se però, si lascia
andare agli affetti e innamoramenti, non sarà capace di
maturare, nel proprio amore intenso, esclusivo per Cristo.
La natura ha le proprie leggi che bisogna saper riconoscere
e rispettare: in tal caso il buon senso è essenziale.
Riconoscere però, che esistono le tentazioni non significa la
chiusura in una torre d’avorio. La maturazione della personalità non consiste in una repressione, ma è frutto di un
lavoro positivo, aperto e gioioso in funzione dell’amore.
Il Sacerdote è chiamato ad amare più intensamente e più
persone, proprio grazie alla Sua consacrazione alla verginità. Così facendo esso aderisce più facilmente a Dio con un
cuore non diviso, si dedica più liberamente al servizio di Dio
e degli uomini. Perciò chi segue la propria vocazione sacerdotale e, nella preghiera, e nella vera umiltà, rende servizio
all’umanità, annuncia il Vangelo e vive la propria missione
nella piena realizzazione di se stesso e potrà difendersi da
queste minacce con lo sgardo rivolto al Regno dei Cieli.
Il Sacerdote nella Chiesa di rito latino è chiamato a offrire
il Suo corpo, tutto se stesso per l’azione salvifica di Dio.
Tuttavia, sottolineo, che senza Fede non è possibile comprendere la natura e l’efficacia del celibato sacerdotale,
così come senza Fede non risulta comprensibile lo stesso
sacerdozio. Ecco perchè tutto questo per molti è ancora
oggetto di continue discussioni o di dibattiti.
Per la Chiesa no, non è così. Essa ha sempre ribadito, anche
dopo il Concilio Vaticano secondo, la validità dei principi e
delle ragioni su cui si fonda il calibato sacerdotale. A noi cristiani non resta che dire il nostro Amen.
Risultato dell’incontro inatteso: buono, a testimonianza dei
loro visi e dei loro occhi attenti. A tal punto che mi piace
pensare che da grande forse qualcuno di loro diventerà.......
Ah dimenticavo..... e i difetti dei Sacerdoti?.: pochi, pochissimi, essi scompaiano dinnanzi a tali grandezze e fattezze.
Il Giudizio lasciamolo a Dio— Unico Giudice Giusto—, perchè
come dice il Signore: “A chi più ha dato, più sarà richiesto”.
riconoscenza a Dio per gli innumerevoli doni ricevuti in ogni
attività da me intrapresa. Perché quindi non mettere a
disposizione dei malati le mie modeste capacità di assistenza, dopo l’esperienza acquisita durante i 15 anni della
malattia di mia madre? Perché non soddisfare il mio innato
bisogno di espandermi, di dare quanto era nelle mie possibilità, praticando la carità disinteressata, vissuta in Cristo
curatore e servitore dei sofferenti? Dopo aver speso le
migliori energie in un’altra attività altrettanto nobile, avrei
sicuramente sperimentato la validità dell’affermazione che
“la vita comincia quando ti metti al servizio degli altri”.
Ebbene, dopo svariati anni di impiego in questo servizio,
non posso fare a meno di esprimere tutta la mia personale
soddisfazione per i benefici che ne ho ricevuto, sperimentando in pieno quanto siano vere le parole di San Paolo che
“si ha più gioia nel dare che nel ricevere”.
Infatti espressioni come “Il Signore ti benedica per il conforto che mi hai arrecato, possa tu realizzare tutto quello
che desideri”, sono un valido sostegno ad affrontare la giornata serenamente con la consapevolezza che, anche in
misura minima, si è rivolto il pensiero a Dio, ravvisato sul
volto dei fratelli sofferenti.
-7-
LA “NONNA”
IL DIARIO DI GIORGIA
Paola Giorgetti
Giorgia Pergolini
Caro diario,
mi capita sempre di notare che nei libri di
storia raramente vengono menzionati
nomi di donne, eppure di donne famose
nella storia ce ne sono! Se dobbiamo
limitarci allo studio nel libro di testo i
professori si accontentano dei soliti
quattro nomi di re o generali. Invece, per
approfondire davvero un evento e trovare una qualche donna in particolare che
ne fu protagonista, dobbiamo spesso
passare le ore intere su internet. Nella storia italiana si inizia a parlare seriamente di noi donne solo dal 31 gennaio 1945, quando il
diritto di voto venne esteso anche a noi, ma quello che molti non
sanno è che anche prima del diritto al voto c’erano le donne e che
hanno sempre fatto grandi cose che spesso sottovalutiamo.
Recentemente nel mio liceo c’è stata una conferenza tenuta da una
studiosa del periodo mazziniano. La mia classe ha partecipato ed è
stata una conferenza davvero molto interessante. La nostra ospite ci
ha parlato della vita di una donna mazziniana che ha fatto grandi
cose in quel periodo: Cristina Trivulzio di Belgioioso.
Mi è rimasta particolarmente impressa la sua vita perchè, nonostante venisse da una casata nobile, è riuscita a dire la sua, a scappare e
a fare quello che più desiderava, ossia lottare per l’unità d’Italia.
Ovviamente fare una cosa del genere a quei tempi comportava un
vero e proprio scandalo! Immagina, caro diario, una nobile che di
punto in bianco lascia tutte le sue richezze, rifiuta di sposare l’uomo
a cui era destinata fin da piccola, fugge di casa per frequentare i
salotti liberali mazziniani e finanzia il movimento insurrezionale
modenese di Menotti.
Le sue idee “moderne” sono in netto contrasto con quella parte aristocratica che ha caratterizzato per vent’anni la sua vita ma, nonostante questo, non è sola, ha ancora molte conoscenze importanti,
tra cui la mamma di Alessandro Manzoni.
Pensa, caro diario, che quando Cristina volle vedere la madre di
Manzoni ormai morente lui glielo impedì dicendo che non voleva che
sua madre fosse amica di una tale donna “ribelle”.
Nel 1844 finanzia la nascita della Gazzetta Italiana però subito
sequestrata dalla Polizia. Allo scoppio della rivolta delle 5 giornate
Cristina ritorna a Milano accompagnata dai patrioti napoletani e qui
si dedica al giornalismo con un altro foglio “Il Crociato”.
Dopo la sconfitta di Novara si reca a Roma con Mazzini, pur non condividendone l’avventurismo insurrezionale sempre fallimentare. Lei
stessa aveva cercato di mediare con Carlo Alberto un avvicinamento
fra i due. Il 20 aprile 1849 le viene dato l’incarico di formare un
comitato di soccorso ai feriti e viene nominarta direttrice delle ambulanze. Dato che il corpo medico non era dei migliori e soprattutto era
carente di personale, Cristina decide di chiedere aiuto a delle prostitute. Questo suo atto da un lato fece aumentare la sua già cattiva
reputazione ma dall’altro, aumentando il corpo medico, salvò la vita
a molti feriti in seguito alla guerra. La cosa che mi è rimasta più
impressa è che Cristina non curò solo i feriti mazziniani ma anche
quelli francesi. Non le importava chi fossero i pazienti, se fossero
suoi amici o acerrimi nemici, lei li curava lo stesso senza pregiudizi.
Ovviamente, come ho già scritto, l’assunzione di prostitute come
aiuto-infermiere creò un forte scandalo tant’è che Papa Pio IX le
scrisse una lettera accusandola di essere una “sfacciata meretrice”.
La Belgioioso replicherà: «Non sosterrò che tra la moltitudine di
donne che, durante il maggio e giugno del 1849, si dedicarono alla
cura dei feriti non ve ne fosse neppure una di costumi irreprensibili:
Vostra Santità si degnerà sicuramente di considerare che non disponevo della Polizia Sacerdotale per indagare nei segreti delle loro
famiglie, o meglio ancora dei loro cuori. Tuttavia di una sola cosa si
poteva essere certi, che esse erano state per giorni e giorni al capezzale dei feriti; non si ritraevano davanti alle fatiche più estenuanti,
né agli spettacoli o alle funzioni più ripugnanti, né dinnanzi al pericolo, dato che gli ospedali erano bersaglio [proprio per continuo criminale incitamento papale, ndr] delle bombe francesi». Quindi, caro
diario, prova a immaginare una donna nobile, ricca e colta che lascia
tutto per andare in guerra sostenendo il movimento patriottico liberale, in più si offre volontaria per curare i feriti di entrambe le sponde e, come se non bastasse, si “permette” di scrivere una lettera al
Papa rivolgendosi in quel modo schietto e non proprio adatto a una
donna del suo rango. Pensa che coraggio! Per me questa è una cosa
da ammirare: il coraggio di una donna, nonostante i tempi duri e rigidi, di dire quello che pensa. Oggi studiamo che nel 1848 il re Carlo
Alberto utilizzò per la prima volta la bandiera italiana con al centro
lo stemma della corona Sabauda. Sai, caro diario, chi è stata a ricamare quella bandiera? Proprio Cristina Trivulzio di Belgioioso.
-8-
Io e i miei numerosi fratelli la chiamavamo così,
ma in effetti era soltanto la sorella della nostra
nonna materna che non avevamo conosciuto perché morta prima delle nostre nascite.
Si chiamava Elide ed era una vecchietta dolcissima con gli occhi cerulei e i capelli grigi raccolti in
una “crocchia”. Di statura non molto alta, era purtroppo claudicante in quanto la sua gamba destra,
in gioventù, aveva subìto un incidente in seguito
al quale il ginocchio le era rimasto bloccato.
Non si era sposata e, non avendo figli, aveva “affiliato” sentimentalmente tanto nostra madre, che
aveva il suo stesso nome, quanto una nostra zia.
Naturalmente tutto ciò la portò ad amare moltissimo anche noi. Eravamo i suoi nipotini diletti e
ricordo che prendeva sempre le nostre difese contro chiunque ci rimproverasse.
Un po’ ci viziava: non ci diceva mai di no.
Quando veniva a trovarci a Rifredi, alla periferia di
Firenze, dove abitavamo prima del 1940, la riconoscevamo da lontano dal suo modo di camminare, con quella sua gamba diritta, e dalla sua borsetta immancabilmente scaturiva un pacchetto di
dolci ghiottonerie. Per noi era una festa perché
certe cose allora non si mangiavano abitualmente.
Si tratteneva a raccontarci fiabe, a giocare e,
quando rimaneva a pranzo, se uno di noi era
malato, lei non stava a tavola, ma prendeva il suo
piatto e mangiava in compagnia del piccolo infermo. Rammento che, nelle sue visite, la nonna
Elide ci ripeteva tante belle piccole filastrocche
(anche suoi ricordi di gioventù), quelle che,
penso, venivano “snocciolate” dagli adulti ai bambini quando venivano pregati di raccontar loro
una novella, ma ci venivano insegnate anche per
esercitare la memoria. Normalmente viveva con
un cugino, l’austero e burbero signor Tertulliano
che possedeva un appartamento in piazza San
Giovanni, proprio di fronte al Battistero.
Lei aveva però anche un piccolo “pied a terre” in
una delle vie della vecchia Firenze, e ogni tanto vi
soggiornava, forse (penso io) per avere un po’ di
libertà e “sganciarsi” dalla compagnia del “caro
cugino”.
Io e mia sorella maggiore qualche volta l’accompagnavamo quando vi si recava, magari per andare a prendere qualche oggetto che le serviva e che
lì si trovava. Aveva in affitto una cameretta con
uso di cucina ma il resto dell’appartamento era
quasi sempre vuoto. Rivedo questo piccolo locale
arredato con un semplice letto di ferro (come
usava allora) discretamente decorato, un armadio
di noce scuro e un bel cassettone, col ripiano di
marmo grigio e un grande specchio nonché alcuni
cassetti contenenti il suo corredo, il primo dei
quali era colmo di tutto un po’: vecchi ricordi,
bigiotteria, ammennicoli vari, foto, roba religiosa,
ecc. Oggetti che sarebbero stati, ad averlo saputo
prima, molto interessanti per le mie collezioni, ed
anche i mobili erano veri pezzi di antiquariato. Ma
quello, invece, che attirava di più, allora, la mia
attenzione era un piccolo vecchio armadietto di
legno laccato bianco, che, veramente, non aveva
niente a che vedere con il resto dell’arredamento
e che conteneva utensili che evidentemente le
occorrevano quando aveva bisogno di servirsi
della cucina e cioè: piatti, tazzine, bicchieri, vasetti di porcellana, magari scompagnati ma di buona
fattura, posate, piccoli pentoli di alluminio, bricchetti e qualche riserva alimentare. Sembrava un
piccolo armadietto da bambola.
Naturalmente non vi mancavano delle belle scatole metalliche litografate contenenti biscotti, caramelle e altri dolcetti, trattenuti proprio per noi e
ricordo che li sgranocchiavamo affacciate alla
finestra, anch’essa per noi una curiosità perché
era alta, senza terrazzino, ma con una ringhiera
dalla quale ci sporgevamo per ammirare un parco
dove la “nonna” ci prometteva di condurci un
giorno, ma non lo ha mai fatto, perché andavamo
sempre di fretta…
LA RAGAZZA DEL BATANGAS
Marco Di Tillo
Debbie oggi ha 39 anni. E’ nata in un villaggio poverissimo del Batangas, una provincia delle Isole Filippine nell’isola di Luzon,
un’area di circa tremila chilometri quadrati, con una popolazione di due milioni e
mezzo di anime.
E’ seconda di sette figli. Suo padre faceva
il pescatore sul lago Taal e quando tornava
dal lavoro lei ed i suo fratelli maggiori
dovevano andare a vendere il pesce al
mercato di zona. Ma spesso non c’era nessun pesce da vendere e Debbie doveva restare a casa a badare ai fratelli più piccoli. La mattina andava a scuola ma non potè finire gli
studi, anche se le piaceva moltissimo studiare, soprattutto l’inglese.
A sedici anni la famiglia le trovò un lavoro in una fabbrica di scarpe
a Manila, tre ore e mezza di distanza da lì. Stava seduta tutto il giorno a confezionare calzature.Non poteva alzarsi neanche per mangiare. Consumava i pasti direttamente sul tavolo da lavoro.
Quando compì 20 anni, nel marzo del 1991, una mattina i suoi genitori la svegliarono all’alba con una valigia già pronta. “Oggi vai a raggiungere tua cugina Tassie in Europa. E comportati bene perché questo tuo viaggio è costato migliaia di dollari di debiti con i parenti !”
le dissero e l’accompagnarono all’aereoporto. La staccarono a forza
dall’abbraccio di sua madre, entrambe non avevano più lacrime da
spendere perché sapevano che sarebbe passato moltissimo tempo
prima di rivedersi. All’interno dell’aereo si trovò insieme ad un’altra
ventina di ragazze provenienti da tutte le regioni. Le guidava uno
strano ceffo, comandandole a bacchetta. “Tu siediti lì e stai zitta.
Cercate di dormire e non rompete le scatole. Il viaggio sarà lungo.”
In effetti il viaggio fu molto lungo, non finiva mai. Ci fu anche uno
scalo a Madrid, che strano nome per una città. Ma ancora più strano
fu il nome dell’altra città, quella in cui atterrarono: Praga.
L’organizzazione a cui furono affidate aveva previsto tutto nei minimi particolari. Un pulmino le venne a prendere direttamente sulla
pista e le accompagnò in una sottospecie di alberghetto di periferia.
Restarono lì chiuse per una settimana intera, senza poter mettere il
naso fuori. Nelle stanze faceva un freddo terribile e dovevano stringersi una all’altra per riscaldarsi un po’. Alla fine della settimana le
venne a prendere il solito pulmino ed iniziò un altro viaggio, anche
questo lunghissimo. Debbie notò che mancavano alcune ragazze
rispetto a quando erano arrivate, le gemelle Bessie e Marisa ad esempio non c’erano più. Erano le più carine di tutte e una notte le sembrava di aver visto entrare alcuni uomini nella loro stanza. Il pulmino attraversò città, paesi e montagne ancora innevate. Loro potevano scendere solo per fare i bisogni, direttamente sulla strada o,
quando andava bene, dietro ad un cespuglio. Dormivano e mangiavano sul pulmino, senza mai potersi cambiare né lavare. Il viaggio durò
tre giorni. La terza notte arrivarono sotto ad una grande montagna.
Si trovava in Jugoslavia ma lei non lo sapeva. Un gruppo di uomini le
aspettava. Erano tutti incappucciati ed armati fino ai denti. Faceva un
freddo incredibile e loro erano ancora vestite come nelle Filippine, in
abiti leggeri di cotone. Ognuna trascinava una borsa pesante oppure aveva uno zaino sulle spalle. Iniziarono a camminare su per i pendii scoscesi, in fila indiana, in silenzio. Ogni tanto qualcuno dei loro
accompagnatori faceva segno di fermarsi e di non fiatare perchè
c’era gente nei dintorni e non dovevano vederle. Camminarono per
ore. Allo spuntare del sole, finalmente, si trovarono dall’altra
parte…in Italia ! Un nuovo pulmino le aspettava e nuovi accompagnatori. Salirono tutte a bordo. La prima città italiana che attraversarono si chiamava Trieste e poi, via via, tutte le altre…fino a quella
più grande, Roma ! Sua cugina Tassie la aspettava alla Stazione
Tiburtina, il luogo dove il pulmino si fermò e tutte le ragazze scesero
verso la loro nuova vita.
Oggi Debbie lavora ad ore in una delle nostre case, come tante sue
connazionali. E’ bravissima e cucina la pasta alla carbonara e l’abbacchio meglio di Vissani. Si è sposata ed ha un figlio nato in Italia e
che frequenta le scuole della nostra Balduina. Ha fatto venire qui
tutti i suoi fratelli e anche la madre che ha lasciato con un po’ di fatica la sua casa nel Batangas. Probabilmente nessuno di loro tornerà
più a vivere nelle Filippine. I figli del figlio di Debbie cresceranno in
Italia e saranno la terza generazione, quella che si integrerà definitivamente nel nostro tessuto sociale così com’è sempre stato in tutti i
paesi occidentali e com’è avvenuto anche per noi italiani quando,
poverissimi, andavamo a cercarci una nuova vita negli Stati Uniti, nel
sud America, in Australia. Ce ne sono tantissime di Debbie nel nostro
paese. Hanno lasciato tutto ed hanno trovato noi. Ognuna di queste
donne ha una storia diversa ma in fondo simile. Vengono da un paese
con un’altissima percentuale di cattolici, che ci ha dato tantissimi
sacerdoti e suore. Ognuna di queste donne crede fermamente nella
Provvidenza, la stessa Provvidenza che ha a cuore il destino della
gente di Fede, in ogni parte del mondo.
-9-
IO TIFO
DONNE
Giulia
Bondolfi
Ho sempre amato le donne. Nonne, mamme, amiche a volte nemiche e, un po’ più avanti nella mia
vita, anche le sante. Ma nel mio futuro c’erano
solo uomini: capi ufficio, fratelli, marito e tre figli
maschi.
Poiché non credo nei casi penso che il buon Dio mi
abbia mandato un segno dal cielo: ”visto che con
le donne vai bene, vedi di imparare a rapportarti
ora in avanti soprattutto con gli uomini.”
E per me non è stata una cosa facile. Io con le
donne giocavo in casa, ho sempre avuto grande
facilità di dialogo, qualcosa che mi permetteva di
capirle dal primo sguardo. Sarà stata la scuola
femminile che ho frequentato fino alla fine delle
elementari o il meraviglioso coro di sole donne che
mi ha accompagnato fino ai miei vent’anni. Chissà!
Credo che grande merito di questo mio smisurato
amore per le donne sia da attribuire prima fra tutte
a mia nonna paterna, una donna all’avanguardia
per essere nata nel 1899 che ha sempre capito i
giovani e quindi un po’ anche me a vent’anni.
Ma il vero pezzo forte della mia passione per le
donne lo attribuisco quasi totalmente a mia
madre: una donna degli anni Trenta con splendidi
occhi verdi, bionda, sportiva, dinamica, bella dentro, che per la sua vitalità e modernità ancora oggi
farebbe invidia a tante ragazze.
E a lei che devo la mia spinta a studiare, a rendermi autonoma e indipendente senza mai tralasciare
però il mio essere donna, moglie e madre.
Nel corso del mio matrimonio, quando tendevo un
po’ a tralasciare i miei doveri familiari a favore del
lavoro o del divertimento, lei c’è sempre stata: era
lì dietro di me, pronta con dolcezza a ricordarmi
che la mia prima realizzazione, l’avevo scelta il
giorno in cui mi ero sposata. E anche se mia
mamma a tutt’oggi non si può proprio definire
una cristiana perfettamente osservante ( faccio
fatica a trascinarla a messa), credo che il suo
esempio nell’essere prima moglie e poi madre mi
sia stata di grande aiuto in tanti momenti del mio
matrimonio.
In questa prima fase dell’anno liturgico mi trovo
sempre di più a soffermarmi sulla figura di Maria
nostra madre e madre del Signore Dio nostro.
Che meraviglia le sue parole all’Annuncio
dell’Arcangelo Gabriele” Eccomi, sono la serva del
Signore, avvenga di me quello che hai detto».
E più avanti quando Gesù dodicenne scompare a
Gerusalemme, il suo essere madre in maniera
discreta, probabilmente non capendo fino in fondo
cosa sta accadendo a suo figlio, ma affidandosi
sempre alla volontà di Dio. Chissà se noi donne del
Duemila saremo minimamente capaci di avvicinarci a tanto amore per nostro Signore e aver tanto
rispetto per i nostri figli. Da quello che vedo in giro
non mi sembra proprio. Noi donne moderne tutte
indipendenti ed autonome dobbiamo fare molta
strada per emulare solo un pochino la santità di
Maria. Ripensando a tutte le donne della mia vita e
non solo nonne, mamme, sorelle, amiche, sante
fino ad arrivare a Maria, la donna per eccelenza, mi
capita di “innamorarmi” sempre di più del genere femminile che è capace di donare la vita e di
conservarla a fronte di tanti sacrifici.
Quindi Signore anche se hai messo sulla mia strada di adulta praticamente solo uomini, io continuo
a fare il tifo per tutte le donne.
CHE PALPITO
VIENE
SE ASCOLTI
LA PREDICA!
Miriam Aiello
(Pensieri tratti dalle
omelie di Don Paolo)
Una donna speciale:
Maria Immacolata,
Madre di Dio, Madre
Nostra
Il Signore ci protegge
con la sua ombra, non
abbiamo bisogno soltanto della sua luce, ma
anche della sua ombra.
La preghiera è passeggiare fianco a fianco con
il Signore. Anche noi,
così come la Chiesa,
possiamo
diventare
grembo fecondo, sorpreso, stupito, allo stesso
modo
della
Madonna.
Maria sa aspettare…
Niente è impossibile a
Dio! Maria è vaso ricolmo della Grazia di Dio.
Anche noi possiamo
essere pieni di grazia,
benedetti da Dio e
benedetti possono
essere i frutti delle
nostre opere, perché il
Signore è con noi!
Siamo felici perché Dio ci
ha scelti. Dio è con te,
Dio è imprevedibile,
Dio dà più di quanto
chiede, Dio è la migliore assicurazione sulla
vita e per di più gratuita!
Santa Madre di Dio
Il primo giorno dell’anno è dedicato alla
Madonna
2010
Maria, Madre
di Dio, prega per noi!
La nostra vita si basa
su certezze
assolute:siamo benedetti da Dio, siamo
eredi di Dio, di una
magnifica eredità che
non si divide, ma si
moltiplica; siamo
custodi del bene che
abbiamo ricevuto. Per
noi è possibile credere,
così come ha fatto
Maria di fronte al
mistero
dell’Incarnazione.
2009 Maria custodiva queste cose meditandole in cuor suo
Straordinario è custodire ciò che è ordinario,
straordinario è custodire la memoria di Dio,
straordinario è serbare,
trattenere, non dimenticare il bene ricevuto.
2008 Il tutto in
un frammento
Cerchiamo di sintetizzare, di essenzializzare
la nostra vita; la sintesi
è il contrario della
dispersione, l’essenziale è ordine e certezza.
La Madonna è per noi
esempio di vita.
2007 Mater
misericordiae
Mettiamoci sotto la
protezione della
Madonna e saremo forti
nella fede, pazienti
nella speranza, perseveranti nella carità.
Dio è pace, giustizia,
misericordia!
2006 Percorrerò i
tuoi passi
Auguriamoci di voler
bene a noi stessi.
Abbandoniamoci a Dio,
anche nella nostra
debolezza ed ogni volta
ricominciamo con gioia,
ottimismo, speranza.
Maria, la Madre di
Dio, è con noi!
Le nozze di Cana
Non hanno più vino…
Immaginiamo Maria
che strattona Gesù, è
infatti la Madonna che
tira Gesù per la tunica,
anticipando l’ora dei
miracoli.
Rivolgiamoci a Lei!
Quale vino mi manca?
Il vino della gioia, il
vino della fiducia?
Che cosa bevo? La vita
può “andare avanti”
anche senza vino, solo
con l’acqua o altre
bevande, ma va avanti
stancamente, senza
gioia. Quali sono i
miracoli che chiedo al
Signore? Chiediamo
al Signore di colmare le
mancanze dell’anima!
Gesù è lo sposo fedele
nella buona e nella cattiva sorte, nella gioia e
nel dolore, nella salute
e nella malattia, è Colui
che non ci abbandonerà mai, ma noi siamo
altrettanto fedeli?
Immaginiamo il banchetto delle nozze: noi
in quale posto staremmo? Tra i servi, tra i
testimoni, tra gli amici
oppure sentiamo di
poter essere al posto
della
sposa?Ricordiamoci che
nell’anello nuziale Gesù
ha scritto il nostro
nome e la data del
nostro incontro con Lui!
FEDE E COLF
Alessandra Angeli
Ogni tanto, girando per casa, ritrovo lettere
di denuncia, mai terminate né spedite, sulla
difficile situazione in cui vertono le famiglie
italiane circa il rapporto di lavoro domestico. Le colf, ora si chiamano così, sono difficili da trovare e, per contro, hanno la
capacità di dissolversi all’istante da casa
tua. Se hai figli ancora piccoli, assisti ad un
“fuggi fuggi” preventivo, nel senso che le
persone disponibili sono una rarità. Io mi
sono spesso rivolta ai centri Caritas:
“Come, tre bambini? Ah, signora mia! Non
ho nessuno che accetti questo tipo di lavoro! “ E con bonaria commiserazione ti dicono che tutte cercano occupazioni più semplici, persone anziane o case con genitori
ed un figlio solo. Col signor Vittorio, che
segue veramente bene il centro della
nostra parrocchia, tante volte ci domandiamo sconsolati quante di queste persone
abbiano veramente voglia di lavorare.
Perché indubbiamente una famiglia di cinque persone dà più da fare. Insomma, non
siamo competitivi, anche perché la crisi
sociale della famiglia è una realtà, la natalità è bassa e quindi per i collaboratori
domestici non è più la normalità supportare la vita di nuclei familiari “numerosi”. E
talvolta sono anche giustificati visto che
l’educazione dei ragazzini di oggi molto
spesso lascia a desiderare. Perciò passano
mesi prima di trovare la signora giusta,
dopo innumerevoli telefonate e tam tam;
appuntamenti a cui molte volte non si presenta nessuno senza il minimo preavviso;
prove di qualche giorno che poi finiscono
in fumo. Non ti puoi mettere in casa la
prima persona che ti capita, specie se hai
dei bambini; una volta c’era il libretto di
lavoro con i pregressi datori che fungevano da referenti. Ora sei costretto ad affidarti alle referenze che ti presenta la persona
di turno e che spesso ti lasciano interdetta,
perchè risalgono a due anni prima. Ti sforzi di capire chi hai veramente di fronte, cercando di decifrare discorsi in un italiano in
corso di apprendimento. Ed una volta trovata, quanto tempo ancora passa perché si
abbia una sufficiente affidabilità! Già agli
albori dei primi rapporti di lavoro mio marito ed io ci accorgemmo che ci stavamo
addentrando in una “giungla”: perciò decidemmo di iscriverci all’Assindatcolf, un’associazione che tutela i datori di lavoro fornendo consulenza e svolgendo tutte le pratiche di legge. E fu una scelta che negli
anni ha dato i suoi frutti, perché tra tutti i
problemi che le colf ci hanno procurato
non c’è mai stato un contenzioso. E’ un’occupazione che va rispettata, remunerata e
regolata al pari di tutte le altre, ma che purtroppo ha un’enorme handicap: il preavviso del lavoratore è praticamente ridicolo. A
fronte di un contratto di lavoro con tutta
una serie di obblighi e costi (che appesantiscono notevolmente il bilancio familiare),
consta di soli 8 giorni. In molte realtà lavorative, con più personale pronto a tamponare, sono previsti mesi di preavviso; nelle
famiglie, cellule base della società, l’unico
sostegno può abbandonare il suo posto in
un tempo talmente insignificante, che lo
stesso lavoratore spesso vi rinuncia, per
un sovvenuto maggior interesse, andandosene da un giorno all’altro. Ricordo Ligia
che, guarda caso, poco dopo averle rinnovato il permesso di soggiorno, mi comunicò che andava via perché era in arrivo il
fidanzato e avevano già trovato lavoro per
una coppia. E tu cosa fai? Come reggi gli
impegni di ogni tipo che hai preso e la routine di vita quotidiana, familiare e lavorati- 10 -
va, quando la “spalla di casa”, nel pieno
diritto conferitole dalla legge italiana, ti
molla in così breve tempo? Quanto sei
“ricattabile”, quanto timore hai quando
devi riprenderla perchè ha svolto male il
suo lavoro? Quante di noi abbozzano per
poter mandare avanti il “menage”? Se si
trattasse solamente di “fare le pulizie”,
tutto sommato sarebbe sempre un problema, ma meno grave. Quando hai bambini
non è così facile sostituire una persona
con un’altra, nonché colmare il loro dispiacere per la sparizione della signora a cui si
erano affezionati. Non avendo un lavoro
dipendente io mi sono sempre rimessa a
tempo pieno in casa, spesse volte anche
per l’insofferenza di vedermi circolare
intorno altra gente. Ma poi non ce la facevo, la vita è molto più complicata di un
tempo: bastava un piccolo imprevisto e gli
equilibrismi con cui mio marito ed io reggevamo il tutto venivano giù. Il lavoro, da cui
comunque non potevo completamente prescindere, chiaramente ne è stato danneggiato: risorse umane, ricchezza italiana
andata in fumo invece che in circolazione.
Non tutti hanno i nonni sempre disponibili:
tra una ritrovata gioventù, le distanze ed il
dividersi tra più figli e nipoti, non ci si può
contare a sufficienza. E quando loro stessi
hanno bisogno di assistenza si rimane
schiacciati tra due fronti. E poi ci si chiede
perché tante separazioni e così pochi figli;
perché molti non mettono su famiglia, perché tanti giovani sono allo sbando: anche
per questi motivi. In buona parte tutto ciò è
imputabile a noi donne che non dedichiamo più tutte le energie alla famiglia: ma è
anche vero che sempre più spesso lo si fa
per necessità, non più per scelta. Col passar degli anni la mia esperienza in fatto di
lavoro domestico si è affinata; il motto di
casa ormai è: “finchè dura siamo a galla”. I
figli stanno crescendo, danno una mano e
si accorgono loro stessi se in casa qualcosa non va. Di pari passo con la mia conversione ho imparato a gestire il tutto alla luce
della fede: a portare pazienza, a riprendere
con amabilità, talvolta con una battuta; a
gratificare il lavoro ben fatto; ad usare
calma e fermezza quando è necessario,
pregando prima perché la mia mente sia
illuminata; a farmi l’esame di coscienza
per evitare di essere troppo esigente o di
trovarmi in torto; a pregare per la signora
di turno e per quelle pregresse, condividendo con loro Rosari e pellegrinaggi.
Ho accettato mesi e mesi di “salti mortali”
come penitenza, dicendoGli: “Va be’,
aspetto il momento che tu vorrai per rientrare nella normalità e, per favore, quando
sarà, fammi trovare la persona giusta, tieni
il male lontano da casa mia”.
E non posso fare a meno di pensare a chi
sta “nella stessa barca”, perché tanti genitori saranno stati più bravi e fortunati di
noi, ma tanti altri potranno raccontare
esperienze simili alle nostre. E chi, ignaro,
sta mettendo su famiglia ora?
L’equivoco di fondo sta nel pensare che il
sostegno alla famiglia sia una mansione di
serie “z”, quando di fatto ogni suo squilibrio si ripercuote negativamente sulla
società. Non è necessario essere credenti
per accorgersi che viviamo in un clima di
forte decadenza un po’ in tutti i settori.
Ma per chi lo è, anche questo genere di
problemi si trasforma in una croce, pur se
non delle più pesanti, con cui alleviare lo
sforzo di Colui che la croce l’ha portata
veramente; da abbinare all’impegno, che
va al di là del dovere civico, di sforzarsi per
il bene comune.
Per questo voglio, in tempi migliori e con
un briciolo di pazzia, terminare quelle lettere e spedirle a chi di dovere, confidando
nel Signore.
RICORDANDO MIA MADRE
Pietro Gregori
Parlare della propria genitrice quando la stessa è deceduta da ben settantotto anni, non è un evento che capita facilmente, ma io sono purtroppo tra coloro che
hanno avuto la sciagura di vivere una esperienza di questo genere in quanto rimasto orfano a soli nove anni. Infatti una malattia del sistema linfatico se l’è portata via
dopo oltre un anno di sofferenze, lasciando anche due figli di me più piccoli.
Il suo nome era Adele. Nativa di Bagnaia, un paese del viterbese, faceva
parte di una famiglia piuttosto in vista, anche se non facoltosa, di quella località. La
sua nonna materna, Isabella Ojetti, era sorella dell’architetto Raffaele, a sua volta
padre del noto giornalista e scrittore, Ugo. La loro madre, Maria Boncompagni,
discendeva nientemeno, secondo una mia tesi suffragata da un documento di
alquanta rilevanza, dal papa Gregorio XIII, al secolo Ugo Boncompagni. Non molto
so della vita di mia madre anteriormente al matrimonio. Fu comunque lei a raccontarmi un episodio che costituisce una prova della sua sensibilità: accadde infatti un
giorno, che, trovandosi a scuola, una sua sorella fu punita dalla propria maestra, per
non so quale mancanza, mediante l’applicazione sulla faccia di una lingua posticcia
e fu obbligata in tali condizioni a fare il giro delle varie aule.
Inutile dire che mia madre a vedere l’umiliazione cui era stata sottoposta la
sorella, scoppiò in un pianto dirotto, mentre l’altra, per nulla turbata, rideva... Mi ha
anche raccontato che, quando aveva 19 anni, partecipò ad uno spettacolo organizzato dalle suore che aveva per soggetto la vita di S. Agnese. Lei stessa interpretò il
personaggio della santa ed al momento del “martirio”, mentre un angelo interpretato da un’altra sua sorella stendeva su di lei un grande velo nero, molta fu la commozione degli altri suoi familiari, alcuni dei quali non seppero trattenere le lacrime.
Qualche tempo prima del 1915 mia madre trovò un’occupazione presso le Poste di
Bagnaia dove tra l’altro imparò poi molto bene ad usare il telegrafo. Nei momenti di
calma, e credo che ce ne fossero parecchi, ella era solita sedere a ricamare fuori della
porta dell’ufficio. Con una sua collega di cui era molto amica prese l’abitudine di
recarsi, per diversi anni, a recitare il rosario -tutti i pomeriggi del mese di maggiopresso una cappelletta, la cosiddetta “Chiesola”, posizionata sullo spartiacque di una
collina a un buon chilometro di distanza dal paese. Il suo modo di parlare senza alcuna inflessione dialettale non lasciava affatto trapelare le sue origini paesane, al contrario di quanto invece avviene per molte signore della buona borghesia locale. Anzi
l’ho sentita più volte criticare, e piuttosto aspramente, il “vernacolo” di Bagnaia.
Parlare del carattere dei miei genitori è per me una impresa molto ardua soprattutto per la mia innata difficoltà ad esprimere certi concetti e a descrivere con proprietà un determinato tipo di sensazioni. Quello che comunque mi sentirei di affermare
è di essere convinto che tra i due chi aveva un temperamento più forte e volitivo,
seppure in qualche caso apprensivo, era senza meno mia madre, che fra l’altro si
mostrava in genere molto più dura ed esigente con noi bambini di quanto non lo
fosse, almeno finché lei è vissuta, mio padre. Certo, se, da una parte, la sua lunga
malattia ha forse in qualche modo accentuato quella sua rigidità, la sua precoce
morte mi ha per contro impedito di avere una conferma nel tempo di quanto mi sembra di poter asserire. Comunque i loro rapporti furono, per quanto mi è stato dato di
capire, sempre ottimi ed impostati alla migliore reciproca comprensione. Nei momenti felici, li ho sentiti talvolta canticchiare qualche canzone del loro tempo come ad
esempio quella, di cui non mi sovviene il titolo, che iniziava “Quando di maggio le
ciliege sono nere...”, oppure accennare a festose arie di operette, il che mi lascia supporre che debbono aver assistito a più di uno spettacolo del genere. Mi ha peraltro
stupito, quando in seguito me ne resi conto, il ricordo di averli più volte sentiti ripetere alcuni motivi di “Turlupineide”, la celebre rivista che fece epoca nei primi anni
del secolo scorso, in cui si prendevano in giro personaggi politici di quei tempi come
Giolitti e don Romolo Murri. Quanto alla religione, di fronte ad una fede intensa che
caratterizzava mio padre, credo di poter dire che quella di mia madre risentiva lievemente dell’ambiente familiare piuttosto tiepido in cui era vissuta, anche se gli episodi cui ho accennato potrebbero far credere il contrario. Mi piace ricordare al riguardo che a noi bambini, da piccolissimi, per un motivo difficilmente spiegabile con
poche parole, faceva fare il segno della Croce sostituendo il nome di “Gesù”
all’espressione “Così sia!”.
Altre abitudini particolari e modi di dire? Posso accennare al fatto che mia madre era
solita dividere le persone del suo stesso sesso in due categorie: quelle che portavano e quelle che non portavano il cappello, le prime delle quali non dovevano per lei
compiere taluni atti che invece si potevano perdonare alle seconde.
Come già detto, mia madre, da signorina, si applicava molto al ricamo, tanto che permangono ancora alcuni manufatti da lei confezionati o guarniti. Questa capacità la
mise in pratica anche dopo il matrimonio. Ricordo infatti di averla vista ricamare in
varie occasioni tende e tendine per finestre, fodere di cuscini, nonché alcuni vestitini per noi bambini.
Tra le varie pratiche che ci inculcò, ricordo che la sera, prima di coricarci, dovevamo
andare a baciare la mano tanto a lei quanto a nostro padre, chiedendo la loro “santa
benedizione”, che ci veniva concessa da entrambi con la sgrammaticata formula “Ti
benedica Dio e la Madonnina”, spesso pronunciata a mezza bocca.
Per quanto riguarda i miei rapporti con lei, debbo riferire che in più di una occasione, prendendo spunto, credo, da miei supposti successi scolastici, la sentii pronunciare, con malcelato orgoglio ma con evidente convinzione, queste tre parole: “E’
molto intelligente”. La cosa mi ha sempre lasciato piuttosto perplesso.
- 11 -
DONNE CRISTIANE IN IRAQ
Roberto Cavallo
In Iraq ogni donna non completamente
coperta dal hijab rischia di andare
incontro all’ira degli estremisti, che non
disdegnano rapimenti, fustigazione.
Le donne della minoranza cristiana
risultano essere le più colpite.
Non a caso l’agenzia di informazione
Asia News sul suo sito internet da spazio alla notizia secondo cui “Formazioni
estremiste sunnite e sciite in Iraq sono
in lotta su tutto, ma su un aspetto sembrano concordare: la persecuzione dei
cristiani”. Così raccontano alcuni fedeli
da Baghdad. Nella capitale circola una
lettera, che intima alle donne cristiane
di indossare il velo pena la segregazione domestica. La firma è dell’Esercito
del Mahdi, la milizia di Moqtada al-Sadr,
l’imam radicale sciita iracheno, che gli
Usa considerano la più grande minaccia
alla sicurezza del Paese.
Finora era stato il gruppo sunnita dello
“Stato islamico dell’Iraq” a siglare le
azioni più violente contro la comunità
cristiana: dall’imposizione della jizya la tassa di “compensazione” chiesta dal
Corano ai sudditi non-musulmani - agli
espropri di case e possedimenti, alle
conversioni forzate all’islam…”
Quindi non stupisce che quelle ragazze,
considerate poco osservanti in base al
loro abbigliamento, vengano rapite.
In qualche caso il rapimento finisce in
uno stupro di gruppo, e comunque sempre con insulti, botte e lividi.
La polizia irachena non sempre ha le
forze o la volontà di occuparsene.
Le testimonianze sui rapimenti delle
ragazze di Baghdad avvenuti negli anni
scorsi sono però vere e numerose; oltre
che un business criminale costituiscono
uno strumento di islamizzazione, specialmente se praticato nei confronti di
ragazze appartenenti alle minoranze
cristiane. In un articolo pubblicato sulla
rivista “Io Donna” (cfr. “Il ratto di
Hasma”, di Andrea Nicastro, pagg. 143144), leggiamo: “Si parla anche di tratta delle schiave, di vergini vendute agli
harem che viaggiano a dorso di cammello nel deserto. Una sarebbe tornata
dopo tre giorni, “intoccata” grazie al
pagamento di un riscatto. Un’altra è
scomparsa e non se ne sa più nulla”.
Anche nel Kurdistan iracheno la condizione sociale delle donne lascia molto a
desiderare, con aspetti talora raccapriccianti. Per sfuggire ad una vita fatta
di matrimoni imposti e di schiavitù
familiari molte ragazze kurde (si parla
di centinaia ogni anno) si levano la vita
dandosi fuoco.
UNA DONNA:
EDITH STEIN
JANE CLACSON: UNA RAGAZZA AMERICANA
Roberto Vecchione
Predisporre un articolo sulle
donne in una visione cristiana,sociale, etica e morale
può costituire l’occasione
per pensare alla figura di
Edith Stein, cioè di Santa
Teresa
Benedetta
della
Croce, nata il 12/10/1891 a
Breslavia ed uccisa nelle
camere a gas del campo di
concentramento di Auschwitz il 9/08/1942, canonizzata dal Papa Giovanni Paolo II l’11/10/1998 e nominata compatrona d’Europa.
Edith Stein s’interessò molto anche di questioni
riguardanti le donne e nei suoi numerosi scritti analizzò la situazione femminile, con particolare riferimento
all’aspetto filosofico e a quello teologico. Nel primo
caso la Stein affrontò il problema dell’alterità, cioè del
rapporto fra la propia soggettività e quella altrui,
tenendo conto delle tre dimensioni dell’essere
umano:1) quella corporea, 2) quella della psiche,
3)quella dello spirito.
L’uomo e la donna sono uguali perchè entrambi esseri
umani,ma diversi, oltre che nel corpo, nel loro rapporto con l’anima e con lo spirito; nella specie femminile
vi è unità e sviluppo armonico delle funzioni, in quella
maschile è presente generalmente una più accentuata
elevazione delle singole energie.
La Stein vuole dire che la donna per sua natura ha una
particolare sensibilità a conoscere ogni oggetto nel suo
valore specifico, l’uomo ha un innato impulso a conoscere fino al punto di impossessarsi dell’oggetto conosciuto per adattarlo secondo i suoi desideri.
Nel suo volume “La donna” la Stein affrontò ed analizzò il tema della vocazione, cioè della chiamata di Dio, la
scoperta e l’individuazione della cosiddetta anima spirituale; la ragione dell’uomo può arrivare a capire quasi
totalmente il significato della natura umana, ma le questioni ultime non possono essere risolte se non con
l’ausilio della Rivelazione; la questione femminile può
essere compresa anche e soprattutto attraveso l’interpretazione delle Scritture; sotto il profilo teologico
l’aspetto intellettuale, morale e religioso sono tutti
determinanti per comprendere l’essere umano nel suo
rapporto con Dio, che può essere solo di amore e
secondo il dogma trinitario.
Un funzionario che conobbe Edith Stein nei campi di
concentramento nazisti disse che durante una conversazione Lei sostenne che se anche il mondo è formato di opposti, alla fine nulla resterà di tali contrasti perchè solo un amore grande resterà. Nei suoi scritti
Edith Stein ci fa comprendere come il reale nella sua
natura ontologica non è che una successione di
momenti discendenti da Dio alle creature e dal creato a
Dio.
Il dibattito filosofico fra chi sostiene l’antropocentrismo (secondo cui l’universo è stato creato in funzione
dell’uomo,che pertanto ne costituisce il centro) o invece il teocentrismo (che pone Dio come centro e fine di
ogni pensiero e attività umana) è questione che può
non riguardare la mente dell’uomo, mentre è essenziale per il cristiano la grazia di Dio; per raggiungerla
deve ipegnarsi nelle opere
l’essere umano
buone,senza aspettare la contropartita, deve essere
utile a se stesso e agli altri, deve sentire la creazione
come un mezzo per approfondire il suo rapporto con
Dio e deve essere infine in grado di difendere la sua
anima spirituale dal male esistente in se stessi e nella
società, sforzandosi di rimanere puro sempre e comunque, soprattutto di fronte alle ingiustizie, ai soprusi,
alle meschinità e alle idolatrie della vita quotidiana.
- 12 -
11/9/ 2001:
Come ha potuto Dio permettere
che avvenisse
una sciagura
del genere?
La risposta che
ha dato Jane Clacson, ragazza orfana a causa della tragedia delle Twin Towers, ad una Tv americana è estremamente profonda e intelligente ed è anche valida anche
per tutte le tragedie terrestri.
“Io credo che Dio sia profondamente rattristato da questo,
proprio come lo siamo noi, ma per anni noi gli abbiamo
detto di andarsene dalle nostre scuole, di andarsene dal
nostro governo, di andarsene dalle nostre vite. Ed essendo Lui quel gentiluomo che è, io credo che Egli con calma
si sia fatto da parte, anche se continua ad amarci, nonostante tutto! Come possiamo sperare di notare che Dio ci
dona ogni giorno la Sua benedizione e la Sua protezione se
Gli diciamo: “lasciaci soli”? Considerando i recenti avvenimenti: attacchi terroristici, sparatorie nelle scuole... ecc.
penso che tutto sia cominciato quando 15 anni fa Madeline
Murray O’Hare ha ottenuto che non fosse più consentita
alcuna preghiera nelle nostre scuole americane e le abbiamo detto OK. Poi qualcuno ha detto: “è meglio non leggere la Bibbia nelle scuole” (la stessa Bibbia che dice, Tu non
ucciderai, Tu non ruberai, ama il tuo prossimo come te
stesso) e noi gli abbiamo detto OK. Poi, il dottor Benjamin
Spock ha detto che noi non dovremmo sculacciare i nostri
figli se si comportano male perché la loro personalità
viene deviata e potremmo arrecare danno alla loro autostima, e noi abbiamo detto “un esperto sa di cosa sta parlando” e così abbiamo detto OK. Poi, qualcuno ha detto che
sarebbe opportuno che gli insegnanti e i presidi non puniscano i nostri figli quando si comportano male, e noi
abbiamo detto OK. Poi alcuni politici hanno detto: “Non è
importante ciò che facciamo in privato purché facciamo il
nostro lavoro” e d’accordo con loro, noi abbiamo detto OK.
Poi qualcuno ha detto: “Il presepe non deve offendere le
minoranze”, così nel famoso museo Madame Tussaud di
Londra al posto di Maria e Giuseppe hanno messo la Spice
girl Victoria e Beckham e noi abbiamo detto OK. Poi qualcuno ha detto: “Stampiamo riviste con fotografie di donne
nude e chiamiamo tutto ciò “salutare apprezzamento per
la bellezza del corpo femminile””. E noi gli abbiamo detto
OK. Ora ci chiediamo come mai i nostri figli non hanno
coscienza e non sanno distinguere ciò che è giusto da ciò
che è sbagliato. Probabilmente, se ci pensiamo bene noi
raccogliamo ciò che abbiamo seminato”. Buffo come è
semplice per la gente gettare Dio nell’immondizia e meravigliarsi perché il mondo stia andando alla rovina! Buffo ...
come crediamo a quello che dicono i giornali, ma contestiamo ciò che dice la Bibbia. Buffo come tutti vogliono
andare in Paradiso, ma al tempo stesso non vogliono credere, pensare e fare niente di ciò che dice la Bibbia. Buffo
come si mandino migliaia di barzellette che si propagano
come un incendio, ma quando si incomincia a mandare
messaggi che riguardano il Signore, le persone ci pensano
due volte a scambiarseli. Buffo come tutto ciò che è indecente, scabroso, volgare e osceno circoli liberamente
ovunque mentre le discussioni pubblicate su Dio siano
state soppresse a scuola o sul posto di lavoro.
Buffo come a Natale nelle scuole la recita per i genitori non
possa più essere sulla natività ed al suo posto venga proposta una favola di Walt Disney. Buffo come si stia a casa
dal lavoro per una festività religiosa e non si conosca nemmeno quale sia la ricorrenza. Buffo come qualcuno possa
infervorarsi tanto per Cristo la domenica, mentre è di fatto
un cristiano invisibile durante il resto della settimana.
Buffo che quando inoltri questo messaggio tu non ne dia
una copia a molti di quelli che sono nella tua lista degli
indirizzi perché non sei sicuro del loro credo o di cosa penseranno di te per il fatto di averglielo mandato. Buffo
come posso essere più preoccupato di ciò che pensa la
gente di me piuttosto che di ciò che Dio pensa di me.
Lo disse un giorno anche Don Bosco ad un gruppo di seminaristi di Roma...”
REALTA’ AL FEMMINILE
SURFANDO SU INTERNET
Sandro Morici
Questo numero di Arrivano i Nostri è
dedicato alle “donne” o, come vorremmo interpretare, in omaggio “alla femminilità”. Sicuramente tante amiche ed
amici hanno messo per iscritto i loro
punti di vista, dicendoci delle loro belle
esperienze con nonne, mamme, mogli e
(forse) suocere. Lascio a loro le opportune confessioni sull’eterno femminino,
magari in compagnia delle attuali
“Donne di cuori” di Bruno Vespa, mentre io, con un piccolo e azzardato salto
di fantasia, vorrei parlarvi di immagini femminili immateriali, di astrazioni concettuali, che però ci sono alquanto abituali.
E tra questi soggetti di genere femminile vorrei soffermarmi, così a caso,
su tre nomi-simbolo della nostra società: la casa, la famiglia, la Chiesa,
tutti appunto di genere femminile.
La casa è forse l’icona più cara della nostra esistenza, il centro dove il
vissuto ha trovato tenerezza, calore, affetto, ma anche condivisione di
dolore e qualvolta anche tristezza. La casa come luogo primordiale di
solidarietà, perché da sempre lì si procrea e si crea la famiglia. La casa
come bene primario, da conquistare appena si raggiunge la maturità e
l’indipendenza economica, ma anche da tutelare e da conservare, magari a costo di pesanti sacrifici per pagare le rate del mutuo bancario o le
richieste esagerate di un idraulico poco onesto. Alla casa siamo attaccati, anche se oggi è fatta con tanti materiali e prodotti della più avanzata
chimica industriale (in nome della cosiddetta eco-compatibilità….) e non
più con calce e mattoni, e non più arredata con grezzi mobili in legno
massiccio ma con qualche bel laminato “made in Sweden”. Ci piace così
la casa, la riempiamo di oggetti di ogni genere e forma, mentre arrediamo cucine con sofisticati robot e luccicanti attrezzi, ma poi….paradossalmente, appena si può…si scappa per andare fuori”, magari in qualche
localino dalle dubbie condizioni igieniche. Certo, la casa è e dovrebbe
restare simbolo di unione, anche se in circostanze spesso frequenti l’armonia si spezza e scoppiano le guerre coniugali, magari in presenza di
bambini.
E già, perché proprio a quei momenti di devastanti scossoni all’immagine della parola “famiglia” va associata ineluttabilmente quella di vittime
innocenti. Minori ai quali vengono inferte profonde ferite psicologiche e
che nel migliore dei casi vengono di fatto allevati da nonni amorevoli, ma
spesso rattristati. Bambini e ragazzi confusi per eventi più grandi di loro,
ai quali vengono meno certezze e trasmissione di valori. E qui si apre un
capitolo tanto controverso della nostra società, relativo all’emergenza
educativa, che investe i rapporti intergenerazionali e che coinvolge l’istituzione familiare in toto, anche dove si respira un’atmosfera apparentemente pacifica. La famiglia oggi, nell’opulento e sonnacchioso Occidente,
viene subdolamente distolta dai grandi compiti che la storia le ha assegnato: formare coscienze critiche e responsabili riguardo limiti e regole;
indicare chiari criteri etici di distinzione tra il vero e il falso, tra il bene e
il male; creare, sviluppare e trasferire un clima di autentico amore dentro e fuori le mura domestiche. Quali potrebbero essere le possibili
cause? Probabilmente l’eccesso di indifferenza o di ricerca effimera del
nuovo, i diffusi stati depressivi, le autoaffermazioni esasperate. Eppure
prenderne atto, reagire propositivamente, dare fiducia all’intelligenza
umana e alla sensibilità dei giovani, sono tutti elementi che fanno ben
sperare. E poi, siamo ancora convinti di parlare di “crisi della famiglia”?
E se ci fosse una “crisi del divorzio”, con tutti i problemi affettivi, i disagi economici, le crisi di coscienza, le difficoltà nella gestione della quotidianità che esso comporta?
L’uomo, in questo suo forsennato stato confusionale, che Ehrenberg definisce “allarme da non sapere più chi è chi”, va forse in cerca di un po’ di
pace nel cuore.
E chi da oltre duemila anni ha parlato e continua a predicare pace e giustizia alle genti? E’ l’altra faccia della società, è l’umanità buona che si
raccoglie in comunità nella Chiesa, con tutti i suoi titoli di “cattolica,
apostolica, romana e Santa Madre”.
E così il cerchio delle tre parole-simbolo si chiude. Si chiude nella realtà
di una Chiesa che apre tutti i giorni le porte delle sue parrocchie e delle
sue strutture a grandi e a piccoli, a bisognosi e a malati.
La Chiesa che va in giro per il mondo ad incontrare il prossimo attraverso le opere propositive dei missionari, che organizza le Giornate Mondiali
della Gioventù, che fa sentire la sua voce quotidiana con l’Osservatore
Romano ed Avvenire, che scrive in innumerevoli pubblicazioni , libri,
encicliche e lettere pastorali, che parla ogni giorno a Radio Vaticana o a
Radio Maria, che ha i suoi siti web e network globali come
www.ewtn.com, che fa riferimento a certi sani programmi trasmessi su
Telepace, TV 2000 e Telepace International (i nostri antidoti al Grande
Fratello e similari).
Mi fermo qui: a voi, care/i amiche/ci, lascio il doveroso spazio per le
vostre ulteriori, attente e lucide riflessioni. Fatele liberamente, al femminile e/o al maschile!
- 13 -
Articoli, frasi, notizie, citazioni ed altri
piccoli furti sul web
DONNE, DIRITTI,
STORIA E VIOLENZA
I tempi sono cambiati ma la donna a volte
è ancora succube dell’uomo. Nella Genesi,
anche se in modo semplificato e biblico,
viene spiegata l’uguaglianza tra l’uomo e
donna : “Dio tolse una costola all’uomo e
plasmò la donna”. L’uomo allora disse:
“Ella è carne della mia carne, ossa delle
mie ossa.” Eppure nella storia la donna è
sempre stata considerata inferiore e
doveva occuparsi dei lavori domestici e
dell’allevamento dei figli, non aveva diritto alla vita politica e nel medioevo veniva
perfino accusata (senza prove concrete)
di magia e bruciata sui roghi. Nell’800 le
donne erano solo belle cose da proteggere e amare, ma non erano al pari degli
uomini. In un noto romanzo dell’epoca
(Dracula) era scritto (la frase è simile)
“Ella ha cervello da uomo” , come se la
donne fossero più stupide. A fine ‘800 e
inizio ‘900, le donne iniziarono ad opporsi
a queste ingiustizie, basti pensare alle
“suffragette” , nomignolo dispregiativo
alle donne inglesi che chiedevano il voto,
o suffragio, (con manifestazioni e a volte
con battaglie violente) ma solo nel 1946
poterono votare. In molti pensano che di
donne importanti nella storia ce ne sono
poche. Sono meno degli uomini ma nessuno si ricorda mai di Cleopatra, Giovanna
d’Arco, Amelia Earhart (la prima donna a
volare nel 1928) , Anna Kuliscioff (guidava il partito socialista all’epoca delle “suffragette”), Valentina Tereshkova (la
prima donna nello spazio nel 1963). Molte
hanno anche vinto premi Nobel: Madre
Teresa di Calcutta per la pace, Rita Levi
Montalcini che scoprì il fattore di crescita
nervoso negli anni ‘50, Marie Curie, due
volte Nobel per la fisica e per la chimica,
fu anche la prima professoressa in un’univeristà francese. Queste sono solo alcune
tra le più conosciute ma la lista è lunga.
Ancora oggi molte continuano a subire
violenza, sia domestica che sessuale. Il
69% degli stupri sono opera di partner,
mariti o fidanzati. In Europa il 12-15%
subisce quotidianamente violenze domestiche la prima causa di morte ancora
prima di cancro, guerre e incidenti. Io
credo che la gente debba sapere queste
cose, la donne non sono oggetti, chi lo
pensa è un ignorante. Senza la presenza
delle donne con diritti al pari degli uomini
nella vita sociale, mancherebbe qualcosa.
Lettere alla Redazione
DAL WYOMING
ALLE NOZZE
DI CANA
LA “MAMMA”, UNA “DONNA”
Ho aperto a caso, l’agenda del 1993, strapiena di annotazioni e riflessioni. Mi è capitato il foglio datato «8 maggio»,
sul quale leggo una sola annotazione: «Mamma, come vorrei averti vicino...!!!». Mi soffermo su quanto scritto, quell’ormai lontano giorno, con rinnovata tristezza, mentre mi
vengono in mente, non soltanto il ricordo della mia adorata Mamma, ma anche, riflessioni sulle tematiche della
donna nella società dì oggi, nei confronti di un tempo. Oggi
la donna viene a far pane della società, in maniera più
diretta, e, cioè occupando posti di lavoro, anche importanti, e, affiancando gli uomini in settori che un tempo erano
«strettamente» a loro riservati. Ma è, altrettanto vero,
anzi indubbio, che la «DONNA», ha avuto sempre, e. continuerà sempre, ad affrontare, quotidianamente, con coraggio e dignirà.che nel suo significato etmoiogico. vuoi dire
«padrona di casa», dal latino «domina», ed. anche
«sposa». ed, aggiungo «MAMMA», un ruolo oltremodo importante nella nostra vita: ruolo, mai cambiato nei corso
dei secoli. Il «centro» della donna, infatti, sia essa casalinga. impiegata o inserita nel contesto economico-in-dustriale della società, è, e rimarrà, sempre quello attorno al
quale è organizzata la vita familiare.
Infatti, senza alcun dubbio, la donna svolge, nella famiglia, la funzione di perno, di continua coesione: è, lei, che
deve educare i figli, gestire l’andamento della casa e far si
che tutto funzioni nell’ambito delle pareti domestiche, non
permettendo, per quanto possibile, che forze esterne vengano a turbare l’equilibrio familiare stesso. Anche l’uomo,
è pur vero, ha un ruolo determinante nella famiglia, ma, gli
uomini, i padri, i figli, vivono e ragionano, a volte, in base
al principio del vivere e perdere e i migliori si battono per
restituire dignità ai perdenti. Le «donne», invece, non
vogliono vincere e perdere: esse cercano, sempre, di realizzare nella famiglia un rapporto di autentico e duraturo
amore, basato su realtà concrete, in nome di una vera crescita spirituale e materiale della quale i figli sono i legittimi fruitori . Tutto questo, ha origine, senza alcun dubbio,
dal privilegio che ha la donna di essere «Madre». Ed è, a
questa «MADRE», ossia a colei, alla quale diamo il bel
nome di «MAMMA», che, oggi desidero dedicare queste
mie amorevoli riflessioni. Il nome «MAMMA», ridesta,
infatti, in ciascuno di noi, tanti piacevoli e nostalgici ricordi. «MAMMA», è la prima parola pronunciata da ogni bambino, e forse, da ogni essere umano, l’ultima della sua vita.
Poeti, scrittori, musicisti, da sempre, hanno scritto. parlando e ricordando, con parole piene di tenerezza, questa cara
figura, ed ognuno di noi, quando vede una donna, dovrebbe riflettere e «vedere» in lei, una «mamma», o «in fieri»,
o attuale, o passata: tutti dovremmo contribuire per dare
apporto ed un sostegno, in ogni stagione, a questa
«mamma». Il giovane ragazzo, il figlio adolescente, lo
sposo maturo o i figli adulti: il primo che si appresta alla
giovane per sceglierla, con serenità e consapevolezza,
quale sposa e mamma della sua futura famiglia; il secondo
che deve esprimere il suo amore verso la sua mamma, con
le opere più che con le parole, allietando con il sorriso l’ambiente familiare e dando conforto e sostegno a lei che deve
affrontare i non pochi sacrifici in seno alla famiglia; e gli
altri, in particolare, quando, la mamma, diventata
«NONNA», dopo un’esistenza «donata», alla famiglia
tutta, ha bisogno di maggior affetto e comprensione da
parte dei suoi beneficiati. Queste ed altre cose potrei
aggiungere pensando a questa dolce creatura: sulla «mia
mammina» (che vorrei avere ancora vicino) e su tutte le
«MAMME-del mondo. Ritengo, invece, di concludere, con
una invocazione, un augurio, e cioè: che Dio benedica, ogni
mamma, che si sforza di compiere il suo dovere in seno alla
propria famiglia, trascinando sempre, con il suo esempio e
la sua saggezza, tutti i membri che la compongono.
Ludovico Perroni
Alfredo Palieri
Lo stato del Wyoming, quello
del
famoso
parco
di
Yellowstone dove vive l’orso
Yoghi, è stato il primo degli
Stati Uniti a concedere il voto
alle donne, nel lontano 1924,
anno importantissimo anche
perchè è quello in cui è nato
il sottoscritto. Ma quante
battaglie per arrivarci !
Molte donne nei secoli passati hanno vissuto in schiavitù e molte ci vivono ancora oggi, in tanti paesi
soprattutto orientali.
Non è incredibile solo pensarlo ?
I Germani, invece, che venivano chiamati barbari, in
questo settore non erano barbari proprio per niente
poiché hanno riconosciuto da subito grande importanza alle donne perché da esse discendeva la vita.
Tante donne hanno lasciato impronte fantastiche nei
secoli. Le cito a casaccio. Caterina da Siena, patrona
d’Italia, pur illetterata, è invece ”dottore della
Chiesa” per la qualità dei suoi interventi presso il
Papa, quando ne sollecitava il ritorno ad Avignone.
Teresa d’Avila, nel tormentato periodo della
Controriforma. Giovanna d’Arco, santa e patrona di
Francia. Boudicca, regina della Britannia, che si
immolò con le figlie combattendo contro i Romani.
Maria Festa, madre di famiglia numerosa, alla quale
accudiva in parallelo alla professione forense a Trani.
Eleonora d’Arborea, gli importanti “Giudicati” sono
opera sua. Madame Curie, Levi Montalcini, Margherita
Hack, donne dedite alla scienza. E infine la più importante di tutte le donne, Maria. “Tu sei colei che l’umana natura nobilitasti si che il tuo Fattore non disdegnò
di farsi Tua creatura !” Esempio di altissima umiltà e
intelligente sensibilità. Ha scoperto la sua missione
gradualmente. Il figlio dodicenne le aveva detto che
Lui doveva occuparsi delle cose del Padre suo.
Ma, diciotto anni dopo, alle nozze di Cana, come è
stato spiegato nell’omelia di qualche domenica fa,
quando disse “fate tutto quello che Gesù vi dirà”
ebbene, oltre al fatto di accontentare quegli sposi
disorientati per la mancanza del vino, Maria aveva
veramente capito che la missione di Gesù sarebbe
andata ben oltre il semplice miracolo del vino…
SORRISI
Gregorio Paparatti
Per errore una segretaria ha
cancellato il testo di una
lunga lettera che aveva
appena finito di scrivere al
computer. Sapendo che il
Capo voleva la lettera con
urgenza,tenta di cavarsela
con una battuta umoristica:
“Signor Direttore” – gli dice
sorridendo .–” lei non ha mai
commesso una grossa sciocchezza?”
“Come ha fatto a saperlo?
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Grazie per avermelo ricordato. domani è il mio anniversario di matrimonio.”
Durante un’interrogazione
di italiano il professore
domanda ad un alunno: “Che
differenza c’è tra l’ignoranza
e l’indiferenza?”
“Professore, personalmente
non lo so e non me ne importa!”
Un tale in visita ad un amico
malato, si stupisce nel vedere sul comodino due bicchieri,uno pieno d’acqua e l’altro
vuoto.
“Be’, sai “ – spiega il malato
– è che quando mi risveglio
la notte a volte ho sete ed a
volte no!”.
AGATA, LA DONNA
CHE OGNI
CATANESE AMA!
sant’Agata si consacrò a Dio già all’età di 15 anni .Intorno
all’anno 250 il
Celina Mastrandrea
Agata, il nome che
tra i sette di donna
pubblicamente la loro fede, si invaghì della giovane e bella
Agata e, saputo della consacrazione, le ordinò, senza suc-
risuona
cesso, di ripudiare la sua fede e di adorare gli dei pagani.
inseriti
Al rifiuto deciso di Agata, il proconsole la affidò per un mese
alla custodia rieducativa della cortigiana Afrodisia e delle
pale preghiera eucaristica in
sue figlie, persone molto corrotte. Il fine di tale affidamen-
uso nella Chiesa cattolica,
a
Lucia,
to era la corruzione morale di Agata, attraverso una conti-
Agnese,
nua pressione psicologica, fatta di allettamenti e minacce,
Cecilia , Anastasia, e ancor
per sottometterla alle voglie di Quinziano. Ma Agata a que-
prima Felicita e Perpetua! Che
sti attacchi perversi che le venivano sferrati, contrappose
donne! Che sante! Gloria di
Dio nel Cielo e sulla terra!
Di loro conosciamo
forse troppo poco, ma certo è che la
loro vita ha tanto da dirci dell’Amore di Dio per tutti e per
ciascuno. Sono le “modelle” a cui ogni donna
dovrebbe
guardare ,a cui dovremmo voler assomigliare ogni giorno di
più! Girando per le vie della città di Catania tra il 3 e il 5
febbraio il nome di Agata risuona con una attualità straordinaria! E’ una memoria che si fa presente , una storia di cui
tutta la città conosce il mistero e la grandezza, la storia di
una santa che ha salvato più e più volte gli abitanti di questa città a cui appartiene. E’Infatti il 5 febbraio la solenni-
tà di Sant’Agata, giovane martire che offrì tutta se stessa
a Dio affrontando coraggiosamente torture e martirio. La
città è in festa, un’indescrivibile euforia serpeggia per ogni
dove. Colori, luci, suoni, animano vie e vicoli, profumi si
spandono, attrazioni di ogni genere catturano l’attenzione
senza che più nessuno faccia caso se sia ancora giorno o
notte inoltrata. Importante è andare dietro S. Agata! Il
busto che la rappresenta e il reliquario vengono portate per
le vie del centro e della periferia dai “devoti”, una processione interminabile di gente di ogni età, uomini, donne,
bambini che vestono il “sacco” bianco cinto ai fianchi, un
berretto nero in testa e l’ effige
della santa sul petto.
Sicuramente c’è tanto folklore e leggenda olltre la quale
però è possibile respirare una certezza : l’amore dei cittadini catanesi per questa Santa assunta a simbolo di una sicilia che non vuole arrendersi al male. E a dispetto forse di
quanto di negativo è stato esasperatamente portato in luce
dalla trasmissione televisiva
“Report” proprio lo scorso
anno in coincidenza di questa ricorrenza, sono testimone
che la festa di questa santa va assolutamente oltre quella
che sembra essere solo un sorta di “follia” collettiva che
asservirebbe esclusivamente i capricci della mafia per
ingraziarsela. Dopo aver respirato per anni quell’aria anche
quest’anno ne ho voluto rivivere la bellezza e ho ritrovato
ancora quella sana espressione di fede della
gente che
respiravo da bambina. Sì, perchè Agata è la santa patro-
na della città che vigila lassù per le nostra sorte. E se Lei
sta a cuore a noi, noi stiamo sicramente nel suo cuore!
Diversamnete questo culto si sarebbe spento nel tempo e
sbiadito
giunto alla sede di
peratore Decio che chiedeva a tutti i cristiani di abiurare
nel Canone romano, la princiinsieme
proconsole Quinziano
Catania anche con l’intento di far rispettare l’editto dell’im-
nelle sue manifestazioni rimaste invece sempre
ferventi. La liturgia ne esalta la grandezza esaltandone le
eroiche virtù. Della sua vita si hanno notizie certe
come
attestano fonti storicamnete attendibili. Per questo vale
davvero la pena, a proposito di donne, conoscerLa almeno
un po’! Agata il cui nome dal greco significa la buona, ebbe
i natali appunto a Catania da una famiglia ricca e nobile
l’assoluta fede in Dio; e pertanto uscì da quella lotta vittoriosa e sicuramente più forte di prima, tanto da scoraggia-
re le sue stesse tentatrici, le quali rinunciarono all’impegno
assuntosi, riconsegnando Agata a Quinziano.
Rivelatosi inutile il tentativo di corromperne i princìpi
Quinziano diede avvio ad un processo e convocò Agata al
palazzo pretorio. Memorabili sono i dialoghi tra il proconsole e la santa che la tradizione conserva, dialoghi da cui si
evince senza dubbio come Agata fosse edotta in dialettica
e retorica. Breve fu il passaggio dal processo al carcere e
alle violenze con l’intento di piegare questa forte donna..
Inizialmente venne fustigata e sottoposta al violento strappo di una mammella. La tradizione indica che nella notte
venne visitata da San Pietro che la rassicurò e ne risanò le
ferite. Infine venne sottoposta al supplizio dei carboni
ardenti. La notte seguente l’ultima violenza, il 5 febbraio
251 Agata spirò nella sua cella. Da quel giorno la storia di
S.Agarta e quella della città di Catania son rimaste un’unica
storia che continua. Più e più volte infatti la città ha fatto
ricorso alla sua protettrice dinanzi alle minacce di morte
dell’eruzione dell’Etna e del flagello dei terremoti. La devozione alla santa ha intenerito il cuore di Dio che , provvido,
per intercessione della Santa ha concesso a questa città e
ai suoi abitanti di sopravvivere. Ci sarebbe da raccontare
molto sui miracoli noti di questa santa e chissà quanti ne
ottiene ancora a nostra insaputa!
In Italia la devozione a questa santa è diffusissima:
Cremona, Firenze, Roma, dove a Lei sono dedicate due
chiese:S.Agata dei Goti e S.Agata alla Suburra, a Trastevere
e in molte altre città, è tra l’altro patrona anche della
Repubblica di S. Marino.
Mi piace concludere riportando le espressioni che nel solenne pontificale di giorno 5 ha pronunciato qust’anno il cardinale Giovan Battista Re: La giovane Agata ha testimoniato la fede, l’onesta della vita, l’amore a Dio, i valori più alti
e per essi fu disposta a morire pur di non rinnegarli.
Nei nostri giorni c’è una forma più indiretta e sottile di persecuzione!
Oggi è richiesto il martirio della coerenza e dei valori cristiani”. A tutte le donne dunque l’invito a guardare a lei che
ci insegna a vincere il male con il bene perchè il Signore
risorto vivo ce ne dà la forza! E allora come si grida a
Catania per tre lunghi giorni; “Cittadini, Viva S.Agata!”
Tu che splendi in Paradiso,
coronata di vittoria,
Oh Sant’Agata la gloria,
per noi prega, prega di lassù »
intorno al 230 d.C. Secondo la tradizione cattolica
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(Canto a Sant’Agata) :
TANTI AUGURI
LAURA E VALERIO !!!
Nel prossimo numero:
LA MUSICA
PER NOI
Sabato 30 gennaio 2010, alle ore 11,
i nostri amici e catechisti Laura
Santoli e Valerio Vecchione si sono
uniti in matrimonio. Il rito è stato
celebrato nella nostra parrocchia di
S. Pio X alla presenza di numerosi
amici e parenti. Alla coppia e ai loro
genitori vanno gli auguri di tutti noi
di “Arrivano i Nostri”.
Canzoni, cantanti, cantautori, direttori
d’orchestra, compositori, concerti, radio,
mangiadischi, cassette, CD, MP3, opera,
operetta, musica classica, chitarre, pianoforti, organi, percussioni, clarinetti, canti
in Chiesa, in gita, in pellegrinaggio, sotto la
doccia, in montagna, canti d’Africa,
Festival di Sanremo, Canzonissima,
Cantagiro, Juxe Box, balli, balletti, ballerini, etc..etc....
Evviva gli sposi !
Suor
Francesca
Pittarello,
da 18 anni
missionaria
nel Burkina
Faso.
Lo scorso
anno, con 9
mila euro
ricevuti dalla
Caritas, ha
comprato 15 carrozzelle per neonati, 3 carri, 4 asini, 2 buoi,
1 aratro, 1 protesi per un portatore d’handicap.
In più ha donato denaro a 13 famiglie bisognose.
Elisabeth Garrett
La fotografa americana Margaret Bourke-White
in cima al Chrysler Building nel 1930.
Combattendo contro il
perbenismo e l’ostracismo
maschile dominante dei suoi
tempi, divenne il primo medico
donna della Gran Bretagna,
il 28 settembre 1865.
Fondò in seguito il
New Hospital for Women.
Narges Mohammadi
La torre dell’Università di Hong Kong progettata
dall’iraquena Zaha Hadid, vincitrice del prestigioso
premio di architettura Pritzker Prize.
Iraniana, laureata in Fisica
e in Ingegneria.
Ha sempre svolto un’intensa
attività culturale e giornalistica
per il rispetto dei diritti delle
donne.
Le è stato attribuito il
premio internazionale
Alexander Langer nel 2009.
Non ha potuto ritirare il premio
perchè, nello stesso anno, le è
stato ritirato il passaporto per
sospetta propaganda negativa
contro lo Stato e suo marito
Taghi Rahmani è stato arrestato.
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