Dispense Freud e la Psicoanalisi

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Dispense Freud e la Psicoanalisi
Sigmund Freud e la psicoanalisi
Psicologia ottocentesca e psicoanalisi
La necessità di nuovi strumenti di conoscenza.
La crescita economica che caratterizza l'Ottocento rende la
società europea sempre più complessa; gli individui appartenenti a questa società si trovano a doversi confrontare con situazioni
che modificano a grande velocità il volto stesso delle loro vite e
abitudini. La nuova organizzazione del lavoro, la società di massa, l'espansione coloniale, la partecipazione politica richiedono,
per essere comprese, categorie sempre nuove e capacità di analisi e competenze più articolate. Non solo le situazioni si rivelano
via via più complesse, ma cresce anche il disagio dell'individuo di
fronte a inedite condizioni di vita. La società, nel passaggio tra Ottocento e Novecento, vive quella che può essere definita come
una vera crisi epocale.
Le scienze umane - sociologia, psicologia, antropologia, linguistica, etnologia - vogliono rispondere a queste sfide fornendo
nuovi strumenti per comprendere il mutato orizzonte umano.
Queste scienze si allontaneranno sempre più dallo specifico ambito filosofico, intraprendendo un lungo percorso di autonomizzazione, ma proprio per l'interesse da esse rivolto all'uomo si
troveranno a sollecitare la filosofia, a volte intrecciandosi altre
scontrandosi con essa, altre ancora sollevando questioni che
presenteranno anche una certa rilevanza filosofica.
La crisi della concezione classica di individuo
Parlando di crisi della concezione classica dell'individuo facciamo riferimento a quel dubbio che viene gettato sull'idea di coscienza e sulla sua consistenza ontologica. Di che cosa si
parla quando si usa la parola "anima"? Che cos'è l'io? È qualcosa di eterno, che si autodetermina, o è invece costruito, o addirittura dominato, da qualcosa che lo abita? La psicoanalisi
viene a configurarsi come orizzonte in cui si svela l'inganno dell'io che ha voluto identificare
l'ambito dello psichico con l'ambito della coscienza. Nell'io, infatti, accadono molte più cose
di quante egli effettivamente ne conosca e ne controlli; il soggetto logico tradizionale, quella
realtà pensante che Cartesio pose al centro della sua riflessione, subisce un radicale processo
di decentramento.
La psicoanalisi - termine coniato da Freud e che compare nei suoi scritti a partire dal
1896 - affonda le sue radici da un lato nella tradizione positivistica ottocentesca, e soprattutto nell'evoluzionismo darwiniano, e dall'altro nella tradizione psicologica che iniziava ad analizzare i fenomeni psichici attraverso i loro effetti fisici.
Per la psichiatria classica oggetto dell'indagine era l'organo sofferente o la funzione distorta; tutto quello che poteva richiamare attività non intenzionali, atti psichici non empiricamente misurabili, doveva rimanere estraneo al campo della scientificità e al progetto di
controllo razionale dello psichico. Il malato veniva così a coincidere con il sintomo, che doveva essere studiato attraverso l'obiettiva imparzialità dello strumento di misurazione scientifica; obiettivo del medico era quello di cogliere il legame necessario tra la causa organica e
l'effetto patologico.
La nuova psicologia sperimentale
Freud e le scienze di fine Ottocento
La definizione di Psicoanalisi
Uno dei principali esponenti della nuova scienza psicologica fu
Wilhelm Wundt (1832-1920) la cui ricerca in campo psicologico
ebbe come obiettivo fondamentale l'individuazione di precisi criteri metodologici, quelli della sperimentazione e della quantificazione, per descrivere l'esperienza psichica. I dati psichici venivano così spiegati attraverso leggi obiettive che dovevano individuarne i
legami, il significato e il valore. Il metodo sperimentale e matematico doveva però essere coadiuvato dall'introspezione da parte del
soggetto dell'esperimento, quale modalità di indagine di determinate sensazioni in situazione di laboratorio.
La psicoanalisi freudiana si innesterà proprio su questo terreno, accogliendo la medesima ispirazione positivista, ma rifiutando
l'idea che il disturbo psichico fosse solamente un epifenomeno del
disturbo organico. Freud andava allontanandosi in modo sempre
più definito dall'approccio della psichiatria dell'epoca per la quale
era nel cervello che bisognava cercare la causa dei disturbi mentali.
La ricerca rivendicava così l'autonomia dello psichico dall'organico.
La nuova scienza andava poi radicalmente capovolgendo il rapporto tra medico e paziente: con Freud non è solo il sintomo, ma l'interazione tra i due soggetti, a diventare essenziale per la situazione
psicoterapeutica. Infine, con la scoperta dell'inconscio, la psicoanalisi individuava un orizzonte di significato che doveva essere compreso e portato alla soglia della coscienza. Non era però questa la
semplice scoperta di un senso nascosto, ma la necessità di un lavoro di ricostruzione che poteva permettere il recupero all'intelligibilità di ciò che appariva irrazionale al fine di ricomporre un mondo che, invece, senza questo lavoro sarebbe rimasto disperso in
molteplici frammenti.
Freud, nel Dizionario di sessuologia (1922), fornì la definizione
di psicoanalisi come
1) procedimento per l'indagine di processi psichici cui altrimenti sarebbe pressoché impossibile accedere;
2) metodo terapeutico per il trattamento dei disturbi nevrotici;
3) serie di conoscenze psicologiche acquisite per questa via
che gradualmente si assommano e convergono in una nuova disciplina scientifica.
La psicoanalisi è dunque un metodo di ricerca, una tecnica esplorativa e psicoterapica la quale, nell'intreccio costante tra ipotesi teoriche e terapia, permette il delinearsi di una nuova disciplina
scientifica. La psicoanalisi si staccava così in modo esplicito dal
campo medico e psichiatrico da cui peraltro aveva tratto origine:
essa elaborava le sue domande dalle diagnosi e dalla terapia, e la
cura diventava la conferma delle proprie ipotesi teoriche. Il rapporto tra paziente e medico costituirà l'orizzonte all'interno del quale
interrogarsi sul valore delle scoperte legate alla dimensione psichica più profonda, e l'elemento fondamentale della pratica psicoana-
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litica che rappresenterà la rottura più significativa rispetto alla
tradizione psicologica ottocentesca.
La vita di Sigmund Freud
Sigmund Freud nacque a Freiberg in Moravia (oggi Repubblica Ceca) nel 1856 e si trasferì
con la famiglia a Vienna nel 1860; dopo la laurea in medicina si recò a Parigi per seguire i
corsi dello psichiatra francese J. M. Charcot. Tornato a Vienna nel 1886, incominciò a curare
pazienti affetti da isteria insieme a J. Breuer secondo il metodo della suggestione ipnotica
(insieme all'amico e collega pubblicò nel 1895 gli Studi sull'isteria, dove espose la tecnica delle libere associazioni e utilizzò i primi concetti della sua teoria). Pubblicò poi L'interpretazione dei sogni (1899) con cui prende avvio la psicoanalisi. Nominato professore straordinario
all'Università di Vienna, dal 1902 riunì tutti i mercoledì sera a casa sua un gruppo di studiosi
interessati alle sue teorie, primo nucleo del movimento psicoanalitico. Nel 1910 fu fondata la
Società Psicoanalitica Internazionale di cui C.G. Jung fu primo presidente. Intanto Freud veniva pubblicando un'importante serie di opere: Psicopatologia della vita quotidiana (1901), Tre
saggi sulla sessualità e Il motto di spirito e la sua relazione con l'inconscio (1905), i casi clinici
più famosi, quello del Piccolo Hans (1908), dell'Uomo dei topi (1909), del Presidente Schreber
(1910), una serie di saggi sulla letteratura e sull'arte e Totem e tabù (1913) in cui esponeva i
risultati delle sue indagini. Dopo la rottura con Carl Gustav Jung e Alfred Adler, Freud si dedicò alla rielaborazione delle sue teorie in opere quali: Introduzione al narcisismo (1914), Metapsicologia (1915), Il perturbante (1919), Al di là del principio del piacere (1920), Psicologia
delle masse e analisi dell'Io (1921), L'lo e l'Es (1922), Inibizione, sintomo, angoscia (1925),
L'avvenire di un'illusione (1927), Introduzione alla psicoanalisi (1932). Tra i suoi ultimi scritti
Il disagio della civiltà (1929), Analisi terminabile e interminabile e Costruzione dell'analisi
(1937), L'uomo Mosè e la religione monoteista (1938).
Dopo l'annessione dell'Austria alla Germania nazista nel 1938, Freud, essendo ebreo, emigrò con la famiglia a Londra dove morì nel 1939.
La portata filosofica del pensiero di Sigmund Freud
La cultura del Novecento è stata profondamente influenzata dalla psicoanalisi. Nata, come
abbiamo visto, all'interno della disciplina medica come cura delle nevrosi a opera del medico
viennese Sigmund Freud (1856-1939), la psicoanalisi ha rivoluzionato le tradizionali idee intorno alla natura umana, ampliandone l'orizzonte conoscitivo verso territori all'epoca non
considerati degni di attenzione scientifica. Il primato dell'io cosciente e della ragione è stato
profondamente messo in crisi dalla scoperta dell'inconscio, che ha portato a una complessiva
ridefinizione dell'uomo, del suo agire, della sua relazione con gli altri, delle sue stesse inveterate certezze. Al di là dunque della rivoluzione operata nell'ambito della scienza psicologica,
la psicoanalisi ha comportato una riflessione critica su ogni aspetto della cultura umana, dalla morale alla religione.
Freud occupa un posto di primo piano nella storia del pensiero filosofico occidentale per
un duplice motivo: in primo luogo perché alcune delle sue più importanti opere - da L'interpretazione dei sogni a Il disagio della civiltà - hanno un'oggettiva valenza filosofica, in secondo luogo perché, nello stesso ambito specifico, terapeutico e teorico, in cui si muove la psicoanalisi, è sotteso il problema filosofico della natura umana.
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Ostacolata al suo nascere, la psicoanalisi divenne ben presto un evento di primo piano nel
panorama culturale, entrando in relazione con altre discipline. La letteratura, l'arte, la storia
delle civiltà, la sociologia, la pedagogia hanno infatti utilizzato di sovente alcuni strumenti interpretativi forniti dalla psicoanalisi.
Gli studi sull'isteria
Dopo la laurea in medicina a Vienna nel 1881, Sigmund Freud si specializzò in neurologia
e, grazie a una borsa di studio, poté recarsi nel 1885 a Parigi per perfezionarsi nella cura delle malattie nervose, attratto dalla fama del dottor J. M. Charcot che, all'ospedale della Salpêtrière, si dedicava allo studio dell'isteria. Questa malattia, caratterizzata da sintomi di vario
genere, talvolta molto gravi come le paralisi motorie, la cecità, l'incapacità di parlare o di
mangiare, rappresentava da secoli una sorta di mistero per i medici, per il fatto che ai sintomi non corrispondeva alcuna evidente o verificabile lesione dell'organo interessato. Attribuita fin dall'antichità esclusiva-mente alle donne - il termine isteria deriva dal greco hystéron,
"utero" - questa patologia era prevalentemente considerata una sorta di simulazione o una
misteriosa manifestazione di uno sconosciuto aspetto della femminilità. Alla fine dell'Ottocento la medicina ufficiale, rappresentata a Vienna dalla scuola di T. H. Meynert, tentava di
ricondurre l'isteria e le malattie mentali in genere a cause organiche, in coerenza con lo spirito positivista dell'epoca.
Lo studio dell’isteria
L’ipnosi e il metodo catartico
Il caso di Anna O.
Sullo sfondo di queste coordinate scientifiche, Freud - già in contatto con il medico e amico viennese Breuer, che lo aveva messo al
corrente di un caso di isteria da lui curato con l'ipnosi - avvalendosi
dell'esperienza professionale compiuta a fianco di Charcot, poté riflettere sull'autenticità e regolarità dei fenomeni isterici, sulla frequenza dell'isterismo in soggetti maschili, e sugli effetti della suggestione ipnotica nella produzione e nella sospensione di sintomi.
Si convinse così dell'origine mentale e traumatica della malattia,
respingendo l'ipotesi che essa avesse un legame con la patologia di
una parte del corpo.
Tornato a Vienna, decise di iniziare la professione privata, cioè
di «vivere con le cure delle malattie nervose». Sperimentò così, nell'esercizio della sua professione, la pratica dell'ipnosi, durante la
quale induceva i pazienti a raccontare la storia della genesi dei sintomi. I racconti sotto ipnosi dei suoi malati costituirono una fonte
importantissima di notizie che fornirono a Freud la base sperimentale dei suoi futuri studi.
Riprendendo i legami con Breuer, lo convinse a pubblicare insieme
il contenuto di quella sua prima esperienza di cura. Nel 1895 in
Studi sull'isteria, vengono definite dai due autori alcune importanti
acquisizioni: «la connessione dei sintomi isterici con alcu-ne impressioni della vita del soggetto e la eliminazione di essi per mezzo della
loro riproduzione in stato di ipnosi». Questo metodo di cura fu
chiamato dagli autori catartico.
Il caso clinico descritto nel testo riguarda una giovane donna,
Anna O., che presentava sintomi complessi, dalla paralisi all'idrofobia, manifestatisi durante le cure da lei dedicate al padre, che adorava, gravemente ammalato. Durante i trattamenti ipnotici cui era
stata sottoposta da Breuer, la paziente aveva espresso sensazioni e
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forti impulsi contradditori che derivavano da lontani episodi avvenuti nella sua infanzia. Essendosi tali impulsi ripresentati durante
le cure che prestava al padre, aveva dovuto in quel contesto allontanarli da sé, rimuoverli, perché in contrasto con i sentimenti amorevoli che provava verso il malato. Risultò che i sintomi isterici venivano a sostituire tali impulsi e che, dopo aver dato libero sfogo
attraverso il ricordo sotto ipnosi al sentimento corrispondente, i
sintomi scomparivano. La paziente guarì, la cura dunque ebbe successo, ma Breuer mantenne un atteggiamento di eccessivo riserbo
sulle fasi finali della cura. Inoltre, malvolentieri e con molto ritardo,
si era deciso a darne comunicazione scientifica. La cattiva accoglienza ricevuta dal libro negli ambienti accademici scoraggiò
Breuer che interruppe la collaborazione con Freud: non condivideva infatti gli sviluppi che il collega stava dando alla propria ricerca.
I fondamenti della psicoanalisi
Freud stava, infatti, indirizzando i suoi studi sulle cause che determinano la malattia, su
quelli che erano stati genericamente definiti eccitamenti affettivi, e si convinceva sempre
più della loro origine sessuale: i conflitti che danno luogo alle nevrosi hanno un legame con la
funzione sessuale. Questo risultava dall'indagine che svolgeva nella pratica terapeutica, nella
quale introduceva importanti innovazioni.
Abbandonata l'ipnosi - che non era applicabile a tutti i pazienti (alcuni dei quali erano refrattari) e che aveva effetti positivi non permanenti, in quanto le verità scoperte sotto ipnosi
venivano per lo più dimenticate nello stato di veglia - e convinto che i pazienti fossero caratterizzati da un non voler sapere più che da un non sapere, Freud mise a punto una tecnica
che induce a dare libero corso ai pensieri che spontaneamente si presentano alla mente: il
«metodo delle libere associazioni». L'obiettivo di tali cambiamenti era quello di rendere consapevoli e attivi i pazienti durante le fasi della terapia. In tal modo acquistava un'importanza
primaria la relazione tra il medico e il paziente, che è una relazione affettiva, nel senso letterale carica di affetti, in seguito chiamata da Freud «transfert», nel senso che ciò che si era in
origine provato per i genitori viene "trasferito" sulla persona dell'analista. Freud comprenderà che proprio questo fatto aveva spaventato Breuer, che non aveva capito il senso
delle manifestazioni amorose che aveva avuto nei suoi confronti Anna O.
La rimozione
Il problema che Freud si pone è il seguente: per quale motivo i pazienti hanno dimenticato
tante esperienze della loro vita e riescono a ricordarle soltanto con difficoltà attraverso la terapia? La risposta, frutto dell'osservazione clinica, è che queste esperienze hanno un contenuto penoso, il soggetto le giudica «terribili, dolorose, vergognose» e per questo le rimuove,
resistendo al ricordo.
La fuga dell’Io
La rimozione è un meccanismo di difesa, un tentativo di fuga, attraverso il quale l'Io trova riparo da un impulso minaccioso. Se nella vita psichica normale si presenta un impulso cui se ne oppongo5
no altri più forti, nasce un conflitto, una lotta tra istinto e resistenza, che si svolge con la partecipazione della coscienza, fino al punto
in cui l'impulso viene respinto. Nelle nevrosi avviene che l'Io si ritira al comparire di un determinato impulso istintivo «negando a esso l'accesso alla coscienza e alla scarica diretta», pur conservando
tutta la sua carica energetica. Questo processo è chiamato da Freud
rimozione e ha come conseguenza, oltre a un impoverimento dell'Io, che deve compiere uno sforzo permanente per proteggersi
contro l'impulso rimosso sempre minacciosamente latente, il fatto
che, divenuto inconscio, l'impulso trova strade indirette attraverso
cui può scaricare la sua energia, dando luogo ai sintomi somatici.
Avviene così una sorta di «soddisfazione sostitutiva», che nullifica in
parte l'intento della rimozione, essendo i sintomi il risultato di un
compromesso. Con la teoria della rimozione Freud avviò la comprensione dei meccanismi delle nevrosi e individuò anche la possibilità della cura. Infatti la terapia non doveva più, come fino a quel
momento faceva il trattamento catartico, determinare la scarica
degli impulsi deviati, ma scoprire le rimozioni ed eliminarle attraverso un lavoro, laborioso e complesso, di interpretazione e di valutazione di ciò che la rimozione aveva escluso dalla vita cosciente.
Il termine psicoanalisi indica questo metodo di ricerca e di cura.
L'inconscio e la struttura della psiche
Dalla teoria della rimozione emerge il concetto di inconscio. La novità della teorizzazione
freudiana sull'inconscio risiede nel fatto che egli ritiene che ogni atto della vita psichica sia,
nella sua origine, inconscio e che solo in seguito è possibile che ne affiori alla coscienza dell'individuo una minima parte: la maggior parte dell'attività psichica rimane infatti inconscia,
in virtù della forza della rimozione. La coscienza si vede sbarrare l'accesso dalle resistenze
che operano per tenere stabilmente separate queste due zone della psiche.
I caratteri dell’inconscio
La topica della mente
La vita psichica inconscia ha caratteristiche diverse da quella cosciente. Freud chiama «processi psichici primari» quelli inconsci e li
distingue dai «processi psichici secondari» del pensiero cosciente.
Nei primi non esiste il principio di contraddizione, potendosi presentare contemporaneamente tendenze opposte, come amore e odio; non esiste la negazione essendo un desiderio dell'inconscio
sempre appagabile, non esiste spazio né tempo. Tutto funziona in
base al principio del piacere che ignora la realtà esterna, mentre il
principio di realtà governa il pensiero cosciente che rinuncia a un
appagamento immediato dei desideri per realizzarli più stabilmente agendo sulla realtà esterna.
Con l'intento di rappresentare l'apparato psichico come composto
da una serie di istanze correlate, senza che esse abbiano un collegamento con l'anatomia del cervello, Freud si serve di un punto di
vista topico cioè spaziale (dal greco tópos, "luogo") dei luoghi della
mente, un punto di vista a cui attribuisce una funzione descrittiva:
una prima topica suddivide la psiche in conscio (contenuti psichici
consapevoli), preconscio (costituito da quella parte di materiale
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L’Io è servo di tre padroni
psichico dimenticato, ma che con facilità il soggetto può riportare
alla coscienza) e inconscio (contenuti mentali non presenti alla coscienza, ma che esercitano una pressione per ottenere l'accesso a
essa).
Più funzionale è la seconda topica, elaborata in un successivo
momento della sua produzione teorica, che distingue tre diverse
istanze: l'Io, l'Es e il Super-io.
L'Io corrisponde alla coscienza, l'aspetto dell'uomo razionalmente consapevole di se stesso, padrone dei suoi pensieri, delle
motivazioni dei suoi affetti e delle sue azioni. Per Freud l'Io è soltanto la «punta emergente di un iceberg», costituito in massima
parte da materiale inconscio.
L'Es (pronome neutro di terza persona in tedesco), cioè l'inconscio, si può consi-derare un serbatoio di tutte le pulsioni psichiche,
sia quelle innate sia quelle acquisite attraverso la rimozione.
Il Super-io, anch'esso prevalentemente inconscio anche se non
interamente, è paragonabile a quella che comunemente si definisce
coscienza morale: come un giudice o un censore dell'Io, si costituisce fin dall'infanzia a seguito dell'interiorizzazione delle norme e
dei divieti genitoriali.
Il compito dell'Io, in questa nuova prospettiva, non si esaurisce
nelle operazioni tipiche del pensiero (percezione, riflessione, memoria ecc.) e dell'attenzione alla realtà esterna. L'Io deve anche assumere un ruolo di equilibrio tra le altre due istanze della psiche.
La prima, l'Es, cieca e priva di logica, è diretta all'immediato soddisfacimento del piacere, non valuta e non conosce regole né morali
né sociali; la seconda, il Super-io, al contrario, rappresenta essa
stessa la legge, è severa ed esigen-te e nega la soddisfazione di quei
piaceri che contrastano con le norme della società. Stretto fra i suoi
tre padroni (la realtà esterna, l'Es e il Super-io), l'Io ha il compito di
mantenere equilibri spesso troppo onerosi, dovendo sia soddisfare
le esigenze dell'Es sia rispettare le norme del Super-io, in armonia
con i dati della realtà esterna. Le difficoltà dell'Io sono le difficoltà
della vita normale, ma i conflitti psichici possono condurre alla sopraffazione dell'Es o del Super-io sull'Io, facendo degenerare la difficoltà in nevrosi.
La scoperta della sessualità infantile e il complesso di Edipo
La ricerca sulle cause delle nevrosi conduce Freud a scoprire i «conflitti fra gli im-pulsi
sessuali del soggetto e le resistenze contro la sessualità». I sintomi derivano infatti dalla rimozione di impulsi sessuali e sono sostitutivi degli stessi impulsi rimossi. La scoperta più importante riguarda il fatto che il conflitto riportato alla luce nella terapia è avvenuto nella parte iniziale della vita; per quanto dimenticato o totalmente rimosso, ha lasciato tracce nello
sviluppo dell'individuo. Ciò comporta l'esistenza di una vita sessuale precedente a quella adulta. L'affermazione dell'esistenza di una vita sessuale infantile suscitò contro Freud un'opposizione e un'indignazione molto forti. Nei racconti dei suoi pazienti ricorrevano episodi
dell'infanzia che si riferivano a seduzioni subite da parte di un genitore o di un fratello maggiore. Ciò convinceva Freud che l'origine delle successive nevrosi fosse da attribuire a questi
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particolari eventi traumatici e con questa acquisizione ritenne, per un periodo, risolto il problema delle origini delle nevrosi. È il periodo in cui, peraltro, utilizzava con crescente interesse il materiale fornito dai sogni dei suoi pazienti, che analizzava, come vedremo, alla stregua dei sintomi.
Il senso di colpa
Il complesso di Edipo
Famiglia, amore e conflitto
Nel 1896 morì il padre di Freud. Il dolore e i conflitti interiori che
accompagnarono l'evento luttuoso lo indussero, nell'isolamento di
questa fase della sua vita - l'unico interlocutore scientifico era l'amico W. Fliess con cui intratteneva un'assidua corrispondenza -, a
scavare nel profondo di se stesso. Cominciò così la sua autoanalisi,
che durerà dal 1897 al 1901 e che sarà un'esperienza fondamentale per gli ulteriori sviluppi della psicoanalisi. Analizzando i suoi
stessi sogni in relazione all'evento luttuoso, trovò in essi il ricorrente bisogno di liberarsi da una «colpa verso il padre», ritrovò le
tracce della seduzione infantile che aveva riscontrato nei suoi pazienti e comprese che l'accusa mossa al padre copriva sentimenti
ben più complessi che provenivano da desideri infantili contraddittori nei confronti dei suoi genitori.
Scrisse a Fliess: «Ho trovato amore per la madre e gelosia verso il
padre anche nel mio caso e ora ritengo che questo sia un fenomeno
generale della prima infanzia». Freud comprende dunque che le
scene di seduzione infantile non erano mai avvenute nella realtà,
ma esprimevano fantasie collegate a desideri. Chiarito l'errore, «la
via allo studio della vita sessuale infantile era libera».
La teoria sulla sessualità infantile sarà sistematizzata e pubblicata
in Tre saggi sulla sessualità nel 1905, qualche anno dopo la pubblicazione dell'Interpretazione dei sogni (1899) e sarà elaborata grazie alla stessa analisi dei sogni. Il suo nucleo centrale è stato individuato da Freud nel complesso di Edipo a seguito dell'autoanalisi e
delle prime esperienze terapeutiche.
Alla base del complesso vi è una vera passione d'amore che genera sentimenti intensi e contraddittori; il desiderio di possesso
nei confronti del genitore di sesso opposto porta infatti il bambino
a vivere la relazione con il genitore dello stesso sesso in termini
conflittuali. La gelosia e l'invidia, che si spingono fino all'odio e al
desiderio della sua morte, si scontrano con l'amore e il bisogno di
confermare la propria identità sessuale. Da questo conflitto nascono sentimenti ambivalenti, complicati dall'esistenza di fratelli e sorelle con cui condividere l'amore e il conflitto verso i genitori. Fino
a che esisterà la famiglia nella forma attuale, sostiene Freud, attraversare e superare questa fase sarà inevitabile; peraltro, dall'esterno della famiglia, sede del conflitto, si erge incondizionatamente la
condanna della società verso i desideri incestuosi del bambino e
della bambina. Ma a questa passione bisogna rinunciare, e ciò avviene soprattutto per la paura della punizione e della perdita dell'amore del genitore rivale. La rinuncia alla pretesa edipica avviene
attraverso il meccanismo della rimozione e si manifesta nel bambino come una vera e propria nevrosi, con atteggiamenti regressivi e
fobie. Il superamento di questa fase conduce il bambino a investire
la sua pulsione sessuale verso altre mete di carattere sociale, i suoi
interessi si spostano fuori dalla famiglia iniziando un'attività di socializzazione. Freud chiama sublimazione questo processo di spo-
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stamento e gli attribuisce grande importanza essendo alla base di
ogni produzione sociale umana. A seguito della rimozione dell'Edipo, intorno al quinto anno di vita, segue un periodo di latenza della
vita sessuale che dura fino alla pubertà, età in cui prende avvio la
sessualità adulta.
Una nuova concezione della sessualità
Il concetto di sessualità nella dimensione psicoanalitica subisce un profondo rinnovamento: con essa non si intende più soltanto tutto ciò che ha a che vedere con la genitalità e che
riguarda due individui adulti di sesso opposto ma, in modo più ampio, si intende la funzione
somatica che tende verso il piacere, e che soltanto nel suo ultimo grado di sviluppo è funzionale alla riproduzione. L'estensione del concetto riguarda anche tutti quegli impulsi affettuosi e amichevoli che, secondo questa teoria, hanno un'origine sessuale. All'energia degli istinti
sessuali Freud dà il nome di libido, che più precisamente esprime la dinamica dell'impulso
sessuale nella vita psichica.
Sviluppo sessuale e libido
Il carattere patologico delle
perversioni
Normalmente la libido segue le linee evolutive delle diverse fasi
della sessualità infantile per approdare alla sessualità adulta; tuttavia può avvenire che esperienze negative durante lo sviluppo determinino una sua fissazione a uno stadio precedente e una regressione a esso. È così possibile che insorga nell'adulto una nevrosi,
laddove successive difficoltà della vita possono riaprire ferite che
sembravano rimarginate.
Questa estensione del concetto di sessualità permette di abbattere
le frontiere tra normalità e perversione. Intendendo con il termine
perversione, nel suo uso descrittivo e privo di connotazioni di ordine morale, ogni attività sessuale che non ha un diretto scopo riproduttivo, ma che ha come sua meta il conseguimento del solo
piacere, risulta che la maggior parte delle attività umane sessuali
possono definirsi perverse: «Si può dire che non ci sia nessun individuo sano che non aggiunga al normale scopo sessuale qualche elemento che si possa chiamare perverso; e la universalità di questo fatto basta per sé sola a farci comprendere quanto sia inappropriato
l'uso della parola perversio-ne come termine riprovativo». Essere
perverso per eccellenza è il bambino che ha una «disposizione perversa polimorfa» e la cui libido si sposta nelle sue fasi evolutive
(nell'ordine: la fase orale, la fase anale e quella fallica) verso mete
diverse corrispondenti alle diverse zone erogene. Perverse sono
tutte quelle manifestazioni di impulsi sessuali parziali, come i baci,
le effusioni amorose, il guardare, il toccare l'oggetto amato.
Avviene tuttavia che in alcuni casi una perversione possa assumere un carattere patologico, quando «invece di manifestarsi puramente a lato dello scopo e dell'oggetto sessuali normali, tende a
sostituirli completamente e prende il loro posto in tutte le circostanze». Le manifestazioni patologiche della sessualità possono essere
comprese a partire da questa acquisizione. Derivano infatti non da
un'anomalia strutturale ma da un processo di fissazione ed esclusi-
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vità. Laddove la meta parziale diventa esclusiva, la libido si fissa su
un aspetto parziale: è il caso del voyeurismo, del sadomasochismo,
del feticismo.
I sogni e gli atti mancati: verso una teoria generale della
psiche
L'interpretazione dei sogni
Il racconto dei sogni costituiva la maggior parte del materiale fornito a Freud dai suoi pazienti. Il risultato cui giunse il progredire della tecnica analitica fu dunque la possibilità di interpretare i sogni. Non va sottovalutata, peraltro, l'importanza che per l'autore assunsero i
suoi stessi sogni durante il lavoro di autoanalisi. L'intuizione freudiana più importante, accanto a quella della sessualità infantile e del primato dell'inconscio, è quella per cui i sogni
hanno un significato, una logica da comprendere, simile a quella dei sintomi nevrotici. I sogni
non costituivano oggetto di ricerca da parte della scienza del tempo, che li considerava atti
puramente somatici «quasi un sussulto della vita psichica, per il resto sommersa nel sonno»,
mentre l'antichità classica li considerava profezie o rivelazioni divine. Soltanto Aristotele aveva attribuito al sogno una valenza psicologica, considerandolo come l'attività psichica dell'uomo addormentato.
I due livelli del sogno
Il significato proibito
Il sogno si rivela a Freud, nella pratica analitica, un prodotto
psichico completo la cui interpretazione richiede che sia scomposto nei suoi diversi elementi i quali, analizzati grazie al metodo delle libere associazioni, fanno affiorare una logica nascosta, un significato profondo. Secondo Freud nel sogno vanno distinti due livelli:
un contenuto manifesto, cioè quell'insieme di immagini, parole, sensazioni che il sognatore ricorda e racconta al risveglio e che costituisce una maschera, una facciata, una trasposizione deformata del vero significato del sogno;
un contenuto latente, cioè l'insieme dei desideri inconsci del
sognatore che non sono più riconoscibili nel contenuto manifesto perché camuffati.
Così come i sintomi nevrotici, il sogno esprime una realtà che
vuole essere interpretata, appartenendo al mondo dell'inconscio,
dove, come sappiamo, domina un principio diverso da quello cosciente o della veglia. Il sogno, interpretato, diventa la via principale d'accesso all'inconscio, è l'espressione più diretta di questo
mondo, e ciò per la particolare situazione in cui esso si determina.
Il sonno infatti è una condizione psichica durante la quale l'Io si riposa, abbandonando in parte e temporaneamente le sue difese all'emergere degli impulsi dell'Es. Diminuisce nel sonno lo sforzo con
cui l'Io nello stato di veglia tiene ferme le rimozioni. Ma ciò avviene
parzialmente. Una parte dell'azione dell'Io, infatti, rimane attiva,
come azione di censura onirica, proibendo ai desideri inconsci di
manifestarsi nella loro sincera natura. Così avviene che i contenuti
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La funzione protettiva del sogno
onirici latenti vengono camuffati al fine di rendere irriconoscibile
«il significato proibito» del sogno. Il sogno è dunque «la manifestazione camuffata di un desiderio rimosso». I desideri rappresentati
possono essere recenti o di origine remota, appartenenti alla prima
infanzia del soggetto. Un sogno esprime contemporaneamente più
desideri e generalmente quelli infantili determinano maggiormente
l'attività onirica, superando gli ostacoli della censura e trasferendosi sui resti diurni, le tracce mnestiche di quanto accaduto
durante il giorno.
Il sogno, alla stregua del sintomo, risulta essere il frutto di un
compromesso tra le istanze di impulsi rimossi e la resistenza operata dall'Io attraverso la censura onirica. Per lavoro onirico Freud
intende quel procedimento che trasforma il significato latente del
sogno nel suo significato manifesto. In virtù di queste scoperte la
psicoanalisi consente di interpretare i sogni. L'interpretazione deve ripercorrere in senso inverso il lavoro onirico che si è avvalso
dei meccanismi della condensazione e dello spostamento, attraverso cui vengono unificati più elementi psichici in uno solo e trasportati da un oggetto a un altro, l'una e l'altra operazione finalizzate a
rendere irriconoscibile il materiale inconscio. La funzione generale
del sogno è dunque quella di proteggere il sonno dagli stimoli interni rendendoli irriconoscibili al soggetto. Il sogno porta in superficie anche una serie di caratteri arcaici avvalendosi di una simbologia spesso di carattere sessuale. La rappresentazione (drammatizzazione) utilizza immagini visive frutto della connessione tra i
desideri rimossi e i resti diurni, residui dell'attività dello stato di
veglia, pensieri, esperienze che riguardano fatti avvenuti nelle
giornate precedenti il sogno. Questa presenza di elementi della realtà è molto importante nel processo analitico, perché il sogno può,
grazie a essi, oltre a esprimere desideri rimossi, continuare l'attività mentale diurna e arricchirsi, nel confronto con il materiale inconscio, di un contenuto nuovo. Si dà così espressione a un proponimento, una riflessione, un avvertimento. Una sorta di comunicazione tra conscio e inconscio, preziosa al di là delle finalità
terapeutiche, per la conoscenza generale del funzionamento psichico umano.
La Psicopatologia della vita quotidiana e il motto di spirito
Nel 1901 comparvero in una rivista psichiatrica berlinese due brevi saggi che nel 1904
vennero pubblicati nel volume Psicopatologia della vita quotidiana. In esso venivano interpretati una serie di cosiddetti atti mancati: dimenticanze, lapsus verbali, smarrimenti di oggetti e alcuni gesti automatici, atti in cui facilmente ogni individuo può incorrere nella propria vita quotidiana e che vengono generalmente attribuiti al caso, o comunque a qualcosa di
estraneo alle intenzioni del soggetto. Freud mostra come questi errori di comportamento o
questi gesti, apparentemente senza significato, sono il prodotto di un'intenzione inconscia
che attraverso l'analisi si rende manifesta. L'importanza di quest'opera sta nel fatto di aver
posto in risalto l'analogia esistente tra i processi psichici che producono nevrosi e quelli che
producono «lievi e temporanee» interruzioni del controllo della coscienza. Il fatto che il letto-
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re potesse riconoscere negli episodi descritti nel libro circostanze simili, di cui aveva già fatto
più volte esperienza, e di essere in grado di accettarne l'interpretazione analitica, senza per
questo sentirsi ferito nel suo amor proprio (come era avvenuto con la teoria della sessualità),
determinò il grande successo del libro, che contribuì più di ogni altro alla diffusione della
psicoanalisi.
Sogno e motto di spirito
Considerato da Freud uno studio collaterale a L'interpretazione
dei sogni, Il motto di spirito e la sua relazione con l'inconscio fu pubblicato nel 1905. L'occasione dello scritto è data da un'osservazione fatta da Fleiss all'amico Freud sulla somiglianza tra le interpretazioni dei sogni e i motti di spirito. Per chiarire questa impressione, che condivideva, Freud analizzò i motti di spirito, scoprendo
che i meccanismi che stanno alla loro base sono gli stessi impiegati
nel processo onirico. Secondo Freud la funzione del motto di spirito consiste in un atto creativo, liberatorio rispetto alle istanze morali che inibiscono desideri proibiti; nel motto esiste infatti un significato nascosto e uno manifesto e, come nei sogni e negli altri
fenomeni della vita psichica e culturale, dalla poesia alla letteratura, esso si presta a una interpretazione. Tra le tecniche che producono il motto, vi è prima di tutto la condensazione, che consiste
nella sintesi del discorso in una parola chiave, attraverso un gioco
di parole.
Esempio di condensazione di un motto di spirito:
La differenza tra professori ordinari e professori straordinari consiste nel fatto che gli ordinari non fanno nulla di straordinario e gli straordinari non fanno niente che sia anche solo ordinario. (S. Freud, Il motto di spirito e la sua relazione con l'inconscio)
Altre tecniche sono la deviazione dal pensiero normale (spostamento verso concetti marginali, assurdità, errori di ragionamento) e l'unificazione (associazione di concetti opposti).
Esempio di deviazione di un motto di spirito: Sua Altezza Serenissima fa un viaggio attraverso i suoi Stati e nota tra la folla un uomo che, nell'aspetto imponente, gli assomiglia in modo
straordinario. Gli fa cenno di accostarsi e gli domanda: "Vostra madre è stata a servizio a Palazzo, vero?". "No, Altezza - è la risposta, - ma c'è stato mio padre". (S. Freud, Il motto di spirito
e la sua relazione con l'inconscio)
Inoltre rappresentazione per opposti, esagerazione, analogie, allusioni, omissioni. Esempio di unificazione di un motto di spirito:
Questa donna assomiglia alla Venere di Milo: è anch'essa straordinariamente vecchia, è anch'essa senza denti e ha qualche macchia bianca sulla superficie giallastra del corpo. (S. Freud,
Il motto di spirito e la sua relazione con l'inconscio)
Ne deriva che le tecniche del motto di spirito, soprattutto condensazione e spostamento,
sono le stesse del processo del sogno: sono infatti tecniche deformanti che velano un significato nascosto. Mentre nel sogno il contenuto manifesto nasconde desideri inaccettati e rimossi, nel motto di spirito l'arguto esprime, attraverso un procedimento analogo, un'intenzione che in veste seria sarebbe condannabile perché offensiva, oscena, aggressiva.
L’appagamento di desideri censuL'analisi di Freud si estende alle finalità del motto di spirito. Anrati
che qui, come nel sogno, siamo in presenza di un appagamento di
desideri altrimenti censurati, un effetto piacevole che si manifesta
con il riso e che riporta al mondo infantile del gioco. Definite le ana-
12
La psicoanalisi dell’arte
logie con il sogno, Freud si sofferma ad analizzarne le differenze.
Quella peculiare è il carattere sociale del motto, il suo essere un
modo di comunicare tra gli uomini, essendo sempre necessaria l'esistenza del creatore del motto, dell'ascoltatore e di altre persone
cui il motto si riferisce, e in ciò Freud scorge un'affinità con ogni altra funzione artistica. Si delinea un nuovo interessante sviluppo
della psicoanalisi, cui Freud dedicherà, nell'ultima fase della sua
produzione, particolare attenzione. Si fa strada cioè la possibilità di
interpretare le elaborazioni culturali degli uomini, letterarie e artistiche, con strumenti psicoanalitici.
Freud stesso farà delle escursioni in campo artistico e letterario
pubblicando brevi saggi critici su opere artistiche, come Un ricordo
d'infanzia di Leonardo da Vinci, Il Mosè di Michelangelo, Gradiva. Alla base di queste stimolanti brevi opere vi è la convinzione che anche l'artista, come il nevrotico, si ritiri nel mondo della fantasia
fuggendo da una realtà non appagante, seguendo il principio del
piacere piuttosto che quello della realtà. Così le opere d'arte soddisfano desideri inconsci, come i sogni. Ma le opere d'arte, come i
motti di spirito, si rivolgono a un pubblico e rie-scono, comunicando, a suscitare gli stessi desideri istintivi che ne sono alle origini,
«In più esse si servono del piacere della percezione della bellezza
formale come attrazione-premio».
La nascita del movimento psicoanalitico
A questo punto della sua produzione teorica e della sua intensa attività terapeutica (cui
bisogna addebitare la maggior parte delle scoperte freudiane) lo stesso Freud trasse la conclusione di avere fondato una nuova psicologia, una psicologia del profondo, indispensabile
alla comprensione dei processi psichici normali. La psicoanalisi, nata dall'esigenza di spiegare fenomeni patologici «era stata costretta a costruire ipotesi la cui portata superava di gran
lunga l'importanza della materia trattata». I meccanismi del sogno, degli atti mancati e del
motto di spirito riguardano infatti la vita psichica normale che è propria di ogni individuo
sano.
Una nuova visione della natura
umana
Così la scoperta dell'inconscio, se da un lato rende possibile l'interpretazione delle patologie nevrotiche, sotto un profilo più generale serve a riorganizzare il sapere intorno alla umana. E ciò non
comporta una caduta verso una concezione irrazionalistica, piuttosto il contrario: dell'inconscio la psicoanalisi infatti porta alla luce
la logica diversa e nascosta, e propone un metodo di indagine che
riconduca le sue leggi sotto il controllo del sapere razionale, che è
in grado di scoprirne il significato; certamente a condizione che
dell'inconscio si accettino la forza e la capacità di determinare alle
origini la vita psichica degli uomini; a condizione cioè di far rimarginare la «ferita narcisistica» inferta all'orgoglio umano che da secoli, nella cultura occidentale, attribuiva alla coscienza la capacità
di dominare sulle altre parti dell'Io. Una ferita simile era già stata
inferta dalla scoperta copernicana della non centralità della Terra
rispetto all'universo e dalla teoria darwiniana della discendenza
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L’iniziale isolamento
Le riunioni del mercoledì
La nascita dell’Associazione Psicoanalitica
della specie umana da altre specie animali. Consapevole dei traguardi raggiunti, Freud stesso contribuirà a trasferire i risultati
della psicoanalisi verso altri campi dell'agire umano, aprendo a
questa nuova disciplina la via verso «problemi di natura universale».
Il decennio intercorso dalla rottura con Breuer alla pubblicazione de L'Interpretazione dei sogni fu quello in cui Freud elaborò da
solo il nucleo della teoria psicoanalitica. Subì critiche ingenerose, fu
ignorato dagli ambienti accademici e fu, soprattutto, lasciato intellettualmente solo. L'amicizia con Fleiss è da lui descritta come unico conforto alla solitudine intellettuale. A Fleiss raccontava i progressi del suo lavoro e di lui fece l'unico interlocutore della propria
autoanalisi, anche se il rapporto di transfert stabilito con l'amico
era destinato a sciogliersi.
Freud uscì gradualmente dall'isolamento quando incominciò a
riunirsi intorno a lui una piccola cerchia di discepoli nelle riunioni
del mercoledì che si svolgevano nel suo appartamento viennese.
Wilhelm Stekel, Alped Adler, Otto Rank, che avranno un ruolo di
primo piano nello sviluppo del movimento psicoanalitico, facevano
parte del gruppo. A Zurigo intanto, dopo il 1906, Carl Gustav Jung,
uno psichiatra che lavorava presso la clinica di Eugen Bleuler, già
celebre per i suoi studi sulla schizofrenia, iniziò ad applicare la psicoanalisi nell'attività clinica, confermando le teorie freudiane e
contribuendo alla loro diffusione scientifica.
Nell'aprile del 1908 si tenne a Salisburgo una prima riunione di
amici della psicoanalisi cui parteciparono, oltre ai già citati soci del
circolo del mercoledì, Karl Abraham, Sandor Ferenczi, Max Eitingon, Ernst Jones. Fu un primo incontro internazionale che decise,
tra l'altro, la pubblicazione di una rivista di studi psicoanalitici, diretta da Jung ed edita da Bleuler e Freud. In questo primo periodo
«l'anatema ufficiale contro la psicoanalisi ebbe come conseguenza di
rendere più compatta l'unione degli analisti».
Nel 1910 si costituì a Norimberga l'Associazione Psicoanalitica
Internazionale, suddivisa al suo interno nei tre gruppi originari di
Vienna, Zurigo e Berlino e presieduta, su proposta di Freud, da
Jung. Si tratta dell'associazione che, attraverso varie vicissitudini, è
sopravvissuta fino ai nostri giorni comprendendo le varie realtà
nazionali.
Nell'anno precedente Freud e Jung erano stati invitati dalla
Clark University di Worcester a tenere un ciclo di conferenze sulla
psicoanalisi. L'esperienza americana, della quale è testimonianza lo
scritto Cinque lezioni sulla psicoanalisi, fu molto importante perché diede inizio a una sorta di «conquista dell'America» da parte
della nuova scienza, che nel nuovo continente si impiantò con stabili basi.
Sul piano umano questa trasferta diede nuova sicurezza ed energia a Freud che in proposito scrisse: «In Europa mi ero sentito
come un proscritto, mentre in America mi vedevo accolto come un
pari, proprio da coloro che maggiormente consideravo e rispettavo.
Quando salii alla cattedra di Worcester, per pronunciare le mie Cinque lezioni sulla psicoanalisi, credetti di assistere alla realizzazione
di un inverosimile sogno diurno. La psicoanalisi non era più ormai
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Posizioni contrastanti all’interno
dell’Associazione Psicoanalitica
Adler e Jung fondano due nuove
scuole
solamente una costruzione mentale, ma una parte pregevole della
realtà».
Allo sviluppo del movimento psicoanalitico seguì come logica
conseguenza il proliferare dei contributi teorici dei suoi adepti.
Studi di grande valore scientifico vennero prodotti in questi anni
dai discepoli di Freud. Tuttavia non mancarono difficoltà nei rapporti personali tra i membri dell'Associazione e dissensi sul piano
teorico. Personalità di notevole valore intellettuale, come la maggioranza degli analisti dell'Associazione, si trovarono a dover mediare tra il desiderio d'appartenenza alla nuova scienza e quello di
esprimere autonomia intellettuale. A ciò vanno aggiunte motivazioni di carattere psicologico, come il bisogno di rendersi autonomi
da un padre forte e autoritario, rappresentato da Freud, e la difficoltà di trovare equilibrio tra sentimenti contrastanti. Non va sottovalutato che questa prima generazione di analisti è l'unica, a eccezione di Freud, che affrontò la professione senza essersi sottoposta ad «analisi didattica», senza cioè strumenti di controllo sulle relazioni con il maestro.
Ciò portò alle prime dolorose defezioni all'interno dell'Associazione. Nel 1911 Adler, nel 1913 Jung (ambedue avevano rivestito
un ruolo molto importante nello sviluppo della psicoanalisi) diedero luogo a movimenti scissionisti, creando due differenti scuole di
pensiero.
A seguito della Prima guerra mondiale l'interesse per la psicoanalisi si intensificò, trovando applicazione nella cura dei traumi da
guerra. Nel 1920 Max Eitingon creò il Policlinico psicoanalitico di
Berlino, mentre Anton von Freund, ricco intellettuale ungherese,
finanziava la fondazione di una casa editrice della società psicoanalitica, attraverso la quale fu possibile l'indipendenza dall'editoria
commerciale e il controllo dell'autenticità degli scritti che si richiamavano, spesso impropriamente, alla psicoanalisi.
La produzione freudiana dopo la guerra
Il dualismo istintuale: Eros e Thanatos
Negli Studi sul narcisismo del 1914 Freud aveva individuato in un'unica libido la varietà
delle pulsioni, ma in questo stesso scritto cominciava a farsi strada una teoria dualistica delle
pulsioni, in quanto la libido può concentrarsi sull'Io, nel caso del narcisismo, o proiettarsi sul
mondo esterno. Nell'ultima fase del suo pensiero Freud si convinse dell'esistenza di due pulsioni contrapposte, quella vitale libidica e la pulsione di morte. Questa ipotesi fu elaborata
dopo la guerra, nel 1920, in Al di là del principio del piacere ed è legata alla riflessione sull'esperienza disastrosa della morte e della distruzione di massa. Freud propose di distinguere:
un istinto di conservazione dell'individuo e della specie, che chiama Eros, il dio
greco dell'amore;
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un opposto istinto di distruzione e di morte, che chiama Thanatos, il dio greco della morte, un'istintuale tendenza al ripristino di uno stato anteriore, disgregante,
che agisce come distruzione del vivente nella psiche e in ogni cellula umana, una
sorta di forza chimico-biologica che tende al ritorno allo stato inorganico. Questa
forza diventa manifesta quando si rivolge all'esterno e si palesa nella forma dell'aggressività e dell'autodistruzione.
Sull'utilità di questa ipotesi Freud si interrogò, ammettendo che essa travalicava i limiti
della psicoanalisi.
La vita come lotta di tendenze opposte
Il compito di ricondurre il vivente organico nello stato privo di vita [non è molto chiaro]; l'Eros
perseguirebbe invece il fine di complicare la vita, allo scopo naturalmente di conservarla, aggregando in unità sempre più vaste le particelle disperse della sostanza vivente. Entrambe le
pulsioni agirebbero in modo conservativo, nel senso più rigoroso di questo termine, poiché mirerebbero al ripristino di uno stato turbato dall'apparire della vita. L'apparire della vita sarebbe dunque la causa della continuazione della vita e al tempo stesso dell'aspirazione alla morte;
e la vita stessa sarebbe una lotta e un compromesso fra queste due tendenze. (S. Freud, Al di là
del principio del piacere)
La psicologia delle religioni
Freud ha dato un contributo alla psicologia della religione da un punto di vista antropologico, constatando un'analogia tra gli atti ossessivi e i riti religiosi. I testi che si occupano di tale argomento sono Totem e tabù del 1913, L'avvenire di un'illusione del 1927 e
L'uomo Mosè e la religione monoteista del 1938.
Il totemismo
In Totem e tabù, constatando l'esistenza del tabù dell'incesto anche
nelle società primitive organizzate secondo il sistema del totemismo, Freud mette in evidenza la coincidenza tra i due principali tabù del totemismo: non uccidere il totem e non congiungersi con
donne dello stesso clan totemico; e le due proibizioni derivanti dal
complesso edipico: non uccidere il padre e non unirsi alla madre.
Riprendendo l'ipotesi darwiniana secondo la quale gli uomini primitivi vivevano in orde, ciascuna delle quali capeggiata da un unico
maschio dominatone, padre di tutti i figli e marito di tutte le donne
dell'orda, ipotizza che un giorno i figli, esclusi dal potere, in comune accordo uccisero il padre e ne mangiarono il cadavere. Ma nessuno dei figli riuscì a sostituirsi al padre perché ogni fratello lo impedì all'altro. Sconfitti e pentiti della loro azione, i parricidi si organizzarono in clan secondo i principi del totemismo che avevano la
funzione di scongiurare la ripetizione del gesto delittuoso. L'esogamia, (cioè il divieto di sposare le donne dello stesso clan d'appartenenza) e l'adorazione di un animale totem, simulacro oggetto di
culto sostitutivo del padre, derivano da questa vicenda primordiale, commemorata ogni anno con un rito solenne, il cosiddetto banchetto totemico, durante il quale viene ucciso l'animale totem sacro, mangiato e poi pianto. Il rito serve a espiare il senso di colpa
per il delitto commesso (il peccato originario) ed è all'origine del16
Il desiderio di espiazione
per il delitto commesso (il peccato originario) ed è all'origine dell'organizzazione sociale, della religione e delle regole morali. Il padre ucciso, sostituito con l'animale sacro divinizzato, diverrà, nell'evoluzione della società, il prototipo della divinità. Freud osserva
che traccia del primitivo rito del banchetto totemico è rimasta nella
cerimonia cristiana della comunione.
Al di là della plausibilità di tale ricostruzione, storicamente non
verificabile, Freud voleva sottolineare che alla base delle religioni è
posto il desiderio di espiazione «dell'inconscio senso di colpa» originato dal desiderio edipico di ribellarsi al padre. Nell'Avvenire di
un'illusione ribadirà che la religione trae fondamento dalle più intime angosce degli uomini e che è un'illusione dalla quale l'umanità
dovrebbe liberarsi grazie al progresso delle scienze. Particolarmente gravida di senso di colpa è la religione del popolo ebraico (al
quale popolo Freud sottolineò più volte con orgoglio l'appartenenza), come si evince dal saggio L'uomo Mosè e la religione monoteista.
Interessanti riflessioni sono contenute in quest'opera intorno
all'antisemitismo, un problema tragicamente attuale (Hitler aveva
appena annesso l'Austria al Reich) che costò a Freud, proprio nell'anno di composizione del Mosè, l'esilio a Londra dove morì l'anno
successivo.
Il disagio della civiltà
Ne Il disagio della civiltà, un'opera del 1929, Freud studia il rapporto tra le pulsioni individuali e la costituzione della società con le sue esigenze. Il principio del piacere, in sé considerato, non tiene conto delle esigenze della realtà: l'Io deve strutturarsi facendo interagire le
pulsioni interne con il mondo esterno, ma qui vi sono problemi oggettivi, esigenze naturali,
che non sono immediatamente compatibili con le pulsioni a cui l'Io è sottoposto dal suo interno e, soprattutto, vi sono gli altri uomini. Con loro l'Io deve in ogni istante della vita fare i
conti, perché da essi dipende la vita reale. Nessuno può fare a meno dei propri simili, ma il
principio di piacere impone comportamenti incompatibili con la vita in comunità. Per ciascuno, infatti, gli altri sono strumenti per la soddisfazione delle proprie esigenze. A queste condizioni la società nasce come conflitto di tutti contro tutti.
Il controllo degli impulsi
Una società, tuttavia, può strutturarsi in modo efficace solo in una
relativa situazione di equilibrio, fondandosi sull'accordo, piuttosto
che sul conflitto. Se conflitti vi sono, essa deve regolarli, sottomettendoli alla legge. Questo esige che il principio di piacere venga tenuto a freno. Esige che l'Io sottoponga a rigoroso controllo gli impulsi che, se fossero liberati e tradotti in azione, distruggerebbero
l'equilibrio su cui si fonda la società. Freud usa l'espressione disagio della civiltà per indicare la necessità sociale che al principio di
piacere non sia data piena soddisfazione. La felicità dell'uomo impone la rinuncia a tradurre in atto alcuni dei suoi desideri. Soddisfarli sarebbe in alcuni casi possibile, ma farlo danneggerebbe la
società.
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L’organizzazione della guerra
Tuttavia, gli impulsi che avrebbero effetti distruttivi non possono essere annullati; devono dunque essere in qualche modo controllati, regolati attraverso norme che ne limitino gli effetti. La società, quindi, è strutturata in modo da inibire lo sviluppo della libera espressione del principio di piacere. Per questa ragione essa sottopone a limiti, regole e controlli l'intera sfera della vita sessuale,
oppure — ed è il caso degli eserciti — pone rigide regole all'aggressività umana organizzandola entro strutture che la collettività
possa sottoporre a controllo. Persino la guerra — nella quale le
forze distruttive che vivono nella psiche dell'uomo possono manifestarsi con il massimo della loro efficacia - è sottoposta a una ferrea organizzazione statale: essa è condotta da eserciti disciplinati, è
sottoposta a regole (se questo possa ancora accadere con i moderni
mezzi di distruzione di massa è assai dubbio, e Freud negli anni
successivi ha scritto pagine importanti su questo argomento). La
società, insomma, limita fortemente la libera realizzazione della vita psichica. Senza questa limitazione, essa forse non esisterebbe
neppure, e la civiltà non avrebbe mai potuto evolversi. Il problema
di una società correttamente organizzata è quindi quello di permettere il massimo di soddisfazione per il principio di piacere
compatibile con il massimo rispetto del principio di realtà. In questo equilibrio è la sfida che l'uomo ha dinanzi nell'organizzazione
delle attuali società complesse, società in cui ciascuno è elemento
di un'anonima massa.
Le scuole psicoanalitiche postfreudiane
Lo sviluppo del pensiero psicoanalitico portò con sé l'esigenza di consolidare, da un punto
di vista istituzionale, il corpus dottrinario freudiano. A questo scopo nel 1908, dopo il Congresso internazionale tenutosi a Salisburgo, venne fondata la Società psicoanalitica di Vienna
che si diede il compito di fissare le specificità della psicoanalisi per distinguerla da quei linguaggi e pratiche che Freud stesso definiva «psicoanalisi selvaggia». A essa seguì la fondazione di numerose altre scuole nelle capitali europee e statunitensi. Con il diffondersi della pratica psicoanalitica emersero le prime importanti posizioni di dissenso rispetto all'ortodossia
freudiana, all'origine anche di dolorose rotture tra Freud e alcuni suoi allievi o collaboratori.
Come abbiamo visto i primi ad allontanarsi dal maestro furono Carl Gustav Jung (18751961), assistente di Freud, e Alfred Adler (1870-1937) che criticarono soprattutto l'eccessivo
determinismo della teoria freudiana e insistettero sulla necessità di approfondire e ampliare
l'eziologia relativa alle malattie nervose.
Adler individua e sottolinea il ruolo determinante svolto dai rapporti sociali ed economici
nello sviluppo psico-fisico di ogni individuo. Mutuando da Nietzsche il concetto di «volontà
di potenza», intesa come bisogno innato di sopravvivere e di affermarsi, e introducendo quello di «sentimento sociale», quale spinta a cooperare con la comunità e a compartecipare emotivamente con altri individui, Adler sostiene che la coesistenza di queste due istanze costituisce la salute mentale, mentre il loro conflitto porta alla nevrosi. Secondo Adler, quindi, il motore delle malattie nervose non è da ricercarsi nella sessualità, quanto in una pulsione aggressiva principio dell'energia psichica. Il movente istintuale principale è l'aggressività che
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compensa il senso di inferiorità nei confronti degli altri, ritenuto responsabile di condizionare tutta la vita psichica dell'individuo. Ogni persona si costruisce un particolare stile di vita,
come insieme di affetti e atteggiamenti che definiscono la sua personalità, in risposta a quel
senso di inferiorità che vuole combattere. Da che cosa dipende quindi la nevrosi? «Ogni nevrosi può essere intesa come un tentativo culturalmente sbagliato di liberarsi da un senso di inferiorità per procacciarsi un senso di superiorità».
Lo stile di vita nelle personalità nevrotiche diventa quindi un autoinganno, una finzione
tesa a costruire una modalità esistenziale che realizzi il senso di superiorità rispetto agli altri
individui. Ciò che caratterizza il nevrotico è l'individualismo sfrenato delle mete che si pone,
completamente disgiunte dagli scopi collettivi. La pratica terapeutica, quindi, si configura
come discussione tra analista e paziente al fine di individuare il momento inconscio in cui il
paziente ha organizzato questo autoinganno. Quella proposta da Adler è una visione finalistica, che minimizza il ruolo della causalità freudiana nella vita psichica, e che inizia quel processo di spostamento dell'interesse analitico dall'inconscio all'Io quale soggetto almeno parzialmente responsabile nell'evoluzione del proprio stile di vita.
La psicologia analitica di Carl Gustav Jung
Adler esce dal gruppo freudiano nel 1911; due anni dopo avverrà la rottura più dolorosa
con Jung a partire da una differente visione dell'energia psichica, del ruolo della sessualità e
dell'inconscio.
Jung è il padre della "psicologia analitica" (o psicologia del profondo) i cui fondamenti sono esposti nei saggi Trasformazioni e simboli della libido (1912), Psicologia dell'inconscio
(1917), Tipi psicologici (1921). La libido non viene interpretata da Jung come energia esclusivamente sessuale, ma come spinta, come energia neutra che descrive l'intensità di un processo psichico. Questa energia non viene indagata solo a partire dalle sue cause, ma dagli
scopi che essa si dà. Ciò significa per Jung allontanarsi dall'impianto causalistico freudiano
per considerare, invece, le direzioni — dunque la progettualità — verso cui questa energia si
dirige, direzioni che possono essere progressive, ossia di adattamento al mondo esterno, oppure regressive, cioè di ripresa di antichi conflitti sfocianti nel malessere psichico.
L'altro nodo di rottura tra i due si riferisce all'interpretazione della nozione di inconscio.
Mentre per Freud l'inconscio è personale, secondo Jung esso non contiene solo tracce di esperienze personali vissute, dimenticate o rimosse, ma anche uno strato più profondo dove è
depositato il patrimonio psicologico dell'umanità. Questo strato è stato definito da Jung «inconscio collettivo», quale sede di strutture, simboli universali, una sorta di immagini primordiali, comuni a tutta l'umanità e che vengono poi riempite da ogni cultura e da ogni individuo. Jung viene così ad ampliare il concetto di psiche, che Freud aveva legato a uno sfondo
naturalistico, ponendo l'uomo come organismo biologico, attraverso il riferimento alla nozione di storia e di sfondo collettivo. Per comprendere in modo adeguato le strutture della
psiche è necessario concepirle simbolicamente a partire da quel fondo impersonale e collettivo che trova poi la sua individuazione nella vicenda personale di ogni individuo e nei condizionamenti che questi ha subito nel corso del suo sviluppo.
L'inconscio viene dunque a essere non più solo la fonte delle perturbazioni nevrotiche, ma
anche un organismo vivente, creativo e costruttivo. Le angosce e i disturbi della personalità
allora non hanno origine nell'inconscio, ma nell'incapacità di comprendere quella che è la
nostra natura più profonda, la nostra autenticità: «la nevrosi è la sofferenza di un'anima che
non ha scoperto il proprio significato». L'obiettivo della terapia viene a coincidere con questo
graduale e difficile percorso verso la con-sapevolezza del potenziale racchiuso in noi, riportando alla sfera della coscienza le capacità di crescita, di interazione con le proprie pulsioni
che rimandano alle esperienze più profonde dell'umanità tutta. E poiché il patrimonio arche-
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tipico dell'analista è lo stesso di quello del paziente, il rapporto terapeutico stabilirà una sostanziale equivalenza tra i due, nel senso che non si ricercherà più quel distacco oggettivo tipico della terapia freudiana, ma quel costante dialogo e interazione utili a realizzare il processo di individuazione, ossia il raggiungimento della propria autenticità, di ciò che ciascuno
propriamente è.
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