Il riorientamento delle politiche di sostegno all`agricoltura nell`UE

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Il riorientamento delle politiche di sostegno
all’agricoltura nell’UE
J.E.L. Q18
Roberto Henke
INEA - Istituto Nazionale di Economia Agraria
Abstract. The Nineties have represented for the Common Agricultural Policy
(CAP) a long transitional period, that resulted, on one side, in a larger exposure of
European agriculture to the world market
forces; on the other, in a shifting of support
from unconditional instruments to flexible
and selective ones, tied to farmers’ behaviour and aimed at the conservation and valorisation of the environmental resources
and natural landscape.
The reform process, started with the
Mac Sharry reform in 1992 and carried on
with Agenda 2000 in 1999, has had a new
impulse with the latest CAP reform in
2003, focussed on the full decoupling of the
direct payments and on their conditionality
to the respect of minimum standards in the
fields of environment, animal welfare,
agronomic care and food health.
The paper highlights the main dynamics
that drove the reform process of the CAP in
the Nineties, with a specific attention to:
the reform of the market policies (the socalled pillar 1 of the CAP); the implementation of new instruments that tie direct
payments to environmental and food safety
tasks; the reinforcement of the rural development policies and the implementation of
instruments aimed at activating a flow of
resources form the first to the second pillar
of the CAP.
The CAP reform process is regulated
by some forthcoming crucial steps: the actual implementation of the latest reform
in 2005 and the EU enlargement to ten
New Member States in 2004 and to two
more in 2007. The desirable trend of such
process is toward a more determined shift
from a sector-based approach to a territorial one, focussed on rural areas, with a reduced first pillar that becomes more tightly conditioned to environmental and quality standards.
1. Introduzione
Gli anni novanta hanno rappresentato per la politica agricola comune (PAC)
una lunga fase di transizione che ha avuto come principali esiti, da un lato, una
maggiore esposizione dell’agricoltura europea alle forze del mercato mondiale e,
dall’altro, il progressivo spostamento del sostegno da forme incondizionate e garantite a strumenti più selettivi, orientati alla conservazione e valorizzazione dell’ambiente ed esplicitamente legati ai comportamenti dei beneficiari (agricoltori)
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e ai territori (aree rurali). In questo decennio sono state varate due riforme della PAC di grande rilevanza: quella voluta e sottoscritta da Mac Sharry, nel 1992,
e poi Agenda 2000, nel 1999.
Entrambe le riforme hanno sancito un graduale abbassamento dei prezzi istituzionali dei prodotti agricoli europei con un conseguente riavvicinamento ai
prezzi internazionali, con l’obiettivo di una maggiore competitività internazionale dell’agricoltura europea. Con la riforma Mac Sharry, inoltre, sono state introdotte due novità di rilievo: i pagamenti diretti e le cosiddette misure di accompagnamento, entrambi da affiancare alle tradizionali politiche di mercato,
nel primo caso come forma di compensazione per l’abbassamento dei prezzi istituzionali, nel secondo per incentivare un’attività agricola a minore impatto ambientale, la cura del paesaggio rurale, la forestazione e il ricambio generazionale
in agricoltura.
Agenda 2000 ha proseguito nel solco aperto con la riforma Mac Sharry, presentando i pagamenti diretti non più come compensazioni ma come strumenti
per il sostegno del reddito agricolo tout court, potenziando le misure agroambientali, rendendole parti integranti delle politiche per lo sviluppo rurale, e introducendo, con il regolamento orizzontale, due nuovi strumenti: l’eco-condizionalità e la modulazione degli aiuti diretti. Con la riforma del 1999 il processo
di riorientamento della PAC ha avuto una spinta decisiva, grazie alla focalizzazione su un modello di agricoltura europeo incentrato sulla multifunzionalità
dell’attività agricola e sul ruolo centrale delle aree rurali per la diversificazione
delle attività economiche degli agricoltori (Buller, 2003). Di conseguenza, sono
stati definiti nuovi strumenti che legano le politiche di mercato (il primo pilastro
della PAC) a comportamenti “virtuosi” degli agricoltori in materia ambientale,
paesaggistica e di produzione di alimenti sani e di qualità e che tendono a rafforzare le politiche di sviluppo rurale (il secondo pilastro) con maggiori dotazioni finanziarie stornate dal primo pilastro.
La revisione di medio termine di Agenda 2000 (MTR) ha dato una accelerazione significativa al percorso di riforma della PAC. Sebbene, infatti, il percorso
sia stato piuttosto tortuoso e si sia concluso, come spesso è accaduto nella storia
della PAC, con un compromesso finale che rivede in senso conservativo le proposte sul tappeto, le decisioni finali spingono a fondo l’approccio di Agenda
2000 puntando decisamente sul disaccoppiamento del sostegno attraverso la determinazione di un premio unico che rappresenterebbe la parte più sostanziosa
del sostegno agricolo e lasciando, per alcuni comparti, una parte dell’aiuto accoppiato giustificato con la specificità economica e territoriale del prodotto in
questione e della conseguente necessità di un sostegno legato alla produzione. In
questo modo la nuova politica post-MTR sarà rappresentata da un sostegno per
larga parte disaccoppiato, destinato ai beneficiari storici della politica comune
per l’agricoltura, legato alla proprietà della terra e vincolato al rispetto di standard minimi ambientali, di qualità e di salubrità dei prodotti agricoli e di gestione dei terreni agricoli. Inoltre, con la MTR la modulazione degli aiuti diretti di-
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venta obbligatoria, sottoposta a regole comuni dettate dalla Commissione, ed
agisce sui pagamenti diretti stornando una parte (ridotta, in verità) del sostegno
dal primo al secondo pilastro della PAC.
Come appare chiaro da quanto sinteticamente riportato qui, la MTR si presenta come una vera e propria riforma della PAC che va ben al di là dell’intento, previsto con Agenda 2000, di valutazione dell’andamento delle scelte operate nel 1999. La MTR, infatti, contiene in sé la conclusione di un percorso iniziato appunto nei primi anni novanta e che conferisce alla PAC una decisa sterzata, funzionale ai numerosi vincoli interni, di bilancio, di accettabilità sociale, ma
anche all’allargamento dell’UE ai nuovi Paesi membri e al rispetto dei vincoli internazionali.
In questo lavoro ci si propone di ricostruire, in modo sintetico, le principali
dinamiche che hanno contribuito al riorientamento degli strumenti relativi al
primo pilastro e al rafforzamento del secondo, cercando di evidenziarne i punti
di forza e di debolezza, con particolare riguardo a tre aspetti:
– la riforma delle politiche di mercato, con una particolare attenzione al tentativo, solo in alcuni casi riuscito, di integrazione del sostegno ai vari comparti con
le tematiche della salvaguardia dell’ambiente e della diffusione di tecniche produttive a basso impatto ambientale;
– lo sviluppo di un ventaglio di strumenti, arricchitosi con la proposta della
MTR, che consentono il condizionamento delle politiche di sostegno diretto ad
obiettivi di natura ambientale e legati alla qualità e alla salubrità degli alimenti;
– le politiche tirate in ballo negli ultimi anni per ridurre il sostegno diretto attuale e per spostare risorse dal primo al secondo pilastro (degressività e modulazione degli aiuti diretti). A questo proposito, va detto che nonostante la forte
enfasi che ha permeato il dibattito relativo al rafforzamento delle politiche di sviluppo rurale, il travaso di risorse è stato progressivamente ridimensionato da un
punto di vista finanziario nelle varie proposte di riforma, ed esso tende a rafforzare solo in quantità modeste la dotazione finanziaria messa a disposizione delle
misure contenute nei piani di sviluppo rurale (PSR).
2. Il cambiamento della PAC negli anni novanta
A partire dalla riforma del 1992 il cambiamento della politica agraria in Europa si sofferma su tre aspetti centrali: il progressivo disaccoppiamento del sostegno assicurato dalle politiche di mercato; il processo di integrazione della politica agraria con obiettivi socio-ambientali, grazie alla definizione e all’applicazione delle cosiddette “politiche di accompagnamento”, la gran parte delle quali è rappresentata dalle misure agroambientali; infine, con Agenda 2000, l’affermazione e il rafforzamento delle politiche di sviluppo rurale, il cosiddetto “secondo pilastro” della PAC.
Rinviando al seguito l’analisi del processo di disaccoppiamento, veniamo a
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qualche considerazione sulle misure agroambientali. Con esse, si mira ad incoraggiare l’integrazione tra obiettivi di politica agraria e di politica ambientale attraverso incentivi alla diffusione di pratiche agricole eco-compatibili, alla riduzione ed al controllo dell’uso di prodotti chimici e all’estensivazione della produzione (sia vegetale che zootecnica). La loro applicazione, dopo una partenza
stentata, è cresciuta in modo molto evidente, e la spesa è arrivata a rappresentare circa il 5% del totale a carico del fondo FEOGA-Garanzia (Inea, 2002a; Henke, 2002). Tuttavia, le misure di accompagnamento hanno rappresentato, sia nella loro impostazione che nel modo in cui sono state percepite dagli agricoltori,
più una forma di sostegno complementare alla politica dei mercati che non una
politica “attiva” e autonoma (von Meyer, 1997; De Benedictis, 1998): per quanto riguarda, in particolare, le misure agroambientali, ciò è dovuto sia alla logica
che ne è alla base, che sovverte il principio del “polluter pays” proponendo incentivi per non peggiorare lo stato dell’ambiente, sia al criterio meramente compensativo con cui tali premi vengono calcolati (in funzione, cioè, del mancato
reddito dovuto al rispetto delle pratiche a basso impatto ambientale).
Alla fine degli anni novanta, in applicazione del trattato di Amsterdam del
1997, è stata definita la “buona pratica agricola” (BPA), cioè uno standard di riferimento per la gestione delle risorse naturali e per l’impatto ambientale dell’attività agricola riferito ad un livello territoriale circoscritto, per il raggiungimento del quale non è previsto alcun sistema di incentivi (Petersen, Shaw, 2000;
Ahner, 2001; Henke, 2002). Il sostegno finanziario previsto dalle misure agroambientali nel reg. 1257/99 dovrebbe essere considerato, dunque, come un incentivo ad andare oltre quanto stabilito dai codici di BPA. Solo in questo caso, infatti, si può legittimamente parlare di servizio aggiuntivo per la collettività e congiunto all’attività primaria che va sostenuto finanziariamente in quanto non trova un’appropriata remunerazione attraverso il mercato.
Echi del trattato di Amsterdam si ritrovano anche nei documenti che hanno
preparato il terreno alla riforma di Agenda 2000, ed in particolare nel cosiddetto strategy paper della Commissione del 1998, nel quale si indica la necessità di
un approccio integrato alla soluzione dei problemi ambientali come strumento
positivo di sviluppo sostenibile, in netta controtendenza rispetto agli approcci
settoriali fino ad allora seguiti (Commissione CE, 1998). In questo rapporto
Agenda 2000 viene vista come elemento centrale della svolta verso uno sviluppo
sostenibile, insieme con l’attuazione del Protocollo di Kyoto. In esso si individuano tre ambiti principali di intervento:
– la politica di coesione, in particolare il rapporto tra utilizzazione dei fondi
strutturali e miglioramento dell’ambiente;
– la politica agricola, in particolare la riduzione del sostegno via prezzi ed il passaggio ai pagamenti diretti;
– l’allargamento dell’UE, con l’adeguamento dei nuovi Paesi membri all’acquis
comunitario.
Agenda 2000 ha individuato nel “modello di agricoltura europeo” la cornice
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per giustificare l’integrazione tra politiche agrarie e politiche ambientali in senso lato (Commissione CE, 1997; CES, 1999). Tale modello pone al centro della
sua attenzione un settore agricolo che gradualmente si inserisce nel contesto
mondiale, a livelli competitivi adeguati, privandosi progressivamente di un sostegno che influenza fortemente le scelte produttive, ma che contestualmente è
arricchito dalla coesistenza di forme di agricoltura diverse, ricche di tradizione,
orientate non solo alla produzione di alimenti ma anche al mantenimento del
paesaggio rurale, della vitalità delle comunità rurali, del sostegno dell’occupazione nelle aree a vocazione agricola. Dal punto di vista della scelta degli strumenti, il modello di agricoltura europeo richiede una sempre migliore applicazione del principio della sussidiarietà istituzionale (UE, Stati membri, regioni,
comunità locali) e di un supporto della politica che renda chiaro ed esplicito il
sostegno, rivolto non solo alla attività produttiva ma, sempre di più, alla compensazione degli agricoltori per i servizi da essi forniti che non trovano remunerazione adeguata sul mercato. Nel testo di Agenda 2000 si sottolinea anche la
specificità di tale modello, che riconosce, appunto, i numerosi fallimenti del mercato nella regolazione del settore primario e che punta alla stabilità dei redditi
degli agricoltori attraverso un sistema di opportuni incentivi.
Venendo al rafforzamento del secondo pilastro, cioè delle politiche per lo sviluppo rurale, esso è stato elemento centrale della filosofia di riforma di Agenda
2000. Tale rafforzamento è effettuato sia attraverso un allargamento delle misure di intervento, sia mettendo a disposizione fondi aggiuntivi, drenati dal primo
pilastro attraverso la modulazione degli aiuti diretti. Le misure previste nei PSR
hanno mantenuto l’agricoltore e l’attività agricola al centro dell’intervento per lo
sviluppo rurale e, pur muovendosi tra modernizzazione del settore agricolo e
conservazione delle risorse, lasciano ancora poco spazio ad interventi di natura
più squisitamente territoriale. In questo senso, lo sviluppo rurale ha ereditato
l’approccio delle politiche strutturali per il settore agricolo dell’UE degli anni
settanta ed ottanta e solo parzialmente è riuscito a trasformarsi in una politica
che mettesse al centro degli interessi il territorio rurale, di cui l’agricoltura è solo una delle componenti socioeconomiche 1.
Il confronto tra il modo in cui viene erogato il sostegno tra primo e secondo
pilastro mette in luce notevoli differenze: al di là della incommensurabilità delle
cifre (la spesa erogata per lo sviluppo rurale è pari a circa il 10% di quella erogata con le politiche di mercato, se si guarda al solo fondo FEOGA-Garanzia),
nel caso del primo pilastro i pagamenti sono garantiti ed annuali, stabiliti a livello dell’UE e settorialmente definiti. Nel caso dello sviluppo rurale i pagamenti
1
Come sostengono De Filippis e Storti (2002, p. 47), “le attuali politiche di sviluppo rurale sono un miscuglio eterogeneo – e per certi versi contraddittorio – di misure vecchie e nuove, in cui comunque prevalgono quelle riciclate dal vecchio arsenale dell’intervento settoriale”. Sempre secondo i due autori, il
rafforzamento del secondo pilastro è limitato dallo stesso compromesso che l’ha generato, cioè il tentativo (sostenuto dai gruppi di interesse agricoli) di mantenere invariato il sostegno agli agricoltori cambiandone solo la forma nella direzione di misure con un certo sapore ambientale e territoriale.
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sono basati su una attività di programmazione pluriennale, hanno una base di
applicazione locale (regionale) e non sono definiti settorialmente ma sono spesso di natura orizzontale. Inoltre, tutta la componente del sostegno che fa capo al
secondo pilastro richiede un cofinanziamento nazionale con tassi variabili a seconda delle condizioni di sviluppo delle regioni che redigono il PSR.
3. Il riorientamento delle politiche di mercato
Ci si soffermerà qui sia sul processo di riforma delle tre principali OCM comunitarie (seminativi, carne bovina e prodotti lattiero-caseari) ma anche sul più
complessivo processo di disaccoppiamento del sostegno, proposto nella MTR.
Per quanto riguarda i seminativi, l’OCM copre un gruppo di prodotti che nel
complesso gode della maggiore quota di sostegno nella PAC e la cui riforma, prima nel 1992 e poi nel 1999, dal punto di vista del riorientamento degli strumenti verso forme più flessibili e attente alle questioni ambientali e territoriali, è stata piuttosto deludente 2. Nel caso della carne bovina, al contrario, l’OCM, anch’essa modificata con Mac Sharry e con Agenda 2000, ha seguito un percorso
interessante e, per alcuni versi, innovativo, su cui vale la pena soffermarsi (Baldock, Dwyer, Sumpsi Vinas, 2002). Infine, l’OCM latte, basata sulle quote di
produzione nazionali introdotte nel 1984, non ha subito successivamente modifiche rilevanti: la riforma è stata solo disegnata con Agenda 2000, ma la sua implementazione è stata rimandata al 2008; nel frattempo, con la MTR è stata introdotta qualche modifica di rilievo3.
Cominciando dai seminativi, la riduzione del prezzo di intervento ha portato
all’introduzione e al rafforzamento dei pagamenti diretti, prima come forma di
compensazione per la perdita di reddito conseguente all’abbassamento del prezzo, e poi come vera e propria integrazione del reddito degli agricoltori4. Con
Agenda 2000, inoltre, è stato deciso un abbassamento progressivo dell’aiuto diretto riservato ai semi oleosi, in modo da riportarlo allo stesso livello dell’aiuto per
i cereali, ed un tasso di set aside obbligatorio fissato al 10%, ma soggetto a possibile modifica su proposta da parte della Commissione (De Filippis, Henke, Pupo
D’Andrea, 1999; Henke, Pupo D’Andrea, Sardone, 1999). La MTR non ha modificato l’impostazione data all’OCM da Agenda 2000, lasciando la possibilità agli
Stati membri di mantenere accoppiato fino al 25% degli aiuti diretti e ricono2
I seminativi assorbono, a livello comunitario, il 41% della spesa complessiva a carico del FEOGA-Garanzia, di cui il 31% solo dai cereali (Inea, 2002a).
3
La principale novità per questa OCM è l’introduzione di pagamenti diretti per gli allevatori, contemporaneamente ad una revisione delle quote di produzione.
4
In questa sede non verranno discussi gli effetti, pure rilevanti, dell’abbassamento dei prezzi istituzionali sullo stato dell’ambiente e sul territorio, in quanto tale misura di politica agraria non va considerata come parte attiva del processo di greening, ma risponde all’esigenza di un settore agricolo europeo
maggiormente allineato con i mercati internazionali e più competitivo.
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scendo in alcuni casi (riso e grano duro) una parte dell’aiuto diretto come un premio specifico per il mantenimento dell’attività in zone vocate o tradizionali.
Una novità di rilievo della MTR, che va inscritta in un quadro di maggiore attenzione alle questioni ambientali e sostenibili all’interno del primo pilastro, riguarda il set aside, obbligatorio per il 10% della SAU e per un decennio. Ad esso viene per la prima volta riconosciuta, oltre alla funzione di controllo dell’offerta agricola, anche una esplicita funzione ambientale5. Rispetto alle prime proposte di revisione di Agenda 2000, si offre agli agricoltori la possibilità di scegliere, in alternativa al set aside non rotazionale, la messa a riposo rotazionale6.
Riguardo a questo strumento, gli effetti sulle risorse naturali non sono univoci:
si può, infatti, supporre che un elevato tasso di set aside abbia effetti benefici sulla fertilità del terreno e sulla biodiversità, sebbene tali effetti siano legati alle caratteristiche intrinseche dei terreni e alle condizioni idrogeologiche dei territori.
Tuttavia, la possibilità di scelta tra set aside rotazionale e non rotazionale va vista con favore, in quanto il primo, se da un lato favorisce la sistemazione idrogeologica dei terreni, può portare alla messa a riposo dei terreni peggiori e alla
intensificazione della produzione su quelli più fertili 7.
Passando alla carne bovina, anche in questo caso le riforme hanno portato ad
una riduzione del prezzo di intervento ed un conseguente rafforzamento degli
aiuti diretti, calcolati per capo e vincolati al carico di bestiame per ettaro. Ciò
conferma la scelta, da parte dell’UE, di sostenere l’allevamento estensivo basato
sul prato-pascolo permanente, penalizzando di conseguenza l’allevamento intensivo a basso uso di terra (Henke, 2002; Ismea-Osservatorio Latte, 2002). La
presenza di una soglia di densità che vincola l’accesso ai pagamenti diretti può
essere intesa come una sorta di cross compliance settoriale implicita, unico caso
tra le OCM, che ha carattere obbligatorio ed è molto più stringente di quanto
realizzato, come si vedrà in seguito, all’interno del “regolamento orizzontale”.
Con Agenda 2000, inoltre, è stato significativamente aumentato il premio per l’estensivazione degli allevamenti e sono stati approvati nuovi premi non vincolati
alla densità degli allevamenti che tendono a compensare il sostegno privilegiato
alla zootecnia estensiva: il premio alla macellazione e un premio gestito direttamente dagli Stati membri (envelope). La gestione nazionale dell’envelope è un
elemento di flessibilità accordato agli Stati membri per poter intervenire sugli
anelli più deboli della struttura produttiva, anche se in genere gli aspetti ambientali e territoriali sono stati trascurati a favore di interventi tradizionali di
5
Il set aside ha anche la funzione, non secondaria, di rendere i pagamenti diretti di Agenda 2000 compatibili con la scatola blu del WTO. Tuttavia, essendo stato approvato il disaccoppiamento degli aiuti diretti, buona parte del sostegno diretto dovrebbe passare nella scatola verde, e dunque tale funzione diventerebbe superflua. Per un’analisi accurata del set aside nell’ambito della riforma della PAC, si veda lo
studio della Coldiretti (2003).
6
Sono esclusi dall’obbligo di set aside le aziende biologiche; inoltre, viene confermata la possibilità di
coltivare prodotti non food sui terreni messi a riposo.
7
Ci si riferisce al cosiddetto fenomeno dello slippage (Barbero, Zezza, 1993).
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mercato. Tuttavia, in alcuni Paesi dell’UE, tra cui l’Italia stessa, una parte delle
risorse – in misura variabile da Paese a Paese – è stata utilizzata come sostegno
alla produzione di carne biologica (regolamento 1804/1999), ai marchi di tutela
(regolamento 2081/92) e a chi garantisce, attraverso disciplinari di produzione
specifici e riconosciuti, la rintracciabilità, il benessere degli animali e l’osservanza del divieto di uso di ormoni e altre sostanze vietate.
La proposta di revisione di medio termine per l’OCM relativa alle carni bovine ha subito una profonda modifica nel corso del dibattito. Con la prima versione, infatti, la Commissione aveva ritenuto di dover intervenire in modo ancora più stringente a favore di una maggiore estensivazione degli allevamenti, sostenendo che l’attuale OCM non incoraggia sufficientemente le forme di allevamento ritenute a minor impatto ambientale; di conseguenza, la Commissione
proponeva il disaccoppiamento totale degli aiuti alla carne bovina, con una forma di pagamento unica basata sui diritti storici acquisiti, ed inoltre un rafforzamento della condizionalità degli aiuti a pratiche eco-compatibili e rispettose del
benessere degli animali. Di ciò si è persa traccia con la proposta “formale” di
gennaio 2003, e al di là della proposta di pagamento unico nel quale confluirebbero, ovviamente, tutti i pagamenti diretti dell’attuale OCM, non vi è un capitolo specifico dedicato al comparto.
La riforma dell’OCM latte ha avuto un percorso molto diverso dagli altri
comparti riformati, in quanto nel 1992 fu semplicemente previsto il mantenimento delle quote di produzione, mentre nel 1999 era stata annunciata una riforma, che prevedeva il passaggio ai pagamenti diretti nell’ambito sempre di un
regime di quote di produzione, ma che sarebbe stata implementata non prima
della campagna 2005/06, mentre il regime delle quote di produzione veniva comunque prorogato fino al 2008 (Inea, 2000c; Borroni, Scoppola, Sorrentino,
2001). L’unico risultato immediato era l’aumento della quota per alcuni Paesi, tra
cui l’Italia, che veniva considerato come un “anticipo” dell’aumento previsto a
partire dal 2005/06 per tutti i partner. Il sistema dei pagamenti diretti avrebbe
avuto, secondo Agenda 2000, una struttura simile a quella dei bovini da carne,
con una parte del premio legata ai capi (legata alla quota di riferimento individuale, attraverso il riferimento alle “vacche virtuali”, cioè al numero teorico di
capi in grado di produrre la quota di produzione) e una parte sotto forma di envelope nazionale, come integrazione di premio e anch’essa legata alla quota nazionale di produzione (Inea, 2000c). Un tale assetto della riforma, definito da
molti una “non-riforma”, lasciava sostanzialmente inalterata la regolazione del
comparto per oltre un quinquennio e soprattutto non affrontava in alcun modo
le questioni di natura ambientale e territoriale della OCM (concentrazione della
produzione, zootecnia nelle aree svantaggiate, ecc.), rimandando eventuali correzioni alla revisione di medio termine.
La MTR ha affrontato solo nella sua versione di gennaio 2003 la questione
della riforma dell’OCM latte, confermando l’approccio a suo tempo annunciato
con Agenda 2000: il mantenimento delle quote di produzione e l’abbassamento
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progressivo dei prezzi istituzionali compensato dall’introduzione dei pagamenti
diretti. La versione definitiva di giugno 2003 vede una riduzione dei prezzi più
contenuta rispetto a quanto proposto, la proroga delle quote fino al 2015 (immutate almeno fino al 2008) e l’inclusione dei pagamenti diretti, a partire dal
2008, nello schema di pagamento unico disaccoppiato.
Nel complesso, la parte più rilevante della MTR, per quanto riguarda le politiche di mercato, è senz’altro l’approvazione del disaccoppiamento totale degli
aiuti diretti, che, già anticipato dalla proposta di luglio 2002, era stato ulteriormente rafforzato nel gennaio 2003, non tanto nella effettiva portata e nel meccanismo di implementazione, quanto nella centralità che ad essa viene data dell’articolazione dei capitoli del regolamento comune8. Sebbene nella versione di
giugno 2003 il disaccoppiamento abbia subito un certo ridimensionamento, con
la possibilità lasciata agli Stati membri di conservare quote importanti di aiuti accoppiati alla produzione, secondo gli attuali criteri, va detto che comunque, con
la riforma, la maggior parte del sostegno attivato nel cosiddetto primo pilastro
prende la forma di un aiuto totalmente disaccoppiato9.
Il disaccoppiamento è sicuramente la questione più discussa della riforma
della PAC; essa presenta, al di là dei problemi di implementazione, un notevole
grado di complessità sia rispetto agli effetti distributivi del sostegno che nella valutazione degli scenari futuri della PAC stessa. Un primo aspetto da sottolineare
è che con questa proposta sembra chiudersi un percorso iniziato con Mac
Sharry, mirante appunto a scollegare definitivamente il sostegno agli agricoltori
da ogni obbligo produttivo. Ciò determina, almeno in teoria, una decisa semplificazione nel sistema di calcolo e di gestione dei pagamenti diretti, che diventano in questo modo una pura integrazione di reddito per gli agricoltori, o meglio
per chi deteneva, nel passato, diritti ai pagamenti diretti legati alla terra o ai capi 10. Inoltre, il passaggio ad un sistema di aiuti disaccoppiato rende le scelte produttive totalmente svincolate dalla rincorsa al sostegno, e ciò dovrebbe garantire un maggiore orientamento al mercato, rendendo l’agricoltura europea più
competitiva sulla scena mondiale.
Tuttavia, l’aiuto disaccoppiato, senza obblighi di produzione, pone almeno
qualche dubbio sull’approccio teorico che ne è alla base: se si incolpava la politica dei mercati di garantire un sostegno agli agricoltori, indipendentemente dai
comportamenti, il pagamento unico disaccoppiato arriva a congelare questa si8
Si veda il titolo III (regime unico di pagamento) della proposta di regolamento relativa ai regimi di sostegno a favore di talune colture (COM (2003) 23 definitivo.
9
È interessante notare che la stessa Commissione sottolinea che gli aiuti sono tutti totalmente disaccoppiati, salvo alcune deroghe lasciate agli Stati membri per una parte dei pagamenti per i seminativi, per
gli ovicaprini e per i bovini.
10
In realtà la semplificazione è più teorica che pratica, in quanto tra determinazione dei diritti al premio,
storicizzazione del valore del pagamento unico, determinazione del diritto speciale riservato agli allevamenti senza terra, riserve nazionali e compravendita dei diritti, controllo della condizionalità (obbligatoria), il meccanismo del pagamento unico è molto complesso, e peraltro adesso coesisterà con la tradizionale trafila delle domande per la parte accoppiata.
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tuazione, premiando non solo lo status di agricoltore, ma addirittura una condizione “storica”. Certo, sul piano pratico, sono state individute forme di “riaccoppiamento” del sostegno, attraverso la condizionalità, al rispetto di standard
minimi relativi all’ambiente, alla manutenzione del terreno, alla sicurezza del lavoro agricolo, al benessere animale, ma è estremamente difficile mettere in piedi un sistema del genere e, soprattutto, verificarne il rispetto e la effettiva condizionalità del sostegno.
Ancora, il disaccoppiamento, venendo meno l’obbligo di produrre, comporta alcuni rischi di ordine ambientale e sociale: l’abbandono dell’attività agricola
in zone particolarmente fragili dal punto di vista del tessuto economico e sociale, possibili repentine modifiche degli ordinamenti colturali, una mancanza di
fornitura della materia prima all’industria locale di trasformazione (Inea, 2002a).
Il disaccoppiamento, d’altra parte, porta con sé una piena accettabilità a livello WTO, poiché con il passaggio al pagamento unico la quasi totalità del sostegno agricolo dell’UE passerebbe dall’attuale scatola blu a quella verde. Ma,
forse, l’aspetto più significativo per il futuro della PAC – e per molti anche l’elemento più positivo – sta nel fatto che con il pagamento unico si rende il sostegno pienamente visibile, non più giustificato dalla resa di un servizio ambientale o sociale (se non attraverso la condizionalità) e dunque anche più facilmente
rinegoziabile, fino alla sua scomparsa, in un futuro piuttosto prossimo (Buckwell, 2003).
4. Il rafforzamento del secondo pilastro della PAC
Le politiche di sviluppo rurale dell’UE hanno seguito un percorso molto articolato: esse, da un lato, scaturiscono dalla politica strutturale degli anni settanta ed ottanta, orientata soprattutto all’ammodernamento delle aziende agricole e
allo sviluppo di un’agricoltura competitiva; dall’altro, sono state il frutto delle riflessioni sul concetto di ruralità che hanno avuto un momento particolarmente
fertile a cavallo tra gli anni ottanta e novanta, stimolate anche dalla pubblicazione de “Il futuro del mondo rurale” dell’UE del 1988 e culminate poi nei risultati della conferenza di Cork del 1996 (Henke, 1996; De Filippis, Storti, 2002;
Mantino, 1996; Storti, 2000). Di conseguenza, gli interventi comunitari per lo
sviluppo rurale hanno mantenuto sempre una doppia anima, coniugando interventi di ammodernamento strutturale delle aziende agricole con misure a più
spiccato carattere territoriale. In particolare, dopo la riforma dei fondi strutturali del 1989, con la piena affermazione dell’Iniziativa comunitaria LEADER, e
poi con la programmazione degli interventi del periodo 1994-99, le misure per
la valorizzazione delle aree rurali secondo un approccio territoriale hanno acquistato spazio crescente, ferma restando la scarsa disponibilità finanziaria delle
misure di sviluppo rurale rispetto alle politiche di mercato.
Con Agenda 2000 la politica di sviluppo rurale dell’UE è stata profondamen-
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te rivista, con la redazione del regolamento 1257/1999, che ha introdotto numerose novità sia dal punto di vista della filosofia di fondo dell’intervento che da
quello più strettamente procedurale (Inea, 2000a; Baldock, Dwyer, Sumpsi Sunas,
2002). In particolare, con la riforma si sancisce l’inscindibilità tra politica strutturale per l’agricoltura e politica di sviluppo rurale vera e propria, e tutti gli interventi, incluse le misure agroambientali, vengono portati nell’alveo dello sviluppo
rurale (Inea, 2001). Inoltre, le politiche di sviluppo rurale così intese vengono rese disponibili per tutte le aree dell’UE, indipendentemente dal fatto che esse ricadano o meno in un obiettivo prioritario. In altre parole, con Agenda 2000 le politiche di sviluppo rurale perdono il loro carattere di intervento a favore delle zone in ritardo di sviluppo (rurali o meno), assumendo la più ampia veste di “secondo pilastro della PAC” e dunque potenzialmente applicabili su tutto il territorio, anche se con strumenti e procedure selettivi e a dimensione locale.
Dal punto di vista del processo di riorientamento della PAC, una delle principali novità rispetto al passato è rappresentata dall’inserimento nelle misure per
lo sviluppo rurale delle politiche agroambientali e di quelle per la forestazione
(ex regolamenti 2078 e 2080 del 1992), che perdono in questo modo il loro carattere di misure di accompagnamento della politica dei mercati e diventano uno
dei perni centrali dei programmi di sviluppo rurale (PSR) 11. In generale, sia in
Italia che negli altri Stati membri, le misure agroambientali assorbono la maggior
parte delle risorse finanziarie non solo rispetto alla tipologia di interventi per
l’ambiente, ma anche rispetto alle altre tipologie di misure previste nei PSR, in
considerazione del fatto che per queste misure esisteva una esperienza gestionale e amministrativa già accumulata con gli ex regolamenti 2078 e 2080 (Inea,
2000a e 2002; Dwyer, 2003). Dunque, circa il 50% della spesa stanziata per i
PSR riguarda politiche di fatto preesistenti alla riforma di Agenda 2000, nate come misure di accompagnamento alle politiche di mercato e frutto del compromesso tra il mantenimento del sostegno al settore primario e l’incoraggiamento
di pratiche agricole eco-compatibili 12.
Con la MTR viene ribadita l’importanza dello sviluppo rurale come secondo
pilastro della PAC da affiancare al tradizionale pilastro della politica dei mercati, e a ciò fa seguito l’individuazione di uno strumento come la modulazione – di
cui si parlerà in seguito – per lo spostamento di risorse finanziarie dal primo al
secondo pilastro. Inoltre, si recupera il concetto di “misura di accompagnamento” per due nuovi ambiti di intervento: la qualità e la sicurezza alimentare, intesa come salubrità degli alimenti, e l’adeguamento delle aziende alle nuove norme della PAC. Con la riforma di giugno 2003 si ribadisce che i destinatari di que11
Nel caso delle regioni Obiettivo 1 il PSR rappresenta il documento di programmazione per tutte le politiche di sviluppo rurale, mentre per le regioni Obiettivo 2 esso comprende solo le ex misure di accompagnamento e le indennità compensative per le aree svantaggiate (Inea, 2000a).
12
Tra il 1994 ed il 2000 l’applicazione delle misure agroambientali a livello comunitario ha determinato
una spesa di oltre 9 miliardi di euro, in forte crescita negli ultimi anni, ma con un’incidenza sul totale
delle spese a carico del FEOGA-Garanzia che rimane molto limitata, pari solo al 3,4% (Inea, 2001).
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sti nuovi strumenti di sostegno sono gli agricoltori, in questo modo sottolineando il loro carattere di misure di accompagnamento alla politica dei mercati. Per
quanto riguarda la qualità, si fa riferimento al sostegno a regimi di certificazione
e di garanzia, comprese le indicazioni di origine e geografiche, ed anche ai prodotti biologici e ai vini di qualità. Gli obiettivi di questa nuova misura sono, da
un lato, dare maggiori garanzie al consumatore della qualità dei prodotti e, dall’altro, aumentare il valore aggiunto per i prodotti agricoli di base, potenziandone anche gli sbocchi di mercato.
La decisione di legare il sostegno ai prodotti di qualità, nell’ambito del secondo pilastro, ha riaperto il dibattito sull’opportunità di intervenire a sostegno
di un bene di questo tipo. In particolare, sembra che con la MTR si faccia sempre più strada l’idea che la qualità e la salubrità degli alimenti siano servizi aggiuntivi offerti dal settore primario e trattati, dunque, alla stessa stregua di una
esternalità positiva da remunerare con il sostegno pubblico. Ciò può essere giustificato dalla necessità di un intervento di tipo regolatorio, per evitare che si ingenerino truffe o che comunque vi sia scarsa chiarezza e trasparenza su queste
questioni a danno del consumatore, ma d’altra parte andrebbe ribadito con più
forza il principio che in una società opulenta come quella dell’UE le caratteristiche di qualità e salubrità andrebbero garantite a tutti gli alimenti. A questo proposito, sarebbe forse più condivisibile un approccio di standard minimi a garanzia di un livello minimo (adeguato) di sicurezza e di qualità dei prodotti agricoli, come forma di condizionamento del sostegno nell’ambito del primo pilastro.
Nel caso dell’altra misura di accompagnamento, relativa al rispetto delle norme della PAC, è previsto un aiuto temporaneo e degressivo per “aiutare gli agricoltori a conformarsi a norme rigorose basate sulla normativa comunitaria in materia di ambiente, sanità pubblica, salute delle piante e degli animali, benessere
degli animali e sicurezza del lavoro” (Commissione CE, 2003, p. 64). In sostanza, quindi, ci si riferisce in particolare al rispetto della condizionalità degli aiuti
e a tutte le norme che introducono vincoli nuovi e più stringenti all’operare degli agricoltori. In questo caso, come per le tradizionali misure di accompagnamento, la logica di questo sostegno è puramente compensativa, nel senso che si
interviene per controbilanciare i maggiori costi di produzione sostenuti dagli
agricoltori a causa della normativa più stringente in materia ambientale, di sicurezza alimentare, di benessere animale, ecc.
Infine, per quanto riguarda la distribuzione delle risorse, vale la pena spendere qualche parola sui criteri individuati dalla Commissione. Fino all’attuale fase di programmazione, i criteri individuati sono stati: la spesa effettuata nelle
passate programmazioni (efficienza della spesa); gli impegni di spesa per il periodo 2000-2006; il peso delle misure di sviluppo rurale (articolo 33). Il peso della programmazione passata ha fatto sì che i Paesi privilegiassero misure tradizionali per le quali risultava più “semplice” raggiungere adeguati livelli di spesa.
Come evidenziato da Mantino (2003a e 2003b), questi criteri non tengono conto di alcun criterio ambientale nell’allocazione delle risorse (superficie protetta o
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altro), né potrebbero essere estesi ai nuovi Paesi membri. La Commissione, a
questo proposito, ha individuato nuovi criteri di allocazione (utilizzati nei programmi SAPARD di pre-adesione), che saranno applicati anche ai fondi derivanti dalla modulazione e destinati allo sviluppo rurale: la superficie agricola,
l’occupazione agricola e il PIL pro capite come fattore di correzione13. Queste
variabili sono relativamente semplici da individuare, anche per i nuovi Paesi
membri, ma non tengono adeguatamente conto della dimensione ambientale,
che tuttavia, e soprattutto per i nuovi Paesi membri, è particolarmente complessa da utilizzare come indicatore sintetico per l’allocazione della spesa.
5. La condizionalità degli aiuti diretti
L’articolo 3 del regolamento orizzontale (1259/99) stabilisce che gli Stati membri possono applicare incentivi o vincoli di carattere agroambientale alle produzioni interessate dal regime di pagamenti diretti della PAC; esso, dunque, offre la
possibilità, agli Stati membri, di condizionare gli aiuti diretti al rispetto di standard
minimi limitatamente alle questioni ambientali. Il regolamento, inoltre, obbliga gli
Stati membri ad utilizzare gli importi resi disponibili dall’applicazione dei suddetti incentivi (o vincoli) per misure supplementari comprese nell’ambito del sostegno
allo sviluppo rurale (Regolamento (CE) n. 1257/1999). Ciascuno Stato membro
definisce le sanzioni derivanti dal mancato rispetto dei requisiti ambientali prefissati, prevedendo la riduzione, fino alla completa soppressione, degli aiuti diretti
previsti dai regimi di sostegno ai quali si applica la condizionalità.
La cross-compliance ambientale agisce sul sostegno all’agricoltura per assicurare alla collettività la produzione di alcune esternalità positive (o la riduzione di
esternalità negative), legando, di fatto, gli aiuti diretti al rispetto di comportamenti considerati “ambientalmente corretti” e attestati ad un livello minimo desiderabile (Henke, Sardone, 2000; Inea, 2002a; Povellato, Sardone, Zezza, 2001).
Nonostante l’approccio condivisibile, la condizionalità ambientale ha avuto
un’applicazione molto limitata negli effetti e piuttosto discutibile nei modi, prevedendo la fissazione di requisiti ambientali che hanno fatto discutere, sia in merito alla loro determinazione che rispetto alla possibilità di definire un efficace
sistema di monitoraggio e di controllo del loro rispetto (Henke, 2002; Agea,
2002). In particolare, la determinazione dei requisiti minimi ambientali presenta
rilevanti problemi di coordinamento e sovrapposizione delle norme che definiscono la buona pratica agricola (BPA) (Povellato, Zaccarini, 1999). Paradossalmente, infatti, i livelli dei requisiti minimi fissati da molti dei Paesi membri che
hanno adottato l’eco-condizionalità sono più bassi di quelli richiesti come BPA.
Ciò porta a delineare una sorta di “zona grigia” per cui se si è al disotto della
13
Questi criteri vengono utilizzati anche per ripartire le risorse destinate allo sviluppo rurale provenienti dalla modulazione degli aiuti diretti della PAC.
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BPA ma al di sopra del minimo stabilito per la condizionalità può succedere che
si continuino a percepire gli aiuti diretti senza alcuna penalizzazione. Inoltre, la
maggior parte dei Paesi che ha introdotto l’eco-condizionalità non ha adottato
criteri di penalizzazione molto severi, in termini di decurtazioni all’entità degli
aiuti previsti. Ciò diminuisce in misura molto consistente l’effettiva capacità di
questo strumento di apportare significativi miglioramenti ambientali14. Inoltre, i
bassi livelli di penalizzazione, insieme con l’obiettiva difficoltà di mettere in piedi un efficace sistema di controllo, pongono lo strumento in condizione di non
produrre apprezzabili miglioramenti nel livello di protezione dell’ambiente, o
comunque non più di quanto non sia già assicurato da altre norme (come il regolamento sullo sviluppo rurale o le stesse OCM).
Oltre alle questioni applicative, si è sollevato da più parti un problema di fondo dell’eco-condizionalità così come posta dal regolamento orizzontale, e precisamente la natura doppia dell’obiettivo che essa si pone (Severini, 2002). Come già
indicato, infatti, i risparmi effettuati con l’applicazione delle misure del regolamento orizzontale vanno a finanziare il secondo pilastro della PAC, attivando misure aggiuntive di accompagnamento o incrementando le indennità compensative.
Ciò pone un conflitto evidente tra l’obiettivo ambientale e quello di rafforzamento del secondo pilastro della PAC, entrambi dichiarati esplicitamente nella strategia dell’eco-condizionalità: se, infatti, gli agricoltori hanno comportamenti virtuosi e rispettano i vincoli ambientali, essi beneficeranno a pieno degli aiuti diretti e
non vi sarà alcun risparmio sul primo pilastro a favore del secondo; se ciò non si
dovesse verificare ed i risparmi fossero elevati, allora vorrebbe dire che l’obiettivo
ambientale è stato mancato. Con la MTR la condizionalità degli aiuti diretti ha
conquistato un posto centrale nella filosofia del sostegno: essa, infatti, non solo diventa obbligatoria, ma si estende anche ad altri ambiti oltre a quello ambientale:
sicurezza del lavoro in agricoltura, benessere degli animali, sicurezza e salubrità degli alimenti 15. Inoltre, si sancisce, giustamente, il divorzio definitivo tra i due obiettivi, la penalizzazione dei comportamenti non desiderabili e il rafforzamento del
secondo pilastro. Gli eventuali importi derivanti dall’applicazione delle sanzioni
tornano nelle casse dell’UE e sono trattenuti, solo in parte (25%), dai Paesi membri. Ciò rappresenta sicuramente un disincentivo al controllo dell’effettivo rispetto delle norme per il pieno godimento degli aiuti, in quanto si tratta sostanzialmente di gestire il complicato meccanismo dei controlli a livello statale per poi favorire il recupero di risorse finanziarie a vantaggio dell’UE.
L’estensione ad un maggior numero di campi dell’attività agricola (in senso la14
Nel caso italiano la riduzione del sostegno per la mancanza del rispetto dei vincoli definiti è stata fissata, in misura variabile a seconda dei comparti interessati e della “gravità delle conseguenze ecologiche
risultanti dal mancato rispetto dei requisiti ambientali definiti”, solo tra il 2 e il 7% dell’importo dei premi (valori riportati sulla G.U. n. 97 del 27.4.2001).
15
Anche in questo caso, la MTR torna un po’ sui suoi passi rispetto alle proposte circolate prima della
chiusura, con la riduzione del numero di normative da rispettare per mantenere il 100% degli aiuti e con
una certa gradualità nella loro applicazione, dal 2005 al 2008.
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to) complica ancora di più l’applicazione di standard minimi da rispettare; a questo proposito, sarebbe stato interessante creare qualche forma di legame tra la
condizionalità degli aiuti diretti e la certificazione aziendale (audit) prevista dal
regolamento che stabilisce norme comuni e che era stata proposta come obbligatoria almeno per le aziende più grandi (più di 15.000 euro di aiuti diretti, secondo la proposta della MTR). In realtà, l’Accordo finale prevede la partecipazione solo volontaria degli agricoltori al sistema di certificazione, mentre solo dal
2010 si prenderà in considerazione l’ipotesi di renderla obbligatoria, e ciò rende
più complesso legare la certificazione al rispetto obbligatorio dei parametri fissati per la condizionalità. Nella nuova formulazione, la Commissione ha cercato
di chiarire meglio il tipo di azione di controllo necessario per il buon funzionamento dello strumento, sottolineando anche la necessità di mettere in piedi un
sistema di indicatori per la verifica del rispetto dei vincoli. Tuttavia, è molto difficile stabilire criteri “oggettivi” di misurazione dei livelli minimi richiesti dal regolamento nei diversi ambiti ed inoltre va considerata la necessità di avviare una
forte attività di coordinamento con altri interventi previsti nell’ambito della
PAC: all’interno del regolamento sullo sviluppo rurale, con le misure agroambientali e con le misure di ammodernamento strutturale, ma anche, con le stesse OCM e con la BPA, per evitare che si crei confusione tra i livelli normativi, se
non addirittura evidenti contraddizioni.
Un’altra questione posta sull’efficacia della condizionalità riguarda la destinazione dei fondi derivanti dalla sua applicazione. Se, infatti, è del tutto condivisibile l’aver sottratto questo strumento al vincolo del potenziamento del secondo
pilastro, il ritorno del 75% dell’eventuale ricavato direttamente al bilancio UE
tende a demotivare gli Stati membri ad effettuare controlli efficaci. Più logico sarebbe stato, a questo proposito, assicurare una cospicua parte delle risorse allo
Stato membro, magari con qualche vincolo sull’utilizzazione. Sempre sulla contrapposizione tra legislazione comunitaria e iniziativa nazionale, va detto che la
nuova condizionalità sembra giocare, in modo corretto, su due diversi piani: uno
di fissazione di standard a livello comunitario, che mirano alla verifica del rispetto di una serie di direttive e regolamenti relativi alla salute pubblica, alla sicurezza sul lavoro, all’ambiente e al benessere degli animali; uno legato alle condizioni
locali, relativo soprattutto alle condizioni dei terreni, per i quali la Commissione
offre un quadro di riferimento delle norme ma che necessitano evidentemente di
essere definite dagli Stati membri e applicate ad un livello territoriale molto più
circoscritto. In questo senso, il mantenimento delle risorse nello stato membro sarebbe stato coerente con una loro utilizzazione a livello locale.
6. La modulazione degli aiuti diretti
La modulazione degli aiuti diretti è forse lo strumento che, più degli altri, nella sua breve vita ha subito cambiamenti di non poco conto, sia nel ruolo affida-
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togli che nelle regole di applicazione. Essa si colloca attualmente, insieme con la
condizionalità ambientale, all’interno del regolamento orizzontale (articolo 4) e
rappresenta, nei fatti, l’unico strumento potenzialmente capace di mettere in atto un sensibile spostamento di risorse finanziarie dal primo al secondo pilastro.
Tale funzione è stata fortemente enfatizzata nel dibattito antecedente la diffusione delle proposte della MTR, che ha dato origine ad una versione riveduta di
modulazione (la cosiddetta modulazione dinamica) presentata a luglio 2002 che
insisteva su tre aspetti innovativi: l’obbligatorietà della modulazione, il capping,
cioè un tetto massimo di aiuti posto alle aziende, e la destinazione dei risparmi
effettuati ai PSR per misure aggiuntive, comprese quelle proposte dalla MTR
stessa. Successivamente, con le proposte formali del gennaio 2003, la modulazione è stata ancora una volta rivista, smorzando l’effetto di rafforzamento del
secondo pilastro a vantaggio di un risparmio “netto” per la Commissione, necessario per finanziare le riforme delle OCM in cantiere, dati i vincoli alla crescita della spesa per l’agricoltura imposti dal recente vertice di Bruxelles (Swinnen, 2003)16.
Infine, la modulazione su cui si è trovato accordo è una versione molto semplificata, che prevede un taglio degli aiuti diretti che a regime (nel 2007) arriva
al 5% degli aiuti diretti, al netto di una franchigia fissata a 5.000 euro. L’intero
ammontare di aiuti modulato verrà spostato sul secondo pilastro, ma con due
criteri diversi: un punto percentuale per ogni anno resterà all’interno dello Stato membro, mentre la restante parte tornerà all’UE per essere poi redistribuita
ai partner attraverso criteri oggettivi fissati dalla Commissione17. Nel complesso,
ad ogni Paese membro verrà restituito (sotto forma di aiuti attinenti al secondo
pilastro) almeno l’80% delle risorse che gli sono state drenate dagli aiuti diretti
con la modulazione, anche se ad essi verrà lasciata la possibilità di utilizzare un
tasso di modulazione più alto.
Un tale succedersi di proposte, molto diverse l’una dall’altra, mette in luce da
un lato la “sperimentazione” in atto con la modulazione, così come non è avvenuto mai con altri strumenti della PAC; dall’altro, il forte contrasto interno tra
sostenitori di questo strumento ai fini dell’effettivo rafforzamento del secondo
pilastro, e tra chi sostiene la necessità di mantenere all’interno del primo pilastro
il sostegno all’agricoltura. In effetti, la proposta della Commissione di formare
16
In questo caso si è parlato di un meccanismo congiunto di degressività (riportando in auge una vecchia idea della Commissione, accantonata nella discussione su Agenda 2000) e di modulazione. Il meccanismo, infatti, prevedeva sia una riduzione progressiva degli aiuti diretti, sia un complicato sistema di
rimborso agli agricoltori con il quale, appunto, si modulava il taglio effettivo degli aiuti. L’ammontare di
risorse drenato, inoltre, veniva “modulato” tra aiuto aggiuntivo allo sviluppo rurale e envelope comunitaria destinata a finanziare le riforme delle OCM.
17
In pratica, la parte restante allo Stato membro si riduce progressivamente nei primi tre anni. Per quanto riguarda la parte che ritorna all’UE, i criteri oggettivi previsti dalla Commissione per la restituzione
agli Stati membri sono gli stessi utilizzati per la distribuzione delle risorse per lo sviluppo rurale a partire dalla prossima programmazione e per i nuovi Paesi membri; essi tengono conto dell’occupazione agricola, della SAU e del PIL pro capite.
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una riserva per finanziare le prossime riforme delle politiche settoriali contrastava con l’enfasi posta sul rafforzamento del secondo pilastro e riportava parte del
sostegno nell’alveo del primo pilastro, ma aveva dalla sua alcuni aspetti positivi:
da un lato, la sua coesistenza con il forte impegno verso il disaccoppiamento (per
cui l’aiuto all’interno del primo pilastro non è concepito in modo distorsivo come un tempo) e, dall’altro, il mantenimento di una parte delle risorse nel primo
pilastro in una fase in cui i PSR sono già in piena attività con la programmazione 2000-2006 e l’intervento in alcune OCM, soprattutto se si considera l’allargamento ormai alle porte, è quanto mai necessario.
6.1. La modulazione nel regolamento orizzontale
La modulazione contenuta nel regolamento orizzontale, attualmente operante, è affidata alla discrezionalità degli Stati membri e offre la possibilità di ridurre i pagamenti diretti, in misura comunque non superiore al 20% dell’ammontare complessivo, secondo tre criteri che possono essere attivati anche in maniera disgiunta l’uno dall’altro: se la manodopera impiegata, espressa in unità di lavoro annue, risulta inferiore ai limiti che vengono stabiliti dallo Stato membro;
se il reddito lordo standard (RLS), calcolato per ogni azienda in riferimento alla
sua regione di appartenenza, è superiore ad una soglia stabilita dallo Stato membro; se l’ammontare complessivo di aiuti diretti percepito dalla singola azienda è
superiore ad un massimo fissato dallo Stato membro (plafonamento). Ogni Stato membro può decidere se e in che misura fissare un livello minimo di aiuti che
non viene sottoposto alla modulazione (franchigia).
La modulazione è il risultato di un compromesso tra posizioni diverse che ha
finito col mettere in ombra l’obiettivo originario della modulazione stessa, cioè
la riduzione dello squilibrio nella distribuzione del sostegno, dando maggiore
enfasi allo spostamento di risorse dal primo al secondo pilastro con l’obiettivo di
rafforzare le politiche di sviluppo rurale all’interno della PAC. In effetti, la Commissione ha lanciato con la modulazione un doppio segnale: da una parte ha sottolineato la necessità di ridurre il sostegno che passa attraverso i mercati ed il fatto che tale sostegno non è garantito e indiscutibile; dall’altra ha evidenziato il
processo di riorientamento del sostegno da strumenti settoriali a politiche di sviluppo rurale e territoriali. La modulazione volontaria ha sollevato numerose questioni che sono state oggetto di dibattito da parte degli studiosi. In particolare,
si richiamano qui l’ingenerarsi di conflitti tra territori e tra comparti all’interno
del settore agricolo (ma anche tra agricoltura e altri settori del sistema economico), i rapporti tra livelli istituzionali coinvolti e i problemi di gestione amministrativa (Inea, 2000b; Henke Sardone, 2002a).
6.2. La modulazione nella MTR
Numerosi studi hanno mostrato l’efficacia della modulazione volontaria come
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strumento per drenare risorse dal primo pilastro a vantaggio del secondo (Chatellier, Kleinhanss, 2002; Henke, Sardone, 2002a e 2002b; IEEP, 2002; Lowe, Buller, Ward, 2002). Tuttavia, la sua applicazione è stata molto scarsa, limitata attualmente a due soli Paesi, Regno Unito e Francia; quest’ultima, peraltro, ne ha
sospeso l’applicazione dopo un avvio dai risultati molto inferiori alle aspettative.
La modulazione ha avuto una storia piuttosto complessa all’interno della
MTR, con due proposte, succedutesi a distanza di breve tempo, profondamente
diverse tra di loro sia negli intenti che nelle modalità di applicazione ed entrambe lontane dalla versione approvata in conclusione del dibattito sulla MTR
(Henke, Sardone, 2002b; Consiglio UE, 2003). Rispetto al regolamento orizzontale, tutte le proposte della MTR hanno puntato sull’obbligatorietà della modulazione, che annulla le potenziali disparità di sostegno tra agricoltori europei
conseguenti ad una applicazione della modulazione lasciata alla discrezionalità
degli Stati membri e con criteri flessibili, nonché gli effetti di tale discrezionalità
sui redditi degli agricoltori e sulla competitività dei sistemi agricoli nazionali.
Per quanto riguarda il trasferimento di risorse dal primo al secondo pilastro,
l’accordo prevede la possibilità di finanziare tutte le misure attivate nei PSR:
quelle già attualmente finanziabili con il regolamento orizzontale (misure
agroambientali e indennità compensative per le aree svantaggiate), potenziando
la dotazione finanziaria di programmi già approvati o attuandone di nuovi, ma
anche tutte le altre misure attivate nei PSR e le nuove misure di accompagnamento contenute nella riforma di giugno 2003 (certificazione e sostegno alla qualità e rispetto delle norme)18.
Rimane da verificare, a proposito delle risorse aggiuntive a favore delle politiche per lo sviluppo rurale, l’obbligo di cofinanziamento da parte degli Stati
membri. La prassi del cofinanziamento per le politiche di sviluppo rurale è stata più volte additata come una delle cause principali dello scarso interesse da
parte degli Stati membri per un effettivo spostamento di risorse dal primo al secondo pilastro. In particolare, per la stessa modulazione volontaria tale prassi era
stata un fattore limitante.
Nelle varie proposte circolanti prima dell’accordo di giugno 2003 si era anche
parlato di non rendere obbligatorio il cofinanziamento per le misure aggiuntive
attivate con i ricavi della modulazione, ma in questo modo si sarebbe venuti meno ad uno dei principi su cui si fonda tutta la politica strutturale dell’UE, quello
18
Poiché si tratta esclusivamente delle misure comprese nei PSR, si verifica in questo modo una disparità di trattamento tra regioni Obiettivo 1 e quelle fuori Obiettivo 1, a causa della diversa programmazione prevista dai regolamenti comunitari per questi due gruppi di regioni. Nel primo caso, infatti, il PSR,
finanziato dal FEOGA-Garanzia, contiene solo le misure di accompagnamento (vecchie e nuove) e le indennità compensative, mentre le politiche di sviluppo rurale vere e proprie vengono attivate con i Programmi operativi regionali (POR), finanziati dal FEOGA-Orientamento. Questa distinzione non viene
effettuata per le regioni fuori Obiettivo 1, per le quali le politiche di sviluppo rurale vengono tutte attivate nei PSR, finanziati per intero dal FEOGA-Garanzia. In sintesi, nelle regioni fuori Obiettivo 1 l’offerta di misure finanziabili con la modulazione è molto più ampia di quanto non avvenga nelle regioni
Obiettivo 1.
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della sussidiarietà 19. La prima versione della modulazione nella MTR, (definita nel
documento della Commissione dinamica) prevedeva due diversi criteri di prelievo, applicati contemporaneamente: un prelievo crescente del 3% all’anno, fino a
raggiungere il 20% al settimo anno di applicazione; la definizione di una soglia
massima all’ammontare di aiuti totali per ogni azienda, fissata a 300.000 euro (capping). Questi due criteri sarebbero stati applicati in maniera omogenea in tutti gli
Stati membri e avrebbero colpito tutte le aziende, tranne quelle con un ammontare di aiuti al di sotto di una franchigia, proposta a 5.000 euro. Per quanto riguarda la franchigia, era stata proposta ad un livello di aiuti tale che una buona
parte delle aziende che percepiscono aiuti diretti sarebbe restata, nella sostanza,
fuori dalla modulazione, mentre avrebbe permesso di realizzare un prelievo pari,
al primo anno, almeno a 500 milioni di euro (Commissione CE, 2002). Il capping,
fissato a 300.000 euro, riprendeva una proposta emersa con Agenda 2000, poi eliminata dalle decisioni finali, di fissare un tetto all’ammontare massimo di aiuti diretti di ciascuna azienda (De Filippis, Henke, Pupo D’Andrea, 1999)20. Per quanto riguarda la distribuzione delle risorse rese disponibili dalla modulazione dinamica, essa sarebbe avvenuta, secondo la proposta, con due criteri diversi: il gettito relativo al prelievo annuo sarebbe tornato alle casse dell’UE per poi essere redistribuito tra Paesi membri con i criteri “oggettivi” definiti dalla Commissione,
di cui si è già parlato a proposito dello sviluppo rurale; l’ammontare derivante dal
capping, invece, sarebbe rimasto direttamente a disposizione degli stessi Stati
membri da cui veniva catturato, confluendo comunque nel secondo pilastro di
quei Paesi. Nel considerare lo schema di funzionamento della modulazione dinamica, va ricordato che con il primo tipo di prelievo si sarebbe operata soprattutto una redistribuzione di risorse tra Paesi, mentre con il secondo si sarebbe attuata prevalentemente una redistribuzione tra tipologie aziendali diverse nell’ambito dello stesso Paese (Henke, Sardone, 2002b).
La proposta di gennaio 2003 rappresentava in realtà, la combinazione di due
strumenti diversi: la degressività degli aiuti diretti, già apparsa nel dibattito su
Agenda 2000 e poi accantonata, cioè la loro progressiva decurtazione a tutte le
aziende, e una modulazione vera e propria, ovvero un meccanismo di prelievo
differenziato tra diverse tipologie aziendali (attraverso il meccanismo della restituzione21). Agli obiettivi tradizionali della modulazione se ne aggiungeva un al19
Non è ancora chiara la posizione della Commissione su questo punto, ma potrebbe essere possibile
che si decida per il mantenimento del principio, ma con la fissazione di tassi di cofinanziamento inferiori
a quelli in auge nelle politiche strutturali.
20
Il capping è uno strumento con effetti redistributivi non secondari soprattutto tra Paesi, considerando
che le aziende con aiuti tanto elevati sono particolarmente concentrate in alcuni Stati membri (soprattutto Germania, Regno Unito e Irlanda), ma anche tra aziende, considerando che gli aiuti sono fortemente concentrati in un numero di (grandi) aziende relativamente piccolo.
21
Il meccanismo di restituzione alle aziende del prelievo è piuttosto complesso: per i primi 5.000 euro
di aiuti che ciascuna azienda riceve, la restituzione è totale (100%); per l’ammontare di aiuti compreso
tra 5.000 e 50.000 la restituzione è pari al 50% del tasso di prelievo ridotto di un ammontare indicato
dal regolamento; infine, per gli aiuti superiori a 50.000 euro non vi è alcuna restituzione.
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tro: ricavare un ammontare di risorse finanziarie da destinare alle riforme di alcune OCM (latte e zucchero).
La proposta era incentrata sulla formazione di un ammontare di prelievo che
si ottiene applicando a tutti gli aiuti ricevuti da tutte le aziende che godono di
aiuti diretti un tasso di prelievo crescente dal 2006 fino al 2012. A partire da quest’ammontare, un parte del prelievo sarebbe stato restituito alle aziende da cui
è stato prelevato, una parte sarebbe andata a finanziare lo sviluppo rurale e una
parte a costituire un fondo per il finanziamento delle future riforme delle politiche di mercato22. Questa proposta aveva messo in discussione la logica della modulazione come veicolo principale del rafforzamento del secondo pilastro, trattenendo buona parte delle risorse all’interno del primo pilastro. In pratica, la
modulazione (e soprattutto la degressività degli aiuti diretti) veniva utilizzata per
rimettere in circolo risorse finanziarie sottratte ai comparti percettori di aiuti diretti e destinate a finanziarie nuove riforme nell’ambito della politica dei mercati. In questo modo, si sarebbero finanziate le riforme attese da tempo (latte e zucchero) rimanendo nei limiti della spesa agricola imposti dal vertice di Bruxelles.
Nel giungo 2003 è stata approvata una versione molto semplificata di modulazione: un taglio del 3% al primo anno (2005) che raggiunge il 5% nel 2007 e
si mantiene su questo valore fino al 2012. La modulazione si applica a tutti gli
aiuti diretti e indipendentemente dal pagamento unico disaccoppiato, con l’esclusione di una franchigia fissata a 5.000 euro23. Come già accennato, è scomparsa dalla versione approvata l’ipotesi di mantenere una delle risorse all’interno del primo pilastro, per cui la modulazione torna ad assumere il ruolo precipuo di rafforzamento del secondo pilastro, anche se, essendo il taglio effettuato
ben più ridotto di quanto si era ipotizzato prima a luglio 2002 e poi a gennaio
2003, l’ammontare complessivo di risorse trasferite dal primo al secondo pilastro
è inferiore a quanto ci si attendeva. Va anche detto che il rafforzamento del secondo pilastro avviene secondo due vie distinte: una parte (1 punto percentuale
del taglio) rimane in dotazione allo Stato membro da cui viene drenato, mentre
il resto torna all’UE per poi essere redistribuito tra Stati membri secondo criteri oggettivi (occupazione in agricoltura, superficie agricola utilizzata e PIL pro
capite). Dunque la modulazione torna al suo obiettivo originario, cioè il rafforzamento del secondo pilastro, ma recupera solo in parte la sua capacità redistributiva. La franchigia posta a 5.000 euro consente di escludere dalla modulazione le piccole aziende e di colpire, in modo proporzionale, di più le grandi aziende. Ciò avvantaggia anche la distribuzione delle risorse tra Paesi: i maggiori beneficiari sono i Paesi che hanno una quota elevata di aiuti entro i 5.000 euro (i
22
Per ogni Stato membro era stato fissato un tetto massimo di risorse che potevano essere restituite alle
aziende. Definito l’ammontare complessivo di prelievo ed effettuata la restituzione alle aziende, il residuo sarebbe stato diviso tra sostegno allo sviluppo rurale e fondi per le riforme delle OCM.
23
Si tratterebbe di tutto il pagamento unico disaccoppiato, più i pagamenti specifici per grano duro, colture proteiche, riso, frutta in guscio, energy crops, amido, olio di oliva, banane, uva secca e tabacco, mentre restano esclusi i programmi speciali per le aree remote dell’UE.
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Paesi mediterranei dell’UE, soprattutto, compresa l’Italia); tuttavia, il meccanismo redistributivo attivato sia dalla franchigia che dalla riassetto delle risorse secondo i criteri oggettivi è frenato dalla imposizione che ad ogni Paese venga restituito almeno l’80% delle risorse che ad esso sono state tagliate. In sintesi, si ribadisce che la modulazione interviene prevalentemente sullo spostamento di risorse dal primo al secondo pilastro, mentre l’effetto redistributivo tra Paesi viene in qualche modo tenuto sotto controllo.
7. Conclusioni
Con questo lavoro ci si è posti l’obiettivo di fornire una rassegna sul processo di riorientamento del sostegno comunitario all’agricoltura, da forme incondizionate e legate prevalentemente alla struttura settoriale a strumenti più ecocompatibili, flessibili e mirati al sostegno dei soggetti e dei territori in cui essi
operano. Tale processo, cominciato tra la fine degli anni ottanta e i primi anni
novanta sotto la spinta di istanze ambientaliste, sociali ed economiche, ha avuto
due momenti cruciali con la riforma Mac Sharry prima e poi, ancora di più, con
Agenda 2000. Più di recente, la MTR ha mostrato segnali incoraggianti per certi versi e più disorientanti per altri. Essa viene impropriamente definita di “medio termine” in quanto sembra una carica innovativa forse superiore ad Agenda
2000 stessa, soprattutto sul fronte del disaccoppiamento e dunque dell’avvicinamento dell’agricoltura europea agli stimoli del mercato mondiale. D’altra parte,
il disaccoppiamento, come detto in precedenza, cristallizza e rende pienamente
visibili i pagamenti diretti, indebolendoli da un punto di vista della loro giustificazione sociale ed economica e aprendo la strada ad un loro definitivo smantellamento. Inoltre, finché l’aiuto diretto resta in piedi e viene disaccoppiato totalmente, al di là dell’ipotesi di condizionalità, esso ben più di prima diventa garantito e legato allo status (storico) di agricoltore, lasciando completamente fuori sia l’idea di incentivare i comportamenti virtuosi, sia quella di pagare per servizi resi alla società.
Sul fronte del riorientamento verso il secondo pilastro e verso il sostegno delle funzioni secondarie dell’agricoltura, sembra avere prevalso una logica meno di
rottura col passato, più in linea con il gradualismo cauto tipico degli anni ottanta e novanta. A questo proposito, vale la pena soffermarsi sul concetto stesso di
condizionalità: avere esteso a molti altri campi la possibilità di condizionare
l’aiuto dà spazio ad una ampia gamma di regolazione dell’attività produttiva la
cui necessità viene riconosciuta per il fatto che per garantirsi alcuni standard
qualitativi e ambientali non sono sufficienti le sole forze del mercato. In altre parole, sembra sempre più evidente che le legittime richieste da parte della società
di un sistema produttivo agroalimentare più attento alla salute del consumatore,
alla qualità della produzione, alla cura del paesaggio e all’uso sostenibile delle risorse naturali spinga per una maggiore regolazione del settore e non tanto per
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una sua libera esposizione al mercato. D’altra parte, alcune delle questioni poste
come vincolo per ricevere gli aiuti in pieno potrebbero essere considerate requisiti obbligatori da rispettare nell’attività agricola e zootecnica, indipendentemente dall’aiuto ricevuto. È difficile inquadrare questa evoluzione dell’attività di
regolazione nel dibattito che ha accompagnato il processo di riforma della PAC
degli ultimi decenni, in cui venivano contrapposti un paradigma “interventista”,
largamente dominante nei primi decenni di vita della PAC, ed uno “liberista”
che avrebbe preso piede dalla fine degli anni ottanta in poi. Di fatto, molti degli
assunti di queste due posizioni estreme coesistono nella PAC di oggi e ai due
paradigmi dominanti si sovrappongono altri paradigmi meno estremi, che tirano
in ballo la (forte) attività di regolazione necessaria per valorizzare il ruolo multifunzionale dell’agricoltura e lo sviluppo delle aree rurali (Buller, 2003).
Un’altra considerazione che riguarda la nuova politica disegnata dalla MTR è
l’ampio spazio aperto per un ruolo degli Stati membri e alle loro istituzioni centrali e locali, sia, come è normale, sul fronte dello sviluppo rurale, che con il disaccoppiamento e con le altre misure a carattere orizzontale. Ciò spinge ancora di
più per il superamento di una politica meccanicistica e “unica” per tutta l’UE e
per cominciare a pensare alla PAC come ad un insieme di misure flessibili, adattabili alle specifiche realtà e, soprattutto, rispetto alle quali è necessario compiere delle scelte.
Qual è il percorso futuro del processo di riorientamento e all’interno di quale orizzonte temporale? A questo riguardo si possono individuare tre tappe fondamentali: la prima riguarda l’effettiva applicazione della riforma di giugno
2003, a partire dal 2005; la seconda ha a che fare con il primo allargamento della PAC, che porrà non poche questioni sul tavolo delle riforme; infine, l’ultima,
di più lungo periodo, rimanda al pieno regime dell’estensione della PAC a tutti
i Paesi candidati (Inea, 2002b). Sui contenuti di questo percorso è possibile immaginari due scenari alternativi. Il primo rappresenta l’evoluzione del percorso
che ha portato fino a qui la PAC, MTR compresa: un maggiore condizionamento del sostegno diretto (disaccoppiato) non solo alle questioni ambientali ma anche alle altre tematiche: qualità e benessere degli animali; un effettivo rafforzamento del secondo pilastro della PAC, con una maggiore attenzione, anche finanziaria, alle misure che, più di quelle di ammodernamento delle strutture, sono orientate alla cura dell’ambiente e del paesaggio e alla salvaguardia del territorio. Parallelamente, una riduzione progressiva del sostegno diretto che afferisce oggi al primo pilastro e uno spostamento del sostegno all’agricoltura verso il
secondo pilastro. Al suo interno, il secondo pilastro vedrà probabilmente rafforzarsi la componente ambientale e territoriale a svantaggio di quella di ammodernamento e di aggiustamento strutturale. Il secondo scenario ipotizzabile, più
coraggioso ma forse meno praticabile dati i tempi e i modi delle riforme della
PAC, porta ad un deciso orientamento verso una politica territoriale da affiancare alle politiche settoriali. Ciò comporterebbe un consistente ampliamento della politica di sviluppo rurale che, per dirla con uno slogan, non sarebbe più iden-
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tificabile come “secondo” pilastro (che implicitamente ha qualcosa di riduttivo
rispetto al “primo” pilastro), ma come vero e proprio (e autonomo) “pilastro
della politica ambientale e territoriale” dell’UE. In sintesi, e per concludere, ci
sarebbe spazio e bisogno di una politica di sviluppo rurale non più e non solo
per gli agricoltori, ma per le aree rurali nella loro complessità. Ciò non solo renderebbe più credibile il riorientamento del sostegno a favore delle aree rurali, ma
in qualche modo recupererebbe anche quanto di positivo c’è nelle politiche del
primo pilastro (settoriali), in quanto aiuterebbe la PAC a liberarsi dalle ambiguità e dalla commistione di obiettivi di cui oggi soffre.
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