contatti - Territorio Scuola

Transcript

contatti - Territorio Scuola
CONTATTI
La vera storia del memoriale Cox
Alberto Pian
© Alberto Pian, Torino, 2001. Tutti i diritti riservati. Per riprodurlo e diffonderlo chiedere autorizzazione all’autore.
Ogni riferimento a fatti, persone, luoghi, situazioni è pura fantasia ma non è fantasia pura.
1
“La patologia è ormai talmente estesa, profonda, caratterizzata dagli aspetti più variegati e dalle
combinazioni più stravaganti, che l’unica soluzione possibile e realmente alla nostra portata è di rovesciare
semplicemente i termini del problema. Vale a dire di considerare la normalità come la sola patologia”.
(Fred Yoshimoto, psichiatra, rettore dell’Università di Tokio e membro del Consiglio Accademico dell’Ecole
Supérieure de Paris, Distroplasie mentali, in: “Atti del convegno”, Guernica, 1998)
A Stefania, ai miei allievi
2
Uno scienziato, posto di fronte a un problema etico, decide. Una bambina è
dilaniata a Sarajevo. Osservatori esterni di un altro mondo cercano segni di
umanità in un pianeta che non sembra avere nulla di umano: che cosa fare? Un
avvocato ritrova il gusto della vita pochi istanti prima di morire. Chi poteva
prevedere che la pubblicazione di un memoriale avrebbe cambiato un intero pianeta,
sperduto in un angolo dell’universo? Fantascienza? A voi giudicare.
Alberto Pian vive e lavora a Torino, dove insegna Lettere e Storia.
3
Indice
Primo contatto? ...................................................... 5
Problemi di riproduzione ............................................ 14
La conferenza ....................................................... 26
Aggressione? ........................................................ 42
La traccia .......................................................... 48
Non chiederci la parola ............................................. 51
Alternativa ......................................................... 56
Nessuna sbavatura ................................................... 58
Rumore di fondo ..................................................... 64
Carta d'identità .................................................... 71
I luoghi della vita ................................................. 80
Equivoci ............................................................ 88
La casa in campagna ................................................ 101
L'accordo .......................................................... 117
Catastrofi 1: lontananzaOsservatorio. .............................. 119
Catastrofi 2: vicinanza ............................................ 131
Eleganza della natura .............................................. 135
L’avvocato ......................................................... 139
Spazio e tempo: quanti ............................................. 152
Spazio e tempo: geiger ............................................. 161
Epilogo ............................................................ 169
Memoriale .......................................................... 175
Un anno dopo ....................................................... 182
4
Primo contatto?
(Velivolo di osservazione. Gruppo di studio).
Inizia la riunione, con un paio di settimane di ritardo.
- Vieni, accomodati qui.
- Grazie, ho con me la relazione.
- Stavo appunto spiegando che ho cambiato argomento…
- Ah, si?
- Mi hanno incuriosito una serie di fenomeni legati alla velocità e così…
- Ciao a tutti! Allora… hai cambiato argomento? Non sei la sola anch’io alla fine
ho lasciato perdere. Ho preferito leggere i classici che avevo appresso, piuttosto che
continuare con queste inutili ricerche.
- Di cosa avresti dovuto occuparti?
- Delle attività produttive.
- Un tema vario, mi pare…
- Così sembrava anche a me.
- Del resto è la base di molte forme di esistenza…
5
- D'accordo, potrebbe essere un tema interessante perché le forme di lavoro sono
effettivamente diverse ma, in realtà, a ben guardare, rientrano tutte in una stessa
tipologia, sembrano governate da un unico schema.
-Vale a dire?
- Per esempio: non possono interrompere la loro occupazione quando più lo
desiderano o quando sarebbe necessario per il fisico, per la loro salute, oppure da un
punto di vista psicologico. Anzi, ho rilevato che gli individui che adottano
comportamenti analoghi, sono sistematicamente emarginati, rifiutati. Nel senso più
ampio del termine.
- Eppure queste stesse regole sociali provocano anche danni enormi…
- Precisamente!
- Ma questo è valido in tutti i settori?
- Si, in tutti, nessuno escluso, infatti…
- …ma allora dove passa la motivazione a reiterare questo schema?
- Non saprei con precisione. Posso solo avanzare qualche ipotesi. Per esempio
sappiamo che ci sono ordini sociali ben distinti, come abbiamo visto anche altrove.
Però qui sono molto delineati, impermeabili, attivi, anche se non si presentano come
tali, anzi… stando alle apparenze non sembrano esserci reali differenze!
6
- Le vostre osservazioni sono molto interessanti e trovo che si aggancino a questo
problema della velocità…
- Aspetta un momento. Ci siamo tutti?
- mmhh… direi di sì. Tranne la tua compagna, che deve ancora rientrare, ha
voluto scendere…
- Ha voluto scendere?
- Si, per completare delle ricerche.
- Sola?
- Si sola, perché? Sei preoccupato?
-
Un po’ si. Non mi sento del tutto al sicuro qui.
-
- Mmh…
- Ok, allora, dicevo… la velocità. La velocità assorbe ogni pensiero. E' un vero e
proprio schema di vita ovunque, in tutti i campi dell'attività. Struttura ogni angolo
più remoto dell'esistenza. Ho esaminato diversi aspetti della loro vita sociale,
privata e lavorativa. Ma ovunque è presente questo bisogno estremo di velocità, di
rapidità di esecuzione. Per esempio nelle attività sportive la velocità di una certa
azione è tutto ciò che essenzialmente resta dell'azione stessa. Non vi è alcuna
competizione intesa a misurare, per esempio, i picchi di lavoro del cervello o che ne
metta in gioco davvero e a fondo le sue capacità. Eppure in questo campo sono
7
impegnati tutti gli altri muscoli, anche il più piccolo e il più nascosto. Lo possiamo
vedere con le automobili, il calcio, il baseball, il nuoto, l'atletica e molte altre
discipline, tutte indistintamente basate su forme di competizione, essenzialmente
muscolari o legate alla resistenza. Ma se questi sono i terreni dello svago è ancor più
curioso che propongano schemi esattamente identici nei campi sociali e lavorativi
in genere. Anche qui la velocità è il meccanismo che accompagna ogni azione, il
parassita che ne succhia la linfa vitale, la sua colonna portante, mentre
classificherei la resistenza piuttosto come un suo sottogruppo.
- Beh… allora, dal canto mio, vi dico che hanno anche bisogno di attivare
azioni di recupero, caratterizzate da dinamiche più lente, come per una sorta di
compensazione. Mi spiego meglio. Risulta a tutti chiara la necessità di trovare forme
di rilassamento e di completo rifiuto del movimento. Per esempio si tratta di
dedicare una parte più o meno regolare dell'esistenza a periodi di riposo. Ma allora
mi sono chiesto: perché destinare una massa così importante di energia per mettere
alla prova i limiti della velocità e della resistenza e poi… occupare periodi interi per
ripristinare le condizioni iniziali? Questo è davvero un meccanismo unico, originale,
che non abbiamo riscontrato altrove.
- Scusate un momento… è importante. Io desidererei cambiare attività e… non
vorrei che la prossima ricerca ci spingesse troppo lontano, capite?
- Capisco. Vuoi dire che non vale la pena proseguire?
8
- Guardate, francamente… a mio parere no. Davvero: non so cosa ci sia di
interessante. Non hanno alcuna forma di coscienza… le loro regole sono nocive,
incomprensibili anche a loro stessi.
- Ti riferisci anche all'alimentazione? Ti sei occupata di questo, no?
- Si, me ne sono occupata e ne abbiamo parlato qualche volta e poi… sentite, ho
fatto
delle
analisi
chimiche
e
i
risultati
sono
davvero
impressionanti.
Impressionanti: l'83% delle sostanze che ingeriscono volontariamente provocano
danni irrimediabili sul loro organismo e per questo hanno un'età media di vita così
bassa… Ma non è ancora nulla: il 92% di tutte le loro attività provoca danni
profondi, forse irreversibili all'ambiente nel quale loro stessi vivono. E' come se
fossero
tutti
inconsapevolmente
governati
da
un
inspiegabile
desiderio
di
autodistruzione collettiva. Anche se in realtà non è realmente così. E' difficile da
capire, perché nei fatti risultano pienamente liberi e padroni della loro esistenza…
- E i bambini?
- Si… certo… me ne sono occupato io. Purtroppo non abbiamo informazioni
diverse. Assolutamente. L'infanzia, come al solito, è uno degli indicatori migliori e
sotto
questo
aspetto
abbiamo
dati
impressionanti:
non
solo
i
bambini
rappresentano la fascia meno protetta, sulla quale ricadono le minori attenzioni e si
producono i più ampi effetti mortali, ma l'infanzia stessa è, decisamente e
largamente, la fascia più calpestata e sistematicamente violata, ma in un modo tale
9
come non abbiamo mai potuto osservare altrove…. Veramente impressionante,
davvero. No, anch'io sono d'accordo… non ci trovo nulla di stimolante, né a
continuare queste ricerche né, tanto meno, a indurci ad aprire un rapporto con
loro.
- E il loro potenziale distruttivo? Anche se un po' arretrato è davvero
ragguardevole e poi è sparso un po' ovunque… Ma che lavoro vorresti fare?
- Non saprei… sono con voi appena da sei mesi ma vorrei cambiare indirizzo del
tutto. Mi occuperei volentieri del gioco: avrei alcune idee che mi piacerebbe
sviluppare, soprattutto, sul riso…
-Sul riso!?
- Si, sul riso e le sue funzioni. Forse ci sono ancora molte cose da dire…
- A proposito, ho trovato che ridono così di rado e in modo così insolito… quasi
innaturale…
- Strano però, che abbiano raggiunto un certo livello… direi soprattutto a salti,
se si giudica globalmente.
- Si… è giusto… forse dovremmo cercare di rispondere a questo quesito: come è
possibile raggiungere un certo livello tecnologico e… contemporaneamente, fermarsi
a uno stadio di rapporti così primitivo, se non addirittura regressivo? Forse dovremo
occuparci di questo, del resto è anche un aspetto interessante.
10
-
Comunque con un profilo sociale così basso, non riusciremmo a comunicare i
risultati delle nostre indagini.
- Altrimenti, in un modo o nell'altro, se ne sarebbero già occupati da sè.
- Il quadro che emerge è desolante proprio perché non abbiamo appigli. Non
saprebbero cosa farsene delle nostre osservazioni, quando non sanno neppure
impiegare quelle che hanno sottomano e che elaborano per loro conto. Per esempio:
è sorprendente che sappiano molto della loro situazione. Hanno costituito
organismi che studiano a lungo e tengono sotto controllo ogni aspetto della loro
stessa evoluzione e i risultati vengono diffusi dalla stampa, dalle televisioni, dalle
radio, dai computer…
- A tal punto che difficilmente può esserci qualcuno che li possa ignorare…
- Esatto! E' proprio così e per di più questi organismi godono di largo credito...
- Si, anch'io lascerei perdere. Rispondere a questo problema, se poi la risposta
non è in grado di aiutarli a risolverlo, sarebbe come fare una ricerca fine a se stessa.
Lasciamo stare.
- Potrebbero arrecare danni ad altre forme viventi nella galassia?
- Ah, ah, ma ti pare?
- Allora andiamo! Perché non facciamo una capatina laggiù? Osservate: ci
avevano segnalato forme di vita…
11
- Ehi, un momento… io sono un po' stufa di queste ricerche, come vi dicevo…
- Allora facciamo ritorno.
- Per me va bene tutto, non m'importa la direzione: lasciamo pure gli abitanti
di questa Terra… che poi mi sembra che amino il loro pianeta e anche quella
Luna…
- Si, davvero curioso. L'ho notato anch’io.
- Perché non ci scrivi un libro? Avrebbe successo: è una bella contraddizione!
- Già, non ricordo di aver mai visto nulla di simile, almeno in queste galassie.
- No neppure io, ma che dite, a proposito, volete una Lizjk amara?
- Che c'entra la Lizjk amara?
- Nulla, è che sento il bisogno di distendermi...
- Ok, dai, la riunione è sciolta. Nessun contatto possibile, almeno per il
momento. Vogliamo fissare la prossima? O combiniamo più avanti?
- Vedremo, ma perché intanto non disattivi il concentratore?
-
OK, ma lasciamo ancora attivo l’Osservatorio… almeno per un periodo,
esaminare ancora qualche comportamento potrebbe tornarci utile.
- Si, è giusto, lasciamolo in funzione per un po’.
- A proposito delle tue letture… non ci dici niente?
12
- Si, ne parlo… ma prima voglio fare un'ultima osservazione. Sai che questi
terrestri hanno una vasta produzione letteraria, teatrale, cinematografica e artistica
in genere? Il teatro, poi, risale agli albori della loro civiltà e guarda che si tratta di
opere geniali, davvero magistrali…
- Potremo concludere che su questo pianeta è più interessante ciò che viene
scritto di ciò che viene fatto!
- Dai, non scherzare, pensa al dramma…
-Per loro del tutto inconsapevole...
- Non esattamente, direi.
- Ne riparleremo…
- Mi passi la Lizjk?
- Comunque, vi racconto cosa ho letto…
13
Problemi di riproduzione
(Un
centro
NASA,
dintorni
di
Austin.
Progetto
Saturno.
Due
scienziati in laboratorio).
- No, non ho ancora il referto… si OK, certamente, procediamo come stabilito agganciando il ricevitore e rivolgendosi al collega: - prepariamo la prova del Ch3.
- Dì un po', chi hai salutato prima?
- Perché?
- Così, la trovo carina…
- Passami quella provetta… no anche l'altra va bene, si… - un attimo di pausa,
poi guarda negli occhi il collega - Allora, ti interessa?
- In che senso?
Provocatorio - In quel senso… come se non ti conoscessi…Infastidito - Bhè si, mi ha colpito!
- E cosa ti ha colpito?… Prova ad aggiungere la soluzione e poi cronometra.
- Ho già provato ieri, non varierà di molto, a mio parere… comunque ha un viso
luminoso e un sorriso….
- E i seni… pensavo li avessi notati!
14
- Si li ho notati, certo.
- E allora non fare tanto il filosofo…- Veniamo al sodo, allora, ah, ah! - Pausa, prepara la miscela, parte il
cronometro e si avvia il nebulizzatore: - Ecco, ci siamo, registra lo start…
- Fatto!
- Comunque mi piacerebbe conoscerla, tu che dici? sarà disponibile? la
frequenti?
- Hai paura di fare fiasco?
- Dai che tu ci hai già combinato qualcosa …
- E come fai a dirlo?
- Non sono scemo vecchio mio, cosa avete fatto?
- Vuoi una descrizione dettagliata?
- Che diamine, mica mi privi del gusto di scoprirla da me!
Pausa. Suona il campanello del cronometro - Ecco, vedi, il risultato è nullo…
- Dobbiamo provare altre soluzioni …
- A mio avviso è fatica sprecata: dobbiamo fare a pezzi tutti i tessuti per
raggiungere un risultato?
- No, ci limitiamo alle prove stabilite. Poi vedremo.
15
I due inseriscono altre tre parti di tessuto in tre provette e continuano la
registrazione degli esperimenti.
- Comunque siamo stati insieme in auto.
- In auto?
- Si l'ho accompagnata a casa un pomeriggio, ma siamo finiti in una radura ….
- Siamo finiti: ce l'avrai portata! e con quale scusa?
- Eh, ma non volevi scoprirlo da te?
- E l'avete fatto in macchina!
- Non esattamente, era sesso orale.
- Sì? E come se la cava?
- Ah, e vorresti avere i dettagli?
- Una collega ben tornita, laureata e impiegata alla NASA: mica male…
- Mica male davvero! te la ricordi quella dottoressa del centro biologico a
Denver?
- Eh, se la ricordo… - Sospiro.
- Ecco, bravo, anche qui non siamo lontani…
- Ehi, vacci piano, quella era un mito… ricordi come stava con noi?
- … E forse anche con qualcun altro…
16
- … Si, anch'io, pensavo all'ispettore…
- … mm…
- Vabbé che te ne importa? lo dici in un modo… fa esperienza. Ma questa si
lascia andare?
- Eh, eh, ha un carattere molto libero e aperto …
- Accidenti, avrei voglia di conoscerla!
- Stai calmo che te la presento… - prende le provette, scrive sul registro e dice
deluso: - Niente da fare, non ci sono reazioni. E non troviamo organi di riproduzione
da nessuna parte.
- Accidenti a loro, ma si riprodurranno in qualche modo!?
- Hai visto il rapporto di ieri? Hanno sezionato la parte centrale senza esito…
- Giralo da questo lato… così… alza questo arto… OK, ora introduci la sonda…
con cautela, così… - nella sala echeggiano versi molto acuti - maledizione, sapessimo
se ci sono e dove sono delle vene, delle condutture… così, bene… - i versi proseguono
con intensità crescente, poi cessano appena la sonda viene estratta dal corpo.
- Ok, questo soffre, è l'unica cosa sicura…
- Abbiamo qualche dato sull'apparato nutritivo, ma non sappiamo neppure
dove possa trovarsi il cervello….
17
- Ammesso che esista… io comincio a essere stanco. Non abbiamo strumenti
adatti.
- Forse dovremmo riformulare un modello o delle ipotesi, rivedere una linea di
condotta.
- Sì, ma prima facciamo ancora qualche tentativo… prova a sezionare questa
parte, solo in superficie, delimitiamo bene, poi scendiamo di un paio di cm...
I versi riprendono e si intensificano mentre il bisturi fa il suo lavoro e poi
cessano quando l'apertura viene nuovamente richiusa. La porzione di tessuto così
prelevata viene inserita nella TAC.
- Dì, lo sai che Hanna è sempre più insistente, non mi lascia in pace un
momento?
- Davvero? ancora?
- Si. Vorrei che la frequentassi un po' tu, magari le passa…
- Non dirai sul serio! Quella si farebbe delle illusioni con me…
- Perché dici questo? Non penso che andrebbe così, l'aiuterebbe a relativizzare le
sue storie di sesso.
- Ma tu perché continui a sentirla?
- Non sono io a cercarla. E' lei che insiste e alla fine ogni tanto ci incontriamo e
mi si struscia addosso… così qualche volta l'accontento…. tutto qui.
18
- Ma te l'ho già detto: se non la pianti finisce che quella viene a casa tua e ti
combina qualche casino…
- Il problema è che proprio se la mollo temo che pianti qualche casino, magari
con mia moglie…
- E così vorresti trovarle un altro con cui sfogarsi nei bar di questo paesaccio
infame!
- Ma non posso sopportarla vita natural durante! E poi mica te la volevo
scaricare, vorrei solo che mi dessi una mano a uscire da questa situazione.
- Ma cosa dici? Possibile che non ti renda conto che devi darci un taglio? Più vai
avanti e più si fa delle illusioni… davvero non capisco come tu faccia a…
- Ma no, pensavo che in due la cosa potesse semplicemente attenuarsi,
depotenziarsi.
Parte il film registrato dalle sonde e i due lo osservano con grande attenzione.
- Ecco, vedi queste chiazze?
- Si, ferma un momento… torna indietro… ecco!
- Ecco! è strano: sono presenti in tutto l'organismo ce ne sono dappertutto e
sono sparse ovunque nel corpo quasi a tratti regolari…
-E sono collegati da…
- Da cosa? impossibile stabilirlo …
19
- Il problema, a mio parere, è che nessuno fino a ora è riuscito a individuare un
apparato nutritivo e neppure un sistema vascolare. Se non chiariamo questo punto
sarà difficile gettare luce sull'insieme dell'organismo.
- In ogni caso non c'è traccia di organi di riproduzione…
- Si vede che questi esseri non scopano, ah, ah.
- Pensa che sollievo: una vita senza problemi! Potrebbe essere la soluzione anche
ai tuoi casi complicati!
- Non hanno una vita sessuale? Scusa, passami le TAC… magari non hanno
distrazioni del tutto: solo lavoro e sono degli alienati… ah, ah…
- Alieni alienati! Immagina che abbiano raggiunto questo livello tecnologico solo
perché non perdono tempo con l'altro sesso… ammesso anche che esistano sessi
diversi….
- Ehi, saranno tutti gay…
- Zitto… ecco… vedi le chiazze? le rileva anche la TAC.
-
Dovremmo vedere se frequenza, distanza e grandezza sono regolari, costanti,
oppure se sono in rapporto tra loro secondo certi parametri.
- Ma non possiamo farlo senza sezionare tutto il corpo…
- Dai toglilo, di lì: dobbiamo concludere, il nostro tempo è finito e non abbiamo
chiarito nulla, assolutamente nulla. Per conto mio potrebbe essere anche l'unico
20
esemplare vivente di tutto l'Universo, a parte noi e avere prodotto da solo la
tecnologia che lo ha portato sin qui…
- A mio parere ci sono solo due soluzioni: procedere a un esame in sezione dei
tessuti, del corpo e degli organi, dopo averlo ibernato, oppure proporre una serie di
prove fino a verificarne l'eventuale decesso organico. E' paradossale ma è chiaro che
questo essere vivente, al di fuori del suo ambiente e per di più unico esemplare, può
darci più informazioni da morto che da vivo. Forse la seconda ipotesi potrebbe
rivelarsi scientificamente più interessante…
- Io penso che qualunque decisione rifletta la nostra difficoltà di affrontare
questo caso. L'ibernazione ci permette di conservare l'integrità dell'organismo e di
avere più tempo per formulare delle ipotesi e anche per elaborare metodologie di
indagine più idonee per questo caso… mentre proseguire gli esperimenti ci
consentirebbe di esaminare le funzioni vitali nel loro stesso processo di esistenza. E'
un problema, certo, sono più d'accordo anch'io con la seconda ipotesi. Ma dimmi:
come si chiama… ? - Il corpo viene introdotto in una soluzione acida per alcuni
istanti e quindi viene reciso un arto, mentre altre pozioni sono sottoposte a sezioni
di varia profondità e lunghezza.
- La ragazza? Ah, sai che non lo ricordo? Non ci siamo mai chiamati… Passami il
coniplex, no, quello… si, ecco, così, bene, piano… piano… ecco, bene, così… dai…
perfetto. Dicevo? Ah, si, è curioso, ci siamo accarezzati, baciati, annusati, toccati…
tutto quello che vuoi, ma non ci siamo mai chiamati. Dai, hai scritto? A quanto
21
pare abbiamo concluso, tutto è sezionato e pronto per le analisi…Vieni che te la
presento…
***
Caro Yui, mio caro amore. Penso a te e al nostro destino. Mi chiedo dove sei e
cosa stai facendo. Se sei salvo o sei perito. Non ho rimpianti e anche se provo dolore,
non sono le mie condizioni a preoccuparmi, non è per il modo brutale con il quale
saccheggiano il mio corpo che soffro. Ma è solo per te, per noi, che abbiamo
interrotto in questo modo il nostro viaggio. Il tuo ricordo ha la capacità di rendermi
estranea a quello che succede intorno a me, dentro e sopra di me. Il tuo ricordo mi
rende insensibile all’inaudita e stupida violenza che questi uomini esercitano su di
me. Il tuo ricordo fa volare il mio pensiero tra le stelle, nel buio infinito e poi nella
nostra terra e questo dolore che mi fa gridare, che penetra così a fondo è come se
fosse una cosa lontana, una reazione naturale delle cose, che nulla può di fronte
alla forza indicibile del nostro amore e del nostro ricordo, che ora si affievolisce.
Mio caro, caro, Yui, amore mio dolce ed eterno. La vita sta scivolando via da me
come tante volte abbiamo visto in altri nostri cari, ma il modo è terribile perché
nessuno di noi può partecipare a questo momento e renderlo più accettabile e
giustificarlo, se mai lo potesse, con la sua presenza, con le sue parole e i suoi
pensieri. La vita scivola e basta e non posso avere neppure il conforto di saperti vivo
e posso solo sperare che tu lo sia e che continuerai a serbare il ricordo e a coltivare
le emozioni della nostra unione. Com'è triste e desolante morire e lasciarsi nella
22
solitudine più completa, quando tutta la nostra esistenza è stata una unione di
spiriti liberi e intraprendenti!
Caro, caro amore dolce Yui. Ricordi? La prima volta che abbiamo fatto l'amore è
stato in quella stanza, su quelle panche vuote, quando i nostri intelletti si sono
aperti dando origine a un dialogo profondo. Ci incontrammo attraverso la parola e
l'analisi di ciò che ci circondava e dei più remoti spazi e universi. Le parole
aprivano i nostri pori e non potevamo trattenere l'essenza che si sprigionava dai
nostri corpi che fremevano sempre più, a mano a mano che i discorsi si
intrecciavano, che i suoni delle nostre frasi si allacciavano e volteggiavano nell'aria
leggera del pomeriggio, fino a che ci abbracciammo e i nostri umori si riversarono
l'uno nell'altra rendendo fisico e suggellando per sempre, nell' estasi corporale, il
godimento dei nostri intelletti. E quando ci risvegliammo da quella prima unione,
avevamo già compreso che essa sarebbe durata a lungo, perché così profondo ci era
sembrato il nostro incontro e così varia ci era parsa allora la nostra possibilità di
scavo, di scelta, di condotta.
Ora provo dolore e freddo. Non so cosa stanno facendo. Intendo appena i loro
discorsi. Ma essi non sanno di cosa parlano, non sanno cosa cercano, non possono
neppure lontanamente immaginare il nostro modo di amarci e di godere
lungamente, ovunque il desiderio si manifesti, ovunque fosse per noi necessario, ma
dolcemente, delicatamente.
23
Lontano dalla nostra terra provo nostalgia e pena. Nostalgia per la vita e per la
natura che tra poco saranno perse per sempre e pena per queste creature che mi
torturano e che si affannano senza un barlume di consapevolezza, prive di un
indirizzo. E mi fanno inutilmente soffrire. Parti del mio cervello vengono scheggiate
e le mie conoscenze, i miei ricordi, il mio controllo fisico vengono amputati,
corrotti. Perdo il controllo a pezzi, a salti, ovunque loro taglino e ovunque affondino
i loro arnesi, ledono pozioni del mio intelletto che non può più vivere, ormai, nel
contatto permanente e costante con ogni angolo del corpo. E forse è un bene. Forse
quel cervello che noi abbiamo variamente e capillarmente dislocato nei tessuti ci
permette di godere di ogni più piccolo contatto e allo stesso tempo di elevarlo a
piacere generale. Forse questo permette ora di limitare il mio dolore. A ogni affondo,
a ogni menomazione, una parte di me è persa per sempre, si perde il bene ma anche
il male e il dolore cessa di procurarmi sofferenze. Ricordi quando ne parlavamo?
Ecco, io sto morendo così. Lentamente, ogni parte del mio corpo soffre e muore, si
scollega dall'organismo, la perdo e smetto di sentirne la presenza. Quando anche
l'ultima porzione di me sarà deceduta io stessa non esisterò più. Il tuo ricordo solo
mi aiuterà a resistere al continuo dolore. Il tuo solo ricordo verrà preservato e
trasmesso da una porzione all'altra del mio intelletto, da una porzione all'altra del
mio corpo ancora vivo, finché io non sarò più, senza che loro riescano ad aggiungere
briciole di conoscenza ai loro vuoti saperi.
24
Io vorrei che tu fossi vivo. Yui, come lo vorrei. Non posso pensare, ora che ogni
legame con la nostra terra è reciso, che anche il tenue filo della speranza nella tua
vita sia spezzato. No, sento che tu sei vivo e che nella tua vita incontrerai ancora
brandelli della mia esistenza e forse riuscirai ugualmente a trarne piacere, anche se
io non ci sarò più. L'abbiamo sentito tante volte, tante volte ci è stato descritto
come sia possibile che il ricordo possa sopperire la presenza e ridarci nuove speranze
e nuove gioie. Ecco vorrei davvero, proprio nel momento in cui non mi sarà
possibile ricevere da te un analogo dono, essere per te ancora fonte di piacere, di
gioia e di godimento profondo e sereno … qua e là … frantumi nella tua vita …
schegge di desiderio… di incanto… stelle… io… sento che…
25
La conferenza
(Velivolo di osservazione. Auditorium)
Nella sala c'è un commosso silenzio. Tutti i presenti sono attenti e osservano
immobili le immagini che appaiono sulla parete. Ora c'è una bambina riversa sul
selciato, un braccio, staccato, è rovesciato a pochi centimetri dalla sua testa e si
possono distinguere brandelli di muscoli sfilacciati nel sangue. La sua gamba
sinistra è completamente girata, come una marionetta, mentre un foro sulla
guancia spappolata è ancora visibile, seppure coperto di sangue. La bimba è appena
morta. Ha cinque anni. Ora viene mostrato il film di questa fine orrenda. Si vede la
bambina che esce da un portone abbracciando un orsacchiotto. Si guarda intorno
perplessa e indecisa. Una voce stridula e acuta grida qualcosa di incomprensibile, la
bambina sembra darle quasi ascolto, forse la voce si rivolge proprio a lei. La bimba
muove qualche passo, si vede chiaramente che per la strada e sul marciapiede non
c'è nessuno. Tutto sembra impolverato, ci sono pietre, forse cocci o sassi, oppure
detriti. Si, sembrano detriti. La bimba accenna a una corsa, si vede la sua gamba che
si alza più in alto e protende il corpo per imprimere velocità al suo lieve passo.
Intanto si sente un frastuono, è il rumore secco e acuto di una serie di colpi, la
gamba della bimba non ricade sulla strada per completare il passo e l'altra non si
alza nella corsa che aveva appena cominciato. E, invece, la bimba si solleva di
26
qualche centimetro da terra, una forza invisibile la strappa dalla strada. Se prima
tutto appariva ordinato e razionale nella sua camminata, ora tutto è scomposto e
folle nella sua caduta. Mentre la bimba piomba a terra - chissà perché con il suo
orsacchiotto ancora stretto - d'un tratto rivolge lo sguardo alla telecamera che non
può vedere e non può neppure immaginare dove sia, né perché sia lì. Da quel suo
viso luminoso esce un rivolo, bava di saliva a un angolo della bocca e una smorfia;
ed ecco quei suoi occhioni, ora sono stupiti, spalancati, chiedono cosa stia
accadendo. E' lì che il piccolo braccino si stacca, le vola sopra le testa e ricade vicino
a quel corpo ormai inerme, steso sulla strada, che sprizza sangue come acqua
gettata da un secchiello. Forse, mentre il suo corpo a brandelli piomba sul terreno,
la bimba non ha barlumi di coscienza e questo è anche ciò che tutti sperano,
mentre osservano il filmato senza muovere un muscolo. Tutta la sala precipita con
lei nell'abisso. Per qualche secondo è silenzio assoluto, mentre l'immagine orrenda è
sempre lì, sulla parete, di fronte a tutti.
- Quelle che avete visto - spiega con calma il relatore - sono alcune riprese di
una guerra che ora è in corso a Sarajevo: una piccola e antica città. Non è il solo
documento di questo genere, ce n'è un'intera collezione a vostra disposizione… e
non è neppure l'unica città nella quale le vite dei bambini sono fatte a pezzi, questo
capita, in forme diverse, un po' ovunque. Ci sono trentasette conflitti armati in
tutto il pianeta… e ha subito appena cinquat'anni prima il più grande massacro
dalla sua esistenza.
27
Appare un'altra immagine, enorme. Un grande grattacielo di New York, mostra
un terrazzo, sul terrazzo un tavolino, una bottiglia di champagne, una donna molto
attraente e un uomo che sembra pronto a mettere alla prova da un istante all'altro
la sua sessualità prorompente.
- E questa è una reclame di una bevanda… la città è New York. L'azienda che
produce questa bevanda è una di quelle implicate nella guerra a Saraievo. Il suo
scopo è riciclare il denaro proveniente dal traffico di droga. Come vi ho spiegato la
Serbia e gli stati dei Balcani, sono una via privilegiata di questo traffico e forse
proprio da quell'azienda proveniva il denaro per il cecchino che ha trucidato quella
povera creatura… Bene, io avrei concluso… - Il relatore si siede. E' un po' stanco. Ha
parlato sul tema delle guerre del pianeta mostrando documenti inediti per quel
pubblico. - Spero che vi siano più chiari i meccanismi di questi conflitti. So che è
difficile per voi comprenderli, ma spero che i materiali che vi abbiamo mostrato …
Si? prego…
- Non potrebbe ritornare sull'economia? Trovo difficile capire proprio il fatto che
ci sia questa economia... il denaro…
- Bene, molto bene. Ci sono altre osservazioni?
- Anch'io ho qualche difficoltà a capire... si, l'economia mi sembra davvero
complessa e poi il lavoro… la miseria…
28
Il relatore lancia uno sguardo rapido all'insieme dei presenti e quindi riprende Abbiamo visto che sulla Terra esiste una vasta produzione. E questo avviene anche
in tutti i pianeti, sebbene in misura differente, che dipende dalle condizioni
ambientali e dalla ricchezza del pianeta. Vi sono pianeti nei quali la natura offre
maggiori prodotti e quindi i suoi abitanti non sono molto impegnati nella
produzione. Sotto questo aspetto la Terra è uno dei pianeti più sfortunati. Ecco…
osservate: la natura, che i terrestri amano così tanto, è in realtà una delle più
inospitali tra tutte quelle abitate da forme viventi… i terrestri hanno dovuto lottare
sistematicamente contro le condizioni naturali, che ancora adesso… osservate la
violenza di questa natura… possono rovinare intere zone del pianeta e ridurre alla
fame e alla morte molte persone. Insomma, i terrestri non hanno avuto la vita facile
e quindi sono sempre stati sulla difensiva. E anche la pacifica convivenza ne risente.
Il relatore fa ancora una pausa, è cosciente di non riuscire ad approfondire tutti gli
aspetti e del resto non disporrebbe neppure delle informazioni necessarie. Quindi,
rapidamente,
decide
di
limitarsi
a
riprendere
solo
alcune
delle
profonde
contraddizioni di questo pianeta. - In poche migliaia di anni - prosegue - queste
lotte continue per la sopravvivenza hanno determinato la nascita di quelle che i
terrestri chiamano ricchezze. Per i terrestri le ricchezze sono il denaro, oppure l'oro.
Per loro la ricchezza non è assolutamente in rapporto a ciò che offre il loro pianeta:
quello che per noi è un vocabolo scientifico, per loro è un termine economico. In
ogni caso sulla Terra non si può avere nulla senza offrire in cambio del denaro: ogni
29
cosa dev’essere acquistata. Ecco, vedete l'immagine, questo è denaro… e questo è
qualcuno che offre del denaro e in cambio riceve… un prodotto… un cespo di
ortaggi: effettua un acquisto. Ecco, come vedete, anche i prodotti naturali del
pianeta stesso si ottengono con il denaro… Voi dovete semplicemente considerare
che avere molto denaro vuol dire poter acquistare molta roba… molti oggetti, ma
anche, più semplicemente, mangiare, sopravvivere… l'esistenza stessa, sulla Terra, è
legata al denaro e alla quantità posseduta.
- Ma come viene determinato questo possesso?
- Ecco, questo è il punto. Il denaro viene dato in cambio di lavoro: un terrestre
lavora e riceve del denaro. Io capisco che questo meccanismo per voi sia difficile da
afferrare. Avrete l'impressione che alla fine questo denaro sia del tutto inutile, una
complicazione fastidiosa… e certamente è così, ma non partite dalle conclusioni. - Il
relatore non è certo di essere del tutto chiaro - Ecco, cercate di capire questa
relazione: prima il lavoro, poi il denaro, quindi gli oggetti e le cose utili…
- Però non tutti hanno denaro nella stessa misura…
- L'osservazione è giusta. Infatti la questione è proprio che alcuni hanno molto
denaro e altri molto poco, oppure ne sono del tutto privi. Allora avanziamo questa
ipotesi. Vi avverto che è solo una ipotesi… io qui vi sto esponendo solo alcuni dati
ricavati dalle ultime ricerche… non prendeteli per verità assolute. Un'ipotesi,
dicevo, è questa: sappiamo che vi sono terrestri ai quali piace avere molto di questo
30
denaro. Ignoriamo esattamente il perché. Sappiamo però che quando questi
individui hanno soddisfatto i loro desideri, posseggono ancora una quantità di
denaro spaventosamente grande. Maggiore di tutti i prodotti che sarebbe possibile
acquistare sul pianeta: ci vorrebbero le risorse di altri pianeti per esaurire questa
ricchezza! - E poi, sorridendo, conclude - Ammesso, ovviamente, che
altre
popolazioni dell'Universo accettino di cedere beni importanti, in cambio di…
pezzetti di carta colorata! - Anche la sala sorride, cogliendo il paradosso.
- Dove si trova questo denaro? Concretamente, intendo.
- Dov'è? Eh, qui è difficile dirlo perché la maggior parte non si vede. I terrestri
hanno inventato un gioco molto complesso, che stiamo studiando. Ma… vi assicuro,
è veramente difficile capire a fondo… - Il relatore è incerto se approfondire questa
tematica, che ha richiesto studi del tutto particolari e risulta ancora piuttosto
oscura - Poi, francamente non so quanto sia interessante… Comunque, un gioco,
dicevo, nel quale il denaro sparisce per ritornare in quantità molto maggiore o
molto minore o nulla del tutto. A New York e anche in altre città, esiste la Borsa, il
più grande luogo dove praticare questo gioco. La maggior parte del denaro viene
giocata proprio lì. Ma non divaghiamo… vorrei che voi capiste questo: il denaro è la
cosa principale sulla Terra, è così importante che alcuni lo usano semplicemente
per accumularlo, per dire: ecco qua, è mio! e per questo sono disposti a ottenerlo
anche grazie alle guerre, al commercio di armi e di droga, al gioco di borsa… e qui ci
ricolleghiamo a ciò che vi avevo spiegato sulla mafia, sui governi, ecc.
31
- Ma come fa ad esistere tutto questo denaro e poi questa grande differenza di
vita… la miseria…
- Si tratta di una questione centrale. La dimensione di questa contraddizione è
molto più vasta di quanto possiate immaginare riferendovi ai documenti che vi ho
mostrato. Lasciate che vi fornisca qualche cifra. Si tratta
di
informazioni
provenienti dalla Terra stessa, che i terrestri hanno elaborato e che loro stessi
considerano ufficiali, come quelle contenute nel Rapporto Mondiale sullo Sviluppo
Umano. Questo rapporto dice che un miliardo e trecento milioni di persone vivono
con meno di un dollaro al giorno: con un dollaro si può acquistare una tazzina di
caffè a New York! Il caffè è una specie di bevanda come la nostra Lizjk. Tre miliardi
di individui, invece, vivono con meno di due dollari al giorno, cioè due Lizjk! Inoltre
225 individui o gruppi, dispongono di una ricchezza pari a quella di due miliardi e
mezzo di terrestri, cioè circa la metà della popolazione dell'intero pianeta. E pensate
che gli ottantaquattro terrestri più facoltosi del pianeta hanno una ricchezza
maggiore della più popolosa nazione della Terra, che è la Cina e che conta un
miliardo e duecentomilioni abitanti! E se vi dico che in tutto il pianeta circa un
miliardo di persone rischia di morire di fame o di malnutrizione? Oppure che nei
paesi
più
sviluppati
e
ricchi…
si
perché
c'è
anche
questo
problema
di
disomogenità… su un pianeta così piccolo… comunque, anche in questi paesi, che
sono appena ventinove, non tutti lavorano e quindi non posseggono denaro e questi
individui sono 36 milioni? Immaginate cosa potrebbero produrre 36 milioni di
32
persone ogni anno. Ma non si tratta di produzione, infatti: perché rischiare di
produrre qualcosa che poi, comunque, non potrebbe essere acquistato? perché, come
abbiamo visto, la stragrande maggioranza degli abitanti della Terra non può
acquistare quasi nulla!… Mi seguite? Si tratta di un sistema molto contraddittorio…
- Mi chiedo se queste ricchezze alla fine non siano un ostacolo…
- Vedo che cominciate ad afferrare il problema. Stiamo proprio valutando se
l'esistenza di queste ricchezze, cioè soprattutto del denaro, sia un impedimento per
lo sviluppo del pianeta. Se sia proprio lì la chiave di tutto. Non saprei… abbiamo
diverse ipotesi in merito e certo sarebbe interessante immaginare cosa potrebbe
succedere eliminando queste ricchezze, o modificandone la distribuzione. - Il
relatore osserva in alto per alcuni istanti, come se si perdesse in fantasiose
congetture per poi ritornare nuovamente ai presenti - Comunque questi sono i fatti
della tragedia che si sta compiendo sulla Terra. Vedete che questo pianeta davvero
non ha eguali nell'Universo e ci sta seriamente mettendo in difficoltà. E dire che
siamo abituati a studiare forme di vita molto varie e poi: con quanti sistemi di
organizzazione naturale e sociale dell'Universo manteniamo rapporti vivi
e
stimolanti? Quello terrestre è davvero contorto, complesso e, soprattutto, sembra
controproducente. E' questo il punto: che per la prima volta abbiamo incontrato
una specie che sembra esaurire le sue energie nel perseguire la propria distruzione e
non per favorire la propria conservazione e sopravvivenza.
33
- Mi domandavo che importanza può avere il fatto che tutti siano al corrente di
queste cose…
- Attenzione: non so se sia esatto dire che tutti i terrestri siano davvero al
corrente della situazione e in quale misura. Possiamo dire che le conseguenze di
questo stile di vita, chiamiamolo così, siano note, ampiamente. Questo si, certo…
Sulla Terra esistono potenti mezzi per diffondere le informazioni… Li avete visti,
sotto certi aspetti sono anche interessanti. Vi sembrerà strano e forse confonderà
ancor più le vostre idee, ma queste guerre, queste distruzioni, vengono vendute
nuovamente.
Diventano
informazioni
che,
per
esempio,
le
loro
televisioni
acquistano grazie al denaro e poi le mostrano a tutti gli uomini che, a loro volta,
pagano per vederle… In sostanza, capita che vi siano terrestri che muoiono perché
altri desiderano del denaro e vi sono terrestri che offrono del denaro per vedere altri
terrestri che muoino a causa del denaro. La televisione, i giornali, insomma il loro
sistema informativo, lo abbiamo appurato, contribuisce a provocare questi morti,
queste disgrazie immense, perché così ottiene facilmente nuove ricchezze. Sulla
Terra la morte produce ricchezza… non c'è nulla da fare, sembra proprio essere così.
E allo stesso tempo i loro mezzi di informazione, oltre a vivere di queste disgrazie,
diffondono l'abitudine a questo scempio.
- Diceva in che misura tutto ciò è risaputo…
- Mah! fino a che punto si può dire che sia “risaputo”? Che i terrestri ne sono
coscienti? E' un problema che ci siamo posti. Perché è davvero strano che un essere
34
vivente, quando è cosciente di una situazione che lo tiene, diciamo così, in
imbarazzo, se non peggio… davvero, se non peggio, non cerchi di agire. Fino a ora,
nell'Universo, non ci è mai capitato di osservare un comportamento di natura
contraria a questo principio generale. Anzi, proprio la presenza di questa normale
reazione per noi è sempre stata la prima base di ogni contatto con le altre forme di
vita, nessuna esclusa… veramente nessuna esclusa! Invece non siamo riusciti ancora
a stabilire un contatto di alcun tipo con i terrestri. In realtà abbiamo appurato che
una reazione esiste, ma questa risposta è del tutto particolare e, soprattutto, non
sembra apprezzata, non è adeguatamente sostenuta. Perciò abbiamo dedicato
qualche ricerca isu queste forme di ribellione.
- Ce ne potrebbe parlare?
- Certamente, ma non ho più molto tempo a disposizione. Comunque la
ribellione è una unione di esseri viventi che a un certo punto agiscono per cambiare
le cose anche in modo violento, per ottenere questi cambiamenti che i terrestri non
riescono a produrre in modo naturale. Molto spesso queste ribellioni sono dirette
contro i governi. Sono delle reazioni biologiche, come quando un organismo è
assalito da agenti esterni e cerca di difendersi mobilitando le sue forze sane. Qui,
però, il danno non è esterno. Vi ho già spiegato il sistema politico dei terrestri, i loro
stati, governi, leggi, costituzioni, dittature… democrazia, gli accordi con la mafia, i
traffici di droga, di armi, ecc. e quindi è chiaro che questi governi non sono tanto
predisposti all'ascolto. Davvero… la loro chiusura è tale che spingono gli esseri
35
umani a rivoltarsi, a cercare armi, a radunarsi… ecco, vedete questa immagine… qui
non sono armati, ma una città importante era stata divisa in due da un muro:
pensate… una città intera e non delle più piccole, divisa da un muro. E così i
terrestri lo buttano giù, si riuniscono… vedete che massa enorme di individui… è
una reazione biologica… Ecco, qui invece ci sono degli esseri umani di colore nero…
sono armati, si sono radunati in una strada perché vogliono cacciare dal potere altri
esseri umani che, però… sono colore bianco e si sono impadroniti di questo paese, il
Sudafrica, abitato da terrestri di colore nero, perché è ricco di oro e diamanti.
Insomma… sempre ricchezze che poi diventano denaro, e così via… Dicevo bianchi
e neri. Eh sì, si tratta anche di altri problemi e si apre un capitolo ulteriore…
davvero a parlare della Terra non si finisce mai di enumerarne i casi difficili…
veramente problematico… comunque ecco, questa è una immagine di uno sciopero
negli Stati Uniti, il paese della famosa New York. Sono umani che per protesta
hanno smesso di lavorare, è questo lo sciopero, perché sono stati chiamati solo per
qualche mese e invece desiderano… ma giustamente, diciamolo… lavorare per
sempre, altrimenti come fanno ad avere il denaro per vivere… davvero incredibile…
guardate qui la sofferenza… è disarmante… Quando studiamo queste cose, ci
chiediamo come abbiano fatto i terrestri a progettare questa organizzazione sul loro
pianeta, davvero inconcepibile. Quando parlo della Terra la mia serenità svanisce a
poco a poco. E' tutto così evidente e allo stesso tempo inevitabile… sembrano così
36
impotenti… una vera tragedia planetaria. Stiamo assistendo a una tragedia, alla
fine di un intero pianeta, senza dubbio…
- Scusi vorrei sapere…
- No, guardate che non possiamo continuare, per cui direi che rispondo
all'ultima osservazione…
- Grazie, chiedevo: queste ribellioni non possono cambiare la situazione?
- Eh, caro mio, come facciamo a rispondere? In linea di massima possiamo dire
che si, certamente, proprio ribellioni, unioni di molti terrestri, hanno determinato
cambiamenti importanti. In linea teorica è possibile e direi anche in linea pratica. Il
problema, almeno mi pare, è che la situazione è drammatica e quindi c'è una certa
urgenza. Difficile rispondere a questa domanda, la possibilità è presente e noi del
resto ce lo auguriamo per loro… anche se abbiamo perso una delle nostre ricercatrici
e mia cara compagna… non possiamo farne una loro colpa collettiva … davvero ci
auguriamo che escano da questo tunnel e che lo facciano in fretta. Segnali positivi
ci sono, certamente.
- Scusi ancora una domanda…
- Davvero l'ultima, però, devo andare, poi continuiamo in un'altra occasione…
- Ecco: avete pensato a come possiamo aiutarli?
- Questo è davvero un grande problema. Un grandissimo problema. Ce lo stiamo
ponendo e penso che questo tema si debba affrontare con tutti, anche con chi non è
37
interessato alle cose del pianeta Terra, perché è un problema molto, molto serio.
Non posso affrontarlo esaurientemente, ma vi dirò questo. In altre occasioni
abbiamo aiutato altre popolazioni e noi stessi siamo stati aiutati da altre forme
viventi. Ricorderò quando J4RT è esploso. Senza aiuti non avremmo potuto
cavarcela così a buon mercato. In tutti i casi di reciproco aiuto, oppure di aiuto
unilaterale però, si trattava di intervenire su aspetti fisici, relativi pianeta o al suo
sistema solare. Anche nel caso di Andaluvia, quando abbiamo deciso di agire senza
consultarli… era perché il surriscaldamento del pianeta stava ormai intaccando un
nucleo di plutonio e cadmio e quindi abbiamo voluto impedirne l'esplosione
imminente. Eppure, se esaminiamo questo caso, che cosa ne ricaviamo? All'epoca
abbiamo certamente salvato un pianeta con venti miliardi di esseri viventi, di
almeno un centinaio di specie diverse, ma il nostro intervento ha modificato la loro
linea evolutiva, ha avuto diverse ripercussioni… non sto a ricordare… lo sapete. C'è
poi voluto tempo per chiarire. Sulla Terra la situazione sarebbe ancora peggiore, a
mio parere. Qui l'esistenza del loro pianeta è rimessa in causa dai terrestri stessi e
non da fenomeni naturali. E questa, in fin dei conti, è una loro scelta. Abbiamo
visto che contatti diretti, per il momento, sono da evitare. Sulla Terra esistono
organismi che si occupano di identificare oggetti provenienti dallo spazio, ma non
c'è davvero interesse scientifico… sono solo mascherate… Non sono attrezzati in
alcun modo perché alcuni sono troppo occupati dal loro denaro e gli altri stanno
troppo male per agire… sarebbe davvero una situazione difficile. Abbiamo valutato
38
che se eliminassimo circa duecento milioni di terrestri in tutto il pianeta,
polverizzeremmo il centro vitale della loro organizzazione e potremmo liberare oltre
quattro miliardi di individui da queste sofferenze. Questo lo potremmo fare
facilmente. Potremmo anche prelevarli. Per esempio li potremmo condurre li
vicino… su Saturno, per discutere con loro, con calma, per conoscerci meglio e
vedere insieme cosa succede e cosa fare. Ma, il problema, il grande problema, è
immaginare come queste azioni potrebbero essere considerate da parte dell'umanità
terrestre tutta intera. Sarebbero bene accolte? Oppure considererebbero che la
cagione dei loro mali, in fin dei conti, saremmo noi, i temuti extraterrestri o UFO,
come ci chiamano? E se si determinasse una situazione di caos talmente ampia e
profonda da provocare nuove guerre e scontri sul pianeta? dall'esito incerto o,
peggio, irreversibile? Vedete, questo non è un problema di ordine naturale, ma
sociale, economico, politico, psicologico, anche. Come potremmo essere accolti dai
loro mezzi di informazione? Guardate che le loro televisioni, i mezzi di stampa, ecc.
hanno una certa presa sulle loro coscienze… e per quali fini agiscono? Come
presenterebbero la nostra apparizione? No, più ci rifletto e più mi convinco che si
debba evitare di intervenire e comunque che si dovranno esplorare le possibilità di
contatto ma… allo stato attuale… un contatto direi che debba essere escluso!
Certamente per noi questo ha delle conseguenze… Non possiamo ignorare che questa
Terra è un anello debole dell'Universo, che noi e molti altri, di molte altre galassie,
addirittura, avremmo i mezzi per risollevare la loro situazione, che decidiamo di
39
non farlo e continuiamo tranquillamente a osservarli e cercare di capire e magari
assistiamo alla loro fine. Non possiamo neppure scartare la possibilità che altri
intervengano in loro aiuto, oppure che decidano di sopprimerli del tutto per
acquisire le loro fonti naturali, prima che vadano disperse… anche questa è una
scelta possibile… non che il pianeta abbia granché… ma, insomma… neppure
questo possiamo sapere: cosa decideranno di fare altri popoli di questo Universo?
Alla fine ritengo che dobbiamo limitare il campo a noi stessi e noi siamo mossi da
un sentimento a loro favorevole perché pensiamo che l'Universo, globalmente dico,
debba potersi espandere e vorremmo anche poter individuare una formula di
resistenza al big - crunch, in modo tale che possa sopravvivere qualcosa di materiale
o addirittura di vivente, che non appartenga necessariamente alla nostra forma di
vita. Per questo noi e molti altri consideriamo con grande interesse e solidarietà ogni
forma vivente di questo sterminato insieme di stelle, di galassie e pianeti… Ma alla
fine io credo che non possiamo sostituirci a loro e che loro debbano giocarsi il
proprio destino, anche se… continuiamo a tenere aperta la strada di un possibile
contatto, che ora è assai difficile… Potete continuare da voi le ricerche e utilizzare
anche l’Osservatorio, oltre ai documenti che abbiamo accumulato… Ma adesso
abbiamo veramente concluso!
- Davvero c'è il rischio di una fine inconsapevole, eppure da loro stessi
provocata?
40
- Ragazzi… siate sereni - risponde Yui guardandoli teneramente mentre si avvia
piano verso l'uscita - la vostra sensibilità è un bel sentimento… L'Universo è grande.
Provate a considerare le cose sotto questo aspetto: una piccola e curiosa forma di
vita tra le diverse milioni di quelle conosciute, ha popolato un pianeta inospitale,
molto difficile e rischioso da abitare. Non si è estinta subito ma, per un certo
periodo è ugualmente riuscita a sopravvivere…
41
Aggressione?
(Secondo Velivolo in orbita intorno alla Terra. Provenienza ignota)
Il comandante deve prendere delle decisioni importanti sulla missione.
- Allora, hai i risultati?
- Si, certo…
- E cosa aspetti a mostrarli?
- Subito, ecco!
- Molto bene, molto bene, mm… le riserve di manganese non sono poi molte, il
cadmio è piuttosto raro… vediamo, questo cos'è?
- E' il grafico del berillo…
- Il berillo…
- Sì, il berillo!
- Ce ne sarebbe abbastanza.
- Si, ma ne varrebbe la pena?
- Comunque vediamo… c'è questo petrolio del tutto inutile e questo metano
poi, in gran quantità davvero e guarda, ecco l'uranio, anche se è scarso, sai che
diventano matti per questo uranio… Invece trascurano il talco. Ecco, è sfruttato per
42
meno di un millesimo dei suoi giacimenti. Il talco sarebbe abbastanza rilevante
ma… vedi? sembra disseminato in molte aree. Per esempio, qui, anche qui, vedi?
ecco, si, non sono giacimenti enormi, richiederebbero molte energie… Se penso che i
terrestri usano il talco nei prodotti di bellezza…
- Però da questo uranio hanno ricavato un bell'arsenale, vedi… osserva questi
punti, sono le dislocazioni delle loro armi nucleari. Mi chiedo come abbiano fatto a
scoprire e utilizzare la fissione nucleare, e poi anche, veramente questo è forse il
punto principale… tutti i problemi di controllo delle radiazioni. Non è strano?
Investire risorse formidabili per sottomettere l'uranio e trascurare del tutto il talco…
- …se dovessimo impiegare armi all'uranio per impadronirci delle risorse del
loro pianeta… non ci resterebbe che qualche meteorite!
- Scusate se vi interrompo - rivolto al comandante - ma il problema è serio e
urgente. Allo stato attuale abbiamo interessi soltanto per il talco... o forse anche per
il berio?
- Non saprei se il gioco vale la candela, ci sono alcuni grossi giacimenti sotto
queste acque ma, in fin dei conti, il berio lo troviamo ovunque… il problema si
riduce essenzialmente al talco, tutto il resto non mi pare degno di attenzione.
- Sono d'accordo. Lo pensavo anch'io. Ecco alcune opzioni…
- mm… cominciamo dalle nostre ipotesi di attacco.
43
- Partirei dalle condizioni comuni a tutte le opzioni. Sono quattro. Condizione
n. 1: nessun attacco centrale con i tubi di xenio che avrebbe come conseguenza il
rischio di esplosione del nucleo, dispersione e non concentrazione, come invece era
capitato con Beta32, ricordi? Quando l'esplosione del pianeta aveva accelerato il
raffreddamento del nucleo e quindi il suo recupero. In secondo luogo nessuna
possibilità di utilizzare i segnali ad alta frequenza di emissione verso il blu, perché
provocherebbero una reazione con il talco. In terzo luogo dobbiamo fare attenzione
all'acqua. Il talco entra in soluzione e quindi nessuna possibilità di impiegare
idrogeno liquido per la raccolta…
- Come avevamo fatto… ricordi nella galassia del primo atropo? Proprio lì. Era
stata una buona soluzione…
- Infine, però, mi pare il punto fondamentale, il vero problema a mio avviso,
non è tanto la delicatezza chirurgica del nostro intervento, quanto la loro probabile
reazione. Il problema è che noi non abbiamo la minima idea del modo con il quale
reagiranno. E bisogna tenere conto che, anche se il loro potenziale all'uranio ha
aspetti non efficienti, contorti, contraddittori, resta pur sempre il fatto che hanno
depositi sufficienti di armi nucleari da far saltare in aria il loro pianeta alcune
centinaia di volte. Personalmente mi aspetto una reazione nucleare al nostro
attacco, ma non contro di noi. Non hanno né gli strumenti, né l'immaginazione
necessaria per individuarci. Io parlo di una reazione al loro interno, di una
situazione caotica che potrebbe determinare comportamenti imprevedibili. Capisci?
44
prova a immaginare come potrebbero reagire di fronte a tre o quattro aree messe
letteralmente sottosopra… Non hanno mezzi di controllo né militari, né tecnologici,
né psicologici. Questo è il punto.
- E tu dici che le condizioni vincolanti non ci permettono di impiegare alcuna
arma discreta, perché…
- … in un modo o nell'altro si ricadrebbe in una delle situazioni che ti ho
elencato. Qui si tratta di talco, capisci? Talco, con tutte le sue proprietà e
conseguenze!
- Un bel problema. Cosa dice il Centro?
- A suo parere i rischi di perdere il nostro bene sono troppo elevati. Meglio
sapere che su questo pianeta esiste una certa disponibilità di materiale e tornare
con una soluzione più efficace, oppure quando la loro evoluzione avrà modificato i
termini del problema.
- E tu cosa ne pensi?
- Eh, cosa ne penso? Io penso che una civiltà basata sulla tecnologia dell'uranio,
non avrà molto futuro. Il loro pianeta salterà in aria, prima o poi…
- E allora?
- E allora? Allora tanto vale rischiare, altrimenti la partita è già persa in
partenza.
45
- mm…
- Che altre possibilità abbiamo? Non vedo soluzioni. Previsione di perdite: zero
assoluto. Per male che vada restiamo senza un pianeta del Sistema Solare, ma
francamente non vedo come si possa rinunciare…
- E i costi? Dimentichi che questa operazione ha un costo in risorse di talco tale
che rischiamo di mettere in causa le nostre missioni.
- Si, certo, questo aspetto deve essere preso in considerazione… Facciamo due
conti
allora…
Ecco…
ecco
il
risultato.
Il
consumo
prevedibile
di
talco
nell'operazione è tale da avanzare risorse da garantire, all'incirca, una quarantina di
missioni. Se non svolgessimo questo intervento, particolarmente dispendioso,
potremmo ancora effettuarne, diciamo… un'altra decina.
- E ti sembra un numero sufficiente da garantire un esito certo? A mio parere né
quaranta né cinquanta missioni ci offrono un numero sicuro di probabilità di
riuscita.
- Questo è vero, però tieni conto che abbiamo a disposizione altre risorse…
- Che richiedono un dispendio di energie molto ampio, mettendoci seriamente
alla prova!
- Mi chiedo perché tu debba essere convinto che la missione debba fallire.
Davvero non riesco a capire, abbiamo tutta una serie di elementi a favore…
46
- E tu perché sei così convinto del suo successo? Quali sono questi elementi a
favore? In realtà abbiamo a che fare con una specie dal comportamento
assolutamente irrazionale. Come puoi fare delle previsioni? Bisogna tenere conto dei
dati storici della loro evoluzione: se sono riusciti a stabilire questo record di
confusione e di insuccessi, come vuoi che l'ipotesi più probabile non sia quella che il
caos determinato dalla nostra missione sia per loro e per le nostre risorse, fatale? Tu
ragioni soltanto su dati statistici. Questo non è sufficiente, devi prendere in
considerazione anche gli elementi storici e psicologici, non puoi soltanto fare una
serie di conti… Ma vedo che non sei convinto.
- No, non ne sono convinto affatto. Abbiamo tutte le possibilità di…
- Ho capito. Riprenderemo il discorso più avanti. Attendiamo il rientro della
squadra. Intanto avvia la procedura di ridefinizione della missione.
47
La traccia
(Velivolo di osservazione. Osservatorio. Due giovani ricercatori)
Frugano a lungo tra i documenti in archivio e utilizzano l’Osservatorio. Sono
spinti dall’ansia di una irresistibile sete di sapere.
Hanno iniziato perché non credevano fosse possibile che le cose andassero a
quel modo. Quel cumulo di miserie, quei resti fumanti di detriti di ogni sorta che
Yui aveva mostrato. Una deriva senza fine guidava le vite di quei terrestri? - E’
davvero possibile? - Lei lo chiede con insistenza. Lui non sa cosa dire ma, certo, è
possibile, è impossibile, vuole vederci chiaro.
Si erano recati all’Osservatorio e avevano chiesto di poter visionare i materiali
che Yui aveva messo a disposizione e poi di accedere alla finestra di osservazione
che permetteva di osservare direttamente persone e luoghi frugando in ogni angolo
della Terra per catturare fatti e stati mentali. Non era tanta roba, ma molti testi,
molte parole, forse troppe e dalla finestra di osservazione ricavano molte immagini,
quante immagini di gente, voci, suoni! Eppure non trovano nessuna risposta. E ora
più il tempo trascorre e più si perdono nel loro intento senza trovare nulla, nulla
davvero
che
abbia
una
qualche
importanza.
Vedono
spezzoni
di
quelle
videocassette, nelle quali qualcuno mostra immagini e commenta fatti, poi hanno
48
giornali, qualche libro, molte fotografie, molta carta e molto inchiostro e anche
dalla finestra è solo un trascorrere di vite senza una meta reale, di successioni
mentali, di pensieri, stati emotivi, dialoghi inconsc, gente che lavora, gente che sta
in famiglia, gente che piazza il proprio corpo su qualche linea del tempo, ma nulla,
sembra non ci sia nulla di veramente umano fra le testimonianze di vita di quei
terrestri.
- Ma tu, cosa pensi? - dice lei - ma ti pare possibile? Davvero?
E lo fissa affinché alla sua domanda sia data una risposta chiara, nel senso da
lei voluto. E lui, cosa dovrebbe rispondere? Ne sa ancora meno. Anzi, da lei era stato
condotto in questa impresa! No che non lo sa, ma prosegue le indagini, perché con
lei avrebbe indagato su ogni cosa, dato che gli ha mostrato una nuova finestra. La
finestra era questa, semplicemente: fino a poco tempo prima non aveva prestato
grande attenzione né alla sua galassia, né allo spazio infinito esterno, né ad altri
universi. Queste cose non lo interessavano molto. Coltivava le sue inclinazioni con
devozione e con tranquillità, carezzava il suo animo ed esercitava i suoi sentimenti
addestrandoli a cogliere la gamma più ampia possibile di emozioni, senza lasciarsi
irretire dalle circostanze. Aveva trascorso una quantità di tempo a esercitare lo
spirito, ad annullare il suo corpo fino a confondere i suoi sensi con la natura
circostante. Ma non aveva mai rivolto la sua attenzione al di fuori del suo pianeta,
mai molto in là, per la verità. Ma grazie a lei ora si accorge di quella strana bellezza,
inquietante. Di quella civiltà così lontana non solo nello spazio, ma distante nei
49
suoi stessi meccanismi interni, nei suoi stessi ingranaggi, così agli antipodi
dell'esistenza. E poi, dopo quella lunga conferenza di Yui, aveva cominciato a capire,
con lei aveva ragionato, infine erano venuti qui. Ma cosa stanno cercando? Non lo
sanno con certezza neppure loro, forse una testimonianza, ma di che? Una smentita
una chiara smentita perché non credono affatto all'ipotesi di Yui. Come se la loro
civiltà, nel momento in cui sembra raggiungere il proprio zenit ora, a contatto con
la Terra, si sorprenda a scoprire l'esistenza dell'infelicità più profonda, lì su quel
piccolo corpo celeste. E quel che è peggio, a scoprire la completa ignoranza di questa
infelicità da parte degli stessi esseri di quel buffo pianeta, perfettamente azzurro.
Questa contraddizione dolorosa tra coscienza e incoscienza è davvero una loro
caratteristica così forte, così aperta, addirittura evidente?
Possibile?
50
Non chiederci la parola
(NASA. Dintorni di Austin. Progetto Saturno, laboratorio genetico,
ufficio di Frank Petri).
Non c'è spazio, non c'è posto, non c'è terra, non c'è luce, non c'è sabbia, non c'è
impronta, non c'è segno, non c'è presenza, non c'è assenza, non c'è vuoto, mi
chiamano senza nominarmi, mi
cercano
per
sgretolarmi,
mi
vogliono
per
allontanarmi, mi danno per privarmi, mi strappano anche l'anima, mi calpestano
nella dignità, mi levano il cuore e lo schiacciano sulla terra con i loro piedi puliti,
mi opprimono i polmoni e bloccano ogni respiro e poi, quando il respiro flebile
cessa del tutto, mi attaccano a una macchina che cava un nuovo alito, mi
affamano e mi opprimono, ma mi danno il pane e anche la carne, mi strappano il
cervello, cellula per cellula, neurone dopo neurone, interrompono tutte le sinapsi,
interrompono tutti i circuiti, penetrano nel profondo del pensiero, scavano nella
mia coscienza, ne interrompono il flusso, leggono i pensieri e se ne appropriano, poi
li gettano alle ortiche, poi li riprendono, li resuscitano, per massacrarli sotto il fuoco
dei loro giornali, mi attaccano ai terminali dei loro computer per lasciarmi tremare
alle scariche della loro sedia elettrica digitale, mi cavano gli occhi e mi iniettano
nella retina le immagini perdute della loro televisione, mi trascinano all'edicola per
intossicarmi fino nell'esofago con il loro inchiostro, mi proiettano sessi umidi sui
51
mattoni della città, mi tolgono il desiderio, quieto e pacato, dell'erba fresca e mi
sbattono in un bordello con le troie del terzo reich, mi danno del denaro e mi
strappano la vita ogni secondo, mi aumentano lo stipendio e mi adulano per
gettare le mie mani discretamente nella diarrea dei palazzi fregiati, mi colpiscono
nel fegato come manovra diversiva per portare alla luce tumori fosforescenti sotto i
lampioni delle svastiche e delle falci e martelli che pesano tonnellate e incombono
dai condomini della città.
Non lasciatemi neppure la parola, non ditemi chi sono, perché voi lo sapete
meglio di me, non ditemi cosa devo fare perché voi solo sapete cosa devo dare, cosa
devo dire, per indurire l'io al vostro sole terrificante. Squadratevi davvero le vostre
volte fasulle, guardatevi veramente gli ombrelli di pizzo, schifezze allucinanti uscite
dai bidoni dell'immondizia dei vostri cervelli maleodoranti. Non chiederci davvero
la parola, non chiederci nulla, non ho parole, non ho più nulla da dire, da
esprimere, da analizzare, da criticare, da vagliare, da considerare, da ponderare, da
prendere
in
considerazione,
nessuna
considerazione
per
nessuno,
nessuna
considerazione per queste pietre sbattute nel mondo dai vostri cani del terzo reich e
di Mosca che mangiano le budella degli operai, degli impiegati e di chi scrive
qualcosa e di chi pensa, di chi fluttua nell'aria e fra bolle trasparenti.
Si, mi piace questa poesia:
Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
52
perduto in mezzo a un polveroso prato.
Ah l'uomo che se ne va sicuro,
agli altri e a se stesso amico,
e l'ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!
Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì, qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
Mi piace questa poesia che dice ciò che non voglio essere, ma mi fate essere e
contro di voi non voglio proseguire a cercare orizzonti, ma liquidare, se avessi una
tanica di benzina grande come la Luna farei saltare il pianeta come un pugno di
calce che si sgretola tra le dita, di questa latrina immensa di questa Berlino del
nuovo millennio, di questa Stalingrado del futuro altro millennio, già marcito
prima ancora di venire alla luce, già morto, nato morto, morto e sepolto, appassito
senza fiorire, languire senza amare, queste colonne portanti squadrate come cere di
pietra, questi pilastri fondamentali, inossidabili del mausoleo di Lenin, Hitler è
morto? Himmler è cibo per i vermi? Gli impiccati di Norimberga, ma io l'impiccato
dell'inquisizione, voi continuate con i cappi, i nodi, le corde grosse intrecciate con i
legamenti dei nostri muscoli, questa gialla Pechino di mandarini saccenti e sottili
torturatori comunisti che seguono e soffocano ogni seme giallo nel suo cotone,
questa colorata Avana sfasciata sotto il peso dei peli neri della barba del dittatore
ma con i fucili della brillantina che cola dal collo dell'americano di turno salito alla
53
presidenza del bordello del reich di Washington. Vomito per ogni angolo, le budella
mi si accartocciano per ogni dove del mio pianeta disalberato e senza mare, il corpo
si disfa senza lamento, la fame sottile sale senza rumore, senza farsi sentire si stende
come un mattarello sotto il lobo destro e affloscia i polpastrelli. Bastardi, pezzenti
incerati, colpite con lo scettro e il pugnale mentre leccate le grinfie taglienti dei pali
prussiani, mentre sedete nei parlamenti agitando la falce con la quale vi fate la
barba schivando i foruncoli e le riserve del vostro pus intellettuale e il libro della
Giustizia per ridurre in poltiglia molecole di cervello.
Si, mi piace questa poesia, perché è silenziosa, leggera come una foglia di venti
tonnellate, scende lentamente sul vostro pianeta a schiacciarvi come polistirolo,
palline che schizzano, bianche bianche, per riempire il foglio della vostra condanna.
Definitiva.
Io, invece, voglio un foglio di via. Via, via, via… via di qua, via da altrove… via
da lontano, solo via, via di qua… Responsabile del laboratorio genetico? Io… con il
potere di decidere? Io… Merda! Ma ormai i giochi sono fatti. Chi può tornare
indietro?
Una porta si apre. Petri richiude il dossier dell’équipe.
Attendeva questa visita. Entra un individuo che pare occupare la stanza. E’ il
direttore della NASA.
54
Petri non ha avuto molto tempo per riflettere. Si è fatto trascinare dai suoi
pensieri.
55
Alternativa
(Velivolo di osservazione. Osservatorio. Due giovani ricercatori).
- Si definisce per ciò che non è. Per lui la vita è solo un peso. Una foglia di venti
tonnellate che prima o poi lo schiaccerà. C'è solo un'espressione autodistruttiva...
- Ma no, è rivolta contro la società, non contro se stesso. Certo, non riesce a
immaginare nulla di positivo, però resiste.
- Non credo che la sua posizione porti molto lontano. Il colloquio non è servito
a nulla…
- Perché non è ancora pronto per uno scontro…
- E se non fosse mai pronto per uno scontro? Se questa fosse anche la ragione
dell’impotenza della sua ribellione?
- Può darsi che i suoi pensieri si traducano in azioni concrete…
- Non se è ripiegato su se stesso, se è schiacciato da tali e tanti ostacoli da non
riuscire a venirne fuori.
- A meno che non sia l’inizio di un processo, alla fine del quale recupera la sua
libertà. Libero di agire e allora avremo un appiglio e potremo intervenire.
56
- Questo è un altro problema: interferire in questo processo, ammesso che vada
nella direzione che tu indichi…
-Prendi la poesia che stava recitando…
- Appunto…
- Parla di animo, seppur informe. Sembra alla ricerca di una propria etica.
- Oppure l'animo è informe nel senso che non ha nulla da esprimere, nessuna
forma alla quale aggrapparsi e tanto meno un’etica.
- Non credo, l'animo potrebbe essere informe perché rifiuta di essere marchiato
da lettere di fuoco. Cioè di essere modellato, teleguidato. Meglio avere qualche
incertezza, qualche contorno più sfumato, qualche forma meno delineata perché
solo così potrà assumere dei confini autonomi. Potrebbe rappresentare un desiderio
di libertà, il principio di una scelta…
- Oppure l’impossibilità di trovare una via d’uscita. Non sappiamo quale peso si
porti
sulla
coscienza.
Non
sappiamo
quale
dimensione
attribuisca
al
suo
comportamento. Potrebbe soccombere, riavvolgersi su se stesso.
- Ma pensate - interviene Yui - se l'instabilità, cioè conflitti di questo genere,
costituisse il vero asse portante dell’esistenza di questi individui? Sarebbe una civiltà
molto più complessa di come la raffigurate e noi ci sbaglieremmo, perché non
saremmo in grado di cogliere questo loro specifico modo di esistere…
57
Nessuna sbavatura
(Washington, Casa Bianca).
Studio ovale, ufficio del presidente. Sono presenti il direttore della CIA, il
direttore della NASA, il segretario di stato, il capo di stato maggiore, il ministro
dell’istruzione. Dopo una serie di osservazioni e di precisazioni da parte del
segretario di stato, interviene il presidente.
- Bene. In questo momento non ci interessa sapere da dove vengano quegli esseri
e neppure quali proprietà speciali abbiano. Se avessero voluto distruggerci lo
avrebbero già fatto. Dunque le questioni militari sono fuori discussione. Non
abbiamo alcun interesse nei confronti degli alieni in generale. La nostra attenzione
deve essere rivolta all’opinione pubblica, il rischio di una fuga di notizie è possibile
e in ogni caso dobbiamo tenere sotto controllo le reazioni della popolazione. E’
questo il nostro problema, tutto il resto non ci interessa. – Il presidente alza le
sopraciglia e si rivolge al direttore della NASA. - Mi accennavi a quel problema, che
riguarda qualcuno dei vostri… - Un’attimo di pausa, poi il direttore della NASA dice:
– Si tratta di Frank Petri, responsabile del laboratorio genetico e di Arthur Jhon Cox,
responsabile del progetto Saturno.
- Sono questi i due di cui mi parlavi?
58
- Si.
- Non hanno lavorato direttamente sul corpo dell’alieno, vero?
- No, loro devono studiare i risultati, i manovali sono quelli dell’équipe.
- Quindi sono comunque in possesso di tutte le informazioni…
- Si.
- Avevano accettato di esaminare le relazioni? Voglio dire, hanno accettato di
partecipare al gioco, no?
- Si, esattamente. Fino a questo momento stanno assolvendo ai loro incarichi.
- Mmh e con gli altri siamo a posto?
- Non ci sono problemi.
- Anche quelli che hanno lavorato direttamente sul reperto?
- Si, assolutamente, puoi stare tranquillo!
Il Presidente si raddrizza. Apre una cartellina e legge a voce alta. – Raduni
contro la guerra in Vietnam, occupazione di Berckley, contatti con Malcom X…
conferenze in Europa, contro le biotecnologie… –, chiude la cartellina, punta
nuovamente gli occhi sul direttore della NASA, che era anche un suo vecchio amico.
– E allora, spiegami come mai questi due sono finiti proprio da te? – Domanda
retorica, senza risposta. Il presidente continua senza mai togliergli gli occhi di dosso.
– Li devi tenere sotto controllo. La CIA ti aiuterà e tu farai tutto ciò che ti dirà. –
59
Quindi si rivolge al direttore della CIA. – A te mi raccomando la stampa. Non
possiamo lasciare che scrivano cazzate, nemmeno una. Bisogna prevenire, agire
prima che la frittata sia fatta. – Quindi si alza e va ad appoggiarsi al tavolo di
fronte al ministro dell’istruzione. - Ho convocato anche te, perché abbiamo un
piano. Ci occorreranno dei diversivi e le scuole e le università sono i luoghi più
adatti. Come dicevo dobbiamo giocare d’anticipo, per questo vogliamo innanzitutto
demolire le fughe di notizie prima ancora che si verifichino e poi distrarremo
l’opinione pubblica. Vogliamo che tutto ciò che riguarda alieni, extraterrestri e UFO
sia talmente discreditato da suscitare nausea in chiunque, anche se dovesse leggere
la notizia più vera e sensazionale della sua vita. – Il presidente cerca di capire per
un istante se il ministro ha afferrato bene il concetto, prima di riassumere il piano.
- Ci vuole una serie di attentati. Per esempio studenti che compiono stragi; altri
che si vendicano dei loro insegnanti - aguzzini; altri ancora che prendono in
ostaggio dei bambini, insomma dovete programmare un po’ ovunque cose di questo
genere, che colpiscano molto la gente e che tengano occupata la stampa. Non si
deve
parlare
d’altro
che
di
questi
fatti.
Troviamo
psicologi,
sociologi,
massmediologhi, scrittori, che siano pronti a suonarsele di santa ragione in
televisione e sui giornali. Ogni questione deve essere allineata su questi eventi.
Gli occhietti taglienti del ministro brillano. Sognava da molto tempo di poter
esercitare pienamente le sue funzioni. Un ministro dell’istruzione non ha il potere
di un generale, questo è chiaro, ma ora avrebbe potuto lo stesso far marciare al suo
60
passo milioni di ragazzi e di famiglie. E lui questo lo avrebbe fatto. Oh cazzo se lo
avrebbe fatto! E nessuno lo avrebbe più fermato, ora che giungeva il suo momento.
Il presidente continua: - Se ne avremo bisogno collegheremo tra loro questi fatti.
Li legheremo a un disegno terrorista generale, come abbiamo fatto in Italia e poi con
le Torri Gemelle, quando abbiamo manovrato alcuni fanatici islamici. - Poi si rivolge
al capo di stato maggiore, seduto a fianco del ministro. - Allora? Quanti sono?
- Sono due velivoli.
- Due? Se n’è aggiunto un secondo?
- Non proprio, pensiamo che abbiano diversa provenienza.
- Pensate o ne siete certi?
- Siamo abbastanza sicuri: le emissioni sono completamente diverse e così le
frequenze. Anche l’analisi spettrale conferma la differenza di materiali. Potrebbero
provenire da luoghi anche molto distanti tra loro, questo spiegherebbe la diversa
composizione.
- Quindi stiamo ricevendo visite da due forme aliene distinte. Per quanto ne
sappiamo, potrebbero avere programmi e obiettivi diametralmente opposti.
- Si, è probabile che sia così. Potremmo anche essere finiti dentro un conflitto
tra alieni.
61
Il presidente prende una sedia accostata alla parete e si piazza in mezzo al
gruppo. Non si rivolge a nessuno in particolare, ma è evidente che vuole essere ben
capito da tutti. - Deve essere assolutamente chiaro – dice - questo punto: dobbiamo
soprattutto PREVENIRE. Per questo abbiamo bisogno di diversivi. Innanzitutto
bisogna approntare notizie di avvistamenti e anche di contatti, fornire dei
materiali, montare una campagna sui media, renderla realistica e poi, quando la
tensione sarà al culmine, forniremo le prove dell’imbroglio; i circoli UFO e quelli
astronomici faranno da capro espiatorio. Gli arresti faranno il resto. La disillusione
generale che ne seguirà sarà la protezione più sicura da eventuali fughe di notizie. A
questo punto distrarremo definitivamente la popolazione con qualche bella storia
di sangue e terrorismo nelle scuole e nelle università. - Ora il presidente parla al
direttore della NASA. - Intanto con quei due… dovrai sentirli direttamente. Non ci
possiamo fidare in nessun caso, bisogna coinvolgerli a fondo, farli entrare nel club,
capisci? Offrigli qualcosa e fai sentire loro tutto il peso del proprio coinvolgimento.
Dobbiamo schiacciarli moralmente e poi, appena sarà possibile – si volta verso il
direttore della CIA – ci penserai tu! –
- Con Petri ho già avuto un colloquio… – dice il direttore della Nasa.
- E dunque?
- Mi pare in difficoltà, sì, l’ho visto in difficoltà…
- Problemi di coscienza?
62
- Evidentemente. E in questi casi è difficile fare pronostici…
- E con quell’altro… Cox?
- Lo andrò a trovare oggi stesso. Con lui sarà più difficile, temo.
– Voi comunque andate avanti con la clonazione, come stabilito.
Infine il presidente si alza, fa un mezzo giro per impartire gli ultimi ordini al
segretario di stato. – Tu coordini tutta la faccenda. La consegna è di non andare
tanto per il sottile. C’è in ballo la presidenza, non manca molto alle elezioni. Conto
su di te perché tutto quanto sia integrato e perfetto. Perfetto… vuol dire senza
sbavature.
63
Rumore di fondo
(Dintorni di Austin. Casa di Frank Petri e paraggi).
Frank Petri, lo scienziato, ferma l'auto sul vialetto, in prossimità della sua
abitazione. Lancia un'occhiata greve alle finestre illuminate, poi abbassa lo sguardo
verso le proprie scarpe. Sono infangate. Ha camminato nei prati e nei fossati intorno
al Centro Ricerche, con il mento curvo, il capo chino, le mani ciondoloni, poi in
tasca. Ha vagato per ore, dopo il colloquio. Quante? Adesso è quasi a casa.
Basterebbe solo un piccolo movimento della mano per aprire la portiera dell'auto,
scendere sul marciapiede. Ma resta lì, nell'abitacolo.
Dentro casa, sua moglie lo aspetta. Ha telefonato al Centro, ad alcuni amici, agli
ospedali. Ma di lui nessuna notizia. Forse avverte che un piccolo passo verso il
burrone dell'anima si compirà da qualche parte e questo burrone, lo sente, è vicino.
Lei, con i suoi capelli lunghi e mossi, che si scompigliano per un piccolo soffio,
ricorda come lui glieli sfiorasse. Quelle sue mani calde, grosse, eppure leggere e lievi.
Ora, sotto quelle stelle, le radiazioni dell'Universo trasmettono un
senso di
malinconica inquietudine. Ha smesso di cercarlo, forse sa che non sarebbe più
tornato. Va ancora una volta a coprire il piccolo con le sue lenzuola candide, dalle
64
quali spunta la sua testolina. Ora lei sente che dovrà proteggerlo ancor di più e che
la vita sarà dura, sempre più dura.
Lo scienziato continua a guardarsi le scarpe infangate, mentre negli interstizi
della sua mente ascolta se stesso. - Non si può sopportare questo peso - pensa lo
scienziato. Cosa aveva fatto la sua équipe a quell'essere? L'aveva straziato, distrutto,
fatto a pezzi, aveva indagato, in nome della scienza. Ma poi è quello il punto? Non è
quello, lui non sapeva neppure che funzioni avesse, neppure da che parte guardarlo
perché nessuno aveva capito dove fossero quei suoi diavoli di organi. Anzi,
sembrava non averne di organi. Lo avevano massacrato. Torturato e massacrato.
Aveva forse sollevato delle obiezioni? Nessuna. Si era opposto? Macché. C'era dentro
fino al collo. Ma lui era più vigliacco di altri. Quante volte era stato invitato a
conferenze universitarie o dell’Unesco, per denunciare l'irrazionalità del sistema?
Bravo! ora cosa aveva da insegnare ai suoi figli? A Jhon nulla davvero. Quello aveva
capito l'antifona ed era sparito nella notte, come al solito. E all'altro? Otto anni. Va
a scuola. Forse gli insegnano a riprodurre gli schemi infangati di questa vita?
- Pensalo più forte, lì, mentre ti guardi quelle scarpe incrostate dal fango. –
Diceva Petri a se stesso - Quello è il tuo fango, il fango della tua vita sotto le scarpe,
sotto le suole, calpestata un po' ogni giorno da te stesso. Te la sei rovinata senza
scampo e ora sei in trappola. Con il tuo comportamento è come se avessi torturato
la tua vita stessa, è te stesso che hai torturato e ora non sei più nessuno, sei meno di
un grammo nell'Universo, sei un essere insignificante che ha distrutto la possibilità
65
di stabilire un contatto e ora rimani senza fiato. Se non puoi esternare la tua rabbia
fuori di te, devi rivolgerla contro di te. E' questa l'inevitabile legge dell'umanità.
L'inesorabile senso della vita e della morte in ogni istante. Se non riesci a buttare
fuori il tuo male, riversalo al tuo interno, rimescolalo con la tua anima, istillalo
nelle tue vene dense di sangue, fino a che il suo peso ti ucciderà. E tu sei incapace di
buttarlo fuori perché con chi vorresti prendertela, contro chi vorresti riversare le tue
colpe? Avanti, prova a dirlo. Prova a dire con chi potresti prendertela! Chi vorresti
ammazzare o torturare? Il direttore della NASA? Il Pentagono che impone le sue
leggi? I finanziatori del governo? Ma il problema è che sei tu il fallito, perché loro
edificano la loro parte di miserie umane, mentre tu non sei stato capace di fare
nessuna parte, piccolo scienziato con la sua carta bollata. E la famiglia? La tua
donna, fedele compagna. Fedele a cosa? Si, forse lei, solo lei potrebbe aiutarti. Ma tu
a lei, non ti puoi presentare e ti guardi le scarpe infangate perché sono lo specchio
della tua anima. Sei finito. Hai ceduto nel momento in cui avresti dovuto reagire. Il
problema è che esiste solo un istante preciso durante il quale la reazione è possibile.
Perso quell'istante, si perde anche il diritto alla reazione. Questo lo sapevi? Lo sapevi
o no? Non lo sapevi? Io ti dico che tu hai finto di non sapere, ecco cosa hai fatto, hai
finto di non sapere cose che sapevi benissimo, anche se non ti erano mai capitate
così, in quella forma. Ricorda quante piccole occasioni hai mancato nella tua vita.
Quante volte non hai reagito, quando eri piccolo e imperfetto, prima che la tua
coscienza ti facesse perfetto agli occhi tuoi e del tuo vicinato. Hai visto come la
66
gente ti considerava perfetto? Lo scienziato, il dottore, il ricercatore, il luminare. E ci
sei stato in Svezia a ritirare il Nobel. Mi fa saltare il cervello solo a pensarci, questa
cosa. Tu sei stato a Oslo, vigliacco traditore! Ma te ne rendi conto? O continui ad
asfissiarti fra le tue rarefatte nuvolette di scienziato? Dì, parlo con te, te ne rendi
conto o continui a spingerti su questa strada senza uscita? Ma io parlo al vento, ma
chi cazzo ascolta? E le scarpe: quelle fottute e stramaledette scarpe infangate di quel
fango di merda, ma quanto sei ignobile! Devi riscattare questa tua vita che ora vale
molto di più da morto che da vivo. Se tu muori si potrà raccontare che ti sei
rivoltato contro questo sistema. Se ti togli la vita potrai avere ancora l'affetto dei
tuoi figli. Se la tieni avrai un segreto sulla coscienza che non ti farà più vivere. Se ti
togli la vita, invece, recuperi questa distanza. La distanza permanente della tua
morte diventerà la perpetua comunanza degli altri con il tuo insegnamento. I tuoi
sensi di colpa sfrecciano in tutte le direzioni come palline di flipper impazzite. E
quindi sei destinato a morire e basta. Senza lasciare neppure una lettera, nemmeno
un’indicazione perché, ragiona, lasciare una lettera è un gesto di rivolta, ma allora,
perché non rivoltarsi prima, quando era il momento giusto? Ma morire resta
comunque l'unica cosa da fare. Non hai alcuna alternativa, per te, per lei, per i tuoi
figli.
Com'è il cielo, tu che lo osservi dalla finestra? Tu che aspetti tuo marito
rientrare e che sai che egli non rientrerà più questa notte e forse, neppure le altre?
Tu che lo hai capito fin dall'inizio e che lo ami ancora, davvero, con tutto l'affetto
67
di cui sei capace, tu ora che osservi le stelle lontane e ti chiedi: chissà da dove
giungeva quell'essere che l’équipe di tuo marito ha violato? Tu ami ancora tuo
marito e se lui non torna tu lo amerai ancora di più, ma non potrai mai più
mostrargli i segni di questo amore e, se torna, forse lo amerai ancora, ma il suo
silenzio e la sua tragedia vi separeranno ogni giorno un po' di più. Il tuo viso si
colora di rosa, sotto la luce bianca delle stelle. Come sei bella. E lui non ti vede. Le
tue guance calde, rigate dalle lacrime, piangi, piangi senza sosta, piangi perché sai
che ormai non c'è alcun destino diverso per lui, piangi composta perché sai che
questo è il suo destino. I tuoi capelli fluenti… i tuoi capelli da accarezzare…
Sono sceso qui, sulla collina, di fronte ad Austin. Dalla collina vedo tutta la
città con il Centro sullo sfondo. Con una sola occhiata abbraccio l'intera mia
esistenza e la raccolgo nella mia anima dolorante. E penso ai suoi capelli. E intanto,
da questa collina, posso assumere la distanza necessaria per osservare le cose nella
loro giusta dimensione e sentirle più lontane. All'improvviso, questo sguardo sul
mondo e sulle sue luci, sulle sue case e sui suoi fumi spettrali, mi consegna la
serenità necessaria per capire quanto questa vita ormai sia lontana da me, come io
non la possegga più, come, forse, non sia mai davvero stata mia. Ora, su questa
collina, dalla quale abbraccio tutto, tranne te, posso riprendermela davvero, farla
mia per sempre e quindi offrirla a te e a loro, perché insegni qualcosa ai miei figli e
nel vuoto che si creerà possano guardarsi intorno con più attenzione, alla ricerca di
qualcosa per riempirlo, se si potrà riempire, oppure combattere e lottare per
68
costruire qualcosa che riempia questo vuoto immenso. E' davvero curioso le volte
che ho osservato il cielo dai radiotelescopi. Ora è qui l'infinito, più vasto e più
immenso dell'Universo e dei nostri strumenti. Sono salito su questa collina per
lasciare la vita proprio qui, dove da ragazzo venivo di notte a puntare il telescopio e
immaginavo viaggi e vite multiformi. Estraggo la rivoltella dalla sua custodia e
l'appoggio sulla tempia. Intanto osservo quelle case e abbraccio tutto l'orizzonte.
Che buffa questa città. Mi sembra un cartone animato, così irreale e plastico. Ma io
ci ho già vissuto e ora non è più mia, non è mai stata la mia vera vita. E' questa ora
la mia vera vita. Addio a tutti, addio. Ora e solo ora vivo e ne comprendo il senso,
benché…
Lo sparo echeggia per l'Universo. Forme di vita trattengono il respiro per un
istante. Il rumore acuto penetra nel cervello e nel cuore di lei. Nell'organo della
ragione e nel muscolo molle e fragile della vita. Lo sapeva e si stringe i polsi.
Abbassa lo sguardo dalle stelle al davanzale e china il mento umido sul petto. Poi si
reca nella stanzetta per abbracciare suo figlio aspettando che l'altro rientri. Quindi
attendono insieme i funzionari. Quando aprono la porta lei dice:
- L’équipe che mio marito controlla ha torturato e ucciso, dopo una lunga
agonia un essere vivente proveniente dallo spazio. Petri ha eseguito degli ordini che
non ha ritenuto giusti e poi si è tolto la vita, benché lui non abbia partecipato
direttamente a quello strazio. Non avrebbe potuto vivere con questo peso sulla
coscienza e ha voluto indicare a tutti una direzione diversa. Io penso e voglio dire
69
che ci sono dei responsabili: sono il governo degli Stati Uniti e delle altre nazioni
complici, la NASA, il Pentagono e le grandi imprese che finanziano questi governi e
costruiscono la vita miserevole che noi dobbiamo condurre. Io vi accuso davanti
alla memoria del mio compagno e padre dei miei figli, davanti al suo gesto che io
condivido profondamente e che mi spinge ad amarlo e a rispettarlo ancor più.
Le molecole e le onde di quel messaggio, come liberate da una pressione
irresistibile, schizzano ovunque nello spazio, fanno fremere i corpi luminosi
dell'Universo e restano come rumore di fondo nelle distanze siderali, veicoli di vita
trasmessi da parole pronunciate all'alba, quando, chissà perché, si sparge l'odore
della polvere da sparo.
70
Carta d'identità
(Secondo Velivolo in orbita intorno alla Terra. Provenienza ignota).
Eccomi qui!
Sono proprio io. Quello piccolo di corporatura, tarchiato, peloso, occhi profondi
marroni, carnagione olivastra, folti peli che traboccano dalla canottiera azzurra con
le spalline, anello dello zio con rubino al dito mignolo, rughe profonde sulla fronte,
mani callose e nodose, piedi diritti e grossi, pancia pronunciata, collo tozzo, qualche
goccia di sudore che illumina le tempie, sopracciglia folte e scure e... sempre pronta
in tasca la foto della famiglia al gran completo con la moglie in abito scuro per un
lutto che l’ha colpita a 16 anni.
Insomma eccomi, sono io, proprio io.
Sono proprio quell’essere che non vorreste mai che si segga al vostro fianco in
treno e che, comunque, comincerete a odiare non appena lo udirete aprire il
cartoccio e sentirete l’odore di salame piccante e formaggio di pecora stagionato
pizzicarvi le narici mentre volterete lo sguardo verso la campagna battuta dal
convoglio e cercherete di confondere il rumore delle mascelle del vostro compagno
di viaggio con il frastuono regolare dell’acciaio delle ruote che inghiotte i binari.
Si, si, è inutile che cerchiate di eludere. Sono proprio io.
71
Sono proprio colui che vi ha inzuppato lo scompartimento con i propri sudici
stracci: una valigia, quattro scatole di cartone legate con un grosso spago, degli
involucri formati da carta di giornale tenuta insieme con nastro adesivo per pacchi,
sacchetti di plastica, settimanali di casalinghe insoddisfatte e di attori separati e
risposati, qualche schifosissimo pargolo che sguscia qua e là a chiedere i vostri
spiccioli.
Ho capito che avete già in testa l’immagine, e anche piuttosto precisa, del tale
che vi sto descrivendo. Ma dovete portare pazienza affinché tutti i particolari
possano prendere il giusto posto nella vostra immaginazione, fino a quando vi pare
quasi di toccarlo il vostro uomo, che poi sarei io, proprio io.
Mi sentirete stappare il mio liquore, ormai in viaggio da seicento chilometri e
ridere a voce alta dopo averne bevuto una sorsata rumorosa proprio mentre il volto
vi stava crollando in un nuovo tentativo di appisolarvi contro il vetro del finestrino
di questo ammasso fracassone di ferraglia.
Eh si, perché sono proprio quel tale che sembra sonnecchiare dietro lo sportello
dell’ufficio postale, sulle sue biro mezze rotte e mezze mangiate, che, come dite
sempre, è lungo come la fame, in ogni cosa. Ma adesso lungo per voi dormire,
rilassarvi, riposarvi, distendervi…
Si, si, avete capito.
72
Sono proprio quel tale nel quale potrete imbattervi di sera, a due passi da casa
vostra, qualche centinaio di
metri
prima
di
varcare
la
vostra
soglia.
Vi
domanderete: è un mascalzone? Che mi farà? E il cuore accelererà il suo ticchettio
mettendovi in lieve agitazione perché, in fin dei conti, vi siete imbattuti, nella sera
scura, proprio in quell'individuo, il quale pare sfaccendato, seduto sulla panchina lì
appresso in quel mucchietto di verde e sembra che i suoi occhi luccichino, forse
ghignino, forse vi scrutino attendendo il momento buono... Eh, si, fatevela sotto
perché sono proprio io, quello che si trascina di sera in sera e poi anche di notte e
nelle sere estive cerca l’anguria (o la vende, anche), oppure i cartocci di couscous e
peperoni verdi e le patatine fritte nell’olio bruciato di una settimana e sputa i semi
per strada con gesto rapido e noncurante che non si sa mai a cosa stia pensando e
quale potrebbe essere la sua prossima mossa, oppure beve alcool in piedi, fuori da
quel bar con le sedie di alluminio e la plastica consumata e le tazzine sporche.
Sono io, sono io, sono quel tale.
Sono quell'uomo con il viso lungo, il naso grosso e pendulo, le guance secche e
scavate, la carnagione nera - olivastra, l'occhio cupo e un po' torvo. Sono quello che
avete visto dieci anni fa sulla strada di Pristina, quello che camminava e
camminava lungo il terrapieno ferroviario. Sono quello che è venuto a vedere i
giochi funambolici delle vostre televisioni, direttamente, sopprimendo il diaframma
del vostro schermo di vetro. Sono venuto a vedere se il mio titolo di studio vale
quanto il vostro, voi che avete studiato di latino e greco ed io di sanscrito e arabo,
73
di volgare evoluto alla corte di Federico secondo. Come una partita a poker vorrei
sapere se il vostro gioco è un bluff oppure se davvero avete le carte in regola. Sono la
vostra falsa coscienza e il vostro specchio riflesso in uno specchio. Sono il vostro
rimando continuo, il vostro ipertesto vivente, voi che gestite la grande rete e la new
economy, ecco, provate a gestire me, io, io qui ora, presso di voi!
Salve e salute a tutti! Sono io.
Io, certamente, quello con il tappetino. Ecco, ora lo stendo per bene. Dov'è la
Mecca? Di là? Grazie per l'informazione. E la vostra Mecca dov'è? Io sono quello che
sta fermo e voi quelli che si muovono, ma vi spingete così in fretta verso la vostra
Mecca che cambia - sorprendente! - posto a ogni vostro tentativo di congiungervi.
Ho visto un vostro film. Camminavate senza sosta su una strada polverosa e
all'inizio e alla fine continuavate a camminare senza una meta. Ma dove andate? Si,
sono io, quello che voi compatite, un po' esterrefatti, un po' animati di carità
cristiana o di pietas civile, un po' sopraffatti dall'incredulità, ma siete troppo colti e
ben educati per manifestare disapprovazione o, peggio, disgusto.
E se fossi io?
Se fossi proprio io?
Quello grande e grosso, tutto nero, con il doppiopetto e i pantaloni scuri gessati,
la camicia bianca sbottonata sul petto con le lunghe punte del colletto che
schizzano all'infuori, i sandali ai piedi scalzi, mezzo stravaccato nella Mercedes che
74
aspetta di sghimbescio sul marciapiede che scenda la notte per poter finalmente
vivere. Io, quello con gli occhiali d'oro e quel sorriso stampato sulle carnose labbra
nere che osserva i passanti privi di pensieri interessanti.
Sono proprio colui il quale piazza le pupille nere sulle gambe della pecorella
che vi portate al braccio - e che farebbe certamente bella figura nella stalla della
mia vaccheria - e non si limita alle intime estremità inferiori, ma il suo sguardo si
insinua tra i seni belli morbidi e curvati e il collo lungo e vi finisce dentro, alla
vostra femmina, penetra nei suoi interstizi, quasi a vedere fino le budella, a farle
una tac per poi soffermarsi sull'attaccatura delle cosce e lei fa finta di niente mentre
una goccia di sangue fresco le corre la schiena e il messaggio erotico si perde a metà
strada nell’aria tra lei... ed io, viscido, immondo, schifoso! Ah, ah! mi fate ridere e
appena mi passate davanti, con i vostri cuori che battono l'autostrada in corsa, vi
piazzo una bella scoreggia che fate un bel salto ma… composto. Ah, ah! ma sì, con
una tale scoreggia ho firmato la mia carta di identità: tenetevela pure!
- Ma chi è questo? Ma che cosa vuole?
- Signore, lo abbiamo preso durante la nostra missione, pensavamo…
- Pensavate un cazzo! Ma non vedete che razza di esemplare avete catturato?
- Ma signore sono tutti così…
75
- State freschi! Tutti così un corno di un accidente! Questo è un drop out, un
disoccupato, un meridionale, un immigrato, un pappa o chissà cos'altro, lo capite o
no? Non ascoltate ciò che dice? Non sentite? Non l'avete annusato?
- Ma guardi le ripeto che sono davvero così tutti quanti… noi ne abbiamo preso
uno…
- Ne avete preso uno. Ma io ho a che fare con dei deficienti! Sono attorniato da
deficienti. Ma possibile che non riusciate a mettere in moto il vostro cervelletto del
cazzo? Non capite che è uno scioperato? Uno scio - per - ra - to? Un lazzarone? Un
tanghero? Un emarginato? E allora non avreste potuto acciuffarne uno normale?
Riuscite a capire? Nor - ma - le? Ci voleva tanto?
- Comandante, per favore si calmi. Noi abbiamo ponderato ogni cosa…
- E il risultato è zero assoluto!
- Per favore ci ascolti un momento! Noi abbiamo ponderato ogni cosa, abbiamo
anche visitato il territorio di questi altri normali, come dice lei, ma…
- Ma cosa? Forza, parlate!
- E' quello che stiamo cercando di fare… se permette un momento le spieghiamo
per bene.
- Sono qui che sto aspettando una spiegazione di questo vostro scherzo idiota!
76
- Guardi che siamo… ci
siamo andati da loro, non è uno scherzo… Siamo
andati.
- Ebbene?
- Ebbene, li abbiamo visti. Effettivamente sono diversi, precisini, pulitini,
asettici, sembravano usciti da una lavastoviglie e poi…
- E poi cosa? Devo ascoltare ancora per molto le vostre stupidaggini?
- E poi… si bucano tutti!
- Come sarebbe… si bucano?
- Si fanno di eroina e cocaina e di altra roba, che non conosciamo neppure.
Sono tutti fuori di testa, signor comandante!
- Come sarebbe?
- Sarebbe che è così. Lo fanno per disperazione, sono dei disperati, degli illusi,
degli inetti e quindi si sparano in vena ogni cosa…
- Cosa diavolo mi vuoi far credere? Mica ci si droga per questo!
- Certo che no, signore, per noi è un gioco, per loro una specie di regola di
sopravvivenza.
- E non potevate guardare in altre zone? No? Questo mica vi è passato per
l'anticamera del cervello!
- No, cioè, si, abbiamo visto…
77
- E allora? Forza! Devo aspettare molto? Ce l'avete la lingua in quella dannata
bocca?
- Si, per favore, un momento, non ci lascia neppure il tempo… certo che ci
siamo stati. Ma è ancora peggio, un disastro… davvero…. ci deve credere!
- Un disastro? E perché? Come sarebbe?
- Perché sono le zone degli immigrati di ogni regione. Quelli che dal Messico
entrano in California, quelli che dalla Nigeria entrano in Italia, quelli che dalla
Turchia entrano in Germania, quelli che dalla Francia entrano a Manhattan…
- Ok, ok d’accordo, basta così, ho capito, qui nessuno sta a casa sua, merda! E il
risultato?
- Il risultato è una mescolanza di corpi, signore.
- Niente di meno! Che schifo! Orripiliante!
- I risultati non li può neppure immaginare. Miscugli di colori, di aromi
personali, di tratti somatici e i bambini che si mischiano nei giochi in quel modo
orrendo! E poi c'è la cucina, con quegli intrugli, contaminazioni continue, oltre a ciò
che si sparano in vena dovrebbe vedere cosa si calano nello stomaco!
- Anche questi si drogano per disperazione?
78
- Molto di più, loro sono consapevoli, è molto peggio, molto peggio… o forse
meglio? Comunque anche loro, si bucano per disperazione, anche se è un po'
diversa…
- Basta, basta, ho capito, qui viene da vomitare anche a me. Fatela finita e
andiamocene subito. Ne ho abbastanza!
- E di questo che ne facciamo?
- Speditelo fuori!
- Ma grida come un pollo spennato…
- Allora scuoiatelo per davvero, così avrà un motivo per urlare!
- Va bene.
- Vorrei sapere chi ci ha fatto venire su questo pianeta del cazzo!
- E' stata vostra moglie, signore, non ricorda?
- Maledettissima vipera, che un buco nero se la inghiotta! Deve dimostrare la
sua superiorità con queste forme di vita ignobili! Ah, ma mai più, basta, basta
davvero. Mai più! D'ora in poi decido io. E non se ne parli più! Tutto ha un limite,
per Giuda! Ehi! l'avete scaraventato fuori o no quello zoticone scorticato vivo?
_ Sissignore, signor comandante!
- Benissimo. Non resto qui un minuto di più. Per ora la missione è annullata:
cercheremo altrove quello che ci serve. E ora, SPARITE!
79
I luoghi della vita
(NASA. Dintorni di Austin. Progetto Saturno. Ufficio di Arthur Jhon
Cox).
Quale luogo è realmente quello della vita? Quale ambiente può mai essere
quello nel quale si possono dispiegare le energie vitali della sopravvivenza, verso
l'appagamento e la realizzazione? Mi chiedo se davvero esista questo luogo. Se
davvero sia possibile trovare un posto che penetri nei nostri pori della pelle e tocchi
i reticoli infiniti del nostro cervello, così come i fili sottili del nostro cuore. Così da
restare in pace, sospesi, quasi, per bere una quiete semplice e chiara, un’armonia
deliziosa che profuma di frutta, di salsedine e iodio, per sentire la musica delle onde
che riversano la schiuma nelle corolle buie della sera.
Ho visto amici sparire nel nulla, suicidati, arrestati, gettati al pubblico
discredito, consumati dalle crisi di coscienza o dalla violenza inaudita dei loro
comportamenti. Ma ho visto i luoghi, ciascuno di essi, restare sempre quello, senza
mutare. I luoghi sono fermi ed eterni mentre gli individui, attraverso il loro
movimento, esprimono la propria immaterialità.
Cosa ho visto in questi giorni! Una girandola inaudita di violenza e di falsità.
Due grandi chirurghi prestarsi a quest'opera infame di sezionare quel corpo
sconosciuto senza mostrare alcun dolore, senza alcuna domanda, senza che un
80
muscolo si muovesse sul loro volto inespressivo. E poi Petri, togliersi la vita così e
non lo aveva neppure toccato quel corpo, ma era responsabile del laboratorio, si
“sentiva” responsabile. Ed io cosa dovrei fare? Ora mi chiedono di sperimentare una
tecnica di clonazione, su quello stesso corpo, per recuperarlo alla vita nella forma di
un alter ego, di una imago, di un avatar.
Se l'esperimento riuscisse potremmo tentare di avere
un
rapporto
con
quell'essere, stabilire un contatto intelligente. Ma cosa significa la clonazione in
questo caso? Significa crescita lenta di un organismo? Se è così occorrerà attendere
anni prima che l'alieno sia completamente cresciuto e sviluppato. E poi, una volta
che sarà cresciuto come farà a parlare la sua stessa lingua, a sapere da dove viene,
se è vissuto fuori del suo ambiente? A meno che il loro DNA contenga tutte le
informazioni sociali, della loro storia e gli strumenti della loro comunicazione.
Oppure potrebbero possedere forme di comunicazione che si preservano nel tempo e
anche a lunghe distanze. Ma queste sono solo fantasie.
Ho messo un disco che non sentivo più da quando avevo quindici anni.
Suona una musica cilena che parla di ninne nanna e di bambini le cui madri
sono sgozzate dall'invasore bianco che razziava i villaggi Indios: "Duerme, duerme
negrito, que tu mamma esta' nel campo", mentre la mamma è falciata dal macete
dell'uomo bianco che quel campo lo desidera più di ogni altra cosa. Mi ricordo le
conferenze con Malcom X, quando eravamo tutti convinti che ci saremmo presi il
potere che ci spettava. Mi ricordo letture giovanili. Per esempio "Avere o Essere" di
81
Fromm. Non è l'avere che fa l'essere, ma non ci può essere senza avere. Certamente,
la mia cultura predilige l'essere, il suo lato oscuro e indecifrabile, quella nota
ripetitiva che muove ogni tanto le cose secondo qualche direzione misteriosa.
Sentendo questa musica e ascoltando parole che parlano di Indios che lavorano nei
campi, di bambini che dormono e non immaginano il macello che si prepara,
ritorno alla mia gioventù e ai suoi ideali. Certamente, gli anni hanno sepolto le
aspirazioni profonde alla rivolta e al sovvertimento sociale, ma non le hanno
soppresse. Ora le riscopro intatte, preservate in qualche incontaminato angolo della
mia incoscienza, insieme alle pulsioni più genuine e sane. E forse è bene che mi
aggrappi a loro come a una fune che mi possa trascinare fuori da questo luogo.
Però dicevamo che non esiste davvero un luogo migliore. O esiste? In ogni caso
non posso pensare ad altri luoghi senza pensare a fughe immaginarie prive di
sbocchi reali. Mentre il mondo intero discute se clonare un essere umano è
legittimo, a me giunge l'ordine di clonare un extraterrestre, di proseguire con le
torture. Niente male. In effetti mica è umano un alieno e allora via, all'opera. Ma
davvero, mi chiedo, che senso ha questa operazione?
- Allora, a che punto siamo?
- Punto di che, scusi?
- I preparativi per la clonazione.
- Ah, vedo che siete decisi a procedere.
82
- Perché, lei forse avrebbe dei dubbi?
- Francamente si.
- Sentiamo.
- Non ho intenzione di procedere ad alcuna clonazione.
- Come sarebbe?
- Sarebbe, semplicemente, che non ho intenzione di partecipare a questa
operazione e neppure di programmarne i piani tecnici.
- Lei sta scherzando, suppongo… e per quale motivo?
- Non sto affatto scherzando e il motivo è che, pur non avendo alcun tipo di
obiezione religiosa ed essendo in linea di principio favorevole alla clonazione,
tuttavia esprimo il mio parere contrario a una simile procedura, dopo aver trattato
quell'essere vivente come un puro oggetto di studio, senza alcun rispetto. La sua
clonazione sarebbe una nuova violazione nei suoi confronti, per questo sono
contrario. Anzi, penso che si debba seriamente riflettere sulla leggerezza con la quale
abbiamo operato.
- I suoi argomenti sono puerili. Lei conosce i motivi di fondo delle nostre scelte e
non abbiamo intenzione di fermarci proprio ora. Possiamo procedere a una
clonazione che, ne siamo certi, offrirà risultati interessanti. D'altra parte lei è
soggetto agli ordini e non può rifiutare di eseguirli.
83
- Si sbaglia. Rifiutare un ordine illegale è un mio diritto imprescrittibile.
- Via, ragioni. Perché deve ficcarsi nei pasticci? Ha davanti a sé una carriera che
forse nessun altro può neppure lontanamente sperare di percorrere. Responsabile del
reparto ricerche biologiche della NASA e ora potrebbe anche assumere l’incarico di
quel suo collega che si è suicidato io la passerei alla direzione generale del progetto,
come mio vicedirettore personale…
- Lei è un farabutto! Mi offre una carriera edificata sulla tragedia di un uomo
che avete spinto al suicidio, dopo averlo spremuto per le vostre operazioni
indecenti!
- Stia bene attento a come si rivolge a me! In ogni caso lei sa benissimo che il
suo rifiuto potrebbe costarle la corte marziale…
- E la cronaca dei giornali! Così vediamo cosa succede.
- Lei sa che il Dipartimento è al corrente delle nostre procedure, vero?
-Che cosa vuole dire?
- Nulla di più di quel che ho detto: lei è perfettamente al corrente delle
procedure interne e delle relazioni con il dipartimento di stato e il Pentagono.
Voglio solo ricordarle ciò di cui lei è già al corrente.
- Grazie, lo ricordavo da me. Le sue minacce non modificano le mie opinioni e
neppure la condotta che ho deciso di sostenere. Non parteciperò in alcun modo a
84
questo progetto. Consideri questa la mia risposta definitiva. E ora la prego di
lasciare il mio ufficio.
Il direttore della NASA lascia l’ufficio di Cox a passi rapidi.
***
- Un incidente d'auto nel week end.
- Bene.
- Resta un problema.
- I documenti?
- Esatto.
- Non siamo certi che ne abbia.
- Potrebbe aver consegnato una memoria.
- Abbiamo svolto delle indagini. Non abbiamo trovato nulla.
- C'è un suo amico, avvocato a New York…
- E quindi?
- Ci sono stati contatti telefonici recentemente.
- Bene.
- E' un indizio sufficiente.
- Quest'uomo ha rapporti anche in Svizzera, un notaio e una banca a Zurigo.
85
- Bisogna risolvere il problema alla radice.
- Potrebbe essere depositata in due o tre copie.
- Occorre concludere l'operazione nello stesso momento.
- Le banche sono un problema.
- E' una questione di sicurezza nazionale.
- Il loro ministro delle finanze è un nostro uomo.
- Meno persone sono al corrente dell'operazione e meglio è.
- Ci facciamo consegnare i documenti senza accennare a nulla.
- Rimangono l’avvocato e il notaio.
- Non possiamo perderlo.
- In ogni caso si rischia di compromettere l'operazione.
- Resta la carta dei parenti e amici.
- Hai un piano?
- E nessun altro.
- Operiamo direttamente presso chi potrebbe custodire i documenti.
- Dunque a New York e Zurigo?
- Esatto.
- Focalizziamoci sullo scienziato.
86
- Lui solo è sufficiente?
- No, moglie e fratello sono persone attente.
- E quindi?
- Saranno insieme per il week end.
- Non possiamo procedere come al solito.
- No. Ma è previsto brutto tempo.
- Va bene. La squadra è pronta?
- E' quella di Bogotà.
- OK.
- Allora fra tre giorni.
- Tre giorni.
- Ti chiamo domani per i dettagli.
- No, ci vediamo all'ufficio di Boston.
- OK.
87
Equivoci
(Dintorni
di
Austin.
Palazzo
postmoderno,
studio
postmoderno,
arredamento postmoderno).
Sono quarant'anni che faccio lo psicoterapeuta.
Oggi ne compio settanta e questa è stata l'ultima seduta dedicata alla
professione che ho amato per tutta la vita.
Non ho mai scritto e desidero raccogliere qualche memoria. Più che altro per
me, per rievocare i ricordi di questo mio lavoro, un lavoro che non ho mai davvero
considerato tale, che mi è sembrato così vario e ricco da non distinguersi con la mia
stessa vita.
Ho cominciato a
fare
lo
psicoterapeuta
il
giorno
del
mio
trentesimo
compleanno, dopo una laurea in psicologia e un master all’Istituto di Formazione.
Conservo ancora oggi il vivo ricordo di un'emozione speciale. A cominciare dal
vestito: non sapevo cosa mettermi. A me piacevano le scarpe da tennis e i calzoni
larghi con una magliaccia buttata sopra. Ma uno psicoterapeuta si veste a quel
modo? Alla Scuola di Trattamenti Mentali erano tutti impeccabili: gli uomini con
giacca e cravatta e comunque con le camice ben dentro i calzoni e le scarpe lucide.
Sulle scarpe non ci sono problemi, in fin dei conti è una questione di pulizia.
88
Ma
mi hanno sempre dato fastidio le convenzioni: è un sintomo mio o della società?
Però è giusto ciò che mi hanno insegnato: giacca e cravatta aiutano a stabilire le
distanze, a fare in modo che l’ammalato non consideri il suo terapeuta uno
sciattone, un miserevole, dando così sfogo a pericolose proiezioni.
Comunque, il primo giorno è stato un vero pasticcio, lo ricordo come fosse ora.
Ho messo le scarpe da tennis, ma la camicia stava davvero male e non ho osato
buttarmi addosso quella magliaccia nera e lisa che a me piaceva tanto e mi
ricordava le estati al mare.
Comunque non sapevo assolutamente chi sarebbe venuto.
Il mio formatore mi aveva fissato un appuntamento con una persona che,
probabilmente, si sarebbe aggrappato a me perché lo salvassi. Ma i dubbi si
affastellavano nella mia mente: avrei saputo soddisfare quella richiesta? Come avrei
potuto mantenere la giusta distanza e osservare tutte le regole del setting che,
certamente, avevo imparato per bene? Quel distacco iniziale è davvero una regola
così inviolabile? Davvero si gioca tutto nel primo incontro e, addirittura, come
spiegava il mio didatta fino alla nausea, tutta l’analisi è in realtà già riassunta in
quel primo incontro a tal punto che gli altri aggiungeranno solo trascurabili
dettagli?
Ero immerso in questi pensieri quando squillò il citofono. Feci un balzo e d'un
tratto mi sentii ridicolo con quelle scarpe da tennis. Ma quanto era inopportuno
89
questo leggero disagio, se invece penso che poi ho imparato a svolgere le sedute
come meglio credevo: in ciabatte, senza calze, con i sandali infradito (sudo molto ai
piedi e quindi preferisco lasciarli all'aria, anche se odorano un po’), con variopinti
gilé di raso o di cuoio borchiati, oppure in camicia bianca adornata da fantasiosi
papillon. In questo ho innovato davvero lo stile dei miei maestri e senza alcuna
conseguenza per il setting. Del resto siamo o non siamo in America, il paese più
libero e privo di convenzioni del mondo? E dire che allora, per quell'occasione tutta
speciale, avevo anche acquistato un completo grigio in fresco lana, ma non avevo
osato indossarlo!
In realtà c'era una sola cosa che mi spaventava davvero: ritenevo di non
saperne abbastanza di psicoterapia.
Eppure avevo studiato bene tutto quanto, comprese le dispense del mio
didattico e, soprattutto, avevo discusso in lungo e in largo con lui tutti i dettagli
delle sedute. Avevo assimilato la procedura per bene, in tutte le sue varianti. Sarei
certamente stato in grado di rispettarla e di metterla in pratica. Come nel gioco
degli scacchi nel quale si apprendono numerose aperture e chiusure di partita, io
sapevo perfettamente come avviare o chiudere un’analisi. Il problema era tutto
quello che ci sarebbe stato in mezzo.
Il fatto è che mi piacevano le canzoni.
90
Ogni tanto ne saltava fuori una che mi ronzava in testa. Si trattava certamente
di qualche pensiero sostenuto da forze libidiche ben travestite e di nascosto spostate
verso aulici terreni. Questo lo sapevo bene. Me lo avevano spiegato tante volte: le
emozioni e i sentimenti non sono altro che moti pulsionali repressi e camuffati,
alcuni sublimati e altri nevrotizzati. In se stesso l’uomo è incapace di amare, è solo
un animale tecnologicamente evoluto. Per questo lo psicoterapeuta deve imparare
completamente a dominare le emozioni fino a eliminarle dal suo orizzonte, per
uscire definitivamente dal suo stato bruto e poter osservare meglio, da una
posizione esterna, i suoi ammalati afflitti da questo penoso travaglio di emozioni e
sentimenti. Però questi pensieri a me piacevano e devo confessare che in dieci anni
di studi e formazione li avevo difesi con grande cura ritenendo, in fin dei conti, che
non avrebbero nociuto alla mia professione. D'altra parte questi pensieri non mi
spingevano a rifare il letto venti volte prima di dormire e neppure a provare mal di
schiena inesistenti o, peggio, ad aver paura di restare chiuso nell'ascensore. Dunque
che male avrebbero potuto farmi?
Ma quel giorno… quel giorno, riaffioravano e nel momento meno opportuno.
Intanto il paziente saliva con l'ascensore, lo sentivo. Insomma, ero preoccupato
per il fatto che alle volte, mentre gli amici parlavano, io mi lasciavo cullare da
pensieri, motivetti, brani, sfumature, colori tenui della vita che si riflettevano nella
mia mente e nella mia anima. In quell’anima che non ero riuscito completamente a
sopprimere, purtroppo. Ora, il problema era questo: sarei stato in grado di applicare
91
quell'attenzione
fluttuante
che
ogni
situazione
analitica
avrebbe
richiesto?
Improvvisamente, sulla soglia della mia prima seduta da psicoterapeuta, scoprivo
che il mio interesse era soprattutto rivolto al versante "fluttuante" più che a quello
dell'attenzione. Sarei riuscito ad ascoltare davvero? In quel preciso istante, lo
ricordo benissimo, mi sentivo ancora più ridicolo, quasi nutrivo il dubbio di aver
sbagliato mestiere.
E poi c'erano i soldi.
Come avrei fatto a farmi pagare? Fino a quel momento non ero riuscito a
ottenere remunerazioni per nessuno, dico nessuno, dei lavori che avevo intrapreso.
Non che mi interessasse, a quel tempo ero un idealista, quelli che avevo fatto erano
lavori interessanti e questo mi bastava. Però spesso dovevo trovare degli espedienti
per tirare a campare e anche per retribuire il mio didattico. Per fortuna a un certo
punto mi fece credito. Segnava su un quaderno le sedute che non avrei potuto
saldare “Tanto poi, quando sarai psicoterapeuta, ricaverai abbastanza da chiudere i
tuoi debiti con me.” E ora? Ora che cominciavo a lavorare? Sarei riuscito a farmi
pagare, almeno tanto da estinguere i miei debiti, speravo. E per di più a lavorare da
solo, in quella stanza! Facendo lo psicoterapeuta non sarei rimasto solo tutta la vita,
io che da bambino piangevo come un vitello quando mia madre usciva per fare la
spesa? Io che mi disperavo quando la scuola finiva e non avrei rivisto che dopo due
mesi i miei compagni? Ricordo che, a momenti, mi sarei messo a piangere anche
92
quando il mio didattico, con tono molto serio, adatto alla solenne circostanza, ha
detto:
- Bene, adesso abbiamo concluso la mia istruzione. Non ci vedremo più. Auguri
per la sua nuova professione!
In effetti a quel tempo mi ero chiesto se una formazione psicoterapeutica
potesse essere conclusa in modo definitivo. Ora, a quarant'anni da quel momento,
so che quello che si è appreso si è appreso e che i meccanismi sono sempre quelli, in
definitiva. Il nostro sapere varia molto in apparenza ma poi, gratta gratta, affiorano
sempre gli stessi problemi, uguali e precisi e quindi la formazione si conclude
davvero e forse io ne ho fatta anche troppa. Allora, però, vivevo il termine della mia
formazione come un vero dramma. Cosa sarebbe iniziato dopo questa fine? Vagavo
nel buio della vita senza alcuna certezza, solo e abbandonato da tutti coloro che mi
avevano accompagnato per questa strada.
Avevo affittato uno studio miserevole al 36° piano di un vecchio grattacielo
liberty. Era il prezzo migliore che avessi trovato e poi, soprattutto, non volevano
acconti. Io non ero neppure certo di poter pagare un hamburger, figuriamoci dare
un anticipo sull’affitto! Ma sentivo che l'ascensore saliva e mi aspettavo da un
momento all'altro qualcuno davanti a me. Qualcuno chi? Il mio didattico non mi
aveva detto nulla perché, diceva, una bella sorpresa aiuta a creare la distanza
iniziale che è la cosa più difficile da stabilire. Ma quale distanza, pensavo io, che
sono qui in un buco di tre metri per due, che a momenti stabilisco un nuovo
93
setting, in piedi, alle spalle del paziente pronto ad aggredirlo… opps, che lapsus ho
fatto: “aggredirlo.” Vabbé non è un lapsus perché l'ho solo pensato, mica l'ho detto
e manco l’ho fatto e quindi non vale, insomma. Certo che… viene su qualcuno o
qualcuna di cui non so nulla.
E poi c'è anche l'omosessualità di mezzo.
Ricordo distintamente che pensavo: se si presenta un omosessuale che faccio?
Ho sempre temuto l'omosessualità, non ho mai capito come ci si deve comportare.
Qualche volta con il mio didattico facevamo delle prove, lui si fingeva un paziente
omosessuale e si avvicinava e mi toccava così… anche nelle parti più delicate, con
una gestualità molto studiata, precisa, per rendere più reale la scena… una vera
simulazione. Comunque grazie a lui alla fine avevo imparato come fare. Però avevo
ugualmente timore, non so di che, quel languore che mi attanagliava proprio in
quel momento. Pensavo: e se fosse salita una ragazza isterica che avrebbe cercato di
sedurmi? Una di quelle che sembrano perfettamente normali e poi ti mettono in
una situazione difficilissima? E se, per di più, fosse stata anche molto graziosa,
seducente, addirittura provocante?
Anche qui avevo affrontato la questione con il mio istruttore.
Qualche volta, per rendere più veritiera la scena, si infilava quelle calze a rete
con la giarrettiera, stipava quel cotone sotto il reggiseno di pizzo nero, metteva
anche un rossetto viola, poi si tirava i capelli, che portava lunghi, ma sempre ben
94
pettinati, quindi imitava le seduttrici isteriche così bene che ogni volta ci cascavo
fino in fondo e poi, per di più, dovevo anche subire i suoi rimbrotti, le sue sgridate
per non essere riuscito a mantenere il setting (a quel tempo facevo anche dei lapsus,
qualche volta confondevo la “s” con la “p”). Accidenti, questo sarebbe stato un
dramma: come resistere al fascino di quelle seduzioni se i miei pazienti le avessero
proposte? Certamente questo sarebbe stato un mio punto debole. Non potevo ancora
capire che in realtà sarebbe diventato un punto di forza del mio stile terapeutico,
un modo nuovo per aiutare gli ammalati. Ma allora pensavo: avrei potuto
intraprendere la professione di psicoterapeuta con questa debolezza? Queste erano le
domande che mi ponevo, mentre con il tempo ho capito che si trattava solo dei
naturali timori di un terapeuta alle prime armi, timori che poi ho ritrovato nei
giovani che a mia volta ho istruito per bene.
D'altra parte avevo anche imparato a interrompere un'analisi scomoda.
Il didattico mi aveva spiegato molti trucchi per chiudere una terapia facendo
in modo che la responsabilità ricadesse sul paziente stesso (responsabilità che alla
fine era sua dato che suoi erano i sintomi). Questo trucco, è bene dirlo, serviva solo
per non creare inutili preoccupazioni nel giro dei malati. Durante la formazione ho
imparato che è molto importante selezionare i pazienti fin dal primo momento
attraverso il metodo dell'interruzione, così a poco a poco si crea una clientela di
persone che hanno più o meno gli stessi sintomi, le stesse difficoltà, addirittura la
stessa storia e quindi la terapia è più semplice e il terapeuta si può, in un certo
95
senso, specializzare e, diciamo la verità, arriva a faticare di meno. Con il tempo, ad
esempio, ho imparato a creare un'utile banca dati che spulciavo spesso per trovare
soluzioni e interpretazioni di casi che, alla fine, si rivelavano molto simili tra loro,
se non identici. In cosa mi sarei specializzato? In quel momento sapevo solo di cosa
non avrei desiderato occuparmi. In seguito l'esperienza ha mostrato che mi sarei
specializzato
in
sintomatologie
allucinatorie
con
sdoppiamento
o
anche
triplicamento della personalità (non di più perché sarebbe stato troppo complesso).
In questi casi eccellevo. Soprattutto riuscivo benissimo a interpretare i sintomi e a
trovare le soluzioni più idonee per ciascun malato. L'ultimo caso di questo genere si
è chiuso, vedete la coincidenza, proprio oggi, giorno del mio compleanno.
Il paziente, quel Cox, o come si chiamava, diceva di essere un ricercatore della
NASA. Erano anni che avevamo a che fare con una profonda depressione, stimolata
da canzoni e testi che era solito leggere (vedete che c'era già una certa affinità con le
mie antiche vocazioni, perché con i pazienti è davvero così: quasi magicamente ci si
trova con interessi e inclinazioni simili). E poi cosa scopro? A un certo punto si
mette a parlare di marziani e di suicidi, insomma una classica combinazione
schizoide-depressiva. Cominciava a manifestarsi anche una doppia personalità. O
era forse paranoide? Oppure il prodotto di una identificazione proiettiva?
E poi
questi dubbi si sono dissolti oggi stesso nel corso di una seduta memorabile, che
chiarisce ogni cosa e che, guarda che coincidenza, era anche l'ultima incombenza
della mia vita. Oggi infatti il paziente arriva trafelato, agitato, parla di clonazioni di
96
extraterrestri e del suo rifiuto di praticare questa clonazione, di persecuzioni e di
agenti segreti. Eccellente. Che enorme quantità di materiale! Ho interpretato questo
transfert lì per lì e ho risolto così, in un baleno, cinque anni di difficoltose sedute
con quest'uomo.
In pratica la spiegazione è questa.
Egli desiderava clonare il suo terapeuta per poter distinguere l’imago paterna da
quella
materna
prima
riunite
in
un'unica
figura
professionale
(io
stesso,
ovviamente). Ma se questa distinzione si fosse davvero realizzata lo avrebbe per
sempre legato alla sua intrinseca doppiezza di genere che, grazie alla clonazione,
avrebbe potuto trovare anche un riscontro nei fatti (dove i sessi sono effettivamente
separati tra loro), rafforzando così il suo meccanismo proiettivo e maniacale. D'altro
canto qualcosa di buono in quest'uomo c'era, sulla quale far leva e precisamente
quella parte di sè che si opponeva alla clonazione del suo analista, concepito,
guardate un po', come un extraterrestre, cioè come un altro da sé e da tutti noi, per
meglio
identificarlo.
Il
rifiuto
della
clonazione
era
un
esplicito
invito
all'interpretazione, all'analisi del rapporto terapeutico, cosa che, naturalmente, ho
immediatamente fatto, anche se ero molto stanco, perché avevo avuto a
pranzo
alcuni allievi in formazione e avevamo brindato insieme non immaginando certo
che quest’uomo, proprio oggi, si presentasse con tutto il fagotto della sua sofferenza.
Ecco, alla fine. Cosa gli ho svelato:
97
- Lei crede di aver terminato la sua cura perché riesce a resistere alla tentazione
della clonazione, anche a costo di essere tormentato dalla CIA. In realtà questa
storia della CIA non è altro che la reazione del suo super-io impersonata dal nonno
e dallo zio (i suoi persecutori nelle vesti di agenti del governo), che da piccolo sono
subentrati alla tragica scomparsa di suo padre, scomparsa che aveva anche messo
fine ai tentativi di seduzione tra lui e sua nipotina, alla quale lei era tanto
affezionato. Rifiutando la clonazione lei indica che il padre non può più essere
riprodotto e quindi non può neppure riprodurre. Così esce da un meccanismo
incestuoso e accetta la realtà per quella che è. A questo punto accetta anche i suoi
parenti che, sotto forma di agenti della CIA, le hanno reso la vita difficile fin da
piccolo, con tutte quelle scudisciate quando non andava bene a scuola, ma adesso
che è adulto non è più disposto ad accettare i loro rimproveri e, soprattutto, non
vuole più che le facciano rifare le relazioni in bella scrittura per le sue ricerche. Alla
fine tutto ciò indica solo il suo desiderio di terminare la cura con me. Ma
terminarla con la giusta soluzione. Impedendo la clonazione impedisce anche la
riproduzione di questo meraviglioso rapporto a due che è la psicoterapia. Inoltre
indica in modo inequivocabile che non intende più vivere nell'attesa di un padre ed
è pronto a proseguire senza il suo genitore accettandone consapevolmente e
pienamente la scomparsa, senza per questo voler sposare il suo analista, cosa del
resto alquanto difficile, ma senza neppure indirizzarsi su sua moglie (che del resto
non ho mai avuto). Come vede è un passo avanti enorme, che la porterà a mangiare
98
anche con più gusto. E direi anche questo: se lei può vivere senza il padre è naturale
che possa vivere anche senza di me e gli altri membri della mia famiglia! Dunque
siamo davvero arrivati alla fine. Lei non ha bisogno né di padri, né di psicologi e in
quanto alla madre, per sua fortuna è ancora viva e vedrà che non la picchierà più
dal momento che lei si presenterà in forma nuova, del tutto inedita. Lei non ha
bisogno di nessuno perché è perfettamente guarito e vedrà che non soffrirà più di
alcuna depressione e stato confusionale come questo. Trascorra tranquillamente il
suo week end al quale tiene tanto, dunque e addio!
A questo punto la sua reazione è stata delle più classiche. Direi da manuale.
Dapprima incredulità tipica di chi si trova "nudo", di chi ha svuotato
l'inconscio che da ora in poi sarà solo una bella scatola vuota. Poi tentativo di
arrabbiatura per non essere preso sul serio, tipico anche questo, residuo di resistenza
dagli ultimi, ben nascosti, meandri dell’Io. Infine, di fronte al mio sorriso tranquillo
e sereno e alla placida sicurezza che mostravo come professionista della mente,
manifesta euforia completa, dovuta al pieno successo che stava cogliendo egli stesso.
Quindi non ha potuto far altro che accettare completamente e senza riserve la
verità dei fatti, mi ha salutato teneramente, mi ha stretto la mano con calore
ringraziandomi per tutto quello che avevo fatto per lui, ha saldato l'onorario e si è
congedato per sempre.
Ed eccomi, dunque, alla fine una lunga e interessante carriera, disponendo ora
del tempo per scrivere le memorie di un terapeuta che, come potete vedere già da
99
queste righe, promettono un’interessante serie di spunti di riflessione. Come sarebbe
contento il mio povero istruttore!
Resta solo un dubbio che, purtroppo, è destinato a non aver mai una risposta.
Stando
le
cose
così
come
sono
emerse
in
quest'ultima
seduta,
posso
verosimilmente supporre che anche molti racconti sulla vita del mio paziente, sul
suo lavoro alla NASA (!?), erano in realtà semplici invenzioni, elaborate fantasie,
come quella, di natura paranoico-introiettiva, dell'extraterrestre, fantasia che alla
fine lo ha tradito proprio per la sua enormità, permettendomi così di sgarbugliare
tutta la matassa. E’ proprio vero, come diceva il mio insegnante: l’inconscio fa i
coperchi ma non le pentole.
E poi è davvero curioso: chissà in realtà chi era e cosa faceva questo mio
paziente!
100
La casa in campagna
(Terra,
USA,
un
bel
posto.
Davvero
un
bel
posto.
Villetta
di
campagna di Arthur Jhon Cox e dintorni).
Scogliere, flutti, vette imbiancate dalla neve immobile, ghiacciai perenni: in
mezzo, la mia casa. Resto un momento incantato, prima di entrare. Come sempre
questo paesaggio mi rapisce. Contiene tutti gli elementi della natura. Davanti agli
occhi si apre uno scenario senza fine. Giro la testa più volte, in cerchio, per
contenere tutto, poi socchiudo gli occhi e fisso punti a caso: il mare, le vette, la
neve, i boschi. Nelle narici frizza l’aria fresca delle montagne, mescolata al sapore
salmastro della marina. Abbasso la maniglia. Dove sono le chiavi? Sono qui, ecco,
sento il freddo del metallo sulle dite e il morbido cuoio di cervo nel palmo.
Spalanco la porta, che si solleva, come sospinta da un cuscino d’aria. Mi investono
effluvi di chiuso e di resina. Faccio qualche passo, percepisco l’odore della carta e
quello, che sa di muffa, delle copertine dei libri, mi sembra di respirarne il colore
ingiallito. E’ buio, non vedo nulla, ma ho nozione di tutto, sento al tatto, all’olfatto,
percepisco le onde magnetiche della vita, imprigionata dall’ultima visita, diverso
tempo fa. La finestra è umida. E’ anche un po’ sporca, ci passo le dita. Accarezzo
anche la tenda spessa di velluto blu. La tiro da parte, entra la luce potente del sole.
Riaccosto il tendone. Sento i piedi, su quel tappeto lavorato a mano, un caro e
101
antico ricordo del bisnonno. - Tieni, prendi il tappeto – aveva detto - conserva il
gusto dell’Armenia, l’aveva tessuto mio fratello, quando io partii per l’America. Mi
aveva chiamato in disparte: “Prendilo – mi disse - quando vorrai pensare a noi ti ci
stenderai sopra con gli occhi chiusi”. Quanti occhi ho serrato, mio caro, per rivedere
il mio Paese, nel quale tu non sei mai stato. Ora prendilo tu il tappeto, se ti ci
sdraierai e chiuderai gli occhi, raggiungerai l’Armenia, anche tu.
Mi chino sul tappeto, piano piano, le rughe della mano accolgono la lana
sfilacciata. Mi sdraio e guardo in alto, poi chiudo gli occhi. Un mare di nero mi
avvolge e piccole luci brillano tremule. Penso. Vedo. Non vedo l’Armenia però, vedo
la lunga barba del bisnonno sotto il naso affilato, le guance scavate e le orecchie
diritte, appuntite verso l’alto. Ma dove sei? Come vorrei avere qui la tua mano
secca, con le sue ossee dita aguzze, che entrava nella mia, piccola e fragile di
bambino e mi davi tanta sicurezza. Ricordo che guardare nei tuoi occhi era come
entrare in una stanza senza confini, un ambiente profondo, lontanissimo, come
Ulisse che varcava le colonne d'Ercole. “Quanto hai vissuto!” pensavo ogni volta che
ti guardavo negli occhi grigi. Quando eri molto, molto vecchio, stavi sempre sulla
sedia a dondolo con il cuscino di cotone duro e un libro in mano che leggevi con
calma. A ogni riga ti fermavi a pensare. Chissà che libro era? Io arrivavo di corsa
dalla scuola, ero passato dal campus, leggevo Marcuse, una volta l’ho anche visto, il
filosofo. Correvo da te per provocarti. Ti parlavo della rivoluzione, dell’anarchia,
della liberazione totale dalla società opulenta, mettevo su Leo Ferré, Jacques Brél e
102
Woodie Ghutrie per coprire le tue cantilene che correvano nell’aria a inseguire due o
tre note soltanto, sopravissute dalle fronde armene fino a lì. Litigavamo, mi
sembravi sorpreso, ma forse venivi solo da lontano, semplicemente, replicavi
cercando di modulare il tono. Ma non c’era terreno, fra noi. Credevo che tu fossi
matto, fuori dal mondo. Pensavo che ti fossi perduto in Armenia, tra i monti e
quattro capre infreddolite e spelacchiate, mentre io ero in America, con i piedi ben
saldi, incollati sul suolo del più grande e progredito Paese del mondo. Invece cercavi
di insegnarmi qualcosa, cose semplici, non principi enunciati, bensì sottofondo dei
tuoi discorsi, tesori sepolti nelle tue parole. Così ho scoperto che gli ideali non si
consumano come i Corns Flakes, sono sogni da coltivare, da curare, da non
disperdere. Le cose che mi hai insegnato, però, non le ho comprese subito. Allora
apprendevo in modo strano. Poi, un giorno, tutto si è rimescolato. Ho scelto Fisica
solo perché non avevo il coraggio di studiare Filosofia, oppure Letteratura. Ho
concluso, ho trovato un buon impiego, mi sono innamorato. Ma dentro di me
covavano, in due angoli fra loro opposti, i fermenti giovanili e le tue parole. Mi
ricordo quando raccontavi delle barricate nel 1905, delle lotte del 1913 e del 1917, e
poi, ogni volta, dopo gli spari, tornavi sempre sui monti. Ecco, questa immagine mi
resta chiara: tu che scendevi solo quando il motore del mondo rombava e l'aria era
lacerata dal fischio della storia, che strappava alle sue capre la gente come te, anche
dalle montagne.
103
A un certo punto le cose si sono confuse tra loro, i due piani si sono incrociati e
io sprigionavo una nuova sete di conoscenza e di vita, di rivolta e di azione, una
passione, però, come un languore continuo. Era un’altra lotta, un’altra posta in
gioco, tutto qui. Le due cose si mescolano. E ora mi chiedo cosa faccio, dove vado.
Queste ricerche, il pattume del NASDAQ. Forse ora so dove devo andare. Sento che il
sangue circola meglio, che il corpo si tonifica, sento i muscoli diffondere l’adrenalina
che ramifica leggera come la via Lattea. E’ un vero Universo. E’ quello che vedo tra le
palpebre chiuse, sdraiato sul tappeto. E’ casa mia, qui sono padrone. Sono anche
padrone della mia parola. Da qualche tempo. Cinque giorni fa ho preparato i
memoriali, ho allegato fotografie e documenti, poi li ho affidati a un corriere per
Zurigo e a un’altro per New York… Quel luccicare che frizza negli occhi chiusi si
mescola ora ai fantasmi sonori che volteggiano nella stanza…
All’improvviso mi chiedo: dove? Dove sono finito? Con uno scatto mi alzo in
piedi. Barcollo. Mi gira la testa. Sento il sangue che circola e poi gesti meccanici.
Fatica. Dove sono? Ah, si. Sono qui. In questa casa tra il mare e le montagne, tra gli
scogli e i ghiacciai, in piedi su questo tappeto armeno, del bisnonno, intessuto con
la sua barba vecchia, argentea. Un momento. Che cosa succede? Quei rumori. Sta
entrando qualcuno. Ma chi? Dei ladri? Non hanno visto l'auto? E le luci? Ma sono
ancora al buio. Vengono qui? Armeggiano alla porta… Il cuore si aggrappa alla gola.
Mi nascondo.
- Ecco.
104
- Io cerco il telefono.
- Ok, do un'occhiata nelle stanze.
I due lasciano le luci spente. Hanno le torce in mano. Sono uomini sulla
trentina, alti, tarchiati, capelli corti, indossano abiti sportivi, scarpe da footing,
maglietta, giubbotto. Si muovono leggeri, sicuri, con grande precisione. Sanno
esattamente ciò che devono fare. Sanno dove devono andare. Sono cani lupo che
scendono a valle.
Il primo si dirige a destra, verso il tavolino, prende la cornetta fra le mani, ne
svita il coperchio, toglie il microfono, apre una borsa piccola, nera, in pelle, elegante,
prende un minuscolo oggettino rettangolare, scuro, traslucido, come uno scarafaggio,
lo fissa al microfono, riavvita la cornetta, picchietta due o tre volte sui tasti, dice: Fatto.
L'altro è in piedi su una sedia, ha una lampadina in mano, ha inserito un
oggetto analogo a quello del suo compagno all'interno del paralume, riavvita la
lampadina, dice: - Fatto.
Il primo scende sotto, si sente armeggiare, svitare, smontare. L'altro esegue le
stesse operazioni nelle stanze a pian terreno, poi sale sopra, ma ci sta poco,
armeggia, svita, rimonta, quindi scende. Il primo sale. Si incontrano. Sento il loro
fiato. Il secondo dice: - Ok? E il primo risponde: - Ok. Andiamo.
Escono.
105
E' un attimo. Esco anch'io dalla mia tana, rapidamente. Perfettamente
consapevole del pericolo. Il cuore è in ogni poro del mio corpo, che si apre e si
chiude al ritmo del suo battito frenetico. Cerco di fare piano, ma che importa, è
impossibile. Prendo le chiavi, scivolo verso l'ingresso. Qualche secondo appena e sto
uscendo anch'io. Sento la loro auto che parte mentre varco la soglia. Spero che non
mi vedano, vorrei scomparire, ma non posso stare più a lungo. Sono in giardino, poi
sulla strada: quanto tempo è trascorso? Forse trenta - quaranta secondi dalla loro
partenza. Sarà sufficiente? Corro verso la mia auto, nel casotto, metto in moto, mi
allontano.
Sperando che i chip non siano già in funzione, sperando che non abbiano
trasmesso i segni della mia presenza, mi allontano senza meta. Poi mi fermo in un
punto qualsiasi. Quale punto? Non ricordo nulla. Mi fermo e basta. Vorrei suonare,
premere il volante per strillare con la stessa forza selvaggia del mio cuore urlante.
Ma mi rovescio all’indietro e finalmente guardo avanti, verso i prati verdi che
cominciano dal ciglio della strada. Sono stordito.
Perché mi spiano? Cosa devono ancora sapere? Non sanno qual è il momento
buono per liquidare la pratica? Quel verde che alla fine dell’orizzonte si mescola con
l’azzurro del cielo: sarà laggiù l’Armenia. Qualche capra, il mio vecchio e la sua
barba. Mi perdo in quel punto laggiù, in fondo. Una nuvola accartocciata mi passa
avanti in fretta e si disperde. Poi torno qui. Non c'è tempo da perdere. E ' una
106
questione di ore. Domani, al massimo. Lunedì sarà già tardi. E con Chris, Marceau e
Filippo? Che fare?
Vado da Peter… e se anche lui fosse controllato? Chi avranno messo sotto
controllo, in questo paese? Maledizione! Improvvisamente mi rendo conto del
pericolo. Devo avvertire Krauss e Ronald.Potrei mandare un telegramma. Faranno
caso a un telegramma? Metto in moto. Punto dritto sull'ufficio postale.
- Vorrei inviare un telegramma senza avviso telefonico: è possibile?
- Certo che è possibile, ma il servizio telefonico le permette…
- Grazie, non mi interessa…
- Sa che paga lo stesso…
- Si, lo immagino, mi dia un foglio. Anzi mi dia due fogli. Grazie.
Ecco, scrivo il telegramma per Kraus a New York: "Pericolo vita o morte, telefoni
controllati, invia memoriale
a Washington Post, dott. Remington, altre copie
stampa mondiale. Urgente. No telefono."
Ma no… non posso scrivere in questo modo. Calma, occorre un po’ di calma!
- Signorina, scusi, devo spedire dei telegrammi, ma ho bisogno che il contenuto
resti riservato…
- Mi spiace, ma non è possibile. Il contenuto dei telegrammi è sempre
controllato. Può usare il servizio di posta rapido…
107
- Devono arrivare a Zurigo e New York oggi stesso.
- Impossibile, a queste condizioni c'è solo il telegramma.
- Grazie, non fa nulla.
Non ho alternative. Potrebbero aver già rintracciato Ronald a Zurigo e Kraus a
New York? No, perché potrei leggere sui giornali di domattina della loro scomparsa e
quindi potrei scappare con altre copie del memoriale. Non possono rischiare. Sono
le 11. Devo avvisarli. Ho al massimo otto ore, forse sei. Neppure un aereo arriva a
Zurigo. Ma a New York si. E quei due? Se sono venuti qui è perché non mi
sorvegliavano. E' chiaro. A meno che non sia una trappola… ma a che scopo?
Vogliono il memoriale? E poi mi fanno saltare il cervello. Non sono certi del numero
di copie che circolano. Devono controllare, aspettano che ne parli con Chris! Per
questo sono venuti! Devo recuperare un memoriale, prima che arrivino fino a Kraus
e a Ronald. Arrivare alla copia nascosta in ufficio è impossibile. Devo recuperalo da
Kraus, ma non posso avvisarlo del mio arrivo. Non è impossibile. Ho qualche ora per
organizzarmi.
Riscrivo i telegrammi. Un testo che li metta in allarme, di un cliente inesistente.
"Ronald, lavoro chiuso, invia fattura a Peter Hans"
"Kraus lavoro chiuso, invia fattura a Jhonny Curzio"
- Ecco i telegrammi.
108
- Bene, sono 10 dollari, firmi qui… manca il mittente.
- Il mittente? Si, ecco: "Roberta Evans, Rome street 24, Chicago"
- Roberta!?
- E’ la mia segretaria…
- Mi scusi, ma non può mandarli a nome di qualcun altro…
- Vede… è necessaria una certa riservatezza.
- Con i telegrammi, come sa, non è possibile…
- Senta, la prego… ho un grosso problema, molto serio… ma non c'è nulla di
illegale!
- Di illegale?
- Mi ascolti. Mi chiamo Cox, lavoro alla NASA. Devo risolvere un problema senza
che io appaia direttamente. Se invio i telegrammi a nome mio chi li riceve può
essere in grave pericolo. Davvero, deve ascoltarmi! Non posso inviarli a nome mio,
ma è indispensabile che questi telegrammi partano…
- Mi sembra così strano… lei mi chiede di fare una cosa che… non sarebbe
meglio sentire il direttore? Guardi che…
- No. Lasci stare. Senta… questo è il mio tesserino, vede? Questo è il mio
documento con l'indirizzo, il telefono e tutto il resto. Ne faccia una fotocopia, ma
lasci partire questi telegrammi… la prego. E' tutto legale, le assicuro, ma devo
109
risolvere un problema importante. Lei può decidere di darmi una mano. Questi
telegrammi non possono arrivare a nome mio! La posta è controllata. L’unica
possibilità è che lei mi aiuti.
- E’ un bel pasticcio, lei mi chiede una cosa… ma perché non vuole parlare con
il direttore?
- Vede, se chiama il direttore lui dovrà seguire delle procedure e alla fine i
telegrammi non partirebbero e delle persone sarebbero in pericolo di vita…
- Questi messaggi… sono in codice…
- Mi dia retta… Se qualcuno risalisse a me dal mittente, allora saprebbe anche
che certi documenti, che queste persone custodiscono per conto mio, sono molto
importanti, se ne approprierebbe, anche a costo di uccidere. Capisce il problema? Lo
riesce a capire?
- Si, lo capisco bene… Non mi sembra disonesto, però questi documenti… io
davvero… non so cosa fare…
- Senta, non può spedire lei stessa i telegrammi?
- Ma cosa dice? Sarei complice…
- Non sarebbe complice di nulla! Si tratterebbe solo di un favore che potrebbe
aiutare delle persone in pericolo. Anche se non abbiamo la garanzia neppure di
questo, non siamo certi che questo riesca, è solo un tentativo, l'unico praticabile,
forse. Non ho altra scelta che inviare due telegrammi. La prego… mi guardi negli
110
occhi… non le sto mentendo. E' la verità, è una buona causa, lei non può non
riconoscerla, non può non avere fiducia. Ho la casa qui vicino, abito al tiglio, laggiù,
oggi arriverà mia moglie ma io non ci sarò. Lei potrebbe farmi un altro favore.
Incontrare mia moglie, oggi, per strada, non in casa e parlarle del nostro incontro…
la prego, faccia questo. Invii i telegrammi e incontri Chris. Di più non posso
spiegarle… deve fidarsi, non può dubitare. Tenga, faccia una fotocopia del mio
documento e la mostri a Chris.
- Ok, va bene. Me lo dia. Devo essere impazzita a darle retta! Invierò i
telegrammi a mio nome. Farò ciò che mi chiede, non so cosa mi spinge a fidarmi di
lei… e speriamo che sia davvero la cosa giusta.
- Andrà anche da Chris?
- Ci andrò, stia tranquillo…
- Le lascerò un biglietto, così sarà informata del suo arrivo. Ma non parli di
questo, in casa, la incontri fuori, le spieghi la nostra conversazione e a chi sono
indirizzati i telegrammi, lei capirà.
- Benissimo, farò come dice. Le auguro buona fortuna.
- Grazie. Se questa vicenda giungerà alla fine senza conseguenze sarà anche per
lei, grazie… Ora devo andare, mi farò vivo io. A proposito… come si chiama?
- Alexandra Garcia.
111
- Grazie Alexandra, arrivederci.
Fuori dall'ufficio postale il sole riversa il suo calore sul marciapiede. A me
restano poche ore per organizzare la fuga, la protezione di Chris e recuperare una
copia del memoriale. Acquisto quattro telefonini. Uno per tenermi in contatto con
Kraus, uno per Ronald, uno lo lascio a Chris e uno per parlare con lei. Avendo
numeri diversi ci metteranno un po’ a capire che la fonte è la stessa. Devo sperare
che prima di incrociare i ponti radio incrocino i numeri dei telefonini. Del resto
avranno tre gruppi di lavoro, uno qui, uno a New York e uno a Zurigo, ci metteranno
un po’ a incrociare i dati. In questo momento sono in vantaggio su di loro, per
qualche ora, poi si vedrà.
Torno a casa. Entro come se vi fossi appena arrivato. Faccio finta di sistemare i
bagagli. Do un colpo di telefono a Chris per sapere quando sarebbe giunta; le dico
che sarei uscito per fare un po' di spesa, le avrei cercato dei piatti pronti, per
festeggiare. Sostengo un tono allegro e un po’ ingenuo.
Poso uno dei telefonini sul tavolo e vi accosto una lettera: "Chris, sei in pericolo.
Mantieni la calma. La casa è controllata, i telefoni anche, tu sei pedinata. Sono a
conoscenza di un segreto molto importante che scredita il laboratorio, la centrale e
il governo. K. e R. hanno la copia di un memoriale. Sono in pericolo di vita. Li
faranno fuori questa notte, oppure domattina, al più tardi e poi toccherà a noi.
Cerco di recuperarlo. Nessuno sa dove mi trovo. Ti chiamo una volta su questo
telefonino. Farò due squilli, poi basta. Tu esci di casa con il telefonino e rispondi da
112
fuori. Quando hai risposto distruggi la scheda e buttalo via. Non dire nulla a
nessuno. Ti cercherà una donna di nome Alexandra Garcia. Lei potrà fare qualcosa,
non è sorvegliata. Ti amo, a te, Marceau e Filippo. Brucia questo biglietto".
Prendo la macchina e vado al paese più vicino. Affitto un casella postale.
Noleggio un’auto e parto per un aeroporto qualsiasi.
Mi resta un'ora per imbarcarmi. Avrei preso un volo per Philadelphia e da lì
avrei raggiunto New York in auto. Non sarei sceso a New York, troppo rischioso. Poi si
sarebbe visto.
Prima di arrivare all’aeroporto faccio due telefonate. I telegrammi dovrebbero
già essere stati recapitati. Appiccico dell’adesivo sui due telefonini e ci scrivo su una
R e una K.
- Pronto, Ronald?
- Si?
- Sono Peter Hans, capisci? Peter Hans. Per la fattura che hai ricevuto. Devi
spedirmela, ti dirò dove
- Come? Quale fattura?
- La fattura dell'ultimo lavoro, guarda sono in auto, scusa ora, poi ti chiamo più
tardi…
Cambio telefonino.
113
- Pronto, Kraus?
- Chi parla?
- Sono io… non posso dirti molto ora perché sono molto di fretta, sto
scappando dai clienti. Ma volevo parlarti della fattura che mi devi spedire ti dirò
l'indirizzo perché l'ufficio è cambiato…
- Come.. cosa…?
- Si è cambiato l'ufficio, ora è da Jhonny Curzio, poi oggi ti dico il numero
esatto. Dobbiamo sentirci più tardi. Scusa ma sono di fretta, in famiglia tutto bene?
- Si, certo…
- Ok, allora a dopo.
Non potevo sapere se il piano avrebbe funzionato. Non sapevo neppure di avere
un piano, veramente. Dovevo recuperare il memoriale e renderlo pubblico. Non c'era
altro da fare: riprodurlo, spedirlo a giornali, tv, a qualche giudice e senatore e
chiudere la faccenda. Fatto questo io, Chris e i ragazzi saremo stati fuori pericolo e
anche Kraus e Ronald. Contavo di utilizzare il memoriale in ufficio, tra qualche
giorno. Invece tutto è precipitato. Ho sottovalutato il pericolo e ora devo correre.
Avrei voluto parlarne prima con Chris, ma non c’è più tempo. Ora devo recuperare
il memoriale e non posso tornare in ufficio. Ma devo recuperarlo. Ho inviato loro un
pacco sigillato e per precauzione ho vietato, per iscritto, di aprirlo, lo devono solo
conservare. Precauzione forse inutile: che siano o meno a conoscenza del contenuto,
114
quelli non vanno tanto per il sottile. Questo ormai è chiaro. Comunque un’altra
copia è in ufficio, nella cassaforte di Rubens, lo spagnolo che lavora là in fondo al
corridoio. Se non l’hanno trovata certo ci mancherà poco, ma chissà se quelli
l’hanno lasciato stare, Rubens. In quei momenti così concitati aveva aperto la sua
larga bocca in un caldo sorriso meridionale, teneva il pacco nelle sue grosse mani e
con ogni molecola del suo corpo cercava di infondermi sicurezza. Oh Rubens! Ronald
e Kraus avranno ricevuto il pacco da almeno due giorni. Ci sono i telegrammi e
dalle telefonate dovrebbero aver capito che il contenuto è esplosivo, o comunque
che io sono nei guai. A questo punto dovrebbe essere chiaro che dovranno aspettare
ulteriori indicazioni per consegnare il pacco, indicazioni che trasmetterò con altre
due telefonate, non appena sarò a New York.
Ronald dovrà spedire il pacco alla casella postale che ho affittato o forse a un
giornale, vedremo. Kraus me lo consegnerà personalmente, ne farò delle copie e le
manderò ai giornali americani ed europei e a qualche senatore e giudice. Poi tutto
sarà finito. Dovrei riuscire a fare i duplicati e la spedizione entro questa sera. Poi c’è
Alexandra Garcia, lei andrà da Rubens, se riuscirà a recuperare il pacco lo spedirà
agli stessi indirizzi. Spiegherò questo a Chris per telefono.
Quella a Chris sarà l’ultima telefonata che farò perché non mi avranno visto
arrivare e saranno in allarme, a quel punto incroceranno i dati dei ponti radio e
quindi leggeranno i tabulati delle conversazioni con Chris e poi con gli altri. Potrei
essere a New York verso le 17, incontrare Kraus verso le 18, in quel momento
115
telefonare a Chris e avrò forse un’ora per duplicare il memoriale e spedirne una
decina di copie, prima che possano intervenire.
Penso a Marceau e a Filippo: ci
saremmo più visti? Qualsiasi cosa fosse capitata, sarei andato fino in fondo. Certo,
mi avrebbero braccato, quei lupi, ma non sarebbe stato semplice. Avrebbero potuto
fare del male a Chris, a Marceau e Filippo? Ero deciso a fargliela pagare. Fino in
fondo. Loro avrebbero dovuto sapere questo, sarebbe stata la mia arma, l’unica arma
di cui disponevo per proteggere la mia famiglia.
Tiro giù il finestrino e l'aria mi accarezza il viso. Davanti a me la strada è libera
e lunga. Mentre guido sento allo stesso tempo l'odore salato del mare e il profumo
fresco della montagna. Rivolgo lo sguardo intorno, peccato, penso, questo pianeta è
un bel pianeta, ma è così difficile da godere. Davvero un peccato. E pigio
sull'acceleratore. Finalmente mi sento bene. In quel momento la vita mi corre
incontro. Ha la forma dell'asfalto lucido, caldo, nero, infinito.
116
L'accordo
(Austin, New York, Zurigo. Linea telefonica).
- A che punto siamo?
- Tutto a posto.
- Avete sistemato gli strumenti?
- Si.
- Altre notizie non ne ho.
- Non è il caso di seguirlo?
- No, lui è tranquillo, abbiamo sentito la telefonata alla moglie.
- Sta arrivando?
- Sembra arrivi in serata.
- E a New York?
- Aspettiamo domattina, tutto è pronto per le 11, lasciamo fuori i telegiornali di
mezzogiorno.
- E per l'altro?
- Per l'altro si potrebbe fare anche oggi.
117
- E poi?
- Poi vedremo, proseguiamo come abbiamo stabilito.
- Ok, allora. Chiamo l'ufficio di New York.
- Va bene.
***
- Pronto?
- Ciao.
- Come sta andando?
- Bene.
- Novità?
- Nessuna.
- Sul telefono?
- Il solito.
- Bene, allora il vostro turno è per domani alle 11.
- Dovunque?
- Dovunque.
- Ok.
- Ok.
118
Catastrofi 1: lontananzaOsservatorio.
(Velivolo di osservazione. Alcuni ricercatori con Yui, responsabile del
gruppo di studio).
All’Osservatorio si è formato un gruppo deciso ad affrontare il problema.
- … e quindi questo processo che porta alla formazione di una molecola
composta da tre atomi di ossigeno, alla fine è un’altra probabile causa di catastrofe.
Così i fattori che possono provocare una catastrofe sono molteplici. E’ difficile
stabilire quale sarà l’evento determinante. Quello relativamente più lontano è il big
crunch, che ha proprio nella Terra il suo punto omega: difficile ipotizzare soluzioni,
in questo caso. Per la scala terrestre si tratta di venticinque miliardi di anni, per la
nostra di otto ti. Un evento catastrofico intermedio, che potrebbero controllare
trasferendosi su un satellite di Giove, è la trasformazione del sole in una gigante
rossa, tra cinque miliardi di anni. Certamente non potranno in nessun caso salvarsi
dalla successiva trasformazione del sole in una nana bianca e quindi dal suo
completo raffreddamento. Lungo questo arco di tempo può entrare in gioco uno dei
fattori di catastrofe che vi ho appena descritto. Ciò che è curioso è che tra le 600
forme di vita che oggi popolano questo universo, quella terrestre sta affrontando il
maggior numero di rischi, soprattutto perché una buona parte è creata da loro
stessi.
119
- Però dobbiamo considerare anche il livello raggiunto dalla loro comprensione
scientifica degli eventi: questo rappresenta una reale controtendenza!
- In che senso?
- Nel senso che le ipotesi che esponi sono essenzialmente orientate a valutare le
probabilità di catastrofe, ma non le tecnologie per evitarle. Anzi, tu collochi nella
“morte fredda” il limite che non potranno tecnologicamente superare. Mi sembra
un’analisi molto parziale, che tiene conto di una sola tendenza.
- Invece a me non pare che sia unilaterale. Se consideri che la loro tecnologia è
il frutto di un’evoluzione in corso da due milioni e mezzo di anni…
- Anch’o sono d’accordo con te. Occorre però aggiungere che in quest’ultima
frazione della loro evoluzione hanno anche prodotto, allo stesso tempo, i mezzi per
la propria distruzione. E’ come se perseguissero un equilibrio instabile, come se
dovessero compensare con un regresso ogni significativo passo avanti.
- Si questo è vero, però la qualità dei loro progressi nella fisica è tale che
potrebbe modificare completamente il corso degli eventi. Perché non l’hai presa in
considerazione?
- Cosa? La fisica dei quanti?
- Precisamente. E mi riferisco anche all’ipotesi, per il momento solo teorica, di
realizzare dei propulsori di antimateria.
120
- Torno a dire che a mio parere sono acquisizioni trascurabili. Non sottovaluto
altre tendenze, ma queste francamente mi sembrano del tutto inconsistenti.
- E perché mai? Ammettere in via teorica che sia possibile realizzare il
teletrasporto sfruttando le proprietà dell’associazione dei quanti significa, in fin dei
conti, aprire la strada alla sua realizzazione pratica…
- Ma cosa dici… per i terrestri il teletrasporto equivale alla semplice
trasmissione dello stato quantico ad altre particelle e non al loro trasferimento. Non
potrebbe essere diversamente. In quanto all’ipotesi teorica di un varco spaziotemporale che sfrutti la curvatura dello spazio è semplicemente inconcepibile: per
trasportare un veicolo di 200 metri di lunghezza avrebbero bisogno di una quantità
di energia negativa equivalente a 10 miliardi di volte quella del loro universo
visibile! E dove la trovano?
- A mio parere il problema va impostato diversamente. Non si può considerare lo
sviluppo scientifico come una retta sulla quale collocare in ordine logico le tappe di
successive conquiste. Dobbiamo tenere ben presenti le particolarità della loro
aggregazione sociale. In fin dei conti la loro caratteristica di fondo, che distingue la
loro forme di vita da tutte le altre, è proprio il fatto che l’organizzazione sociale
condiziona la scienza e la tecnologia, ne determina un quadro invalicabile.
Certamente, non nego che in tutta una serie di campi avrebbero le soluzioni a
portata di mano, eppure non vedono più in là del loro naso. E’ questo il punto, non
121
il grado raggiunto dallo sviluppo scientifico in sé e neppure dalle sue eventuali
possibilità di sviluppo.
- Non sono d’accordo. Esiste un limite obiettivo. Basta confrontare la nostra storia
con la loro. La nostra tecnologia non ha nulla a che fare con una storia evolutiva,
almeno in termini assoluti. Noi la bolla quantistica ce la siamo trovata in casa, i
confini tra
universi
li
tocchiamo,
letteralmente,
l’antimateria
è
una
delle
componenti fondamentali della nostra stessa struttura fisica. E’ ovvio che la nostra
attenzione sia stata immediatamente indirizzata verso la conoscenza e il dominio
di questi fenomeni, concreti, presenti, reali, fenomeni che sulla Terra si possono solo
parzialmente immaginare. Potranno scrivere equazioni o supporre eventi fisici dai
quali ricavare alcune teorie più o meno corrette, ma senza mai lavorare su dati
sperimentali e su fenomeni più interessanti e più utili di qualche formula. In fin dei
conti lo sviluppo di ciascuno è stato determinato da eventi direttamente
osservabili: noi le bolle quantistiche e l’antimateria, loro la pirite e l’energia
nucleare. C’è una bella differenza, eppure siamo entrambi condizionati dalla
situazione di partenza, essenzialmente dalle condizioni naturali. La differenza è che
per loro queste condizioni si sono rivelate una prigione, una strada senza uscita. Mi
pare che sia molto semplice…
- Ma resta un’ipotesi. Chi ci dice che non possano trovare una via deduttiva? In fin
dei conti il tutto potrebbe essere ricondotto a una questione di tempo, più o meno
lungo, entro il quale i terresti potrebbero raggiungere progressi significativi,
122
paragonabili ai nostri partendo da acquisizioni teoriche, anziché da ricerche
empiriche…
- Il tempo? Hanno addomesticato la tecnologia del fuoco perché la Terra è fuoco e
fiamme, la tecnologia elettrica perché gli è piovuta dal cielo, il magnetismo perché
nei campi magnetici ci vivono tutti i giorni… una tempesta quantistica la possono
solo immaginare, sul loro pianeta non si verificherà mai. Anche se dovesse esistere
all’infinito! E non possono neppure riprodurla in laboratorio: dove lo trovano un
campo di Q? Senza contare tutto il resto!
- Io sono d’accordo. Il suo punto di vista è chiaro e anche il più accettabile. C’è un
limite oggettivo al loro sviluppo.
- Sono esagerazioni…
- Non esagera affatto. Vogliamo considerare le cose su un piano più semplice? In
questo preciso istante si occupano di come sfruttare economicamente una rete
virtuale di comunicazione, di come ricavare denaro dal tabacco e dalla droga,
spendono tempo e risorse nella biologia genetica per il gusto di modificare una delle
nature più interessanti e varie
di tutto l’universo, si perdono in esperimenti e
congetture sull’integrazione tra sabbia e sistema nervoso per vedere cosa succede a
trasformare gli individui della loro specie in agglomerati di arti meccanici ed
elettronici e, non contenti del cervello che hanno, cercano di rimpiazzarlo con dei
circuiti… se questa non è una situazione catastrofica…
123
- Sei cinico! La loro specie è più complessa, ricca e vitale di come la descrivi…
- Certamente, però il quadro generale è questo. Credono di ingaggiare una lotta
titanica per la vita e poi, a ogni passo, fanno in modo che il morto lambisca il vivo
per ripartire da condizioni sempre più difficili…
- Condizioni impossibili già in partenza, però…
-… ma che le loro attività peggiorano drasticamente!
- Perché provi per loro una simpatia così forte? In altre occasioni non ti sei
sbilanciata in questo modo…
- E’ vero, non so… Forse perché ci vedo un aspetto drammatico. Tutto questo
operare frenetico, ma controproducente… l’illusione di aver imboccato la strada
giusta e allo stesso tempo questa loro sofferenza… che oltre ad avere un carattere
individuale si esprime attraverso aspetti universali, mentre noi disponiamo di tutte
le tecnologie per aiutarli…
- Ne abbiamo già discusso a lungo, in molte altre occasioni.
- No, però ha ragione lei: non diamo per chiusa una discussione come questa.
- Vale a dire?
- Forse possiamo definire il problema meglio di quanto non abbiamo fatto fino a
ora.
- Cioè?
124
- Dobbiamo lavorare su due ipotesi di fondo: rispettare le caratteristiche del
loro sviluppo e lasciare che forgino loro stessi il proprio cammino, bello o brutto che
sia, oppure interferire nei loro affari per aiutarli a conquistare un grado maggiore di
consapevolezza che li metta nella condizione di decidere realmente del proprio
destino. Nel primo caso valutiamo che sono padroni del loro avvenire, che hanno
deciso di complicarselo e l’ipotesi di un nostro intervento rimarrebbe una questione
aperta. Nel secondo invece non si tratterebbe di una loro scelta e il nostro intervento
sarebbe obbligato, una questione etica.
- E’ vero ciò che dite. Sopravvivenza e progresso, nella loro storia, sono fenomeni
del tutto casuali e accidentali. In queste circostanze la prospettiva di una catastrofe
naturale coincide con i loro sforzi per realizzare al più presto una catastrofe
artificiale. Intervenire vorrebbe dire forzare una linea evolutiva che comunque
hanno scelto, benché a noi sembri drammatica. Ma il dramma se lo costruiscono da
soli. Questa è stata la loro scelta e quindi…
… ma fino a che punto è una scelta? Tu parli di scelta: ma fino a che punto
questa pretesa scelta non è stata anch’essa, fin dall’inizio, condizionata dal loro
ambiente? Avrebbero potuto percorrere un’altra strada? Rispondi a questa domanda.
Io non credo. La loro fisica è quella del fuoco e dell’energia nucleare. Non c’è altro.
_ Appunto. I loro sforzi tecnologici hanno imboccato una direzione obbligata
fin dall’inizio. Esattamente come è stato per noi. La differenza è che siamo stati
semplicemente più fortunati. Chi dice, per esempio, che se la loro specie fosse
125
vissuta in condizioni simili alle nostre non avrebbe dominato l’antimateria? Oppure
il residuo relativo di dispersione dei buchi neri?
- Già, e per che cosa? Per progettare la loro sopravvivenza o per programmare
scientificamente la distruzione dell’universo? Alla fine non saremmo qui a discutere
se o come aiutarli, ma come difenderci dalla loro tecnologia!
- In ogni caso queste sono speculazioni. Atteniamoci alla realtà dei fatti…
- E la realtà dei fatti è che parliamo del loro grado di coscienza in generale, ma
le cose sono molto diverse se riduciamo il raggio di osservazione a più piccoli
agglomerati sociali o anche a singoli componenti della specie. Se globalmente la loro
direzione è catastrofica, singolarmente molti assumono comportamenti assai diversi,
molto più interessanti. E ne abbiamo le prove.
- Ok, allora proviamo a immaginare concretamente un nostro intervento…
scendiamo su un
terreno pratico. Ammettiamo che abbiate
ragione:
come
prospettate una nostra iniziativa?
- Non penso sia difficile. Il primo passo è rendere manifesta e accettabile
l’esistenza della nostra forma di vita e su questa base aiutarli a raggiungere nuove
conoscenze scientifiche…
- … si potrebbe far leva su chi cerca di rendere pubblici i dati della nostra
esistenza. Potremmo aiutare quello scienziato, Cox, a raggiungere il suo obiettivo e
quindi attendere le conseguenze.
126
- Sarebbe anche un modo, in fin dei conti, per vedere chi ha ragione in questa
discussione. La loro reazione sarebbe un buon riflesso della loro volontà…
- Ma non ha senso! Come pensate che possano sfruttare la scoperta della nostra
esistenza?
- Le cose, a
mio parere, non sono così semplici. – Dice a questo punto Yui -
Prima avete accennato al rapporto che esiste tra la coscienza dei loro limiti
materiali e il loro bisogno di concepire l’immortalità, di immaginarsela, di
raffigurarsela. Io penso che questo bisogno, nella loro storia, sia tanto più grande in
quanto la loro evoluzione è costantemente posta di fronte allo spettro della fine.
Attraverso le religioni e i culti trascendenti hanno proiettato al loro esterno il
bisogno di vita, di vincere la fine e la sua angoscia, di superare la catastrofe.
Innanzitutto le piccole catastrofi della morte di ciascuno. Il fatto di proiettare
all’esterno, in quello che definiscono “al di là”, il bisogno di sopravvivere e di
esistere, li mette al riparo dal perseguire, concretamente, una linea di sviluppo per
la vita. Hanno alienato in un futuro remoto, religioso e ignoto, la necessità di
combattere per la loro vita concreta. La loro coscienza così è tranquilla e possono
incamminarsi verso la catastrofe più grande. Questo è un fatto qualitativo, che
sposta sensibilmente il problema.
- Spiega meglio…
127
- Immaginiamo, come dite voi, che la nostra esistenza sia manifesta, cosa
pensate che accada? Sarebbe un colpo mortale per le loro credenze. Per esempio, le
loro molteplici istituzioni religiose vacillerebbero con lo sgretolarsi della loro
coscienza: come reagirebbero? Possiamo supporre che le istituzioni politiche
tenderebbero dapprima a nascondere l’evento ma poi a sfruttarlo. Un conto è che
qualche scienziato scopra nuove equazioni quantistiche, senza avere mai la
possibilità di dominarle sperimentalmente, un altro è essere improvvisamente posti
di fronte alla possibilità di superare le leggi fisiche. Le loro istituzioni politiche e
religiose ingaggerebbero una guerra a morte contro questa prospettiva e dato che
queste istituzioni reggono i tenui fili delle loro coscienze, trascinerebbero l’umanità
intera in nuove guerre…
- Ma non abbiamo elementi concreti per una simile ipotesi…
- Non abbiamo elementi concreti, dici? Sappiamo che le loro chiese hanno
prosperato sull’inganno e la malafede e si sono aperte la strada con le armi e il
terrore, con la superstizione e la
colpa.
Semplici
eretici,
scienziati,
intere
popolazioni, sono state “convertite” col ferro e col fuoco. Sono d’accordo, questa
specie, liberata da questa e da altre forme di oppressione e di sopraffazione, di
manipolazione delle coscienze, potrebbe rivelare delle risorse inaspettate. Potrebbe.
Da un punto di vista biologico il loro cervello racchiude delle potenzialità evolutive
di enorme portata. Lo avevamo valutato con una certa precisione. E tuttavia è
tenuto in scacco e ridotto alla pura sopravvivenza, da un involucro di grandi e
128
sottili condizionamenti. In questa situazione io penso che i loro tentativi non
saranno indirizzati a combatterci, sarebbe assurdo e ridicolo. Si moltiplicherebbero
le azioni di fanatismo, le crociate, ci sarebbero nuovi roghi, nuove cacce alle streghe,
nuovi inquisitori: è una costante della loro linea evolutiva.
- Però questo può essere vero se ti attieni solo alle loro conoscenze tradizionali.
Esistono altre strade, più economiche. Per esempio, grazie all’elettrodinamica
quantistica ora sanno che possono occasionalmente emergere dal vuoto assoluto un
positone, un elettrone e da qui qualcuno ha cominciato a considerare che l’universo
sia una fluttuazione del vuoto. Dunque il passo teorico verso le bolle quantistiche
del multiverso è breve, in conseguenza anche il passaggio attraverso l’antimateria…
- Lascia perdere. E’ solo un discorso tecnico…. Conosci il progetto del monte
Graham? Ne abbiamo anche discusso recentemente del loro tentativo di cercare
contatti con forme di vita “extraterrestri”, come le chiamano. Ricorderai che il
vicedirettore del progetto, il padre Corbally, è stato anche estremamente chiaro
quando dichiarava: “Se dovessimo trovare una civiltà su altri pianeti e se fosse
possibile stabilire una comunicazione con i suoi componenti, allora manderemmo
anche dei missionari a salvarli”1…
- Ricordo perfettamente…
1
Sunday Times, 14 dicembre 1997
129
- Dunque mi pare difficile esprimere, come fai, certezze simili… basate su
considerazioni esclusivamente tecnologiche, c’è sempre un margine imponderabile…
l’ipotesi, nobile e affascinante, di un nostro intervento deve tenere conto delle
conseguenze e non solo della sua correttezza in linea di principio.
130
Catastrofi 2: vicinanza
(Terra. Un posto qualunque, gente qualunque. Registrazione casuale
realizzata da
due
giovani
ricercatori
dal
velivolo
di
osservazione.
Osservatorio).
Adesso piango. Non guardo Margaret e non la saluto, ecco. Ancora questi
sacchetti in auto! Quando partiamo? Uffa, ma perché? Mamma saluta. Ingrid sta
zitta. Quando arriviamo? Mamma abbraccia Margaret. Shamir scherza ancora.
Parlano sempre, sempre parlano, tutti i giorni. Il papà di Margaret mi gratta il
pancino. Ho male qui. E anche qui. Che male mi fa. E’ male di chiuso. Non posso
parlare con questo male di chiuso. Non riesco neppure ad alzare la testa. Sono tutti
qui. Mi lecco le lacrime. Mi fa proprio male. Ma cosa mi fa male? Non è la malattia.
La mia malattia non mi fa mai male. Anch’io prendo il criceto. Prendo il criceto
rosso. Ormai lo so pulire. Questa notte arriviamo e domani prendo il criceto. Ieri
sera abbiamo mangiato al tavolino. Margaret mi ha dato le medicine. Io volevo
mangiare con la mamma e gli altri. Poi siamo stati al tavolino. Shamir ci ha fatto
telefonare. Io ho parlato con papà. Adesso andiamo a casa e vedrò papà. Anche i
nonni. Ingrid ha telefonato alla mamma. Le medicine le abbiamo dimenticate sul
tavolino. Cosa diceva mamma? Che posso perdere nove chili. Però ieri ho mangiato
bene. Il risotto. Ah, Ah, che corse abbiamo fatto! Che paura quella casa. C’era un
131
uomo verde dentro la bara. Mamma mia! Ma era uno scherzo? I bambini facevano
uno spettacolo. Ma che paura! Perché non potevamo più correre dopo? Ah che bello
il fischietto. Deve essere nel sacchetto. Uffa non ho voglia di cercare. Mi fa male qui.
E’ la malattia? Ho fame, quand’è che mangeremo? Ingrid chiede cos’è l’autogrill.
Deve comperare un regalo per la mamma. Cos’è che vuole sua mamma? Un anello?
Però Shamir dice che non lo compera, l’anello, perché lui e la mamma di Ingrid
sono separati. Come mio papà. Però se c’è mio papà è meglio. Anche Shamir è
simpatico. Anche il papà di Margaret. Guarda che si salutano ancora. Perché non
potevamo più correre? Ah, si! Perché c’era il cameriere. Però abbiamo corso tanto, al
tavolino, fino all’uomo verde. Mamma mia, che paura. Che ridere, che ridere. Io
invece prendo il criceto. Margaret me l’ha fatto prendere in mano. Però con le
sacche piene non si può perché se si rompono muore. Fiocchettina. Che bel musetto.
C’ha proprio un bel musetto! Se Margaret fosse la mia sorellina, giocheremmo
sempre con il criceto. E se Ingrid fosse la mia sorellina, chi sarebbe il mio papà?
Quando vado a casa vedo il mio papà. Il criceto lo prendo rosso, poi ci do le
carrube. La signora si arrabbia se prendiamo le carrube? Non ho capito mica se si
arrabbia. Mica le abbiamo prese tutte. Le abbiamo prese con la scopa. E’ magra
Margaret. Ingrid è alta. Anche Margaret può perdere nove chili? Pesa venti chili, io
peso trenta chili. Sono cicciotella perché mangio. Uffa, mi fa sempre male di chiuso.
Ho dato il bacino alla mamma di Margaret, poi mi ha fatto male qui. Ma loro si
fermano ancora tanti giorni, in vacanza. Anch’io voglio fermarmi tanti giorni, ma
132
dobbiamo tornare. Poi, però, ci vediamo ancora. Andiamo a trovarli. Io porto il
criceto così fanno amicizia. Adesso partiamo e questa sera arriviamo a casa. Ciao
Margaret. Ci vediamo ancora. Io ti penso. Cosa dici mamma? Devo salutare? Ho
salutato, prima. Adesso mi fa male, non voglio guardare più. Penso a Margaret. Noi
ce ne andiamo, però. Ma non c’è niente mamma! Si mi viene da piangere che
andiamo via. Va bene, andremo a trovare Margaret. Si, compriamo il criceto e poi
glielo facciamo vedere. Anche il papà di Margaret ha detto che ci scambiamo le foto
e ci scriviamo. Si, adesso partiamo ma poi li vediamo ancora. Ecco mamma, sai cosa
voglio fare da grande? Voglio aprire un negozio di criceti. Margaret vuole un negozio
di scarpe. Io voglio aprire un negozio di criceti. Mamma piangi? Non posso aprire un
negozio di criceti da grande? Lo posso aprire? Mamma certe volte ride forte. Shamir
la fa ridere. Certe volte piange. Sarà per la malattia? Ma io sono cicciotella, anche se
perdo nove chili. Guarda come è magrolina Margaret. Mi viene sonno. E’ grande
questa macchina. Stasera quando arriviamo poi domani mi prendo il criceto, poi
andiamo a trovare Margaret.
***
Olga è allegra, serena, vivace, curiosa, attenta, cicciotella, florida, illuminata da
occhi grandi e trasparenti. Quando ride allarga le braccia e guarda in alto. Tutti i
giorni prende delle medicine. Tutti i giorni, per tre volte al giorno, è obbligata a fare
degli esercizi. Olga ha una fibrosi cistica. La malattia si sveglierà all’improvviso,
senza avvisare. Il suo corso sarà rapido e fatale. Qualche volta, quando Olga gioca in
133
cucina con la pasta di sale, sua madre si ferma, silenziosa e la osserva. Allora una
nebbia leggera rende tutto più sfumato.
Poi arriva Shamir, che la fa ridere.
134
Eleganza della natura
(Terra. Arthur Jhon Cox in volo verso Filadelfia).
Questo cielo, azzurro e terso, è elegante. Qualche piccola nuvola, all’orizzonte,
sembra un ricamo su un abito da sera.
La natura è il nostro vestito. Lo indossiamo con leggerezza intorno alle nostre
vite. Vestito puro e sottile per i nostri giochi umani. Fendiamo l’aria e attraversiamo
lo spazio tra l’azzurro del cielo e quello del mare, poi il giallo e il rosso del deserto,
quindi il cupo marrone della terra. Questa natura, che io studio ogni giorno con
scrupolo e dedizione, ma che raramente osservo per quello che è, protetto dalle lenti
spesse della mia scienza. Natura semplice e infinita, della quale cerchiamo le leggi
senza comprendere quale sia la legge che ci sprona ogni istante a indagare. Questa
natura, alla quale ci accostiamo con l’occhio della scienza per sfuggire alle sue
melodie. Natura che restituisce le musiche dei nostri simboli, mentre noi scriviamo,
imperturbabili, i taccuini dei nostri appunti meticolosi. O che innalziamo come un
vessillo per evitare di esserne accarezzati come un lenzuolo. La vedo da questo
aereo, sospeso in un tempo che non mi appartiene, che resta vuoto. Vuoto di azioni
e di scopi, di tappe e percorsi. Ma solo vuoto, tempo vuoto e sospeso. Strano viaggio,
verso un destino che farà danzare tante vite. Strano momento, inchiodato su questa
poltrona rigida e sintetica, che sembra proiettarmi al di fuori della mia stessa vita.
135
Posso solo guardare, con emozione, ciò che mi circonda e a un tratto la tensione che
mi ha sostenuto con forza, fino alla soglia del chek-in, sembra ora dileguarsi nel
nulla. Da quanto tempo non osservo serenamente? Non mi lascio cullare da ciò che
vedo, senza rintracciare i tasselli per edificare castelli di congetture, di ipotesi,
lavagne di schizzi, pezzi congestionati di formule? A che vale questa febbrile ricerca
del sapere, che mi porta nel bel mezzo dell’universo solo per rendermi più estraneo
alle cose che mi circondano e che mi hanno fatto? Ormai, nel momento in cui un
destino qualunque si delinea, il destino stesso, quale esso sia, perde la sua
importanza e allora posso cullarmi, sospeso, in questo viaggio nel nulla e capire
ugualmente qualcosa senza azionare un microscopio elettronico, né manovrare
telescopi orbitali. Sto viaggiando verso il rosso o al polo opposto? Curioso, però, che
fra tutte le stelle che conosciamo, neppure una si avvicini a noi. Perfino le stelle ci
evitano. Un universo delle grandi distanze, delle inarrestabili lontananze. Come il
piccolo mondo che ci siamo costruiti, nel quale le vicinanze sono solo apparenti e
cerchiamo le formule per disfarle, così da poter seguire meglio la proiezione
dell’allontanamento, scandita dalla regola assoluta dello spazio. Ora che le
convenzioni non hanno per me più alcuna importanza, ora che il destino è
stabilito, quale che sia, non hanno più alcun peso neppure le linee dello spettro, ma
conta solo questa staticità di due ore di volo verso un ignoto esito.
Lo sguardo di quel giovane indugia da tempo sul poggiatesta davanti al suo
naso: anch’egli si interroga sul senso del tempo sospeso di questo viaggio?
136
Indossa una cravatta gialla, stretta fermamente al collo da un grosso doppio
nodo che si accoppia alle punte sottili e pronunciate del bavero della sua giacca,
ben disposta sotto i suoi quattro bottoni, che conducono gentilmente l’occhio a
posarsi sulle stringhe, impeccabilmente allacciate, delle lucide scarpe nocciola che
avvolgono il piede, protetto da una vellutata calza di seta. Ha valutato, soppesato,
acquistato, venduto, consigliato, programmato, esaminato le molteplici tendenze di
un mercato impalpabile per ricavare la sua giusta ricetta di comportamento, che
avrà certamente rafforzato la sua solida immagine. Non avrei voglia di parlare, se
mi rivolgesse la parola. Per fortuna sembra impegnato con quel poggiatesta. Forse il
ragazzotto mi interessa di più, quello che non sta fermo un momento. Si gratta un
braccio, guarda intorno, abbassa e alza lo schienale, annusa l’aria condizionata.
Preferisce essere in gommone, per planare sulle onde, di ritorno al tramonto dalla
grotta dei pipistrelli, come Marceau a otto anni, alla sua prima, romantica,
emozionante, uscita in mare
aperto.
nell’asciugamano
gli
umido,
con
E
occhi
poi
la
aperti
sera
a
faceva
fissare
il
fresco
punto
avvolto
lontano
dell’orizzonte dove non sai più dov’è il mare e il cielo. A quel ragazzotto non piace
stare in questo uccello meccanico, forgiato dall’uomo, preferisce ripescare nella
memoria la schiena lucida dei delfini che emergono là di fianco e lo accompagnano
nella corsa misteriosa sull’acqua.
- Mi scusi.
Il giocatore di borsa si rivolge ora proprio a me.
137
- Potrebbe darmi quella rivista là, ecco… quella, c’è un articolo molto curioso su
Erza Pound… lo conosce il poeta? Ama la poesia? Si… Anch’io ne sono affascinato, è
come una porta aperta tra noi e l’universo che esclude allo stesso tempo noi stessi e
ogni interferenza… Come dice? Si, anch’io lo penso… questa condizione di tempo
sospeso… Per questo a volte viaggio in pulmann, perché il viaggio duri più a lungo.
Si, lo conosco. Nei suoi libri non c’è nulla, assolutamente nulla, nessun personaggio è
descritto, vissuto, nessuna psicologia, nessuna azione, solo tempo sospeso, viaggio
per procurarsi tempo sospeso… Esatto, la natura è sospensione, sempre uguale nella
sua globalità, sempre diversa nei suoi particolari… sospesa, certo… ma ora siamo
arrivati… è stato un piacere, si d’accordo, ma mi attende una terribile giornata in
borsa… sa, tutte queste azioni fatte di aria fritta… si, lavoro in borsa, certo, vedo che
ne è stupito, però la poesia non è aria, è aerea, è diverso, è fatta di materia ma
impalpabile, come la natura. Certamente, s’immagini… il piacere è mio.
138
L’avvocato
(New York. Studio dell’avvocato Kraus).
Kraus è un valido e stimato avvocato di New York. Quando studiava
all’università di Berckley si dedicava con passione anche al nuoto, disciplina nella
quale aveva ottenuto risultati eccellenti, paragonabili a quelli raggiunti nei suoi
brillanti esami universitari. Quando il più importante studio di New York gli
propose di accoglierlo per il periodo di praticantato, passò anche le selezioni
olimpioniche e avrebbe fatto parte della rappresentativa americana. Per Kraus la
scelta non era stata semplice, perché gloria e successo non sarebbero mancati in
entrambi i casi, ma sarebbero stati molto diversi tra loro. La sua giovane e attraente
fidanzata lo convinse infine ad abbracciare la carriera professionale. Con il tempo
sarebbe poi stato chiaro che la prospettiva di ricchi guadagni, il prestigio borghese
che sarebbe certo giunto in seguito all’affidamento di importanti cause e non ultima
la prospettiva di una vita regolare, sicura e sedentaria in qualche bella villetta della
grande mela, erano gli obiettivi delle sue pressioni. In fin dei conti lui non avrebbe
disdegnato neppure una vita da atleta e poi forse da allenatore o da direttore di un
centro sportivo, che gli appariva imprevedibile, stravangante, caratterizzata da una
buona dose di incertezza che non avrebbe certo guastato, fornendogli il giusto
stimolo per affrontare le competizioni che lo sport gli avrebbe proposto.
139
Quella strada possibile è ora cristallizzata nelle coppe, nelle targhe montate sul
velluto e nelle medaglie appese in bella mostra nella vetrina dello studio che separa
la libreria dei codici e delle gazzette da un piccolo, ma sempre utile, archivio che
raccoglie i segreti più preziosi della sua folgorante carriera.
Kraus aveva tra le mani quel piccolo foglietto, un telegramma che gli era stato
recapitato dal postino e che, in un primo momento, gli era sembrato del tutto
incomprensibile, pur avendo intuito che sarebbe occorsa una precisa chiave di
lettura, che gli era infine giunta con una strana telefonata di Cox, un suo vecchio
compagno di squadra che si presentava ora sotto falso nome. Aveva così disposto il
pacchetto sulla scrivania di mogano, prodotta da un valente artigiano birmano che
aveva una piccola bottega al quartiere italiano, sempre impregnata dall’odore
dolciastro di essenze che la sua perizia mescolava pazientemente. Quella scrivania
era un pezzo unico tra gli avvocati di New York e soprattutto tra i giovani e
spregiudicati rampanti che bazzicavano nel giro a caccia di una porta giusta, che
aprisse loro un avvenire di successo. A Kraus piacevano quei piccoli cassettini
incastonati nei posti più impensabili, perfettamente mimetizzati dagli intagli che
seguivano, senza soluzione di continuità, tutto il perimetro di questo pregiato pezzo
interamente scolpito, opera di un solo uomo, che sceglieva personalmente, in
Birmania, gli alberi dai quali ricavare la sua materia. Quel pacco chiuso, sigillato
con la ceralacca, che conteneva certamente qualche oscuro mistero, non collimava
con l’immagine serena, chiara, aperta, che Kraus aveva del buon carattere del suo
140
vecchio amico. In un certo qual modo continuava a rimanere stupito, non
riuscendo a ipotizzare la ragione che lo avesse spinto a inviargli quel plico benché,
con l’andar del tempo, fosse ormai incline a pensare che l’animo umano
nascondesse oscuri e misteriosi aspetti, cosa che aveva lungamente e qualche volta
duramente, verificato egli stesso e che ora, forse, quel pacchetto nuovamente
confermava.
Kraus attendeva le istruzioni che indicassero con precisione che cosa avrebbe
dovuto fare, lasciandosi cullare dalla vista dei riflessi luccicanti del sole sui vetri dei
grandi grattacieli di Manhattan, che poteva osservare in tutta la loro maestosità e
potenza, dall’enorme vetrata del suo studio al 104° piano.
Avrebbe dedicato tutto il tempo necessario a questa attesa, come sapeva fare
nelle sale d’aspetto, quando i ritardi si accumulavano e lui restava imperturbabile
al
proprio
posto
immancabilmente
tra
i
coglieva
sospiri,
i
i
discorsi
viaggiatori
in
infervorati
quei
e
frangenti.
l’agitazione
Kraus
che
avrebbe
semplicemente eseguito le istruzioni rispettandone profondamente il segreto, senza
chiedere altre spiegazioni, oltre a quelle strettamente necessarie per l’esecuzione dei
compiti, che avrebbe portato a termine con meticolosa precisione. Esattamente
come faceva nella sua pratica professionale. E bisogna dire che questa era una delle
sue doti più apprezzate, soprattutto in certi ambienti, dove le cause viaggiano
appese a un sottilissimo filo che richiede grandi capacità di equilibrio e di
riservatezza, di arguzia e intraprendenza, mantenendo in ciò un legame con
141
l’eleganza e lo stile richiesti dal nuoto, del quale aveva invece perso l’irruenza
spontanea e la forza istintiva.
Quando squillò il telefono era certo che fosse giunto il momento grazie al quale
avrebbe chiarito il mistero e si sarebbe senz’altro posto agli ordini del suo vecchio
amico, sicuro finalmente di portare il proprio contributo a una causa giusta o,
perlomeno, di aiutare un antico e degno compagno, che si trovava evidentemente in
una situazione difficile.
Si era però sbagliato, non era la telefonata che gli avrebbe permesso di ristabilire
i contatti con la parte dimenticata della sua vita, che quel plico sembrava ora poter
risvegliare da un lungo sonno.
- Buon giorno, parlo con l’avvocato Kraus?
- Sono io, buongiorno.
- Sono fortunato: non credevo di trovarla il sabato pomeriggio.
- Dica…
- Ho seguito la causa Hamilton. L’ho cercata per questo.
- Di che cosa si tratta?
- Mi chiamo Mike Longo, sono il presidente e il titolare della International
Transport. La conosce?
- Ne ho sentito parlare…
142
- Prima di continuare, vorrei che considerasse questa telefonata nel quadro del
nostro rapporto professionale… anche nell’eventualità che non accetti un incarico.
- Naturalmente.
- Ho un problema con la compagnia di assicurazione della mia società. E’ una
di quelle che ha incontrato nella causa Hamilton.
- Ricordo...
- Bene. Questa compagnia assicura tutti i dipendenti. E’ una clausola imposta
dai sindacati, economicamente rilevante. Il contratto prevede che in caso di morte
in servizio la rata aumenti secondo certi parametri. Abbiamo 18000 autisti in 46
paesi. Negli ultimi due anni l’azienda ha subito oltre 700 decessi in incidenti
stradali… e le rate che dobbiamo sborsare sono triplicate!
-Vada avanti…
- Stiamo concludendo alcune operazioni che sanciranno la nostra supremazia
mondiale. Abbiamo bisogno di liquidità. Ci sarà un incremento di dipendenti e di
produttività e quindi dobbiamo rivedere gli accordi. Ora le clausole ci impongono
di accantonare una somma per ogni dipendente. In pratica noi anticipiamo i
premi. L’assicurazione ci rimborsa solo dopo un certo periodo di tempo. E’ una
macchina infernale. Fino ad ora abbiamo scaricato i costi assicurativi sulla
manutenzione degli automezzi. Ma meno manutenzione significa più incidenti e
143
quindi maggiori premi assicurativi e così torniamo al punto di partenza. E c’è anche
un altro fatto…
- Quale?
- Tutte le compagnie adottano gli stessi parametri: sono certo che si accordano
attraverso un cartello clandestino. E’ una speculazione ai nostri danni. Senza
considerare che la clausola sindacale è una vera estorsione. Lei mi capisce, vero?
- In un certo senso…
- Sono convinto che ci sono le condizioni per portare in giudizio le compagnie e
che sia possibile portare con noi anche altre aziende. Lei che ne dice? Sarei onorato
se collaborasse con i nostri avvocati.
Come suo solito Kraus aveva ascoltato con grande attenzione. Per farsi un
quadro preciso, in modo automatico e senza sforzo, rinveniva nella sua memoria
eventi, sentenze e disposizioni di varia natura che nell’insieme potevano offrirgli
una prima impressione sul rapporto tra le forze in campo. Il momento era propizio,
ne conveniva. Negli ultimi tempi le compagnie di assicurazione erano diventate un
comodo capro espiatorio per i politici alla ricerca di nuovi consensi e per alcuni
magistrati ansiosi di comparire sui giornali. Per anni avevano prosperato sui profitti
enormi che provenivano dalle sicure rendite delle assicurazioni auto, garantite dallo
stato in persona, dalla protezione incendi e dal numero sterminato di disposizioni
ambientali. Una piccola parte di quei profitti era entrata nelle tasche dei politici
144
che continuavano a legiferare a favore delle compagnie, elaborando una serie
minuziosa, ininterrotta e asfissiante di procedure, di vincoli, di norme che
richiedevano sempre maggiori tutele, se non veri e propri obblighi assicurativi. Una
massa estremamente rilevante di questi capitali era reinvestita nelle speculazioni
monetarie, nei titoli, nel NASDAQ, contribuendo
a
determinare,
in
misura
considerevole, il destino di molte aziende, di intere nazioni e di vasti settori di
mercato. Nel giro di qualche tempo, però, questi capitali sottratti al ciclo vitale
della produzione e del consumo di merci, queste enormi quantità di denaro che
asfissiavano
l’economia
produttiva,
avevano
cominciato
a
sollevare
le
preoccupazioni, poi le rimostranze e infine a scatenare le azioni offensive di molte
grandi aziende che producevano merci e per le quali, in una situazione di crisi
generalizzata, gli investimenti sottratti al consumo per essere bruciati in borsa
significavano una contrazione del loro mercato. Si trovarono così schiere di politici,
di
giudici
e
anche
diversi
giornalisti
ben
piazzati,
tutti
quanti
pescati
indifferentemente nei due partiti repubblicano e democratico, che per qualche
dollaro erano disponibili a sollevare il problema e a porre un freno al ruolo delle
compagnie assicurative nei mercati finanziari. La corruzione stava semplicemente
spostando il suo asse. Così, in effetti, a suon di dollari, il clima stava cambiando e
l’opinione pubblica, condizionata da cause, elzeviri e arringhe politiche, guardava
ora con rinnovato sospetto e diffidenza il ruolo spropositato giocato dalle
compagnie assicuratrici nell’economia mondiale.
145
Eppure quel sole, che filtrava tondo e giallo dalle vetrate del suo studio diritto
sul suo collo, gli trasmetteva un certo fastidio che si univa a un curioso senso di
distacco da quella voce lontana e inattesa, che interferiva con l’evento al quale si
stava preparando con calma e serenità mentale.
Forse avrebbe potuto fissare un appuntamento con questo Longo e incaricare i
propri collaboratori di svolgere qualche indagine sui contratti assicurativi nel
settore dei trasporti e sulle sentenze, in cause analoghe, nei principali paesi. Dopo la
recente esperienza non sarebbe neppure stato difficile trovare i giusti appoggi
politici e di stampa, come ogni importante processo richiede, pur sapendo che, se
l’avesse accettata, sarebbe stata una battaglia complicata e difficile. Kraus sapeva
bene, però, che non si sarebbe potuto prescindere dall’orientamento dell’opinione
pubblica. Il punto forte era certamente l’ipotesi di un cartello segreto tra le
compagnie, che avrebbe risvegliato allarmi sempre pronti a scattare nelle coscienze
collettive, così sensibili alle macchinazioni e alle storie di complotti. Se poi la sua
esistenza si fosse dimostrata esatta, questo solo fatto avrebbe di per sé messo in
cattiva luce qualsiasi clausola, fosse anche la più sacrosanta e corretta del mondo,
determinando nei fatti l’esito del processo.
Era una situazione complessa ma, a un primo giudizio, praticabile. Del resto,
rifletteva, anche una sconfitta non avrebbe potuto essere considerata una specie di
vittoria? Il gran trambusto che si sarebbe sollevato non avrebbe certamente lasciato
le cose come stavano. Politici, magistrati, gli stessi governi e soprattutto quello USA,
146
avrebbero dovuto intaccare ulteriormente il potere delle compagnie. Anche nel
peggiore dei casi si sarebbe comunque annusata una mezza vittoria, con un
considerevole aumento del prestigio dello studio e dei suoi spavaldi e coraggiosi
avvocati, che accettano cause all’apparenza impossibili.
Inoltre Kraus non aveva
forse per le mani quel giovane avvocato rampante, argentino, desideroso di aprirsi
una strada eclatante proprio nel diritto internazionale? Dare una dimensione
internazionale al problema, stando ovviamente bene
attenti
a
una
prima
conclusione sul suolo americano, non solo non sarebbe stato difficile, dato che Kraus
intuiva che doveva esserci di mezzo una nota compagnia londinese, ma avrebbe
aperto un fronte ulteriore, probabilmente inaspettato per la difesa, costringendola,
se non altro, a prendere tempo. In casi come questo, infatti, le compagnie non
amavano tirare troppo per le lunghe delle cause che avrebbero messo in allarme i
loro clienti, costringendole, inoltre, a stanziare nuovi fondi in dispendiose campagne
pubblicitarie e d’immagine.
D’altra parte questo Mike Longo non doveva aver fatto considerazioni troppo
distanti dalle sue, se si era spinto a telefonargli intravedendo, forse al di là delle sue
contingenti necessità finanziarie, il terreno favorevole che gli si presentava, anche
nell’eventualità di una rielaborazione dei patti contrattuali. Oltretutto sarebbe stata
anche una buona occasione per cancellare i residui della storica diffidenza
dell’opinione pubblica nei confronti dei trasportatori, che in passato avevano
rivelato equivoci legami con la mafia. Questo, nell’arena di uno scontro tra giganti,
147
difficilmente avrebbe potuto essere un punto a favore della difesa, anche se non
avrebbe mancato di utilizzarlo, in qualche modo. Ma ciò avrebbe avuto tutt’al più il
sapore di un vecchio film e alla fine si sarebbe rivelata un’operazione di catarsi che
avrebbe finito per giovare all’immagine dei trasportatori. La multinazionale di
Longo era una delle più sane e floride, il suo marchio era noto e apprezzato nei
cinque continenti e a parte il grande trasporto marittimo e su rotaia, milioni di
aziende e di cittadini utilizzavano i suoi servizi di consegna espressa e i suoi TIR.
Non c’era dunque dubbio, anche a un esame rapido e sommario come questo, che la
battaglia avrebbe riservato molti aspetti positivi, seppure sarebbe stato molto
difficile ottenere una vittoria piena e totale, pur senza escludere un simile esito.
Questi, dunque, erano i pensieri che affastellavano la mente di Kraus mentre
cercava di inquadrare il problema mettendo in moto, come al solito, una buona
dose del suo intuito.
Alla fine, quella telefonata non sembrava tanto diversa dai molti colloqui e
dalle molte pratiche che Kraus aveva avviato nella sua carriera e non sembrava
neppure presagire a nulla di diverso dalla preliminare routine alla quale era
abituato, che l’avrebbe portato, con ogni probabilità, a concretizzare un nuovo
rapporto professionale.
Eppure il sole, che continuava a bruciargli sul collo, sembrava richiamarlo a
quella misteriosa e importante attesa alla quale si stava preparando prima di essere
interrotto e ora si mescolava a un tenue senso di ansia mettendolo in uno stato
148
d’animo per lui inusuale, per lo meno da molto tempo a questa parte. Il pericolo
non sembrava più rappresentato dal rischio di perdere un cliente, come mille altre
volte era capitato, ma dall’ essere stato distolto da quel contatto così vivo con i
ricordi di un tempo, che quel pacchetto sulla sua scrivania birmana materializzava
con tanta insistenza. Uno stato d’animo che aveva riacceso nella sua mente il
momento culminante del tuffo, che avveniva quasi contemporaneamente allo sparo
e che sanciva l’impatto con la vasca, pronta ad accogliere, in una frazione di
secondo, l’intera tensione muscolare e spirituale di un uomo che attraversa tutti gli
elementi naturali del fuoco, dell’aria e dell’acqua. Quel rituale aveva sempre avuto
per Kraus un’importanza quasi magica. Il resto della gara era scandito dalla velocità
e dalla regolarità della spinta muscolare, che sospingeva l’intero corpo in perfetto
accordo con la sua respirazione, potente, regolare, calibrata. Era come un’enorme
macchina che si metteva in moto, imprimendo al suo sforzo una regolarità
meccanica, bracciata dopo bracciata. Il tuffo, invece, era diverso. Presentandosi
come un rituale serviva a combattere una certa ansia, che corrispondeva al timore
di non riuscire a ripetere in modo esatto la precisa articolazione dei gesti più banali,
fino all’estraniazione assoluta, che avveniva qualche istante prima dello sparo,
preludio allo scatto folgorante che raccoglie ogni milligrammo di energia da ogni
più remota cellula, per concentrarlo unicamente sulla spinta che lo proietta in aria
e quindi lo scaraventa in acqua. Il tuffo era tutto. Lo choc provato ogni volta dal
suo corpo
al terribile impatto rimetteva in circolazione una nuova carica di
149
energia, come una batteria giunta al punto massimo di accumulo, che deve
scaricare il potenziale senza più attendere. Il tuffo concentrava tutto. Tutto
dipendeva dal tuffo. La mirabile e sovraumana magia del tuffo aveva rappresentato
per lui lo sprigionarsi della vita stessa e quindi il momento del suo potere assoluto.
Per questo le sensazioni di quell’istante erano suggellate per sempre in una sola ed
unica sensazione di immane potenza, di sfolgorante coraggio, di temeraria
spontaneità, in modo tale che il tuffo rappresentava per lui l’urlo stesso
dell’esistenza, il concentrato del suo essere, la sua stessa e misteriosa essenza di
uomo. Ma così come il tuffo era entrato nella sua vita sconvolgendone alcuni
momenti decisivi, così poi, se n’era andato per sempre, in modo definitivo,
rimuovendo persino il ricordo, annullando le sensazioni e le immagini che
accompagnavano ogni volta la sua messa in scena: cancellate come neppure un
colpo di spugna su una lavagna avrebbe potuto fare. Ora una fessura sembrava
riapparire, qualcosa gli pareva di intravedere, una impercettibile tensione sembrava
riemergere da misteriose correnti che evocavano in lui tracce confuse. E poi c’erano
quei morti, sui quali un nuovo cliente avrebbe voluto edificare una nuova
speculazione.
Quella domanda, che giunse a un tratto dal suo animo come una fiammella
mai del tutto sopita, ravvivata all’improvviso da una nuova combustione, ebbe per
Kraus la stessa forza meccanica e ineluttabile del tuffo e, in qualche modo, a
quell’istante sembrava richiamarsi. Non ebbe neppure il tempo di rintracciarne
150
l’origine, che era già affiorata dalle sue labbra. La placida armonia che legava quelle
parole, era così simile alla coordinata eleganza dei suoi muscoli sospesi, che non
poteva più fermarle. Fu così che quelle parole, che all’improvviso interferivano con
una pratica professionale consolidata da anni di colloqui, di inchieste, di meticoloso
lavoro, si aprirono un varco fluidamente, discretamente, tra le sue corde vocali,
imprimendo sulle sue labbra un impercettibile e beffardo sorriso:
- Signor Longo, che misure ha pianificato per tutelare la vita dei suoi
conducenti?
151
Spazio e tempo: quanti
(Velivolo di osservazione. Alcuni ricercatori con Yui, responsabile del
gruppo di studio).
- Mi sembrano solo bei ragionamenti senza scopo. Io voglio restare su un terreno
più pratico e se prima non mi avessi interrotto, avrei potuto esporre la mia idea…
- Avanti, prosegui…
- E’ molto semplice. Innanzitutto cambiamo punto di osservazione: partiamo
da noi e dalle nostre esigenze. Vi chiedo: a che serve possedere delle tecnologie se
poi non vengono usate? Possedere delle tecnologie vuol dire impiegarle, impiegarle
significa sviluppare la ricerca, stimolare l’interesse, conquistare nuovi traguardi o,
almeno, creare un terreno affinché qualcuno, se lo desidera, possa lavorarci su. Il
nostro progresso è fatto di un sacco di interrogativi. Ci poniamo delle domande, ne
discutiamo a lungo, facciamo delle ricerche, sperimentiamo, riprendiamo la
discussione, nel frattempo maturano nuovi interessi che ci fanno prendere altre
strade e così via, come un movimento a spirale che sembra sempre ritornare al
punto di partenza e invece ne è sempre più distante, perché ogni volta è su un altro
piano. L’interesse stimola il nostro progresso. Fondamentalmente è questa la molla
del nostro sviluppo. Un interesse casuale, che non è mai stato forzato, che in ogni
occasione si è manifestato in modo assolutamente naturale. Bene, e se invece ora
152
cominciassimo a cogliere delle occasioni per stimolare nuove ricerche? Se facessimo
ogni tanto dei passi avanti per generare interesse, per suscitarlo, senza aspettare che
si formi da sé? Perché non provarci? Alcuni di voi sostengono che un nostro
intervento dovrebbe tenere conto di una serie di condizioni, non solo tecniche ma
direi etiche, per esempio: fino a che punto è giusto interferire nell’evoluzione altrui?
E ancora: la strada imboccata dai terrestri è il risultato di scelte consapevoli? Se
fosse così, lasciamoli perdere, dicono alcuni. E se fossero totalmente incoscienti?
Allora aiutiamoli! E se invece fossero vittime delle loro stesse condizioni ambientali,
che fissano i tragici parametri della loro evoluzione? Ma io dico: e se lasciassimo
perdere questa discussione? Se li aiutassimo punto e basta? Se stessimo a vedere cosa
succede e solo in quel momento riprendessimo a discuterne? E’ un’idea sbagliata? A
me non pare. Da un punto di vista tecnologico possiamo convenire sul fatto che
abbracciano la nostra stessa prospettiva: hanno elaborato una fisica quantistica in
modo convincente, ipotizzano una serie di soluzioni che, certamente, non potranno
mai mettere alla prova, sono perfettamente d’accordo, ma comunque arrivano a
concepirle. Qualche loro scienziato sospetta che sotto il livello quantistico ci possa
essere un ulteriore terreno, molto più simile alla loro fisica classica e anche questo è
esatto. Dunque sono molto più simili a noi di quanto molti di voi non suppongano.
Che senso ha stabilire se le loro ipotesi teoriche potranno mai diventare forme
sperimentali concrete? Sono di fronte a una serie di catastrofi. E noi siamo di fronte
alla possibilità di indirizzare l’attenzione, la ricerca e l’interesse verso un campo
153
completamente nuovo e affascinante come può essere quello di un contatto con
questa civiltà del tutto particolare, un contatto che ci permetterebbe di verificare in
modo diretto una serie di ipotesi, che ci consentirebbe di mettere alla prova le
nostre capacità. Cosa aspettiamo? Chiedo solo questo: cosa aspettiamo?
- Se hai delle idee le puoi esporre, sentiamo pure, in fin dei conti non è detto
che il tuo approccio sia sbagliato.
- Ecco il punto: dobbiamo utilizzare delle soluzioni che siano conformi alle loro
stesse conoscenze, niente di più, niente di meno. Intraprendiamo delle azioni che
siano in grado di spiegare loro stessi, alla luce delle loro più recenti acquisizioni
fisiche e matematiche. In questo modo potranno accedere da soli alla verità, se lo
vorranno, poiché ne avranno gli strumenti, oppure chiuderanno gli occhi.
- In che modo?
- E’ abbastanza facile. Ricorriamo solo a due delle loro formulazioni teoriche: il
moto di Poincaré, unito allo spazio di Minkowski e poi l’ipotesi quantistica delle due
alternative. Non occorre altro.
- Vediamo nel concreto…
- Partiamo dalle teorie di Poincoré e Minkowski. In base a queste teorie loro
sanno che cosa capita quando un osservatore O, che viaggia alla velocità della luce
lungo una traiettoria, invia un segnale dal punto 1 al punto 2 che viaggia su
un’altra traiettoria, diciamo fuori dal cono, ed è superiore alla velocità della luce.
154
Sanno perfettamente che per un secondo osservatore O’ questo segnale giunge al
punto 2 prima che O abbia raggiunto il punto 1, dal quale lo ha inviato: come se
viaggiasse a ritroso nel tempo. In pratica il segnale giungerebbe all’osservatore O’
prima che sia stato inviato da O. Del resto loro sanno che il tempo in termini
assoluti non esiste, ma che dipende esclusivamente dal punto di osservazione, dalla
velocità degli osservatori e dalla velocità del segnale. In realtà è vero che non hanno
alcuna prova tangibile dell’esistenza di questi spazi simultanei, eppure li possono
concepire fisicamente e matematicamente. Dunque: che effetto otterremo se
riuscissimo a inviare loro il segnale di catastrofe prima che la catastrofe abbia
effettivamente luogo? Ciò non precluderebbe affatto il loro tragitto verso la
catastrofe, ma li metterebbe nella condizione di poter comprendere il loro futuro e
questo senza stabilire un contatto diretto. Continuerebbero tranquillamente a
ignorarci pur avendo, a questo punto, la possibilità di immaginare, anche in modo
piuttosto preciso, la nostra esistenza.
- E’ chiaro, ma è possibile solo inviando il segnale a velocità superiore a quella
della luce…
- Certo, ma questo segnale da qualche parte esiste come residuo fossile, a noi
basta recuperarlo tagliando la curvatura dello spazio e quindi rifletterlo in un’altra
direzione…
155
- No, è evidente, non mi riferivo a questo, ma al fatto che un segnale più veloce
di quello della luce è per loro un dato incomprensibile.
- Non del tutto. Le ipotesi teoriche di Poincaré, Minkowski, Einstein e molti altri
prendono in considerazione proprio questa domanda: “Che cosa accadrebbe se un
segnale viaggiasse a velocità superiori a quelle della luce”? E offrono tutta una serie
di spiegazioni molto pertinente ed esatte…
- Ma solo per dimostrare che quello della luce è un limite invalicabile!
- E che importanza ha? Ragiona: se riescono a stabilire gli effetti, che importa
sapere se l’evento che ne è alla base è possibile o impossibile? Gli effetti sono
comunque esatti! In fin dei conti l’unica ipotesi che potrebbero formulare è di
trovarsi nella condizione di O’, condizione che tante volte hanno ipotizzato, seppure
per dimostrarne l’impossibilità.
- D’accordo, ma lascia tutto ciò un momento da parte. C’è un altro problema,
relativo al libero arbitrio. Ricevendo un effetto prima della sua stessa causa,
potrebbero avere un “anticipo” sul futuro. Potrebbero giungere alla conclusione che
sia possibile modificare il anziché agire sul presente: un’assurdità!
- Non capisco, che cosa stai dicendo?
- Non si tratta di questo. Mi riferisco agli eventi cosmici…
- Ma nessuno li modifica. Il segnale di catastrofe esiste già a uno stadio
avanzato della traiettoria spazio – temporale, questo è un fatto che resta inevitabile.
156
E’ come dire che un corpo che viaggia a una certa velocità si scontrerà con un altro
che viaggia in direzione opposta e contraria ed è prevedibile stabilire il momento
esatto dell’impatto. Il segnale di catastrofe è insito nel moto dei due corpi a tal
punto che, in certe condizioni, un osservatore può già percepire lo scontro prima
che in effetti sia inteso dagli stessi corpi in movimento. Ma essendo collocati su
spazi diversi non possono interferire vicendevolmente. Questa resta una legge
inviolabile. Si tratta soltanto di offrire loro un diverso punto di osservazione,
utilizzando le nostre capacità tecnologiche nel quadro delle loro - confuse certo, ma
utili in questo caso - teorie.
- Capisco. Vieni all’alternativa quantistica.
- E qui entra in gioco la seconda parte del piano. Se loro riescono a comprendere
che si tratta di un segnale di catastrofe, potrebbero concludere di essere all’interno
di una specie di spazio di Minkowski, come lo chiamano, di guardare le cose da un
altro punto di vista, sapranno anche di avere due possibilità. Per le stesse leggi della
quantistica, che conoscono perfettamente, solo nel momento in cui osservano si
stabilisce anche il comportamento quantistico. Questo loro lo sanno! E noi li
mettiamo nella condizione di decidere.
- D’accordo, ma se il primo passo è complesso - catturare un segnale di
catastrofe che viaggia a velocità superiori a quelle della luce e rifletterlo non è certo
semplice anche se rientra in una ipotesi di fattibilità - la tappa successiva, però,
157
sarebbe concepibile solo all’interno di una bolla quantistica, evento che sfugge
completamente alla loro comprensione.
- E’ la sola eccezione richiesta dal mio piano.
- E’ una eccezione rilevante.
- Perché?
- Dobbiamo modificare il loro spazio fisico… e a una scala così vasta da
risultare un intervento tutt’altro che trascurabile.
- E’ vero, ma proprio questo è ciò che lo renderebbe accettabile anche ai nostri
parametri.
- Cioè?
- Collocare tutto il loro universo all’interno di una bolla quantistica, o meglio,
avvolgerlo da una bolla, è un effetto talmente macroscopico che alla fine non
cambierebbe nulla e a loro risulterebbe inosservabile. Solo le piccole mutazioni, per
esempio nella loro natura, potrebbero essere rilevate. In altri termini: possono
rilevare solo ciò che possono osservare con uno dei loro strumenti. Come potrebbero
rilevare una bolla quantistica? Non ne hanno neppure lontanamente immaginato
l’esistenza. E’ impossibile! Per questo è un intervento legittimo, un intervento di una
tale ampiezza da risultare del tutto insignificante ai loro occhi.
- E’ molto interessante. Davvero. In pratica si tratta di collocarli in una
dimensione sospesa tra un possibile futuro e il loro presente, offrendogli la
158
possibilità di agire, per il fatto che possono avere un’anticipazione del loro
catastrofico futuro. La direzione nella quale decideranno di stabilire le loro
osservazioni sarà anche quella che quantisticamente si realizzerà.
-Esatto.
- Così, se ho ben capito, si potrebbero verificare tre ipotesi. La prima che
decidano di continuare come prima. Siccome la loro evoluzione è contraddistinta
da alternative completamente contraddittorie, che percorrono simultaneamente, la
bolla quantistica svanirebbe riportandoli direttamente allo stato presente, sia in
termini di spazio che di tempo. La seconda possibilità è che si apra un conflitto e
dunque che la loro storia evolutiva cominci a seguire contemporaneamente le due
alternative.
In
questo
caso,
di
nuovo,
si
troverebbero
in
una
situazione
quantisticamente analoga a quella precedente. Nel terzo caso invece, deciderebbero
di darsi gli strumenti per superare la catastrofe. Dovrebbero convertire tutto il loro
potenziale in questa direzione, abbandonando ogni altra strada…
- E a questo punto potremmo riaprire la discussione sulla possibilità di un
contatto diretto!
- E’ un’idea decisamente affascinante…
- Tecnicamente si… Ma voi continuate a trascurare il loro ambiente sociale.
Questo è il punto. Ve l’ho già detto, lo sottostimate, fate riferimento solo alle
159
acquisizioni tecniche, alle capacità teoriche, ma lasciate da parte le loro relazioni
sociali. Questo è il vostro errore!
- Però, in questo caso, si lascerebbero loro tutte le possibilità… senza un contatto
diretto…
- Tu credi? E come reagiranno di fronte a un messaggio di catastrofe avvenuta?
Ancora una volta: quale sarà la reazione delle loro chiese, delle loro istituzioni, della
loro economia, dei diversi popoli e gruppi sociali che abitano il pianeta? Puoi
immaginare questo? Puoi escludere che lo sconvolgimento sociale che si determinerà
non rappresenti a sua volta un ulteriore fattore di catastrofe? Io vi dico che, a mio
parere, è molto probabile: come vi ho già detto, basta osservare la loro reazione di
fronte a eventi analoghi, tutto sommato molto meno sconvolgenti, per immaginare
quelle possibili in questo caso. Non esiste alcun elemento, alcun elemento di natura
contraria, la questione è altrove. Ed è interna alle loro relazioni e alle loro
dinamiche
sociali:
la
loro
situazione
è
così
tesa
tra
vita
e
morte,
così
pericolosamente contorta e macchinosa, che è indispensabile interrogarsi se anche
un semplice avviso di catastrofe non scateni l’avvio di una nuova catastrofe!
160
Spazio e tempo: geiger
(Terra. Registrazione casuale realizzata da due giovani ricercatori
dal velivolo di osservazione).
Affannata. La madre arriva affannata, quasi ogni volta. Possiede un piccolo
geiger. Di sua proprietà. Vapori intermittenti. Niente di pericoloso, ma costante,
segnali di rischio. Confusione di spazi, di tempi, di punti di osservazione. Perdita
della postazione, propria. All’ingresso: “Il ragazzo le deve dire qualcosa”. Silenzio, il
ragazzo sguscia via, tra un tavolo e una sedia. Dalla sedia cade il cuscino, al solito.
Quando siamo soli afferra il cuscino, lo rigira, lo toglie, non trova la posizione, la
trova. Un giorno acchiappa un altro cuscino, ne piazza due sotto, si dondola, cade.
Irrequieto. Pausa. Il ragazzo sguscia, la madre lancia occhiate: “Vero, che devi dire
qualcosa?”. Allarme. Pericolo di contaminazione: “Se vorrà dire qualcosa lo dirà lui
stesso, non si preoccupi, signora”. Attività geiger a livello di rischio: “Vero che devi
dire qualcosa?”. Ma lo dirà lei? “Va bene, vedremo, il ragazzo deciderà… allora ci
vediamo tra un’ora?”. Attività geiger a livello saturazione, rischio corruzione dati:
“Oggi non ha fatto nulla, è stato sgridato a scuola, ha preso una nota e poi non
voleva venire qui! E’ vero? E’ questo che dovevi dire!”. Allarme, fermare la procedura,
virus in zona protetta, backup dei dati: “Ah, si? Benissimo, noi ci vediamo tra
un’ora…”. E non è più un’ora, ormai. Altro giorno, altro giro: “Le maestre hanno
161
detto che non è affatto migliorato!”. Flusso di geiger. Fumo denso, sussulto
impetuoso: “Lei cosa ne pensa?”. Il geiger singhiozza, stupore: “Mi sembra
migliorato… no? Non so perché non se ne accorgono… non capisco”. Attesa, il geiger
attende la risposta, la soluzione definitiva. Ma quale soluzione? “Non saprei il
motivo, anche a me pare evidente un certo progresso.” Riconsiderare i dati, come in
un problema: “Ecco, questi sono i quaderni, questo l’ha fatto da solo, qui la scrittura
è migliorata, vede? Si tratta di progressi, ma la strada è lunga, non ci sono soluzioni
immediate, occorre del tempo ”. Il geiger si rilassa, attività a livello di sicurezza.
Altro giorno, altro giro: “Hanno detto al ragazzo che dopo le vacanze non sarà più
in classe, ci convocano dal direttore, è deciso”. Grave. Inaudito. E’ un bambino. Non
era tranquillo? Le insegnanti dicevano: “E’ tranquillo, tutto sommato, non ha voglia
di lavorare, divaga, qualche volta disturba, manca di contatti con le insegnanti”.
Diagnosi in stato di elaborazione, elementi parziali: deficit di contatti, di relazioni,
carenza di rapporti. Deficit. Qual è il termine contrario? Ignoto, vocabolo desueto,
non adatto per formulare diagnosi. Cattiva scrittura, scarsa concentrazione. La
mano scivola sul quaderno, lettere piccolissime, oppure enormi, allungate, piovono
errori, doppie, difficoltà ortografiche. Interferenze. Relazioni interferite, pur sempre
relazioni, però, punti di partenza, appigli. Le insegnanti scrivono, sul quaderno:
“Non hai fatto nulla”, “Lavoro non finito”,
“Tutto
sbagliato”,
sciarada
di
osservazioni. Non fare “nulla” è fare qualcosa, nulla, appunto. Non finire è anche
iniziare. Sbagliare è anche fare giusto. Diagnosticare, informare, sul suo quaderno.
162
“Idiot”. Senza “savant”, come il tale che non sapeva nulla, tranne la musica di
duemila opere, tranne l’enciclopedia musicale a memoria, in nove volumi. Là, idiot
savant, qui, solo idiot? Geiger di maestre si parlano: “Non ha fatto nulla”, oppure:
“Non ha completato l’esercizio”. Segnali di fumo. Alleggerire la pressione: “E’ proprio
così, è verificato, di nuovo”. Impartire consegne. Fare, non fare, completare,
ultimare, scrivere, non scrivere, categorie semplici, chiare, comprensibili. Tecnicismo,
professionismo: “Siccome non sa scrivere lo mettiamo al computer, vogliamo
vedere”. Pietra tombale. Spostamento organizzato. E poi? Rimozione. Procedimento
di scrittura in fase di sostituzione. Del resto: è peggio sapere di non saper “fare”.
Peggio conoscere i limiti, più frustrante. Meglio rimuovere, procedura di scrittura
manuale, soppressione in corso: “Sappiamo che non siete d’accordo, ma vogliamo
provare con il computer”. Reinserire i dati, caricare nuovi algoritmi: “Certamente,
non sono d’accordo. Il problema è la carta e la penna, la materia. Il computer
sposta il problema, non lo risolve”. Silenzio, geiger in fase di accumulo. Verificare
nel database. Verbi illegittimi: stimolare, suscitare, provocare, infondere, aiutare,
capire.
Procedura
soppressione
verbi
completata.
Verbi
legittimi:
insegnare,
impartire, verificare, sanzionare, spostare, rimuovere. Procedura approvazione verbi
ultimata. Attendere, risposta in fase di elaborazione: “Siamo insegnanti, dunque ci
occupiamo di errori. Vediamo se ne fa meno al computer”. Ampliare il database,
validare altre procedure, inserire nuovi dati, bypassare il filtro di input: “E’ giusto
correggere gli errori, ma il problema è: perché ci sono degli errori? Lo scoglio è la
163
scrittura, l’atto dello scrivere, l’attenzione, la concentrazione, l’azione della mano
sulla carta, la stesura di vocaboli, di frasi, lo scrivere, in quanto tale”. Attendere
prego, database in fase di compattazione, nuovi input da validare. Analisi ultimata,
input non validi, procedura non consentita: “Ma noi dobbiamo occuparci degli
errori, siamo insegnanti”. Ok. Sessione terminata. Signori in carrozza, dodici secondi
alla chiusura del portello, destinazione: ignota. Dalle tavolette babilonesi, alla
grammatica dei geroglifici, dal latino, al volgare, dall’imperialismo anglofono, alla
rete virtuale: che altro è la scrittura? Tecnica, evoluzione lenta, fino alla perfezione
estetica, codificata ai Lincei, all’École Superierure, a Oxford, a Pechino. Tecnica pura.
Come la ruota. Invenzione formidabile. Forma definitiva, estetica, funzionale, fin
dal primo istante. Poi, solo materiali, pietra (legno?), Firestone, Goodear, Pirelli.
Impulso esplosivo dalla chimica: da un liquido nero, maleodorante, la perfezione
sublime. Tecnica per tecnica, restare sul terreno. Ultimo appello. Hal, ti prego, apri
il portello, riconsidera le procedure, aggiorna il database, puoi utilizzare gli
algoritmi di riserva: “Vede, sarebbe come insegnare a sciare a un individuo che deve
imparare a nuotare: in un certo senso alcuni movimenti sono analoghi, ma il
problema non sono i singoli movimenti, quanto la materia stessa, l’attività
completamente diversa, il contesto nella quale si esercita una capacità…”. Dare
consigli? Imporre soluzioni? No, mantenere la sessione. Hal, ti prego, apri il portello,
riconsidera i dati, aggiorna il database, ricorda quei vecchi algoritmi, vagamente
umani: “Comunque non sta a me stabilire cosa dovete fare, siete voi le insegnanti, è
164
solo un punto di vista”. Comunicazione interrotta. Porta I/O guasta, no input, no
output. Azione non conforme ai protocolli stabiliti. Fortuna: non siamo computer.
Dispensati dall’apprendere procedure, dispensati dall’essere programmati, non
dall’essere.
Vantaggio:
non
apprendere
a
memoria.
Svantaggio:
aumento
esponenziale di domande. Senza protocolli accumulo di domande, accumulo di
interrogativi. Attenzione, i dati immessi hanno esaurito la memoria: chiudere le
finestre e riavviare il sistema. Sensi di colpa in arrivo, geiger che tossisce: “Ne
parleremo, vedremo, ci vedremo dopo Natale, ci incontreremo”. Hal hai risposto,
vedi che i vecchi algoritmi hanno ancora un senso?
Insistere, riprovare. Hal, vuoi
tempo per aggiornare il database? Tempo accordato: “OK, molto bene, ne parleremo,
certamente, a dopo Natale, buone feste, auguri”. Fine, provvisoria, del collegamento.
Database in fase di riavvio, tempo di ricarica dei programmi, aggiornamento degli
algoritmi, inserimento nuove estensioni. Rivediamo la sessione: “Buon giorno, ho
parlato con la madre del ragazzo…”. Errore di input, geiger in ebollizione: “Cosa le
ha detto?”. Annullare input precedente, rischio di loop: “Non ha importanza…
vorrei sapere come va il ragazzo, cosa ne pensate, quale opinione avete”. Procedura
corretta. Risposta in fase di elaborazione: “Tutto male, un disastro, nessuna
prospettiva…” Naturalmente. Avvio sessione parallela, insegnanti a madre: “E’
migliorato, ci sono dei progressi, ora vediamo se con il computer si possono
consolidare, se si aprono delle possibilità…” Esseri umani scambiano messaggi,
contraddittori. Assenza di piano cartesiano, cancellazione punto O. Mondi separati,
165
distanze siderali. Geiger si osservano da vicino. La madre: “Allora, non capisco, a me
dicono una cosa a voi un’altra”. Loop. La soluzione? Loop: “Ma lei che ne pensa?”.
Non è male, riflettere. Internet, computer, portatili, palmari, telefonini, produttività,
dirigenti, week end, subalterni, clienti: il deficit di analisi cresce, al quadrato della
velocità, al cubo delle distanze. Prendiamo una pausa. A scuola insegnavano a
rileggere
i
dati,
con
attenzione.
Leggiamoli,
soppesiamoli,
consideriamoli,
colleghiamoli ad altri dati. Conosciamo meglio lo spazio e il tempo. Sapere che
esistono, almeno: “E a proposito di quelle frasi: buttare fuori dalla classe?”. Ne
stavamo parlando, all’inizio della sessione. Riprendiamo il discorso, rivediamo i
tabulati. Le insegnanti dicono così, al ragazzo, davanti ai compagni,
alle loro
orecchie bene aperte. Fuori da scuola i compagni confermano, davanti ai genitori.
Missile nucleare sul geiger della madre. Stato di massima ebollizione, soglia di
sicurezza polverizzata, telefonate a ripetizione: “Vado dal direttore”, “Questa è
grave.”, “Ma come è possisbile!?”. Reazione chimica, molecolare, naturale. Portare a
un piano razionale, invitare a gestire, verificare, considerare nuovi algoritmi: “Certo
è un fatto estremamente grave, ma occorre parlarne con le insegnanti… no, non lo
faccio io, dovete essere voi a parlarne, riguarda il ragazzo, la famiglia… dovete
parlarne… chiedere… no, con calma, senza eccessi… cercare la verità, poi decidere
cosa fare… anche andare dal direttore… si, richiedere delle scuse, dipende… occorre
chiarire, sempre chiarire, prima, poi decidere…”. 24 ore, nuova sessione, riavvio del
sistema: “Scusi, signora, a proposito di quelle frasi, come è andata, con le
166
insegnanti?”.
Pausa.
Dimenticato?
Forse…
questione
archiviata.
Questione
archiviata? Curioso. Depotenziare, se il caso, ma archiviare? “Hanno detto proprio
così, in effetti…”. Una conferma, allora? Verificare ancora: “Hanno confermato di
aver detto quelle cose?”. “Si”. Baco di sistema. “E lei cosa ha fatto?”. Pausa. Il
problema è stato archiviato. Il mondo è pieno di archivi, di pratiche archiviate. In
ogni ufficio, in ogni casa. Si archiviano bollette, cartelle delle tasse, per cinque anni,
si paga, si dimentica, salvo imprevisti. Si archiviano ricordi, matrimoni, si
archiviano fatture, incidenti, si archiviano elezioni, decine di milioni di schede, si
archiviano guerre, si archiviano famigliari. Una società dedita all’archiviazione,
immane, permanente, sistematica, continua, incessante, rigorosa, meticolosa: “Nulla,
cosa dovevo fare? Ho sbagliato?”. Attendere prego. Procedura di archiviazione
interrotta: salvo, tralascio, annullo? La pratica spuntava per un lembo. Avvio
procedura di recupero pratica: “Lei è la madre, le hanno confermato delle frasi
molto pesanti, le dicono che avrebbero estromesso suo figlio dalla classe e poi lo
isolano al computer: mi chiedo se suo figlio debba fare la parte dell’intruso, del
‘diverso’.” Attendere prego. Nuovi dati in fase di registrazione, recupero archivi
avviato: “Avrei dovuto reagire? Si, certo… cosa avrei dovuto fare?… Secondo lei?
Forse dovrei parlarne al direttore?”. Il mondo nel quale viviamo è pieno di fili. Una
madre chiede cosa fare. Si registrano i seguenti dati di input: terrorismo, gulag,
tortura psichica, aggressione, mettere in ridicolo, isolare dai compagni, mortificare.
Si elaborano i seguenti dati di output: nessuna reazione. Qui base 2, hanno
167
sganciato il missile, feriti, agonia. Azione conclusa. Pratica archiviata. Cielo sereno,
tempo bello. Attendiamo istruzioni. Il peso terribile di una piccola colpa. Mondo
senza proporzioni, confusioni di punti di vista, intrecci di relazioni, strumenti di
misurazione vaghi, imprecisi, fuori registro. Altro giorno, altro giro. Il ragazzo dice:
“Vado a giocare da un amico, mi accompagna mia madre. Conosce i genitori, si…
parla con uno”. Parla con uno? Uno chi? Nulla. Messaggio di errore: per portare il
game a livello successivo occorre espletare le procedure del livello precedente. Altro
giorno, altro giro. La madre cancella un incontro. Complicazioni, con il marito.
Strane, complicazioni. Altro giorno altro giro. Il ragazzo dice: “Si mandano messaggi,
con il computer. Mia madre ha ricevuto dei messaggi, anche al telefonino, messaggi
d’amore da uno sconosciuto”. Sorpresa. Fili che si dipanano, game impazzito, salto
di livelli non previsto: “Come lo sai, li hai letti?”. “No, sentivo che ne parlavano a
letto, di sera”. “Discutevano?”. “Discutevano, ma mia madre diceva che era uno
sconosciuto”.
Viviamo in un mondo di sconosciuti. Gente ignota, traslucida, fatta di aria che
filtra gli sguardi senza proiettare ombre, un mondo di famigliari, di figli, di madri,
di padri, di amici, di insegnanti. Ognuno col suo geiger, in proprietà. E un accesso al
database, naturalmente.
168
Epilogo
(New York).
Sabato 27 gennaio 2001 Cox scende all’aeroporto di Philadelfia, noleggia
un’auto, guida lungo una strada libera e scorrevole ed entra a New York intorno alle
17.
Per prima cosa telefona a Kraus. Stabilisce un appuntamento poco distante dal
suo studio. Quindi chiama anche Zurigo, più volte, ma senza ricevere alcuna
risposta. Teme sia accaduto il peggio. Erano già arrivati fino a Ronald? Qualche
istante prima di chiamare Chris, quando ormai i giochi erano fatti, aveva telefonato
nuovamente a Ronald per lasciare nella sua segreteria un messaggio semplice e
chiaro: avrebbe dovuto inviare il memoriale a un certo giornale europeo, che
certamente non aveva fama di essere filo-americano e una copia presso una certa
casella postale.
Si ferma un attimo per osservare i curiosi riflessi della luce pomeridiana che
filtra da scorci di cielo. La luce fa giochi strani, quando è poca. Che differenza dagli
sterminati spazi che aveva visto in volo. E tuttavia anche in questa enorme
metropoli quei pezzetti di puzzle celesti emanano un proprio fascino. Sente un lieve
tepore al cuore: chiama Chris.
169
La voce di Chris non sembra calma e tranquilla. E come avrebbe potuto esserlo?
- Ho ricevuto posta – le dice Chris per prima cosa. Posta? Non solo la sua voce non è
calma e tranquilla, c’è anche qualcosa d’altro, una certa distanza… si, come se
volesse fermarlo, come se volesse tenerlo lontano. Si insospettisce e, chissà perché, il
suo pensiero va immediatamente ad Alexandra Garcia: è la “posta” a cui si riferisce
Chris? Ma non osa chiederle nulla. In una frazione di secondo si sta già
domandando perché. Qualcosa non quadra del tutto, ne è sicuro. Allora prende
forza e prosegue la telefonata esattamente nel modo in cui l’aveva tante volte
immaginata, nel corso di quel viaggio.
- Chris, ascolta, ci sono dei segreti di Stato che devono essere divulgati.
L’opinione pubblica deve sapere. Petri si è ucciso per questo! Io ho scritto un
memoriale e ho preparato un dossier. Se tutto va bene i documenti saranno
pubblici in brevissimo tempo, però le nostre vite sono in pericolo…
Chirs lo interrompe, sembra concitata. Non vuole che lui si spinga troppo in là?
Forse nutre timori eccessivi anche se, in questo caso, è necessario essere molto
prudenti?
- So tutto… Ho anche incontrato Maria, la moglie di Petri… E’ costantemente
sorvegliata, la stampa è stata imbavagliata… tutto è sotto controllo. Ho subito
immaginato che il nostro appuntamento avesse a che fare con questa vicenda.
Sappi che io sono con te… Arthur… devi proseguire, qualunque cosa accada, non ti
devi fermare! Abbiamo qualcosa da spiegare ai nostri figli e se non potremmo
170
spiegare nulla… avranno almeno un esempio sul quale riflettere... vai avanti,
Arthur, ti amo…
La voce di Chris è rotta dall’emozione, ma è anche calda e protettiva. Arthur
non riesce a spiegarsi bene il senso delle sue parole. Cox ha un istante di
indecisione. In quell’attimo una voce un po’ isterica, al titanio, si intromette
all’altro capo del telefono.
- OK mister Cox, il gioco è finito. O rientri con i memoriali o tua moglie e i
ragazzi spariranno per sempre, come il tuo amico di Zurigo... Penso che la
situazione sia chiara, o no?
In quell’istante un liquido caldo attraversa lentamente il corpo dello scienziato,
fino alle sue ginocchia, che paiono non poter reggere un
peso che perde
improvvisamente tutta la sua consistenza, mentre la mente compone incerta i tratti
del vecchio Ronald. Anche i suoi polmoni sembrano bloccati, come se il suo corpo
non sappia più che cosa farsene dell’aria vaporosa e umida della grande mela.
Faticosamente Cox rientra in auto e rimane immobile. Il traffico di New York
diventa un frattale di luci e di colori, mentre i rumori si confondono in una specie
di melodia lontana e tutto il pianeta gira, ormai, su un altro asse. Trascorrono dei
secondi, delle ore, spazi di tempo insondabili. Lo scienziato si accascia sul volante e
rimane immobile. E’ dunque finita? Povero Ronald, Intorno alla mente di Cox
orbitano le parole di Chris, alle quali cerca di aggrapparsi come all’appiglio di una
parete. Il vuoto scava nel suo animo voragini profonde e spaventose, mentre cerca
171
disperatamente di tornare alla luce pomeridiana. Rientrare con i memoriali, pensa
a un tratto, equivale a consegnare la vita di tutti, la sua, di Chris, dei ragazzi.
Capitolare è morire, dapprima nell’anima, quindi nel corpo. Oppure, si chiede
rapidamente Cox, significa salvare le vite che sono ora nelle sue mani? E poi, come
avrebbero vissuto? Forse davvero l’unica strada è andare fino in fondo. Cox pensa
che i giochi non siano finiti, ne era intimamente convinto. In entrambi i casi, lo sa,
non ci sarebbe stata alcuna garanzia e ora non ha nemmeno il tempo di riflettere.
Un groppo alla gola, come un macigno, piomba verso l’esofago spezzandogli lo
stomaco in un urlo lancinante. Urla, lo scienziato, chiuso nell’abitacolo di
quell’auto. Urla a lungo, disperatamente, poi piange forte, singhiozza, per liberarsi
di un peso orribile. Infine stringe il volante e si guarda le scarpe, il piede si muove,
automaticamente e meccanicamente leva la chiave dal cruscotto, agguanta il
soprabito ed esce. Si dirige verso il luogo dell’appuntamento con Krauss, mentre il
suo cuore sanguina e nella sua mente prendono forma i contorni dell’ospedale nel
quale Chris diede alla luce Filippo. Rivede scene che credeva dimenticate, perdute
nell’immensa ridda di ricordi sfumati, dalla quale emergono i particolari più
accurati, i dettagli più insignificanti. La pellicola si snoda lungo l’asse del suo
cammino, verso l’appuntamento con Kraus. E’ ancora stordito quando ne riconosce
la grossa sagoma, laggiù, all’angolo tra la 34° e la 6°. E’ ancora stordito quando vede
quel corpo grande e grosso dapprima venirgli incontro con un largo sorriso e la
mano levata per accoglierlo e quindi accasciarsi lentamente sul selciato, la bocca
172
contratta da una smorfia di stupore. Non è neppure molto distante quando i suoi
occhi si fermano attoniti sul piccolo rivolo rosso che trabocca dal marciapiede per
riversarsi sull’asfalto. Ed era ancora stordito quando, uno dopo l’atro, quattro caldi,
piccoli e velocissimi oggetti lucidi stroncano per sempre la sua angoscia e i suoi
pensieri. Non si rende conto della poca distanza che ancora lo separa da Kraus, non
può neppure immaginare a quale breve tratto dal corpo del suo vecchio amico sta
crollando anche il suo, inerte. I frattali assorbono tutto, lì intorno, compreso se
stesso, la sua mente, i suoi pensieri, il suo respiro e, da ultimo, le belle immagini di
lei e dei suoi ragazzi.
***
Forse sarà stato il suo sesto senso professionale, forse un semplice istinto di
sopravvivenza. Prima di uscire Kraus aveva chiamato quel giovane e promettente
avvocato. Sotto i suoi occhi aveva aperto il pacco che teneva sulla scrivania, ne
aveva scorso brevemente il contenuto, ne aveva riprodotto qualche fotocopia che
aveva
rinchiuso
nella
cassaforte,
affidando
l’originale
al
suo
giovane
e
intraprendente collega, affinché lo consegnasse subito e personalmente, al giornale
più vicino. Quindi aveva cacciato nella sua borsa di pelle italiana un fascio
qualsiasi di giornali ed era infine uscito, lasciando un bigliettino sulla scrivania.
Sapeva di compiere la sua ultima azione.
***
173
Chris organizzò per suo marito un funerale sobrio ma significativo. C’era la
banda della scuola di Marceau, molti amici e moltissima gente che era giunta da
tutti gli Stati americani. Poco per volta la folla si ingrossò, fino a diventare una vera
e propria fiumana silenziosa e raccolta. Nessuno parlava. Numerose persone
sfilarono per due ore nel piccolo cimitero di Austin, ogni tanto si gettavano
un’occhiata l’un con l’altro, mentre i figli e la moglie restavano immobili, di fianco
al cippo bianco. Nutrivano la loro anima con gli sguardi carichi di umanità, che
ciascun membro di quella strana folla trasmetteva al suo passaggio.
Chris e i ragazzi non subirono altre minacce, la loro vita ormai non aveva più
importanza, nessuno li avrebbe molestati. Da quel momento l’intero pianeta aveva
altro di cui occuparsi.
174
Memoriale
(Velivolo di osservazione. Materiale d’archivio).
Sabato 27 gennaio alle 20,30 uscì l’edizione speciale che pubblicava tutti i
documenti del memoriale con alcuni commenti. La pubblicazione del memoriale fu
un colpo terribile per il governo USA e poi per tutti gli altri. I suoi famigerati piani
terroristici vennero alla luce. Furono coinvolti tutti i governi del pianeta e le più
note istituzioni politiche
e sociali (fu anche rinvenuta – ma non si riuscì mai a
stabilire la fonte - una videocassetta che conteneva la registrazione di un intervento
su un corpo alieno avvenuto qualche giorno prima presso la NASA e quella di una
recente riunione che si era tenuta nello studio ovale del presidente degli Stati
Uniti). L’opinione pubblica mondiale fu profondamente colpita. Il memoriale era
diviso in due parti. La prima conteneva circostanziate descrizioni del progetto
Saturno, della sua équipe, delle azioni intraprese, degli esperimenti organizzati,
verbali di riunioni, spesso rimandando ai documenti ufficiali che erano allegati. La
seconda parte presentava le motivazioni che spinsero lo scienziato a denunciare il
progetto e a scrivere questo memoriale. Qui pubblichiamo alcuni stralci di questa
seconda parte.
175
(…) “La società attuale si presenta
come
una
immane
sovrastruttura.
Sovrastruttura che opprime con le sue convenzioni, le sue regole illogiche, la sua
pretesa razionalità che trae origine dai più profondi vuoti irrazionali. Sovrastrutture
che sono come la nebbia pesante che nasconde alla vista la realtà vivente dei fatti,
il senso delle cose più vero e profondo. Sovrastrutture di codici di comunicazione, di
protocolli di lavoro, di terreni e quadri comuni artificiali che impediscono a ogni
individuo di trovare la sua posizione, di appropriarsi del suo tempo, di negoziare
liberamente il suo spazio con gli altri individui, di ogni razza, di ogni nazionalità,
qualunque sia la loro cultura, le loro origini, il loro tragitto. La società attuale è
composta da una immensa mole di cose e di fatti, con i quali ogni giorno entriamo
in relazione, ma con i quali ogni giorno è sempre più difficile stabilire delle relazioni
naturali, dato che sono a noi sottratti e rimanipolati per esserci ripresentati sotto
forma di informazioni, di eventi, tutti sistematicamente scanditi dalla monotonia
incalcolabile del telegiornale e della sua voce artefatta e stridula.
La società attuale nasconde le cose, le cambia, ne modifica la natura, costruisce
un inganno permanente per le nostre intelligenze, per i nostri sensi. Ciò che noi
chiamiamo immagini sono semplicemente icone di questi giochi, proiettati nella
più pura astrazione e presentati come i veri, i reali e gli inconfondibili meccanismi
che regolano la nostra esistenza sociale e individuale. Io non so cosa sia realmente
la realtà, non so neppure cosa occorra per eliminare questa inerzia che tuttavia
impedisce di vederla per quello che è. Non so attraverso quale strada si possa
176
cambiare. Ma certo non è più possibile continuare per quella vecchia. L’antica rotta
è stata un colossale inganno, disvelato, a volte, ma riprodotto per tutto il resto
dell’esistenza. Ora mi si presenta l’occasione di cogliere un senso profondo, se esiste.
Voglio almeno sapere se c’è, prima ancora di sapere quale esso sia. Perciò ritengo che
l’abbandono, da parte mia, di tutto ciò che nella mia esistenza è servito a tracciare i
binari della professione, della ricerca scientifica, dell’isolamento dal mondo, abbia
un valore generale anche per altri.
Non ho ricette da suggerire, non posseggo prospettive da mostrare. Ma posso
dire, con cognizione di causa, che non è più possibile procedere oltre. Occorre
fermarsi. Occorre azzerare. Dobbiamo partire da zero per poter ricostruire il pianeta.
Occorre azzerare tutto. E’ questo ciò che penso. Chris, per tutta la vita mi ha
trasmesso la sua enorme passione per l’arte, mi ha messo in contatto con gli
invisibili segreti di Giotto e di Paul Klee, delle icone russe e dei cavalli di Paolo
Uccello, Chris, con i suoi occhi color deserto capaci di riflettere, nelle oasi battute
dal vento e dal sole, i disegni dei magrebini unti dai couscous che colavano dalle
ciotole, Chris mi ha portato nel mondo dei Futuristi che bramavano la guerra per
ripulire la crosta terrestre da milioni di anime vuote e senza corde vocali che la
plasmavano come fosse argilla (e in quello contrario di Dada che trasformava con i
collage la comunicazione ufficiale svelandone l’intima falsità). Io ora posso dire che
costoro avevano ragione e torto. Avevano ragione nel voler azzerare, cancellare e
ripulire, avevano torto nel cercare la loro strada nel macello dei popoli, dal quale
177
sono usciti indenni, per ben due volte, proprio coloro che avrebbero dovuto portare
i segni delle prime e uniche vittime del nettoyage. In ogni caso tutto deve essere
azzerato, non c’è nulla da salvare e quel poco di buono che potrebbe perire
nell’immensa agonia del male non sarebbe che un elemento trascurabile di fronte
all’enorme energia creativa che si sprigionerebbe dall’umanità, finalmente liberata
dalle sue catene e dai suoi vincoli.
Cambiare non è un verbo che indichi, in queste circostanze, il senso preciso di
ciò che penso sia necessario fare. E’ un verbo troppo flebile di fronte ai compiti che
si impongono, un verbo insufficiente, inflazionato, corrotto. Rivoluzione è un
sostantivo eccessivamente idealista, che vive nei substrati inconsci della memoria
dei popoli unito al tradimento che segue la speranza riposta nei cambiamenti
radicali. Quali altri termini ci offre il vocabolario? O forse, quale lingua presenta i
migliori vocaboli per definire quell’azione meccanica che porta il destino nelle mani
dell’umanità? Provvisoriamente propongo di utilizzare il verbo AZZERARE. Azzerare
implica una serie di azioni molto drastiche e definitive, per esempio: cancellare,
eliminare, sopprimere, distruggere, ma allo stesso tempo le attenua nell’istante
stesso in cui offre una prospettiva, riferendosi ad azioni quali: continuare, ripartire,
ricominciare, proseguire, progredire. Distruggere sembra forte, forse? Ma cosa è
realmente concepibile al di fuori di una distruzione che ci permetta di ricavare
dalla cenere nuovi elementi primordiali di costruzione? Da fisico posso dire che la
cenere non è altro che una delle forme che assumono i composti nel corso della loro
178
trasformazione. Trasformazione che potrebbe apparire radicale, drastica, ma che in
realtà lascia intatti i componenti atomici essenziali della materia, potendo così
forse intendere che il trauma è meno lieve, che non si tratta di creare nuove
particelle ma di inventare nuovi composti, produrre nuove associazioni. Lo
spettacolo immenso della natura che da pochi elementi originari produce gli
ammassi stellari che osservo ogni giorno e l’infinitesamente piccolo, al quale ogni
volta cerchiamo di arrestarci come davanti a un limite raggiunto, non è altro che
ricomposizione, continua ricomposizione e trasformazione della materia, delle sue
quantità, delle sue qualità, dei loro rapporti reciproci. Non è dunque la materia che
ci manca, non sono neppure le idee perché sfido ogni individuo del pianeta ad
affermare che non possiede alcuna idea sulle modifiche urgenti e necessarie da
apportare alla sua esistenza. Che cosa manca allora? Questo è il problema. Come
facciamo a saperlo? Come possiamo trovare la soluzione, se non sappiamo neppure
da quante incognite è composta l’equazione della nostra vita? Per questo occorre
innanzitutto azzerare, cancellare, liquidare. Perché dobbiamo poter cercare, senza
ostacoli, la strada o, se preferite, le strade, per essere certi che siano le nostre strade,
da noi liberamente scelte. Prima ancora di stabilire dove arrivare dobbiamo sapere
da dove partire, ma la società attuale ci appare come troppo complessa ai nostri
occhi, come troppo aggrovigliata nell’effimero, come un tremendo inganno visuale e
sociale dove ciò che realmente è pesante ci viene mostrato come la componente
aerea e leggera del composto sociale e ciò che davvero è senza importanza e privo di
179
senso
viene
posto
al
centro
dell’attenzione
planetaria
come
significativo,
determinante e quindi opprimente, nella sua pesantezza.
(…) Dunque occorre innanzitutto sgombrare il campo. Come quando ci
rendiamo conto di avere svolto una ricerca sbagliata per molti anni, di aver perso
tempo inutilmente e allora siamo indecisi e restii ad abbandonare tutto per
imboccare un’altra direzione, vorremmo conservare ancora qualche elemento,
abbiamo difficoltà a dire che non c’è nulla di buono in ciò che abbiamo fatto, se
non altro perché abbiamo ricevuto dei finanziamenti e non sappiamo se ne
troveremo altri. Eppure, quando ciò avviene - e io stesso mi sono trovato a volte in
questa situazione - la scelta più giusta è sempre stata quella di ripartire da zero, di
formulare nuove ipotesi, di sbarazzarmi di quelle vecchie, di intraprendere nuovi
tentativi. Chiedo: perché ciò che è valido nella ricerca scientifica, in ciò che io
stesso, con la mia esperienza ho provato, non dovrebbe più esserlo su una scala
sociale? Perché anche sul piano sociale non possiamo procedere per tentativi, senza
timore di sbarazzarci del cammino precedente? Io rivolgo questa domanda a tutti
coloro che leggeranno questo memoriale e la fisso nell’inchiostro di queste parole. La
mia risposta è che non esiste alcuna ragione importante. Non ci sono giustificazioni.
Dobbiamo intraprendere nuovi tentativi, imboccare nuove strade, fare nuovi
esperimenti sociali. Perciò non c’è alternativa: occorre azzerare tutto, cancellare,
liquidare, per poter di nuovo ripartire. In caso contrario ogni partenza sarà sempre
restare al medesimo posto, sarà solo un’illusione, un viaggio immaginario, un nuovo
180
e ulteriore distacco dalla realtà. Che importa se i governi crolleranno, se le economie
andranno in pezzi, se le convenzioni e perfino il termine stesso di convenzione,
saranno disarticolate e completamente prive di senso? L’umanità tornerà al suo
stadio più primitivo? Io penso che, se saranno liberate, le sue energie e le sue
potenzialità potranno finalmente manifestarsi alla luce del sole, mettendoci nella
condizione di creare qualche cosa di umano. In ogni caso vale la pena correre il
rischio, che altro abbiamo da perdere, oltre agli anelli d’acciaio che ci legano a
questa società infame e ingiusta? So che forse quello che io stesso ho fatto, ho deciso
di fare, può non essere considerato molto e forse non è davvero un grande passo
avanti. Ma da quando ho deciso di spezzare un anello, neppure il più importante di
questa catena ininterrotta e opprimente, sento di avere a disposizione un’energia
creativa del tutto nuova che mi porta a riconoscere facilmente le cose che faccio.
Sto generalizzando un’esperienza personale? Sto facendo astrazione? Non lo so, ma
intanto è già qualcosa. Ripeto: occorre azzerare il mondo nel quale viviamo,
compresa la sua tecnologia e i suoi oggetti. Una immensa opera creativa di design
sociale ci attende: si tratta di mettere mano, finalmente, davvero, alla nostra vita.”
Arthur Jhon Cox, fisico nucleare, membro dell’équipe del progetto Saturno, responsabile del reparto ricerche
biologiche, Austin, Texas, 21 gennaio 2001
181
Un anno dopo
(Velivolo di osservazione. Materiale di archivio).
“L’irresistibile fascino del memoriale Cox: bilancio di un anno”, New York Times, 27
gennaio 2002, qui proposto in alcune parti, è un articolo particolarmente
interessante per il modo con cui affronta, a un anno di distanza dalla morte di Cox,
il ruolo avuto dal suo memoriale nelle vicende che scossero il pianeta.
“A un anno esatto dalla morte di Cox il suo memoriale sembra la cosa più
vitale di questo pianeta. Circola manoscritto, fotocopiato, in versione digitale,
tradotto, ormai, in 75 lingue e idiomi. Ovunque se ne parla e se ne discute e
ovunque avvengono cambiamenti impensabili. Sembra che agli abitanti dei cinque
continenti non interessi altro, siano essi pellegrini in visita alla Mecca, raccoglitori
di perle tailandesi, studenti di Harward oppure orologiai svizzeri. E’ come se poco
per volta i meccanismi vitali della nostra società saltassero, lentamente ma
inesorabilmente, uno alla volta. Il fatto che non ci sia più un presidente negli USA
sembra non interessare nessuno, come le riunioni del Congresso, che produce leggi
senza che queste vengano neppure lette. Si può stare senza presidente, senza
Congresso, senza istituzioni? Anarchia diffusa eppure, sorprendentemente, non
182
caotica. Sono costernato da ciò e un mio bilancio partirebbe necessariamente dalla
sorpresa che mi accompagna da un anno a questa parte. Questa completa perdita
di fiducia nei confronti dell’Establishment, che non sembra affatto diminuire, ma
che ogni giorno produce comportamenti sempre nuovi e inaspettati, non provoca
caos. All’inverso, produce una dissoluzione, direi serena e tranquilla, senza che al
suo posto sorga alcunché. Intere strutture si disfano. Si disfano e basta. Il “nulla”
sembra avanzare senza provocare il più
piccolo
panico.
E’ come
se
una
inconsapevole tranquillità sociale si fosse impadronita della gente comune, in
massa.
(…) Che aziende come IBM, APPLE, SONY, UNILEVER, MICROSOFT, GENERAL
MOTORS, SHELL, ecc. non abbiano più azioni, conti correnti, agenti di borsa,
avvocati, siano rimaste praticamente senza uffici, eppure continuino a sfornare
prodotti e a distribuirli, può sembrare assurdo ma la realtà dei fatti è questa. La
gente si porta a casa il televisore saldato nel cestello di una lavatrice e lo piazza in
ingresso. Questo apparecchio della Sony è diventato un oggetto di culto mentre gli
schermi a 16:9 si trovano solo nei cassonetti dell’immondizia e i DVD si raccolgono
nei prati, utilizzati come i vecchi frisby. Quanto ci ha impiegato la televisione a
scomparire dalla scena? Le prime che hanno smesso di parlare del Memoriale Cox
sono state anche le prime a essere prese di mira e chiuse, definitivamente. Quando è
successo? Forse neppure dopo un paio di settimane dalla morte di Cox stesso. Ci si
poteva aspettare una reazione di questo genere? Io stesso devo ammettere che non si
183
sta male senza televisione e lo dice uno come me, per il quale i telegiornali e le
agenzie erano il suo pane quotidiano. Non si può evitare di dirlo: forse ci stiamo
disintossicando. Forse questi comportamenti sociali, che continuano ad apparire
come i più strampalati e irrazionali, in fondo sono solo l’opera di una grande e
inconsapevole disintossicazione. Per esempio come avrei potuto immaginare di
vivere completamente senza denaro? Entrare in un posto qualunque e prendere ciò
che mi occorre e anche ciò che mi piace, è davvero eccitante, divertente. Se prima
riflettevo sulla quantità di denaro che guadagnavo e sul modo migliore di
spenderla, ora posso concentrarmi sui miei gusti, i miei interessi, le mie necessità. In
fin dei conti se il denaro è sparito dalla circolazione non c’è neppure bisogno di beni
di consumo sostitutivi. Posso pensare con naturalezza ai miei interessi, ai miei gusti.
Questo lo trovo affascinante.
(…) Certo, inizialmente mi è spiaciuto che il giornale fosse ridotto al punto in
cui è ora. Una volta al mese è un appuntamento molto diluito. Se penso ai ritmi
infernali del quotidiano! D’accordo, erano anche molto stimolanti, ma è anche vero
che tutto si concludeva nel consumo continuo di eventi, una rincorsa senza fine
verso il nuovo accadimento. E poi, se penso che in effetti di tutte quelle pagine non
c’era questo gran bisogno… la cosa mi sembra inverosimile! E non riesco neppure
realmente ad abituarmi al fatto che la gente ora legga i giornali, li legga per
davvero, non solo qualche titolo e sottotitolo. Addirittura che rilegga più volte lo
stesso articolo, lo commenti, ne discuta in giro, mi scriva la sua opinione e io ne
184
tenga conto, come sto facendo ora, mentre cerco di impostare il bilancio di un anno
del Memoriale Cox. Io stesso devo fare molta più attenzione quando scrivo. Non
posso buttare giù gli articoli infarcendoli di
trucchi
stilistici
e
semantici,
circonlocuzioni, ipotassi, metafore, insomma ricorrendo ai ferri del mestiere. Ora si
presta attenzione ai contenuti, soprattutto, al senso. Si, devo dire che questa
situazione aumenta l’importanza di ciò che scrivo, valorizza il mio lavoro.
(…) Possiamo parlare di arte, per esempio. Di tutti quei voli che da tutto il
mondo partono per l’Italia. Ma non è una moda, come in altri tempi. Non saprei
come definirla questa esplosione di interesse per l’arte. Probabilmente anche questo
è un effetto del Memoriale Cox: chi è Paolo Uccello? Basta prendere un aereo e
andarlo a vedere a Firenze o da qualche altra parte. Una gentile signora mi ha
scritto che agli Uffizi, anni addietro, aveva fatto una coda di quattro ore che le era
parsa insopportabile, snervante. Ora la coda è durata una settimana! E’ dovuta
partire da Lastra Signa e piano piano è giunta agli Uffizi. Eppure questa volta la
signora era felice, incurante di aver dormito all’aperto, di non essersi lavata, felice,
insomma. Perché sta avvenendo questo? Cosa ci sta capitando? Possibile che il
memoriale produca questi effetti?
(…) Ho combattuto le idee del memoriale fin dall’inizio, pensavo che proteggere
il governo degli Stati Uniti fosse più importante che diffondere il memoriale di uno
sconosciuto, seppure uno scienziato. Ora sono costretto a constatare che le cose non
sono esattamente come credevo in quelle prime settimane. Non so dirvi davvero
185
come siano, certo è che questi cambiamenti non mi dispiacciono del tutto, anzi,
devo confessare di non avere critiche importanti da avanzare nei loro confronti.
Vorrei solo cercare di capirli. Vorrei sapere cosa c’era dentro la mente umana di
miliardi di individui, se poi tutto questo sta avvenendo. Evidentemente covava da
tempo qualcosa. Alcuni sostengono che si trattasse semplicemente della natura
umana, intrappolata in qualche labirinto mentale che si è infranto alla prima
occasione. Può darsi, certo. Ma resta sempre un mistero. Per esempio pensate alla
fine,
lasciatemi
scrivere
ingloriosa,
davvero
ingloriosa
e
anche
ingiusta,
profondamente ingiusta, dell’automobile. Un prodotto che ha richiesto decenni di
studi, di fatiche impensabili, i sacrifici di milioni di famiglie, un prodotto che ha
catalizzato la nostra vita assumendone il ruolo di vero e proprio perno, chiave di
volta della società: ora letteralmente scomparso, sparito, dissolto nel nulla! Ho molti
amici tra i dirigenti della General Motors e nella mia famiglia ci sono tra i più
conosciuti e importanti agenti di borsa della Crysler e della Mercedes americana. Da
mesi li trovo a spasso per il Central Park (ormai è diventato il ritrovo dell’ex mondo
di Wall Street), stravaccati sotto gli alberi, succhiano le bibite dalle cannucce,
chiacchierano. E sapete di cosa parlano? Dei sogni che fanno quando dormono sotto
le piante, dei paesi che hanno visto e che vorrebbero vedere, insomma di viaggi,
viaggi reali o immaginari, comunque di viaggi. Qualcuno ogni tanto parte e poi
torna per raccontare, per confrontarsi con qualcun’altro che ha visto lo stesso
identico luogo. Allora inizia un’analisi serrata, minuziosa, nella quale ogni
186
particolare viene esaminato, descritto, rivisitato. Così, per il puro piacere di
discutere e di conoscere. Per loro che si esprimevano a gesti nel casino infernale delle
quotazioni… Quando assisto a scene come quella che ho appena descritto, mi dico
che sarà impossibile tornare come eravamo. Qualcosa è definitivamente saltato e
allora mi trovo anch’io a guardare con una certa pena i resti del vecchio mondo
che, prima o poi, mi sembra ormai del tutto inevitabile, saranno destinati a
scomparire definitivamente.
(…) Avete presente la grande Bayern, in Germania, che ha messo a punto una
massiccia ristrutturazione del personale e il giorno stesso dell’avvio dell’operazione
tutti i dipendenti sono usciti dagli uffici e dai luoghi di produzione e sono spariti,
letteralmente. Mai più nessuno si è ripresentato. Ora la Bayern non esiste più e con
lei è scomparsa anche l’aspirina. Per noi americani è stato un duro colpo,
inizialmente, ma poi abbiamo scoperto altri prodotti più interessanti. Io, per
esempio, ho trovato la liquirizia. Ci sono dei bastoncini deliziosi, che assaporo
tenendoli tra la guancia e i denti, masticandoli ogni tanto.
(…) Sono sempre stato una persona aperta, di grandi orizzonti culturali e
tuttavia provavo un senso di fastidio nei confronti di questa continua immigrazione
nel nostro paese. Ogni giorno gente che giungeva dal Messico, dall’Europa, tutti in
cerca di lavoro, di fortuna e poi i ghetti scoppiavano, mentre era impensabile che
l’America riuscisse a garantire le aspettative di tutti quanti. Cosa dovrei dire ora che
intere tribù dei villaggi più sperduti, dalla foresta amazzonica alle steppe
187
australiane, dalla savana del Kenya ai più nascosti e misteriosi anfratti del Congo,
giungono da noi, o in altre nazioni e ti trovi a camminare fianco a fianco con un
gruppo di guerrieri scalzi, tatuati in tutto il corpo, protetti da enormi maschere di
ebano scuro? Cosa dire dei suoni delle canzoni dei Beatles che si mescolano alle urla
di caccia, stridule e acute, dei pigmei del Borneo e ai rintocchi del Big Bang, per le
vie di Londra? O forse è più normale accettare le partenze improvvise di ex ricchi
rancheri e petrolieri del Texas per l’equatore e Cylon, per la Siberia e la Patagonia?
Rientra più facilmente nella logica del “mollo tutto” che tante volte abbiamo
esplorato al rientro dai week end? Eppure non si tratta della stessa cosa. Piuttosto
sembrano mettersi in moto richiami atavici, ancestrali. Richiami che ricordano gli
occhi socchiusi della leonessa e le orecchie tese della zebra, la sua preda. C’è
qualcosa di istintuale che gli assomiglia, qualcosa di noto. Questo qualcosa si è
liberato dall’animo del nostro texano, di quel petroliere, dell’agente di borsa
stravaccato al Central Park, dell’impiegato, dell’uomo comune, dell’operaio. Un
richiamo o un istinto, non saprei, forse una natura, che non sembravano neppure
esistere, mentre invece esistevano eccome! Ecco, se dovessi fare un bilancio, direi che
fra tutte, questa è la cosa che mi ha più colpito, in questo anno. Scoprire che esiste
un richiamo, un istinto del quale non avrei mai sospettato l’esistenza.
(…) Non mi colpiscono tanto i cambiamenti. I cambiamenti fanno parte della
storia dell’uomo. Non importa che fine abbiano fatto le automobili, le aspirine, i
computer, il denaro, o cos’altro ancora. Non è questo il problema. Il punto è come si
188
manifesta questa natura, come ha fatto a emergere e a diffondersi, quanto è
radicata, da cosa è determinata. Queste, penso, sono le cose per le quali vorrei
trovare delle risposte.”
Roberto Scott Fitzgerald, “L’irresistibile fascino del memoriale Cox: bilancio di un anno” New York Times, 27
gennaio 2002
189