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Marco Cassardo
Un uomo allegro
Romanzo
capitolo i
Il giorno del suo quarantottesimo compleanno, Giorgio Boe
si svegliò con una fitta al testicolo destro.
Abbassò la mano e iniziò a tastare, prima lentamente, poi più
forte. Niente di guasto: la dimensione era identica a quella del
sinistro. Accese l’abat jour, tirò via la coperta e puntò la luce
sul coglione. Perfetto, era di un bel rosa. La mano rimase lì,
continuò a massaggiare. L’erezione si confuse con la fitta, era
dolore o piacere?
Immaginò Alice sopra di lui, gli dava da succhiare i capezzoli
e lo copriva con i capelli. Su e giù in una danza torrida, Boe le
diceva sei una gran donna, lei gli chiedeva di dire cose sporche,
lui diceva hai delle belle tette, lei diceva no, qualcosa di più.
«Avete visto i miei jeans?» In corridoio la voce metallica di
Dustin frantumò il silenzio.
Una tapparella si sollevò con un rumore secco. Anita disse:
«Poco casino, stamattina non sono dell’umore giusto».
«Neanche io», si accodò Marlon.
Boe ritrasse la mano. Immobile nel suo letto a una piazza,
stette ad ascoltare il risveglio della famiglia.
Una nuova fitta lo fece sussultare. Cosa mi succede? Proprio
oggi?
Riprese a far muovere Alice sopra di lui, le stringeva i fianchi, è da una vita che ti volevo qui.
Dalla cucina si levò una melodia di cucchiaini, fette biscottate e tazze sbatacchiate. Anita accennò a una giornata impegnativa in studio: «I bambini sono un disastro, per convincerli
a farsi mettere il trapano in bocca ci vuole un mago». Anche
per Marlon si prospettava un brutto lunedì: «In Assolanum
arrivano quelle teste di cazzo del controllo qualità». Dustin
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non disse nulla, ma quando la madre gli domandò del compito
in classe di latino fece una specie di muggito.
Chiuso nella sua stanza, Giorgio continuava a darsi da fare
con la mano serrata sul membro. Poi le sedie si mossero, le
tazze finirono nel lavello e venne il silenzio.
Boe si fermò, alzò leggermente il capo e con la mano libera sollevò la coperta fino al collo. Gli parve di udire alcuni
bisbigli, poi più niente, poi i bisbigli crebbero di intensità e
divennero un ronzio. Non ebbe tempo di capire, né di pensare. All’improvviso la porta si aprì e apparvero Marlon e Anita.
Stavano fianco a fianco. In mezzo a loro, un paio di passi dietro, il testone ricciuto di Dustin. Boe tolse la mano di scatto e
si sporse. I due iniziarono ad applaudire, ridere. Marlon disse:
«Ehilà, vecchio». Anita disse: «Fratello, il tempo passa anche
per te».
Iniziarono a cantare: «Tanti auguri a te, tanti auguri a te, tanti
auguri allo zio…» Boe indietreggiò e si appoggiò alla testiera.
Uno alla volta, si avvicinarono per baciarlo. Prima la sorella:
lo abbracciò forte e lo baciò sul naso. Poi toccò al cognato, gli
strinse la mano e gli diede un paio di pugni leggeri sul petto.
Infine il nipote, arrivò lento e gli allungò un pacco rosso.
Boe disse: «Che bella sorpresa».
Marlon aggirò il letto e andò a sollevare le tapparelle: «Un
po’ di luce, sembra la stanza di un infermo. Cos’hai? L’Ovina?»
Boe prese a scartare il pacco, il cuore gli batteva forte, ringraziò Dio di essersi nascosto con la coperta: lui e Alice, questa volta, avevano rischiato grosso. Stracciò il nastro. Un bel
pigiama di seta verde, gli avevano regalato un bel pigiama di
seta verde.
Disse grazie in tutte le direzioni, fece dei gesti con le mani
come per salutarli o esultare, non si capì, quel che è certo è
che non si alzò. Un po’ perché il testicolo aveva ripreso a farsi
sentire, un po’ perché temeva che i resti dell’erezione lo tra-
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dissero.
La sorpresa del regalo fu un intermezzo rapido. Boe stava
ancora tastando il tessuto del pigiama quando il ragazzo uscì.
Anche Marlon e Anita schizzarono in direzioni diverse: uno
verso il bagno, l’altra verso la camera da letto.
Cinque minuti, e la casa si svuotò.
Pensò di sbrigare la pratica con Alice, ma la luce violenta che
filtrava dalla finestra e il testicolo dolente lo dissuasero. Si limitò ad accarezzarsi ancora un po’ chiedendosi da dove venissero
quelle fitte. Sforzi non ne aveva fatti, colpi non ne aveva presi,
che diavolo sarà mai?
Si alzò lento e guardò Massimo Ranieri. Il poster occhieggiava di fronte al letto.
La camera di Boe era spoglia: un armadio bianco a tre ante,
un tavolino di legno rettangolare al centro, due poltroncine
sotto la finestra, un vecchio televisore ventiquattro pollici e un
tavolo da lavoro. Oltre a Ranieri, appesi alla parete c’erano un
quadro con Toro Seduto e un altro poster: Uma Thurman e
John Travolta che ballano una di fronte all’altro in ‘Pulp Fiction’.
Boe fece una doccia accurata, si tagliò le unghie di piedi e
mani e spazzolò a lungo i denti fissando allo specchio i suoi
occhi castani. Aggrottò le ciglia alla ricerca di un’espressione
profonda. Concluse pettinandosi i capelli delle tempie, gli unici rimasti.
Tornò in camera dopo mezz’ora. Amava il silenzio del mattino, gironzolare nudo per casa. La scelta dell’abito non fu
difficile. Aveva deciso tutto la sera prima. Prediligeva nuance
classiche e dettagli vivaci. Indossò un gessato blu e una camicia
bianca con colletto alla francese, largo, con l’angolo quasi piatto formato dalle punte. Delegò alla cravatta l’incarico di manifestare la sua vitalità: optò per un tessuto rosa, primaverile.
Quando fu pronto, fece un paio di vocalizzi per riscaldare
la voce e accese il computer. Andò sul sito Miracoloamilano.
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Aprì la posta, in arrivo non c’era niente e Alice non era in chat.
Andò su ‘Crea messaggio’ e scrisse ad Alicecuore:
Se anche avessi voluto, questa mattina non avrei potuto amarti. Tuo Giorgio.
Guardò l’ora, venti minuti di autobus lo separavano dall’appuntamento. Il provino era alle dieci.
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