FRANCESCO BACONE La vita e le opere

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FRANCESCO BACONE La vita e le opere
FRANCESCO BACONE
La vita e le opere
I temi fondamentali della riflessione filosofico-scientifica della prima età moderna – il rifiuto
del principio di autorità e l’elaborazione di un nuovo metodo di indagine – si ritrovano nel
pensiero del filosofo inglese Francesco Bacone (nome italianizzato di Francis Bacon), il
cui intento speculativo è la definizione di strumenti concettuali adeguati alle esigenze dei
tempi nuovi.
Bacone nasce a Londra nel 1561, secondogenito del Lord guardasigilli della regina
Elisabetta I; studia a Cambridge, quindi passa circa tre anni a Parigi, al seguito
dell’ambasciatore inglese in Francia, avviandosi alla carriera diplomatica; ma la morte
improvvisa del padre lo richiama in Inghilterra, dove si dà all’avvocatura. Nel 1581, appena
ventenne è eletto al Parlamento e inizia, sotto la protezione del conte di Essex, favorito di
Elisabetta, una carriera politica che lo porterà più tardi ai massimi livelli.
Ambizioso e spregiudicato, Bacone mira a rafforzare la sua posizione guadagnandosi
l’appoggio della sovrana; così non esita a sostenere la parte della pubblica accusa contro
il conte di Essex, caduto in disgrazia, incriminato per alto tradimento e poi condannato a
morte. L’abbandono del suo protettore gli aliena parecchie simpatie, ma Bacone si difende
invocando la propria lealtà verso la corona.
Insieme all’ambizione lo spinge la volontà di attuare una vasta riforma culturale a cui sta
lavorando e per la quale ha bisogno dell’intervento dello stato, dunque dell’appoggio della
monarchia, ma le sue aspirazioni riformiste restano incomprese e Giacomo I, il successore
di Elisabetta, non gli concede i finanziamenti necessari.
Sotto Giacomo I, comunque, l’ascesa di Bacone continua in maniera brillante: avvocato
generale nel 1607, procuratore nel 1613, Lord guardasigilli nel 1617 e infine Lord
cancelliere nel 1618; nello stesso anno viene insignito del titolo di barone di Verulam e
l’anno successivo diventa visconte di Saint Alban.
Ma al culmine del successo, nel 1621, è accusato di avere compiuto delle irregolarità nella
concessione di alcuni monopoli e sottoposto a un’inchiesta per il suo lavoro alla
Cancelleria. Di fronte alle accuse di corruzione, Bacone riconosce le proprie
responsabilità, è quindi condannato a un’ammenda e all’interdizione perpetua dai pubblici
uffici.
Viene imprigionato, ma solo per pochi giorni, grazie al favore di cui ancora gode presso la
corte, che gli fa ottenere una parziale revisione della pena. È comunque costretto a ritirarsi
a vita privata; i suoi ultimi anni, fino alla morte avvenuta nel 1626, sono dedicati alla
riflessione e alla scrittura.
All’attività pubblica Bacone intreccia un intenso lavoro di ricerca teorica, di cui
testimoniano i suoi molti scritti. Nel 1597 escono i Saggi (poi ampliati nel 1612 e nel 1625),
brevi scritti sull’agire umano in diverse occasioni, destinati alla formazione del giovane
gentiluomo.
Tra il 1602 e il 1603 scrive il Parto maschio del tempo (Temporis partus masculus) in cui
critica la tradizione filosofica antica e medievale, invocando la costruzione di un nuovo
sapere scientifico. Questi temi sono poi approfonditi negli anni successivi, soprattutto in
due testi pubblicati postumi: Cose pensate e cose viste (Cogitata et visa), del 1607, dove
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propone un nuovo metodo di indagine in cui si esercitano congiuntamente l’osservazione e
la riflessione; La confutazione delle filosofie (Redargutio philosophiarum), del 1608, dove
rimprovera alle filosofie del passato di non avere prodotto una conoscenza capace di
prevedere e governare i fenomeni naturali.
Sono invece pubblicati due scritti del medesimo periodo, rispettivamente sulla Dignità e il
progresso delle scienze, del 1605, dove presenta al pubblico le linee generali del suo
progetto di riforma del sapere, e sulla Sapienza degli antichi, del 1609, dove, pur
ribadendo la sua condanna delle filosofie passate, rivaluta il pensiero delle prime scuole
filosofiche e soprattutto quello di Democrito, nell’intento di diffondere un’impostazione
materialistica delle scienze naturali.
Nel 1620 Bacone pubblica la sua opera più famosa, il Novum Organum, che già nel
titolo si oppone, in quanto nuova logica, alla vecchia logica aristotelica esposta
nell’Organon.
L’opera, scritta in forma di aforismi, è presentata come la seconda parte di un vasto
progetto, la Grande instaurazione delle scienze (Instauratio magna scientiarum) che
avrebbe dovuto essere strutturata in sei parti; ma di fatto l’opera, pensata come una
grande enciclopedia delle scienze, vede pubblicati solo la prefazione e il piano
generale.
Seguono, negli ultimi anni, vari scritti su argomenti diversi (storici, filosofici,
scientifici), fra cui un’operetta utopica, la Nuova Atlantide (New Atlantis).
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IL PROGETTO BACONIANO
Per una nuova enciclopedia del sapere
Bacone guarda con entusiasmo e interesse alle molte invenzioni e scoperte dei tempi
recenti, all’allargarsi dei confini del mondo, allo sviluppo delle attività economiche e
produttive, convinto che i progressi compiuti tra Cinque e Seicento nel campo delle
conoscenze tecnico-scientifiche aprano all’umanità immense prospettive.
Perciò egli ritiene che la filosofia debba elaborare un sapere rinnovato nei metodi e nei
contenuti, che sia all’altezza delle nuove esigenze conoscitive e pratiche richieste dalla
congiuntura storica.
A questo fine orienta il suo lavoro in due direzioni:
• innanzitutto, verso una critica serrata dell’aristotelismo, ormai inadeguato, a
suo giudizio, a rispondere alle sfide del mondo moderno;
• quindi, verso il progetto di un’ambiziosa opera enciclopedica articolata in sei
parti (di cui una sola, il Nuovo organo, viene poi portata a termine), un’opera
critica volta a mettere in luce i limiti del sapere tradizionale e le tante
opportunità trascurate o perdute dalla ricerca a causa dei pregiudizi e per
mancanza di un metodo adeguato; ma anche un’opera costruttiva, capace di offrire
un’alternativa valida alla vecchia cultura.
La verità è figlia del tempo
A coloro i quali affermano che la verità è figlia dell’autorità, cioè della tradizione elevata a
sapere intoccabile, Bacone risponde che la verità è invece figlia del tempo, cioè di una
ricerca continua in grado di produrre nuove conoscenze, che non può essere ancorata
all’autorità degli antichi.
Se si prendono come criteri di valutazione del sapere la fertilità – cioè la capacità di
produrre frutti – e la cumulatività – la capacità di crescere sulla base di quanto è già stato
acquisito –, il sapere tradizionale non può che essere valutato negativamente perché
sterile e ripetitivo.
Solo con la modernità, che Bacone rivendica con orgoglio, gli uomini si sono lasciati alle
spalle il tempo dell’infanzia per entrare nell’età matura. Ma per sviluppare le potenzialità
del mondo moderno, è necessaria una svolta nel modo di lavorare degli scienziati,
abbandonando i metodi di indagine del passato ed elaborando un nuovo modello di attività
scientifica.
Con una metafora tratta dal regno animale, Bacone illustra tre diverse vie di ricerca, le
prime due già sperimentate, la terza da costruire: c’è la via dei ricercatori empirici i quali,
come formiche, accumulano in maniera indiscriminata i materiali offerti dalla natura; c’è la
via dei razionalisti, i quali, come i ragni, ricavano il filo della realtà da se stessi, cioè dalla
ragione e dalle proprie categorie mentali; c’è infine la via della nuova scienza, che deve
imitare le api, le quali ricavano la materia prima dai fiori (dalla natura), per poi trasformarla
in miele e cera grazie alle proprie capacità di rielaborazione.
Questo è il modello della via baconiana, che intende essere una sintesi tra la raccolta dei
dati naturali e la messa a frutto delle capacità intellettive dell’uomo, come vedremo
specificamente più avanti.
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Sapere è potere
La polemica baconiana contro la filosofia del passato non riguarda solo il metodo ma
anche i fini. Mentre la filosofia tradizionale, in particolare quella greca, si propone come
scopo ultimo il conoscere, l’attività teorica contemplativa, che non mira a risultati pratici,
per Bacone la filosofia deve proporsi un compito utile e concreto, religiosamente ispirato:
restaurare il dominio dell’uomo sulla natura, stabilito da Dio al momento della creazione, e
vanificato a causa del peccato originale.
Perciò è necessario superare l’astrattezza e l’inconcludenza del sapere tradizionale,
dando vita a un sapere capace di penetrare il significato della natura e delle sue leggi, per
dominarla.
La cultura tradizionale, vista da Bacone come libresca, accademica e incapace di risultati
pratici va sostituita con un sapere nuovo, in grado di espandere non solo le conoscenze
dell’uomo, ma attraverso queste gli effetti positivi sulla sua vita concreta. Di qui la
formula: sapere è potere, cioè capacità di esercitare un effettivo controllo sui
fenomeni naturali, prevedendoli, guidandoli, sfruttandoli a vantaggio dell’uomo.
A differenza della magia, che forza la natura e cerca di sottometterla con la violenza ai
disegni umani, il sapere a cui mira Bacone segue il principio che la natura si domina solo
ubbidendole, cioè conoscendo le leggi che la governano, il funzionamento dei suoi
meccanismi, le cause dei suoi fenomeni, così da poterli riprodurre, controllare, frenare nei
loro effetti rovinosi: in una parola ottenere risultati miranti al benessere degli uomini.
Da questo punto di vista il sapere è strettamente congiunto alla tecnica, che per Bacone
non è tanto lo strumento di una pura e semplice imitazione del mondo naturale (secondo
la visione tradizionale per cui la tecnica si limita a riprodurre le operazioni della natura),
ma piuttosto lo strumento di un’azione efficace che interviene creativamente nella
realtà, che allarga i confini naturali, per esempio attraverso la produzione di nuove
sostanze – come leghe di metallo, vari tipi di vetro, pietre artificiali – capaci di migliorare la
qualità della vita, facendo dell’uomo una sorta di compartecipe della creatività divina.
Inoltre, la tecnica a cui mira Bacone deve operare in modo consapevole, cioè non deve
essere semplicemente frutto del caso, dell’abitudine, di pratiche tramandate di
generazione in generazione, bensì il risultato di una sicura conoscenza dei rapporti di
causa-effetto intercorrenti tra i fenomeni.
In questo senso scienza e tecnica procedono strettamente congiunte, la prima
dedicandosi a un’indagine sistematica sulla natura, la seconda applicandone i
principi sul piano pratico-concreto.
A questa concezione del sapere – come è facile capire – è strettamente legata una visione
utilitaristica della verità, che spesso nel corso della storia del pensiero è stata oggetto di
aspre critiche, per il suo subordinare il valore puramente speculativo e disinteressato della
scienza al criterio dell’utilità della stessa.
Per Bacone infatti il grado di validità teorica di un’ipotesi scientifica è strettamente
correlato con il grado di utilità pratica dell’innovazione tecnica cui questa deve dare luogo.
In una concezione della scienza come quella di Bacone, dove il fine unico e supremo è
l’aumento della potenza umana, il controllo dell’uomo sulla natura, il risultato pratico, la
sua utilità per il miglioramento della vita concreta dell’uomo, diventa insomma garanzia di
validità delle asserzioni teoriche.
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DISTRUGGERE PER RICOSTRUIRE
La critica al modello aristotelico
Per costruire un nuovo sapere non è possibile procedere a caso, ma è necessario dotarsi
di un nuovo organo, cioè di un metodo adeguato, che superi i limiti del metodo aristotelico,
il quale si è imposto come modello nell’ambito della tradizione filosofica.
Nell’Organon Aristotele individuava come metodo per eccellenza quello deduttivo basato
sul sillogismo, al quale Bacone rimprovera di non far conoscere niente di nuovo, in quanto
le conclusioni non fanno che rendere manifesto ciò che in forma implicita è già racchiuso
nelle premesse.
Ad esempio, la mortalità di Socrate, dichiarata nella conclusione, è già implicita nella
premessa maggiore, dove si afferma che tutti gli uomini – e perciò anche Socrate – sono
mortali.
Il sillogismo dunque – avverte Bacone – garantisce certezza, ma è sterile, suppone
una scienza già compiuta e serve per esporla sistematicamente, non per costruirla e farla
progredire. In un certo senso serve a dimostrare ciò che già si sa, non ad acquisire quello
che ancora non si conosce.
Inoltre il sillogismo è costituito di proposizioni e queste sono formate di parole, ricavate
non attraverso esperimenti, ma mediante semplici osservazioni condotte arbitrariamente in
modo limitato. Perciò il sillogismo si serve di parole vuote e non di cose, e quindi non
è vera ricerca scientifica ma solo applicazione oziosa di nozioni generali a nozioni meno
generali.
Ancora una volta esso non contribuisce al progresso della scienza, ma permette
soltanto di constatare, sul piano della logica astratta, se le conoscenze già possedute
siano espresse in modo coerente.
Da ciò che si è detto si capisce facilmente che il nuovo organo si identifica con la nuova
logica che Bacone intende instaurare in sostituzione di quella aristotelica, giudicata
infeconda, verbalistica e astratta dalla realtà.
Nemmeno l’induzione aristotelica può costituire un modello, perché così come è
teorizzata da Aristotele passa troppo rapidamente e in modo sommario
dall’osservazione di casi particolari alla formulazione di principi generali: “afferra
velocemente l’esperienza e i particolari”, dice Bacone, opponendo invece la necessità di
un’osservazione condotta con ordine sistematico.
Verifichiamo quanto la critica baconiana colpisca nel segno, quando denuncia la
debolezza della fisica aristotelica. Per esempio, dall’esperienza comune che fa vedere
come la fiamma vada verso l’alto, Aristotele crede di poter astrarre la caratteristica
essenziale del fuoco, che sarebbe la leggerezza, e quindi di poter definire il fuoco come
corpo leggero, ricavando da questa definizione un assioma generale secondo cui è
proprio del fuoco, che è un corpo leggero, il moto retto verso l’alto.
Analogamente egli ricava assiomi delle stesso genere: alla terra compete il moto retto
verso il basso, ai corpi celesti compete il moto circolare; quindi dall’insieme degli assiomi
deduce poi i teoremi relativi alla struttura dell’universo, teoremi che si rivelano poi errati.
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L’induzione aristotelica, secondo Bacone, anticipa la natura, in quanto tenta di
comprenderla con pre-concetti e pre-giudizi (cioè concetti e giudizi sommariamente
elaborati senza un vero confronto con la realtà) che si dimostrano di fatto erronei.
In opposizione a quello aristotelico egli delinea un metodo che, come l’induzione di
Aristotele, si basa sull’osservazione empirica, arrivando però in modo graduale, non
subitaneo, agli assiomi universali.
Il nuovo metodo si articola in due fasi: la pars destruens, la parte distruttiva, ha come
scopo di liberare la mente dalle false immagini della realtà e dai pregiudizi, ovvero
dagli ostacoli che intralciano la vera conoscenza della natura; la pars construens, la
parte costruttiva, ha come scopo la conoscenza delle cause dei fenomeni naturali, così da
poterli prevedere e governare.
La dottrina degli idola
Innanzitutto l’uomo deve sgombrare la mente dai pregiudizi e dalle illusioni che gli
impediscono di cogliere correttamente la realtà delle cose. Tali illusioni o fantasmi – nel
linguaggio baconiano idola, idoli – sono di quattro tipi, e costituiscono le fonti principali
di errore per l’uomo.
• Gli idoli della tribù (idola tribus), propri della specie (tribù) umana, sono comuni a
tutti gli individui e derivano da alcune inclinazioni tipiche della mente umana,
che tende, nella sua limitatezza, a trovare coerenza e uniformità nella natura
anche lì dove non si danno, o a fare anticipazioni sui fenomeni senza un reale
riscontro sperimentale.
Essi, quindi, fanno supporre che il mondo sia più omogeneo e ordinato di quello
che è veramente – come l’idea che i corpi celesti si muovano tutti secondo orbite
circolari –, semplificano arbitrariamente i fenomeni complessi, per esempio
fidandosi troppo dei sensi senza scoprirne gli inganni, e riempiono la mente di
princìpi generali incapaci di descrivere veramente i diversi fenomeni nella loro
specificità.
• Gli idoli della caverna (idola specus), propri dei singoli individui, ciascuno dei quali
vive nella propria interiorità (caverna, con un evidente richiamo alla Repubblica di
Platone, intesa come simbolo della tenebra), sono gli atteggiamenti mentali che
derivano dal carattere, dall’educazione, dalle abitudini e dalle passioni
individuali, che tendono a limitare e a deformare la nostra capacità di giudizio,
per esempio spingendoci ad accentuare o diminuire certi attributi delle cose.
• Gli idoli del foro, cioè della piazza, del mercato (idola fori), che Bacone ritiene i più
pericolosi, nascono dalla necessità di comunicazione degli uomini fra loro e perciò
si annidano nella vita sociale e nel linguaggio, che è appunto il veicolo
attraverso cui gli uomini esprimono le proprie opinioni ed entrano in relazione gli uni
con gli altri.
Ma non sempre le parole sono in grado di indicare con correttezza e
precisione le cose, anzi a volte indicano cose che non hanno consistenza reale,
come accade per esempio nei discorsi dei filosofi, oppure confondono ogni cosa
trascinando gli uomini in vane polemiche senza fine.
Gli uomini credono di dominare il linguaggio, ma spesso accade che le parole si
facciano valere con una loro propria forza e si impongano all’intelletto,
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dominandolo. Di qui il flusso di discussioni e controversie che girano a vuoto, dove
le parole si accumulano le une sulle altre senza dire nulla di reale.
A poco servono gli sforzi degli studiosi per definire i termini incerti o non chiari,
perché anche le definizioni sono fatte di parole; per ristabilirne il senso, bisogna che
quei termini ritrovino il loro rapporto con la realtà.
• Gli idoli del teatro (idola theatri) sono i pregiudizi creati e messi in circolazione
dai pensatori autorevoli attraverso i loro sistemi, nei quali non si descrive la
realtà così com’è, ma si recitano favole, si mettono in scena mondi fittizi come a
teatro.
Nel teatro filosofico c’è chi, come Aristotele, racconta una realtà costruita a partire
dalle categorie del pensiero umano, chi si basa su pochi e limitati esperimenti,
come gli alchimisti, chi deforma le cose naturali guardandole attraverso il filtro di
concetti filosofici mescolati a concetti teologici.
Il risultato è che l’influenza di determinate dottrine date per acquisite una volta per
tutte impedisce agli uomini di pensare in modo autonomo, sottoponendo a giusta
critica il complesso delle verità tramandate dalla tradizione.
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