LO SCOPO DELLA SCIENZA
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LO SCOPO DELLA SCIENZA
LO SCOPO DELLA SCIENZA? TRASFORMARE LA NATURA IN UN REGNO DELL’UOMO! Introduzione a Bacone Galileo è considerato il padre del metodo scientifico, un metodo che ha come scopo (Galileo, come sai, è un "realista") di scoprire la natura come la vede Dio. In Inghilterra, nello stesso periodo, un altro pensatore mette in evidenza un'altra componente della scienza: il POTERE. Si tratta di Bacone (Francis Bacon: 1561-1626, una brillante carriera politica sotto Giacomo I stroncata da una condanna per corruzione). Puoi intuire cosa c'entra il "potere” con la scienza? Credo di sì: credo che la scienza abbia come scopo proprio il potere, cioè il dominio delle forze della natura. E' così: il sapere scientifico, per Bacone, ha lo scopo di portare l'uomo a dominare la natura, a fare della natura il "regno dell'uomo”. Si tratta di uno scopo caratteristico della magia: si pensi al sogno di trasformare le cose in oro. In che cosa, secondo te, si differenzia la scienza dalla magia? Ci provo: secondo me la magia è qualcosa di "occulto", mentre la scienza è un "sapere trasparente". E' così: la magia è un sapere occulto, mentre la scienza è un sapere trasparente, aperto a tutti. Ma anche l'altro argomento è valido: la magia ha a che fare con i poteri di una persona, al contrario della scienza che coinvolge più ricercatori ed è controllabile da tutti gli scienziati. Il fine, tuttavia, per Bacone è lo stesso: dominare la natura. E per dominare la natura occorre, ovviamente, carpirne i segreti. Ma... come carpirli questi segreti? Tu dirai (conoscendo Galileo) che ciò è possibile scoprendo le "leggi" della natura. Ma per Bacone non è proprio così, cioè... (prova tu a proporre una congettura) cercando la finalità di un fenomeno naturale: se conosco il fine, potrò indirizzarlo, orientarlo per scopi umani. A cosa potrebbe servire conoscere il fine? Bacone, come Galileo, ritiene del tutto sterile per la scienza porre l'interrogativo sui fini della natura. Che conta, per lui, è scoprire la "natura" di un fenomeno, di una cosa se si vuole arrivare al "dominio". Riassumiamo: la scienza si propone di "dominare" la natura e per dominare la natura occorre scoprirne la "natura". Soffermiamoci ancora un attimo sul primo punto. Per Bacone è ora di prendere le distanze da una tradizione consolidata e dare il via ad un sapere non più sterile, ma "produttivo", "utile" all'uomo, un sapere che sia un "servizio" per l'uomo. Quale potrebbe essere il bersaglio polemico di Bacone? Immagino sia il sapere aristotelico: per Aristotele, infatti, la metafisica - il sapere per eccellenza - è un sapere del tutto "inutile" in quanto è un sapere "del tutto disinteressato". E' così. E' Aristotele, infatti, il bersaglio polemico di Bacone. Bacone mette sotto accusa un tipo di sapere fine a se stesso, non utile. Bacone prende le distanze sia dal metodo "deduttivo" che dal metodo "induttivo" di Aristotele. Partiamo dalla polemica contro la deduzione aristotelica: qual è la debolezza, per Bacone, di tale ragionamento? Si tratta di un ragionamento (vedi il sillogismo) del tutto sterile in quanto la conclusione è già di fatto contenuta nelle premesse. E' quanto pensa Bacone: il sillogismo è un ragionamento del tutto sterile, cioè non porta a scoprire niente di nuovo. Bacone prende le distanze anche dall'induzione aristotelica: quale la ragione? Prova ad intuirla. Immagino che la ragione sia questa: l'induzione non può portare ad una proposizione universale e necessaria. E' questa anche una convinzione di Aristotele. Sta di fatto che Bacone è convinto che l'induzione aristotelica parta da pochi casi particolari per poi volare subito a risultati generali quando invece è necessario un paziente lavoro di "interrogazione" della natura mediante una precisa descrizione dei fenomeni in questione. Bacone, quindi, prende le distanze dai metodi aristotelici ed avverte l'esigenza di arrivare ad un "nuovo metodo" (un nuovo metodo che espone in un'opera che chiama "Il Nuovo Organo", in contrapposizione all’"Organon” - libro di logica - di Aristotele). Ma per arrivare a scoprire tale nuovo metodo, occorre per Bacone, prendere le distanze non solo da Aristotele. Occorre, per Bacone, effettuare un grande sforzo intellettuale per liberarsi da una serie di "pregiudizi" (che Bacone chiama "idoli" per mettere in evidenza il fascino che tali pregiudizi esercitano sulla mente umana), pregiudizi che soggiogano tutta l'umanità. Bacone ritiene che, tra i pregiudizi, ce ne siano di quelli che sono radicati nella mente di ogni uomo (li chiama in latino "idola tribus”). Cosa saranno mai? Non vedo che cosa possa esserci di non acquisito. Comunque ci provo. Forse si tratta della tendenza dell'uomo a proiettare nella natura ciò che invece è umano: la tendenza, ad esempio, a vedere la natura "animata", con una "intenzionalità" non è ad esempio la tendenza presente in ogni bambino e nell'infanzia dell'umanità? Per Bacone ogni uomo (anche l'uomo maturo) è schiavo di certi pregiudizi. Vuoi provare ancora? Che cos'è che condiziona ogni uomo? Ogni uomo - questo almeno mi pare - tende a vedere solo ciò che per lui ha interesse : non è un fatto che le donne "vedono" certe cose che gli uomini non vedono e viceversa? La tua è un'osservazione intelligente. Si tratta di una tesi su cui tanto insiste ad esempio il filosofo della scienza K. Popper secondo cui la nostra percezione non è mai neutra, pura, ma "selettiva". La nostra percezione, cioè, secondo Popper, non è mai passiva, ma "attiva" in quanto seleziona ciò che a noi interessa percepire. Ti invito a leggere, a proposito, "Congetture e confutazioni" (Il Mulino): pagg. 84-85-86. Troverai che, secondo Popper, vi è una sorta di "innatismo" che è comune agli animali e agli uomini e che è presente anche negli scienziati. Soffermiamoci un attimo su questa teoria di Popper. Si tratta di una teoria che - senza citarla abbiamo visto in concreto a proposito della dottrina copernicana. Riesci a cogliere ciò a cui sto alludendo? Mi pare di aver capito: quando Galileo osserva col telescopio i corpi celesti, li "vede" alla luce della teoria copernicana, e quindi li vede diversamente da chi osserva alla luce della teoria geocentrica. E' cosi'. E' quanto abbiamo visto a proposito del metodo galileiano, che cioè le "sensate esperienze" presuppongono le "necessarie dimostrazioni” in quanto fanno riferimento a delle congetture, a delle teorie. Bacone quando parla di pregiudizi che sono radicati nella nostra mente, si riferisce ad esempio alla tendenza dell'uomo a vedere nella natura un ordine maggiore di quello che effettivamente c'è, la tendenza - una volta si è trovato uno schema interpretativo - a cercare conferme di tale schema e non smentite, la tendenza ad attribuire con faciloneria le qualità che si sono trovate in un oggetto ad altri oggetti che queste qualità non hanno, la pretesa che la natura corrisponda alle sue esigenze. Oltre ai pregiudizi radicati nella mente umana, secondo Bacone, ce ne sono di individuali (sono chiamati "idola specus”) che derivano dall'educazione, dalle proprie letture personali. Vi sono, poi, gli "idola fori” (i pregiudizi della piazza) che derivano dal linguaggio: vedi nomi - come "fortuna”, "primo mobile” - di cose che non ci sono, e nomi indeterminati di cose esistenti come ad esempio la parola "umido” che sta ad indicare cose diverse. Vi sono infine gli "idola theatri” che derivano dai sistemi filosofici del passato (tali sistemi vengono chiamati pregiudizi del "teatro” perché sono considerati come delle favole, dei mondi di finzione). Per Bacone, quindi, numerosi sono i tipi di pregiudizi da cui l'uomo deve liberarsi se vuole accostarsi alla natura nelle condizioni ottimali per poter leggerla direttamente, senza schemi, senza veli. Il processo di liberazione da pregiudizi è quella che Bacone chiama "pars destruens” (la parte distruttiva). La "pars construens” (la parte costruttiva) è rappresentata dal nuovo "metodo": l'INDUZIONE PER ELIMINAZIONE. Si vuole indagare, ad esempio, sulla natura del calore? Occorre prima compilare la "tavola di presenza”, registrare cioè i casi in cui il calore è presente (nei raggi di sole, nei fulmini ardenti, nella fiamma, nella calce viva su cui si cosparge l'acqua...) Occorre, poi, passare alla "tavola dell'assenza” dove vengono registrati fenomeni che hanno una qualche analogia con i primi, ma che non presentano calore: come ad esempio i raggi della luna, i fuochi fatui. Si arriva infine alla "tavola dei gradi" in cui vengono registrate le variazioni del calore a seconda dell'ambiente o delle condizioni. Un'induzione indubbiamente diversa da quella aristotelica: in che cosa consiste, secondo te, la diversità più rimarchevole? L'induzione aristotelica - che mi risulta - non indugia così tanto a classificare i fenomeni della natura. E' così: Bacone, in polemica con Aristotele, avverte l'esigenza di interrogare la natura con pazienza, con una meticolosa registrazione dei suoi fenomeni. Perché si tratta di una induzione "per eliminazione”? Ci provo: immagino che si arrivi ad esempio all'ipotesi sulla natura del calore mediante l'esclusione di altre ipotesi. E' questo il metodo di Bacone: tramite le "tavole” si arriva, secondo lui, ad escludere alcune ipotesi (che ad esempio il calore sia tout court collegato ai raggi, che sia un fenomeno solo terrestre). Bacone non ha in comune con Galileo solo l'esigenza di arrivare ad un'ipotesi, ma anche... immagino che abbia in comune anche l'"esperimento": come posso sapere se l'ipotesi che ho formulata è vera, se non la verifico? E' così. Quando si è incerti sulla natura di un fenomeno, per Bacone è necessario arrivare ad un esperimento fondamentale che lui chiama "experimentum crucis” (il nome deriva dalle "croci", erette ai bivi, che indicavano la biforcazione). Per Bacone le "tavole" servono ad elaborare una prima ipotesi, un'ipotesi provvisoria che va poi verificata o falsificata. Quando si è di fronte a due ipotesi rivali con la medesima forza persuasiva, è necessario ricorrere all’"esperimento cruciale” che consente di escludere una delle due ipotesi e quindi di arrivare ad una conclusione necessaria. Un'idea su che cosa intende Bacone per "esperimento cruciale”? Il peso di un corpo l'esempio è dello stesso Bacone - deriva dalla natura del corpo stesso ovvero dall'attrazione della massa terrestre? Se fosse valida la prima ipotesi, i corpi avrebbero sempre lo stesso peso, se fosse valida invece la seconda, più un corpo è lontano dalla terra, meno ha peso e viceversa. Da qui l'esigenza di un "esperimento cruciale” che dirima definitivamente la questione e ci indica dov'è la retta via. Riprendiamo il discorso della "natura”: l'oggetto, cioè, della ricerca scientifica. Di che cosa si tratta esattamente? Bacone passa in rassegna le quattro "cause” aristoteliche di cui accetta solo una. Quale "causa”, secondo te, potrebbe essere la "natura” di un fenomeno, di un corpo di cui abbiamo parlato fino ad ora? Immagino sia la causa "finale": la scienza non ha per "fine" quello di dominare la natura in funzione dell'uomo (un dominio, cioè, "finalizzato" all'uomo)? Per Bacone la "natura” ha in qualche misura a che fare con la "causa formale" di Aristotele. Lui stesso parla di "forma”. Per Bacone scopo della scienza non è quello di indagare né il "fine" di un fenomeno né la causa materiale, né quella efficiente, ma la "forma”. Si tratta, cioè, di scoprire ad esempio ciò che fa sì che il calore sia calore, ciò che fa sì che il vetro sia frangibile. Bacone cerca di differenziare la sua "forma” da quella aristotelica introducendo i concetti di "schematismo latente” (la struttura, l'ordine intrinseco di un fenomeno - struttura che sfugge ai sensi) e di "processo latente” (cioè la legge che regola la generazione di un fenomeno). Si tratta di uno sforzo di differenziazione che non ha convinto molti critici secondo i quali la "forma” corrisponde al concetto aristotelico di "sostanza". C'è, però, indubbiamente in Bacone, nella ricerca della "forma” un'esigenza diversa rispetto ad Aristotele: quale, secondo te? Bacone avverte l'esigenza - questo mi sembra di aver compreso - di arrivare a scoprire la "forma" di un fenomeno "sperimentalmente" (ciò che in Aristotele non c'è). E' così. Ma anche la seconda opzione ha un suo valore anche se si tratta di una risposta che non affronta il concetto di "forma", ma il suo uso. Riassumiamo. La ricerca scientifica deve partire da una paziente interrogazione della natura (non ci deve essere nessuna "anticipazione”), arrivare ad una ipotesi provvisoria, procedere con la verifica sperimentale dell'ipotesi e giungere, infine, a scoprire la "struttura” e la "legge” di un fenomeno. In che cosa si differenzia tale metodologia da quella di Galileo? La risposta mi pare scontata: Bacone - questo almeno non l'ho visto - non fa ricorso alla matematica che per Galileo è l'unica chiave di lettura del libro della natura. E' così: Bacone non riconosce alla matematica il suo ruolo essenziale come "linguaggio” della scienza (come linguaggio in ogni fase della ricerca: dall'osservazione alla formulazione dell'ipotesi alla verifica sperimentale alla formulazione della legge). Anche nell’"interrogazione” della natura il metodo di Bacone si differenzia da quello galileiano. E', questa, una proposizione vera o falsa? Vera. Mi pare che Galileo assomigli un po' ad Aristotele nel senso che vola ben presto dall'osservazione all'ipotesi senza indugiare sull'osservazione. E' un fatto che Galileo non fa uso delle "tavole” di Bacone e spesso per formulare un'ipotesi gli basta un'osservazione attenta (un'osservazione di tipo "matematico”). E' un fatto, comunque, che Galileo - vedi soprattutto in campo astronomico - ha indugiato (eccome!) nel registrare in modo meticoloso e pedante le osservazioni. Bacone - questo è certo - non ha dato un grande contributo all'elaborazione di una metodologia scientifica, ma sicuramente può essere considerato il profeta della civiltà tecnologica in cui oggi viviamo. Il suo sogno: fare della natura il "regno dell'uomo”, un regno finalizzato a fare della natura una sorta di paradiso terrestre. "); //-->